NEWSLETTER 49-2014

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NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO
“VERONESI: VOGLIAMO ANIMALI
ALIMENTATI SENZA OGM!!!”
Manifestazione davanti al Mangimificio Veronesi sabato 6 dicembre 2014 dalle
10.00 alle 14.00 - Ospedaletto Euganeo
Il Coordinamento Zero Ogm dà nuovamente appuntamento ai cittadini, stavolta
davanti al Mangimificio del gruppo Veronesi a Ospedaletto euganeo (PD) il 6
dicembre 2014, per chiedere al gruppo di convertire tutte le sue filiere al OGM free
e garantire tracciabilità sui prodotti finiti.
In Italia, mangiamo OGM senza nemmeno saperlo e ne subiamo tutti gli effetti
negativi! Gli OGM arrivano sugli scaffali dei supermercati direttamente all'interno
di prodotti di largo consumo o indirettamente, perché gli animali da cui derivano
carne, latte, formaggio, uova e altri prodotti sono alimentati con mangimi che
nell'80% dei casi contengono OGM.
Tra i principali attori di questo mercato abbiamo il Gruppo Veronesi, leader a
livello nazionale nella produzione di mangimi, primo produttore avicolo in Europa
e, con i marchi Negroni e Montorsi, tra le prime aziende nell’industria salumiera.
Il 4 ottobre 2014, produttori-consumatori, membri di associazioni e semplici cittadini si
sono dati appuntamento davanti al mangimificio di Veronesi a San Pietro in Gù con una
lettera contente le richieste sopra esposte (allegato A).
La risposta del gruppo Veronesi è stata evasiva (allegato B), tanto da prefigurare
l'impossibilità di qualsiasi confronto. La lettera non solo non ha risposto alle richieste ma
ha riproposto un elenco di informazione risapute e autocelebrativa.
Il gruppo Veronesi ritiene di non avere interessi di nessun tipo per quanto riguarda la
coltivazione e la commercializzazione di OGM. Siamo però a conoscenza che tale gruppo
nel 2009, sentito dalle Commissioni 7° e 9° del Senato, ha dichiarato di importare 40 mila
tonnellate di soia OGM al mese e solo 9 mila tonnellate di soia free OGM.
In più, abbiamo acquisito una confezione di mangimi per vacche “lattifera 18 pallet” a
marchio Veronesi dove nell’etichetta c’è scritto che contiene materiale OGM. Questo
significa che partecipa alla commercializzazione di materiale trasgenico, acquisendo
prodotti transgenici sul mercato internazionale e vendendoli trasformati in mangimi.
Di fronte a questa chiusura, il Coordinamento Zero OGM ha deciso di intensificare le
iniziative di mobilitazione. Pertanto, sabato 6 dicembre 2014, ribadirà le sue richieste al
gruppo Veronesi manifestando davanti al mangimificio di Ospedaletto Euganeo e
consegnerà una lettera di risposta, nella quale chiede al gruppo di prendere tutte le misure
necessarie al fine di:
•
Garantire tracciabilità e trasparenza sul prodotto finito, quello che troviamo nello
scaffale del supermercato: Vogliamo un'etichetta chiara che indichi la presenza di
OGM nell'alimentazione degli animali o in qualsiasi altra componente di prodotto;
•
Mettere in calendario - da subito - la conversione delle filiere compromesse con gli
OGM, con l'obiettivo di costruire e mantenere una produzione sementiera OGM free
e una mangimistica totalmente OGM free, rispettosa dell'ambiente e della salute
umana e animale.
La non risposta a queste domande, ci spingerà a pensare che mais e soia OGM vengono
utilizzati come base dell’alimentazione di tutti gli animali dai quali derivano i prodotti finiti
del gruppo, prodotti che consideremo «A RISCHIO OGM»: Negroni, Aia, Wudi, Golosino,
Aequilibrium, ecc.
Coordinamento Zero Ogm - Cibo sano per tutti (anche per gli animali)
Mail: Coordinamentozeroogm@libero.it -- Web: http://zeroogm.wordpress.com/
(per partenza da Padova, contattare AltrAgricoltura Nord Est – 049-7380587)
(da Altragricoltura Nord Est – dicembre 2014)
BAGNASCO E PINOTTI “CONSUMATORI VISTOSI”
Un piccolo particolare grottescamente comico nell’alluvione genovese dell’ottobre scorso:
nella notte fatidica, catturata dalla furia delle acque, una mastodontica automobile blindata
viene trasformata in proiettile e scaraventata contro il muro esterno della Questura
cittadina; sfondandolo e distruggendo sullo slancio l’intero ufficio immigrazioni.
La mattina dopo ci si chiede a chi appartenga la macchina devastatrice e si scopre che il
proprietario è – udite, udite – proprio il cardinale arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco;
il quale è solito utilizzarla nelle sue visite pastorali, probabilmente nel timore di essere
preso a revolverate. Comunque alla faccia di Papa Francesco e del suo invito alla sobrietà
da parte dei porporati in materia di mezzi di locomozione.
Cerco di capire la logica che spinge il presidente CEI a tale scelta interrogando uno degli
ormai rari “preti da strada” locali mio amico. La risposta è secca: «puro e semplice culto
dello status symbol». L’urgenza di quello che l’economista Thorstein Veblen definiva
“consumo dimostrativo”: l’accaparramento compulsivo di beni vistosi come credenziali
della raggiunta posizione sociale elevata.
La stessa molla che scatta nella testolina della ministra bellica Roberta Pinotti, a
prescindere se il volo militare (trasformato in taxi VIP) che l’ha riportata a casa avesse o
meno modificato il proprio programma di volo. Pura ostentazione di rango conseguito, per
una ragazza nata in un quartiere di periferia, che ha scalato la piramide sociale utilizzando
la politica come ascensore individuale di carriera.
Il montacarichi per la conquista dei piani alti in qualsivoglia istituzione, laica o clericale che
sia. Esito che ora l’asceso/a intende sbatterlo in faccia a tutti, all’insegna del classico “lei
non sa chi sono io”. Un po’ come l’uso delle scorte trasformate in valletti nello shopping
all’Ikea da parte dell’ex ministro Anna Finocchiaro.
Insomma, smargiassate da parvenu, nell’identico intento subliminale della macchina blu
che tutte le mattine attende sotto casa il governatore di Regione Liguria Claudio Burlando.
Il presunto “figlio del popolo” che da lunga pezza ha traslocato nell’appartamento in
Albaro, i Parioli genovesi.
L’ansia arrampicatrice è il tratto che accomuna queste come le mille altre storie specchio
dei tempi, emerse in tutta la loro miserabile pochezza nelle interminabili indagini di polizia
e magistratura sulle dissipazioni di denaro pubblico nei consigli regionali di tutta Italia. E
non se ne salva uno che è uno.
Anche perché nell’evoluzione carrieristica dell’impegno pubblico si è compiuta la mutazione
degli schieramenti politici in un’unica ammucchiata indistinta, in cui tutti gli appartenenti
condividono l’impegno solidale di tutelare i vantaggi posizionali conseguiti; consegnando al
dimenticatoio eventuali spinte ideali originare. Una situazione in cui le distinzioni perdono
qualsivoglia senso. Come ne dava esplicita dimostrazione proprio l’ineffabile Pinotti nel
luglio 2013, spiegando nel corso del talk-show Omnibus che lei non avrebbe avuto alcun
problema a votare Daniela Santanché alla presidenza della Camera.
Solidarietà tra beneficiati di un comune meccanismo di potere e relativi vantaggi materiali
(extra lusso). Tutto questo riconducibile a un più generale – inquietante – processo in atto,
in cui si stanno alzando silenziosamente barriere divisorie invalicabili tra “chi è dentro” e
“chi è rimasto fuori”. Insiders versus outsiders.
Un tempo la politica e la Chiesa cattolica era apprezzate istituzioni che offrivano uno
sbocco meritocratico alla mobilità sociale. Ora si stanno trasformando in validi alleati di chi
sta in alto, nella guerra civile non dichiarata dei ricchi nei confronti dei poveri.
Scenario castale da Medio Evo prossimo futuro, in cui i Bagnasco e le Pinotti cercano un
posizionamento che soddisfi tanto le loro evidenti ambizioni come le esigenze di sicurezza
di status. Nella fase storica in cui il Potere si fa sempre più lontano, tendendo al mistero
attraverso l’illusionismo.
(scritto da Pierfranco Pellizzetti su MicroMega di Repubblica – dicembre 2014)
IL VALORE, REALE, DELLE COSE
"L’economia non può -e non deve- essere il solo criterio utile a stabilire i limiti del
dibattito sul valore delle cose e delle persone", perché le cifre in euro non possono
rappresentare la difesa dell’ambiente o del benessere, rispetto alla complessità
che sta dietro a queste espressioni.
Siamo abituati a comprovare il valore delle cose dando loro una misura
economica. È certamente un traguardo: anche solo 40 anni fa nessuno si preoccupava di
quantificare, ad esempio, il valore della biodiversità, con la conseguenza che nessuno si
preoccupava di quantificare il danno -anche economico- derivante dalla sistematica
distruzione di questa. Allora il problema non si poneva affatto, solo dopo i pericoli sono
iniziati a emergere. In generale spesso il nostro approccio è: poiché le minacce all’ambiente, ai diritti, al nostro benessere- arrivano dal mondo economico, delle imprese,
del consumo, allora la nostra risposta deve essere espressa in termini analoghi.
Vale economicamente di più un’autostrada o i campi coltivati che verranno da questa
distrutti? Vale di più uno stabilimento e i suoi posti di lavoro, o il costo per la salute? Il
fatto è che i termini del dibattito sul valore delle cose sono stati in larga misura stabiliti
dagli economisti. Se scegliamo di farli nostri, se accettiamo che quelle siano le regole del
gioco, accettiamo l’invito del leone: entrarne nella tana ti mette nel rischio di diventarne il
pranzo. L’economia è importante, ma l’economia non può -e non deve- essere il solo
criterio utile a stabilire i limiti del dibattito sul valore -reale- delle cose e delle persone.
Se intendiamo esplorare i limiti di questo dibattito, dobbiamo adottare tre criteri, di cui il
calcolo dei benefici economicamente tangibili è solo il primo. Il secondo criterio è il
mantenimento dell’ambiente fisico come condizione essenziale per l’esistenza degli uomini.
Il terzo, tutt’altro che aleatorio, è il piacere -non solo estetico- che gli esseri umani
traggono dall’esperienza della natura e della socialità: una componente fondamentale
dell’esistenza umana.
Le cifre in euro spesso sono persuasive (quando sono disponibili), e le argomentazioni
fondate su basi numeriche sono di fondamentale importanza. La loro forza è immediata e
ovvia e se le cifre sono corrette, appunto, convincente. Ci sono alcune trappole di cui però
si dovrebbe essere consapevoli. Ad esempio: oggi la produzione alimentare si limita a venti
specie, che provvedono al 90% degli alimenti vegetali; tre specie (mais, frumento, riso)
costituiscono più della metà dei raccolti. Funziona dal punto di vista economico, ma non è
lungimirante dal punto di vista scientifico (né del buon senso, né del gusto).
Misurare il valore delle cose, della conservazione della natura, del rispetto dei diritti umani,
attraverso il denaro rischia di tramutarsi in un esercizio miope (se non in una prassi
distruttiva). Purtroppo è tipico di chi fa informazione, ma tutti un po’ ci sono cascati: ce
l’abbiamo in testa che il mondo si misura col denaro. È miope perché si basa su valori
dettati da altri, valori che seguono percorsi a volte del tutto distanti dalla realtà (come le
fluttuazioni dei prezzi in borsa, i derivati, le mode).
Perché dovremmo dimostrare, prove alla mano, che tutelare l’ambiente è economicamente
vantaggioso? Piuttosto, dovrebbero essere le multinazionali, le banche, i fondi, gli
economisti a dimostrare che salvaguardare il clima non conviene. Prima di ricevere dalla
società l’autorizzazione a modificarlo. Le cifre in euro possono sembrare uno strumento
potente, ma non possono essere mai né sicure né rappresentare una difesa dell’ambiente
o del benessere, rispetto alla complessità che sta dietro a queste espressioni.
E se per caso viene fuori che una intera specie non ha valore economico? Quanto
“valgono” gli orsi polari, rispetto all’estrazione di petrolio? Il biologo David Ehrenfeld molti
anni fa scrisse: “Se io fossi uno dei molti sfruttatori e distruttori dell’ambiente, non
chiederei di meglio che i miei oppositori si impantanassero nel problema della valutazione”.
Il valore -nel senso convenzionale- cambia col modificarsi delle circostanze.
Assegnando un valore economico alle cose, come se l’unica cosa che conta in ogni
decisione importante fosse l’entità tangibile dei costi e dei profitti in euro, legittimiamo il
sistema che spazza via natura e diritti. I tentativi di far corrispondere agli ecosistemi e alla
società un valore in euro in un contesto economico standard sono pura follia, e destinati al
fallimento.
(Commento di Pietro Raitano – Direttore di Altreconomia – dicembre 2014)
IL CIBO SIAMO NOI
Nel corso degli ultimi secoli il dibattito sul cibo si è affermato con solenni dichiarazioni
internazionali, attraverso documenti ufficiali e all’interno di nuove Costituzioni nazionali.
L’umanità tutta sente che la morte per fame non è una fatalità o un destino riservato a
popolazioni sfortunate ma è, in questo momento storico, un’ingiustizia intollerabile che
genera un senso di profonda vergogna.
Malgrado ciò, le statistiche ufficiali ci consegnano ogni anno numeri impressionanti di
malnutriti e morti per fame: l’ultimo rapporto della FAO denuncia infatti oltre ottocento
milioni di malnutriti. Sempre la FAO stima che sarebbero sufficienti 34 miliardi di dollari
all’anno per invertire la rotta una volta per tutte.
Trentaquattromiliardi di dollari l’anno non sono nulla per le potenze economiche mondiali
rispetto ai loro costi militari e al mercato delle armi, e si tratta di una cifra ridicola se
paragonata agli sforzi fatti per salvare le banche europee e americane dalla crisi
finanziaria.
Nel 2000 la dichiarazione dell’ONU sugli obiettivi del millennio collocava al primo posto lo
sradicamento della fame e della povertà entro il 2015. In questo fine anno 2014 appare
evidente non solo il fallimento di questo obiettivo, ma anche l’aggravamento delle
diseguaglianze, delle ingiustizie e delle violenze verso le comunità più povere del pianeta.
Volgere lo sguardo verso il continente Africano, dove il neocolonialismo si manifesta con il
fenomeno dell’accaparramento della terra (landgrabbing) e con lo sfruttamento delle
risorse non a beneficio delle comunità locali ma di multinazionali e di governanti corrotti,
può far sorgere un dubbio. Il dubbio che il mantenimento di questo stato di cose
rappresenti un preciso interesse economico e politico: tenere questi popoli sotto il giogo
della povertà e fare della loro marginalità un requisito indispensabile per continuare a fare
profitti sulle loro terre. Si può provare un senso di impotenza dinanzi a questa situazione,
e chiedersi come sia possibile cambiare tutto ciò.
Il vero nodo etico-politico da sciogliere in questo momento storico è superare la palese
incongruenza tra l’affermazione del diritto al cibo e il perdurare della morte per fame.
Niente di nuovo, perché il paragone con l’abolizione della schiavitù è fin troppo evidente.
Siamo nella stessa situazione contraddittoria in cui si trovavano gli Stati Uniti ai tempi di
Lincoln: da un lato una Costituzione che ha come suo cardine l’uguaglianza tra gli uomini,
dall’altra uno Stato che basa le sue fortune sulle diseguaglianze degli schiavi.
A un certo punto, però, ciò che era tollerato divenne intollerabile, e oggi chiunque
inorridirebbe di fronte ad una pratica così vergognosa.
Con la stessa determinazione oggi bisogna lottare contro la morte per fame. E’ giunto il
momento di dire basta, di unire le forze, e lavorare per un trionfo storico in nome dei diritti
universali. Dobbiamo incoraggiare una lotta senza quartiere alla morte per fame e
malnutrizione. Non esistono battaglie più urgenti, non ci sono priorità alternative. Non
possiamo parlare di sostenibilità, di diritti e di futuro se non parliamo anche e prima di
tutto di fame.
(dalla Newsletter di Slow Food – dicembre 2014)
ADDIOPIZZO: CONTRO IL PIZZO CAMBIAMO I CONSUMI
“Un intero popolo che accetta di pagare il pizzo è un popolo senza dignità”. La mattina del
29 Giugno 2004, i palermitani che camminano in giro per la città trovano i muri tappezzati
di adesivi anonimi che riportano questo slogan. Tutti cominciano a parlarne, cittadinanza e
istituzioni si interrogano sull’identità degli autori di questo gesto, parte il tran tran
mediatico e in brevissimo tempo la notizia è sulla bocca di tutti. Ma facciamo un passo
indietro.
“Questo movimento nasce improvvisamente, dal
basso” spiega Pico, uno degli associati di
“Addiopizzo”, parlando del movimento anti-racket
siciliano. Nel 2004 un gruppo di giovani studenti e
neolaureati si riunisce intorno a un tavolo per
decidere cosa fare della propria vita. Sono sette
ragazzi in gamba e con forte spirito di iniziativa
che non vogliono lasciare Palermo.
L’idea iniziale che nasce intorno a quel tavolino è
molto semplice: aprire un pub equo e solidale. Uno di loro si occupa di scrivere il business
plan e tra i rischi economici da calcolare inserisce la voce “pagare il pizzo”. “Eravamo tutti
ragazzi informati e consapevoli”, spiega Pico, “ma quando vediamo scritta nero su bianco
quella parola – “pizzo” – è come se ci fossimo scontrati all’improvviso con la realtà dei
fatti. Fu come una doccia fredda”.
Iniziando studi e ricerche sul tema, scoprono che il commerciante paga il pizzo di tasca
propria una sola volta, all’inizio, successivamente è il prezzo delle merci che viene
aumentato per coprire la “tassa” dell’estorsione. Questo significa che tutti i cittadini
vengono coinvolti e anche attraverso il semplice acquisto di un prodotto si alimenta
indirettamente il sistema mafioso del pizzo. Da questa presa di coscienza nasce lo slogan
degli adesivi attaccati nella notte tra il 28 e il 29 Giugno 2004 dal gruppo di attivisti.
Quando decidono di venire allo scoperto, dopo qualche giorno dalla “notte degli adesivi”, i
sette giovani universitari scelgono di rimanere anonimi, di
non personificare la lotta. “Il problema di tanti movimenti
anti-mafia è stato proprio la personificazione in un singolo
individuo, che purtroppo – sappiamo bene – troppo spesso
è diventato martire. Anche oggi che l’associazione ha un
riconoscimento a livello regionale e nazionale”, aggiunge,
“c’è una turnazione continua delle cariche e dei ruoli
interni”.
Pico di Trapani, movimento Addiopizzo
In pochissimo tempo il gruppo passa da sette persone a quaranta e già nell’estate del
2004 viene preparato un manifesto del consumo critico da sottoporre ai cittadini.
Nell’estate del 2005, solo un anno dopo, il manifesto è stato sottoscritto da oltre mille
persone e a maggio del 2006 esce la lista dei primi cento commercianti che hanno rifiutato
di pagare il pizzo. Da quel momento in poi, con cadenza annuale sono resi noti circa cento
nuovi commercianti che aderiscono alla rete e a maggio di ogni anno viene organizzata
una tre giorni di eventi e incontri sul consumo critico in una delle piazze di Palermo.
La storia di Libero Grassi è un modello ma anche un monito: nessun commerciante deve
rimanere solo. Per questo sono tutti invitati a partecipare per sostenere la rete ma
soprattutto per conoscere e sensibilizzare. “La nostra forza”, argomenta Pico, “è la
responsabilizzazione del cittadino. È il singolo individuo che decide di fare la differenza”.
Non si colpevolizza il commerciante che paga il pizzo, ma piuttosto si premia e si dà voce a
chi decide di non farlo. Gli esercizi commerciali che aderiscono alla rete di Addiopizzo
accettano il “pacchetto legalità” a 360 gradi: dall’assunzione dei dipendenti al pagamento
delle tasse è tutto perfettamente a norma. In cambio i commercianti sanno di poter
contare da un lato su una rete di cittadini consapevoli che prediligono le loro attività
piuttosto che altre, dall’altro sulla protezione dell’associazione in caso di necessità.
“Gli esercizi che aderiscono ad Addiopizzo non hanno quasi mai
avuto ritorsioni, ma quando è successo hanno avuto la
dimostrazione che si può contare sulla nostra rete”, racconta
Pico, “e il caso di Rodolfo Guajana lo testimonia”.
Dopo aver aderito alla rete, questa ditta palermitana è stata
vittima di un attentato incendiario nella notte tra il 30 e il 31
Luglio 2007 e “il fumo delle fiamme si vedeva fin dall’altro capo
della città”, ricorda Pico. Il capannone della ditta venne completamente distrutto, ma il 17
settembre, dopo solo due mesi, Guajana è di nuovo in piedi, pronto per riaprire la sua
attività. Grazie alle pressioni di Addiopizzo e alla mobilitazione innescata sul territorio, il
proprietario ha ottenuto il sostegno delle istituzioni e in pochissimo tempo gli è stato
garantito dalla regione lo spazio per i nuovi capannoni. “Se la società civile è consapevole
e richiede il cambiamento”, spiega Pico, “le istituzioni non possono fuggire e sono
obbligate ad ascoltare e agire di conseguenza”.
L’associazione Addiopizzo oggi è una solida realtà regionale, dalla sua costola si è formata
un’associazione collaterale, “Addiopizzo Travel” (vedi box QUI SOTTO), e oltre al nucleo
originario di Palermo, sono nate nuove cellule a Catania (2006) e Messina (2010). Le stime
ufficiose delle forze dell’ordine registrano un forte calo del fenomeno del pizzo anche a
Palermo, dove nel 2004 i dati ufficiali riportavano una stima pari all’80%.
“La mafia ti uccide nei sogni, con Addiopizzo abbiamo riacceso in minima parte le speranze
della gente, lo vedo negli occhi delle persone con cui parlo” confida Pico. Poi conclude:
“sono soddisfatto di quello che abbiamo ottenuto fino ad oggi, ma sono ingordo e voglio
migliorare sempre di più”.
Addiopizzo Travel Nata nel Novembre 2009 da una costola del Comitato Addiopizzo, “Addiopizzo
travel” è un'associazione culturale, oggi tour operator, specializzata nel turismo etico.
Guidati dai volontari dell'associazione, i visitatori hanno l'opportunità di recarsi nei luoghi simbolo
della lotta alla mafia, dai beni confiscati ai luoghi della memoria.
Molti giri turistici vengono organizzati in collaborazione con l'associazione “Libera”, e prevedono
tappe presso beni confiscati alle mafie o cantine “Cento Passi”.
Le formule per visitare la Sicilia con “Addiopizzo travel” sono molteplici: si possono scegliere viaggi
esclusivamente d'istruzione e impegno o viaggi più diversificati, alternando cioè le tappe tematiche a
quelle classiche per la valorizzazione del patrimonio storico-artistico del territorio.
Qualora si volesse svolgere un tour tradizionale, senza passare per i luoghi della memoria,
l'associazione garantisce alloggio e ristorazione nelle strutture “pizzo-free”.
(da Italia che cambia – dicembre 2014)
NO ALLA VENDITA DELLE QUOTE ACQUA. L’ACQUA E’ UN BENE DI
TUTTI NON DEL SINDACO. SCORPORIAMO LA GESTIONE
DELL’ACQUA DALLA MULTIUTILITY HERA
In questi giorni, da alcuni articoli dei giornali leggiamo che il sindaco Bitonci vuole vendere
la parte delle azioni Acegasapsamga gruppo Hera non sottoposte al vincolo stabilito dal
“patto di sindacato” con l’intento “di recuperare circa 26 milioni di euro da spendere”, così
afferma il sindaco Bitonci, “per l’attuazione degli indirizzi generali di governo” e aggiunge
“è una decisione economica e non politica, utile a non incorrere in mutui e spese passive”.
Il sindaco Bitonci mette subito in pratica, allineandosi a quello che diceva Zanonato da
sindaco e poi da Ministro, e che ora Il governo Renzi sta attuando attraverso la Spending
Review, lo Sblocca Italia e la Legge di Stabilità e cioè vendere le quote delle partecipate
per fare cassa. Gli importi recuperati (per premio) non saranno sottoposti al vincolo del
patto di stabilità.
Le forze politiche che Bitonci rappresenta, quando erano all’opposizione avevano votato
contro l’operazione di fusione per incorporazione di AcegasAps Holding s.r.l. (la finanziaria
che consentiva ai Comuni di Padova e Trieste di controllare AcegasAps s.p.a.) in Hera
s.p.a., perché annullava il peso maggioritario dei due comuni in AcegasAps nella gestione
dell’acqua. Noi cittadini sapevamo che quell’operazione allontanava la possibilità di noi
cittadini-utenti dei servizi pubblici locali (acqua, in primis) di esercitare un controllo reale
su beni così essenziali alla vita della nostra comunità.
Ora queste forze, addirittura vendono quote di un bene che non è loro, ma di tutti noi
cittadini, continuando così la privatizzazione di un bene comune per eccellenza com’è
l’acqua e la sua gestione. Il Partito Democratico, ora all’opposizione, non è contrario alla
vendita, ma solamente vuole che si sappia dove il sindaco vuole spendere i soldi
recuperati. Tutti se ne fregano della vittoria referendaria che diceva SI alla
gestione pubblica e NO al profitto in bolletta.
E il patto di sindacato scade a fine anno (31/12/2014). Cosa accadrà dopo possiamo
immaginarlo. Ferrara e Forlì hanno già annunciato di volersi sfilare e i piccoli comuni
strozzati dai debiti e dal taglio delle entrate da parte del governo venderanno le loro quote
per delle briciole e per fare cassa.
E’ sotto gli occhi di tutti che quando il servizio idrico è gestito da società per azioni
(s.p.a.), per di più quotate in borsa come Hera o la stessa AcegasAps (già prima della
fusione), parlare di maggioranza pubblica del capitale sociale (o di sindacato di blocco che
vincola il 51% del capitale sociale) per sottintendere indirizzi gestionali coerenti con gli
interessi delle comunità cui quel servizio è rivolto è pura falsità.
Perché lo scopo di queste società (pubbliche, private o miste che siano) non è l’equità del
servizio, la riduzione degli sprechi di acqua e della produzione dei rifiuti, la salvaguardia
della salute dei cittadini e dell’ambiente etc. ma, viceversa, l’appetibilità del proprio titolo
sul mercato azionario (di rischio) garantita dalla distribuzione puntuale dell’immancabile
utile, costi quel che costi (e talvolta questi costi possono essere davvero mostruosi, come
ci rivela la scandalosa inchiesta di Report del 16 novembre u.s. su Rai Tre, dove si mostra
come i responsabili Hera della sede di Bologna abbiano nascosto di fronte ai malori dei loro
dipendenti che la sede è costruita sopra una ex discarica di prodotti cancerogeni).
Così, i veri padroni della società non sono i piccoli o grandi Comuni azionisti, in perenne
conflitto di interesse, ma gli strapagati manager che la dirigono, sempre pronti a dare ai
soci quel che i soci chiedono...e per fare questo si indebitano sempre di più, tanto
paghiamo noi non loro. Il debito miliardario che affligge Hera non è purtroppo un caso
isolato. La presenza del pubblico in queste multiutility serve per avere la possibilità di
privatizzare gli utili e pubblicizzare le perdite.
Ecco perché ricondurre in mano pubblica, vale a dire ad una gestione realmente
democratica e partecipata acqua e servizi pubblici locali come trasporti e rifiuti. vuol dire
innanzitutto eliminare il profitto dalla tariffa - come sancito dal 2° quesito referendario
- e prefigurare per questi beni una forma gestionale come l’azienda speciale consortile.
Si tratta di due condizioni inscindibili e imprescindibili, chiaramente enucleate nella nostra
legge di iniziativa popolare (Lip) alla cui lettura caldamente invitiamo tutte e tutti.
Come Comitato e cittadini pensiamo che i 12 sindaci facenti parte del gestore
AcegasapsAmga, a cominciare da Padova che ne è il comune più grande, dovrebbero fare
una seria valutazione dell’ipotesi di scorporare il servizio idrico da Hera per ricondurlo
sotto la piena sovranità delle loro comunità. (La concessione ad AcegasapsAmga del
comune di Abano scade il prossimo anno).
Non quella “farsa concessa” da Zanonato per avere il voto di SEL al momento
dell’incorporazione di AcegasAps in Hera nel settembre 2012.
Il sindaco Bitonci e tutti gli altri 11 sindaci oppongano, in seno all’assemblea di Bacino
Bacchiglione, il fermo no della loro amministrazione al truffaldino Metodo tariffario idrico
(MTI) dell’Authority dell’energia il gas e il servizio idrico (AEEGSI) che, in barba ai
referendum, ha reinserito il profitto nella bolletta dell’acqua e che ora pesa ben il 21%
sull’importo pagato. Metodo tariffario che ha fatto lievitare la tariffa dal 2012 a oggi del
20,8% con un incremento annuo del 6,5%.
Perché truffe come quella dei rimborsi della mancata depurazione delle acque reflue,
portata alla luce dal nostro Comitato, non abbiano più a verificarsi; perché i cittadini
padovani non debbano continuare all’infinito ad autoridursi la bolletta dell’acqua della
componente di profitto (21% ) eliminata dai referendum (campagna di Obbedienza Civile)
in risposta all’insipiente e arrogante atteggiamento del gestore AcegasApsAmga e di tanta
parte della classe politica, nazionale e locale, incapace di rispettare la loro volontà.
Infine chiediamo pubblicamente ai Consiglieri del M5Stelle e di Padova 2020 cosa
pensano e cosa hanno intenzione di fare rispetto a questi problemi.
Perché....si scrive acqua, si legge democrazia.
COMITATO PROV. 2 SI ACQUA BENE COMUNE – PADOVA -- Novembre 2014
SOLO IL 15% DEGLI ITALIANI MANGIA L’ORTOFRUTTA
NECESSARIA
Il 44% degli italiani mangia solo 1-2 porzioni giornaliere di frutta e verdura, ben il 45% è
sedentario e il 20% è molto al di sotto o al di sopra del proprio peso forma. Sono i
principali risultati emersi dal test online presente sul sito Curarelasalute.com nell’ambito
della campagna realizzata con il patrocinio della Società Italiana di Medicina Generale e
delle Cure Primarie (SIMG).
Al sondaggio, presentato al 31° Congresso nazionale
della Società scientifica e realizzato tra maggio e
ottobre 2014, hanno risposto circa 2.000 persone.
Questi risultati mettono in luce errori e cattive
abitudini pericolose per la salute e confermano il
quadro emerso da una recente indagine GfK Eurisko
svolta proprio su questo tema, secondo la quale solo
il 15% degli italiani mangia le 5 porzioni di frutta e
verdura giornaliere raccomandate dall’OMS.
Ben 7 su 10 non fanno inoltre uso di integratori e oltre il 60% di questi indica, tra le
motivazioni del mancato consumo, di non ritenersi a rischio di deficit nutrizionali. La
maggior parte degli italiani, pur avendo una buona conoscenza delle regole della sana
alimentazione, fatica quindi a metterle in pratica.
Il medico di medicina generale è riconosciuto come una figura di riferimento con cui
dialogare su questi aspetti: il 43% dei rispondenti al questionario online dichiara infatti di
confrontarsi con il proprio medico su argomenti quali alimentazione e stili di vita e ben
l’80% si rivolge a lui per consigli sull’integrazione alimentare.
“A fronte di dati che ci confermano quanto le abitudini alimentari diffuse nella maggior
parte della popolazione, soprattutto nel quotidiano, siano scorrette e che, per contro,
un’alimentazione sana, completa ed equilibrata è una determinante fondamentale per il
benessere e la salute, sempre più il medico di base è chiamato a consolidare il proprio
ruolo di consigliere su questi aspetti – afferma il dott. Claudio Cricelli, presidente della
SIMG –.
I professionisti che erogano assistenza sanitaria nell’ambito delle cure primarie sono
chiamati, da un lato, a monitorare le abitudini dietetiche ed evidenziare possibili carenze
nutrizionali e, dall’altro, a fornire consigli e indicazioni su alimentazione varia ed
equilibrata, importanza dell’attività fisica ed eventuale necessità di integrazione
alimentare, suggerendo le soluzioni più indicate, più studiate ed evitando rimedi fai-da-te”.
(dal Bollettino Bio di Greenplanet – dicembre 2014)
CEMENTO E IPOCRISIA
Lunedì 1 Dicembre il Comune di Padova ha dato il via libera al
progetto preliminare per la costruzione di 34.000 metri cubi
nei terreni verdi a fianco del Parco Iris: 120 nuovi
appartamenti in uno dei cunei verdi previsti da Piccinato che
negli ultimi anni è stato maggiormente vittima di nuove
cementificazioni e speculazioni.
Approvando questo piano il Sindaco e la sua maggioranza
hanno fatto due gravi errori. Innanzitutto hanno sottovalutato
il rischio idraulico che c’è in quella zona: il Comune può e deve
rivedere la possibilità di costruire in un’area già colpita da
pesanti allagamenti. Le bombe d’acqua e le devastazioni
idrogeologiche in Italia sono sempre più fuori controllo, se ne
sono accorti tutti eccetto chi ci amministra.
Il secondo errore è stato quello di sottovalutare l’intelligenza dei cittadini padovani,
venendo palesemente meno alle promesse elettorali. Bitonci si era impegnato
chiaramente per lo stop a nuove case, la tutela dei cunei verdi e delle aree a
rischio allagamenti, anche con espliciti riferimenti a quest’area. L’approvazione di questo
piano è un grave voltafaccia ma la maggioranza comunale è arrivata ora addirittura a
lodare l’ampliamento del parco Iris che si realizzerà grazie a queste nuove costruzioni. Tra
questi Davide Favero – capogruppo Lega Nord, “oggi abbiamo più che raddoppiato il Parco
Iris” e Alain Luciani – capogruppo Bitonci Sindaco, “il parco verrà ingrandito”.
Eppure sono passati appena sei mesi da quando, commentando un piano del tutto simile
approvato a Brusegana dall’allora Sindaco reggente Ivo Rossi, Bitonci aveva denuciato
“Altro che nuovi parchi. Rossi nasconde dietro agli annunci altro cemento che la
città non può sopportare” e riferendosi al problema degli allagamenti concludeva “Lo
abbiamo visto in questi giorni: nuove cubature non fanno altro che peggiorare un
problema che invece noi vogliamo risolvere” (vedere per credere).
Peccato che ora il neo Sindaco faccia esattamente lo stesso, e i suoi consiglieri se ne
vantino pure. Un atteggiamento talmente sfacciato, che non stupisce il nervosismo con cui
la maggioranza comunale ha approvato il progetto Iris, con tanto di pesanti frasi rivolte al
pubblico presente in sala da parte del Sindaco, come riportato dai quotidiani locali.
Ma non è finita qui: questo non è ancora il piano attuativo ma solo un passaggio
preliminare per le nuove costruzioni. Continueremo a batterci per salvaguardare questa ed
altre aree verdi di Padova. Se vuoi darci il tuo sostegno iscriviti a Legambiente: per
recapiti e informazioni visita il sito www.legambientepadova.it o contattaci allo
049.8561212.
Sandro Ginestri, Vice-Presidente Legambiente Padova
(da Ecopolis Newsletter di Legambiente Padova – dicembre 2014)
AGRICOLTURA: ACCOLTO IN STABILITÀ L’ODG A FAVORE DEL
BIOLOGICO
Nella discussione della Legge di Stabilità è stato accolto un ordine del giorno della
deputata del Veneto (Commissione agricoltura) Silvia Benedetti (M5S) che impegna il
Governo a valutare la possibilità di introdurre adeguate agevolazioni fiscali per gli acquisti,
da parte delle imprese agricole, di prodotti fitosanitari ammessi in agricoltura biologica.
“Tutti ormai conosciamo gli effetti dannosi dei fitosanitari di sintesi sulla salute dell’uomo,
degli animali e dell’ambiente. Molte aziende italiane stanno convertendo la loro produzione
e, al fine di garantire la sicurezza dei consumatori e dei cittadini circa i metodi di
produzione biologica, sono costrette a rispettare un elevato livello di oneri amministrativi
che, unitamente a considerevoli cali nelle rese, almeno nei primi anni di produzione,
rendono l’adesione al regime biologico piuttosto complessa; d’altra parte sono ancora
troppo poche le misure a sostegno dei metodi di produzione biologica in agricoltura.
Adeguate agevolazioni, anche fiscali, a favore delle imprese agricole che utilizzano prodotti
fitosanitari ammessi nell’agricoltura biologica, rappresenterebbero un incentivo
significativo alla promozione e utilizzo di metodi di coltivazione a basso impatto
ambientale” - dichiara Benedetti.
“Con questo ordine del giorno chiediamo al governo di valutare la possibilità di introdurre
adeguate agevolazioni fiscali, anche sotto forma di credito di imposta per gli acquisti, da
parte delle imprese agricole, di prodotti fitosanitari ammessi in agricoltura biologica. Ora
tocca al Governo mantenere gli impegni presi, da parte mia non mancherà il fiato sul collo”
- conclude la deputata del M5S.
Ufficio Stampa della Deputata Silvia Benedetti
DOMENICA 7 DICEMBRE, INCONTRO "QUALE AGRICOLTURA PER LA
TUTELA E LA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO?”
L’amministrazione comunale di Polverara, in collaborazione con AIAB Veneto ha il piacere
ha organizzato il convegno dal titolo:
“Quale agricoltura per la tutela e la valorizzazione del territorio?”
che si terrà domenica 7 dicembre alle 9.00 presso la casa delle Associazioni di
Polverara. Durante il convegno sarà proposta la firma della Carta di Bagnoli, il
documento di intenti sulla promozione di forme sostenibili di agricoltura che è stato
sviluppato dal Comune di Bagnoli con AIAB e presentato durante l'incontro con
Vandana Shiva di ottobre.
****
ELEZIONI DEL CONSORZIO DI BONIFICA BRENTA BACCHIGLIONE
Il 14 dicembre prossimo si terranno le elezioni per rinnovare gli organi dirigenti del
Consorzio di Bonifica Brenta Bacchiglione.
Il ruolo dei Consorzi di Bonifica è molto importante: gli eventi atmosferici avversi
di inizio ottobre e le improvvise piogge violente che colpiscono il territorio in
qualsiasi periodo dell’anno non fanno che confermare la centralità dei Consorzi nel
garantire la sicurezza idraulica e la salvaguardia ambientale.
Purtroppo pochi cittadini sono a conoscenza di queste elezioni e ancora meno persone
partecipano alle votazioni. Sul sito del Consorzio è possibile trovare le informazioni
relative. Passate parola!
(da NewsRekk di Biorekk – dicembre 2014)
(**Franco Zecchinato – candidato per queste elezioni – ha redatto per noi
questa nota informativa sulle elezioni del Consorzio Bacchiglione**)
SEMI TRADIZIONALI PER COLTIVARE IL FUTURO
Una sezione del sito, un video e una piccola guida scaricabile
gratuitamente. Slow Food inaugura così il suo impegno per
difendere le sementi tradizionali…
Una canzone di Sergio Endrigo recitava: «per fare un albero ci vuole il seme, per fare il
seme ci vuole il frutto». Così si spiegava ai bambini che fra il tavolo di legno e il seme
piantato nella terra esisteva un legame…Ancora più stretto, e più fondamentale, quel
legame esiste fra l’ortaggio o il frutto o il piatto di riso che abbiamo in tavola e il seme da
cui è stato generato. È vero: un consumatore responsabile deve assumersi mille
responsabilità prima di mangiare qualcosa.
Badare a che il proprio cibo sia prodotto nel rispetto dell’ambiente, del benessere animale,
di chi lo ha coltivato o allevato; che non abbia inquinato; che non abbia consumato troppa
acqua… Cogliere il legame con le sementi da cui arrivano un pomodoro, un ciuffo di
insalata, una zuppa di legumi è un passaggio ulteriore, importante quanto gli altri.
Ecco perché Slow Food ha dedicato il suo nuovo “Mangiamoli giusti” ai semi, l’elemento
che sta alla base di tutto il nostro cibo. Affinché quando facciamo la spesa o cuciniamo ci
chiediamo anche chi ha prodotto, selezionato o acquistato le sementi che sono servite per
produrre la nostra verdura, ma anche il nostro pane e la nostra pasta, e addirittura la
nostra carne, visto che gli animali allevati si nutrono di vegetali. Ed ecco perché abbiamo
deciso di affrontare questa tematica con una sezione del sito Slow Europe per proporre
un quadro legislativo e di politiche pubbliche che salvaguardi la diversità e garantisca al
contempo la sanità e la tracciabilità delle sementi tradizionali.
Fra i destinatari della guida “Per fare un piatto ci vuole un seme” ci sono anche gli
orticoltori in erba, ossia coloro che si dedicano con passione all’orto di casa, ma spesso
non sanno da dove vengono e come sono state scelte e prodotte le piante che coltivano,
come orientarsi nell’acquisto delle sementi o, ancora, come si fa ad averne di nuove di
anno in anno senza comprarle. Attualmente, il 53% del mercato globale è detenuto dalle
prime tre aziende sementiere, e le prime 10 ne detengono il 76%. Sono pertanto molto
alte le probabilità che i semi che stiamo utilizzando siano varietà commerciali prodotte
dall’industria, quelle che sulla bustina sono contrassegnati dalle sigle F1 e F2.
Eppure, scegliere sementi diverse, locali e tradizionali è forse difficile, ma non impossibile:
si possono recuperare da un contadino, un vivaista, un istituto agrario o un centro di
ricerca oppure navigando nella rete, e cercando siti specializzati. Tra i tanti vantaggi, i
semi locali e tradizionali ti consentiranno di autoprodurti la semente per l’anno successivo,
se vorrai provare a fare tutto da te, a partire dai frutti che le piante genereranno.
Anche se non saranno dei super-semi perfetti e, facilmente, su un centinaio ne germinerà
poco più della metà, su un piccolo orto val la pena praticare questa strada, privilegiando la
qualità – in termini di gusto – e la varietà di quel che pianti rispetto alle garanzie di
uniformità e di resa ottimale delle sementi commerciali.
•
•
La nuova guida sui semi è scaricabile gratuitamente dal nostro sito:
Il video sui semi, in italiano sottotitolato in inglese, puoi vederlo sul
nostro canale Youtube.
(da Slow Food Europe – dicembre 2014)
Finiamo….in gloria…con:
• Chiamata a Raccolto 2014 – come è andata

da Coltivare Condividendo – dicembre 2014
• Più dipendenti pubblici per rilanciare l’economia
e
• Solidarietà, la più fragile e necessaria delle utopie

•
da MicroMega di Repubblica – dicembre 2014
Arbre à Vent, l'albero eolico che produce elettricita' grazie al
vento
e
• 10 cibi alcalini da mangiare ogni giorno

da Greenme.it – dicembre 2014
• C&C, la fabbrica dei veleni

da Ecopolis Newsletter – dicembre 2014
e a tavola con:
• Canederli: il gusto buono di Alto Adige e Trentino

da Slow Food – dicembre 2014