NEWSLETTER 09-2015

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NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO
OLIO DI PALMA: ECCO IL SOSTITUTO
ECOLOGICO CHE POTREBBE SALVARE LE
FORESTE
Sostituire
l'olio
di
palma
con
un
ingrediente quasi identico ottenuto in
laboratorio, ma presente anche in natura,
senza distruggere le foreste. Una sfida
possibile?
La novità arriva dall'Inghilterra, per la
precisione dai ricercatori della University of
Bath. L'olio di palma è ovunque, lo troviamo
almeno nella metà dei prodotti in vendita nei
supermercati, dagli alimenti confezionati ai prodotti per le pulizie. Un olio a basso costo
che fa comodo all'industria alimentare e chimica, ma che sta distruggendo l'ambiente per
via della sua produzione insostenibile.
La produzione di olio di palma è la causa principale della distruzione della foresta pluviale
in Malesia e Indonesia, dove viene prodotto l'87% dell'olio di palma del mondo. L'habitat
naturale delle popolazioni native, degli oranghi e di altri animali a rischio di estinzione
viene distrutto per fare posto alle piantagioni.
Perché, allora, le aziende si ostinano a ricorrere all'olio di palma? Perché non solo è a
basso costo ma è anche versatile, grazie ad un punto di fusione molto alto e a livelli elevati
di saturazione. Alcuni oli vegetali si avvicinano ad una delle due caratteristiche, ma non ad
entrambe, come spiega The Guardian.
Ecco però all'orizzonte un'alternativa potenzialmente valida che potrebbe salvare le
meravigliose regioni tropicali del Pianeta. Gli scienziati della University of Bath sono riusciti
a coltivare in laboratorio un lievito oleoso chiamato Metschnikowia pulcherrima. Questo
lievito ha un profilo lipidico quasi identico all'olio di palma. Tale tipo di lievito si trova quasi
ovunque, dal Vietnam al Sud Africa, fino all'Europa.
Non richiede condizioni sterili per la coltivazione e si ciba di zuccheri. I ricercatori di Bath
lo hanno coltivato in vasche aperte, all'esterno. Se l'alternativa all'olio di palma sarà
valida, le foreste e i terreni agricoli saranno salvi. Saranno necessari ulteriori studi per
mettere a punto un sostituto dell'olio di palma che sia allo stesso tempo salutare e
sostenibile, ma la speranza è che sia pronto per l'uso industriale entro i prossimi 3 o 4
anni. Potremo finalmente dimenticare la deforestazione causata dall'olio di palma?
Leggi anche:
• Olio di palma nei prodotti Mulino Bianco: l'appello di un consumatore e la
risposta dell'azienda
• L'olio di palma fa male alla salute, il CSS del Belgio ne sconsiglia il
consumo
• Olio di palma: perché è dannoso per la salute e per l'ambiente
(da Greenme.it - febbraio 2015)
CIBO SPAZZATURA, IL VETO AGLI
SPOT
È venuto il momento di dire basta agli
spot del cibo spazzatura, dalle merendine
alle bevande zuccherate, così efficaci che
un bambino di pochi anni di vita è già in
grado di riconoscere il 'brand' preferito.
La richiesta viene dall'ufficio europeo
dell'OMS.
L'ufficio europeo dell'OMS ha pubblicato, come primo passo della strategia per cercare
di contrastare l'epidemia di obesità infantile, le nuove tabelle per capire quali cibi è
possibile promuovere sulla base delle sostanze che contengono, come sale, grassi e il
sempre più famigerato zucchero. A spingere verso una regolamentazione non è solo il fatto
che il 27% dei tredicenni europei è sovrappeso, così come il 33% degli undicenni.
Diverse ricerche, spiegano gli esperti dell'OMS, hanno messo in luce un legame tra
esposizione agli spot e obesità, dimostrando ad esempio che i bambini di 4 anni in grado di
riconoscere già diversi marchi di alimenti sono più a rischio di non avere una dieta sana e
di essere sovrappeso.
Fra i cibi di cui andrebbe evitata la pubblicità, la tabella mette tutti i prodotti a base di
cioccolata, torte e biscotti dolci, gelati, bibite energetiche e gassate e anche i succhi di
frutta, che sono fra le principali fonti di zuccheri nella dieta dei bambini e che sono
ammessi in alcuni casi soltanto se contengono il 100% di frutta.
Un giro di vite è proposto ai singoli stati, che sono poi liberi di usare le indicazioni nelle
proprie politiche, anche per gli spot degli snack salati, a cominciare con quelli a base di
patata, ammessi solo se contengono al massimo lo 0,1% di sale.
«Data l'epidemia di obesità in Europa - afferma Gauden Galea, direttore della divisione che
ha preparato le linee guida - non c'è giustificazione per continuare a promuovere prodotti
che contribuiscono a diete non salutari». L'indicazione dell'ufficio europeo dell'agenzia
ricalca il solco già tracciato dall'Oms nei suoi documenti più recenti, che dovrebbe sfociare
a breve nelle nuove linee guida attualmente in lavorazione ma di cui sono trapelati già dei
dettagli. Ci sarebbe ad esempio la volontà di indicare come limite massimo degli zuccheri
ammissibili nella dieta il 5%, metà della quantità indicata nelle linee guida precedenti,
fortemente avversata proprio dalla delegazione italiana.
Il consiglio è dunque di rivolgersi ad alimenti biologici e il più possibile di
origine vegetale.
(da Terra Nuova - febbraio 2015)
''VERONESI, VOGLIAMO ANIMALI ALIMENTATI SENZA
OGM !''
Manifestazione davanti alla sede del gruppo Veronesi
Sabato 28 febbraio 2015 dalle 10.00 alle 14.00
in Via Valpantena 18/G a Verona
Partenza da Padova ore 8.30 (puntuali).
Contatta AltrAgricoltura Nord Est. Tel. 049.7380587
Il Coordinamento Zero OGM dà
nuovamente appuntamento ai cittadini
per chiedere al gruppo VERONESI di
convertire tutte le sue filiere all'OGM
free e garantire tracciabilità sui
prodotti finiti.
Si tratta di un ultimo tentativo di dialogo prima di lanciare una campagna di boicottaggio
dei prodotti a marchio Veronesi che presentano un alto rischio OGM. In Italia, mangiamo
OGM senza nemmeno saperlo e ne subiamo tutti gli effetti negativi! Gli OGM arrivano sugli
scaffali dei supermercati direttamente all'interno di prodotti di largo consumo o
indirettamente, perché gli animali da cui derivano carne, latte, formaggio, uova e altri
prodotti sono alimentati con mangimi che nell'80% dei casi contengono OGM.
Tra i principali attori di questo mercato abbiamo il Gruppo Veronesi, leader a livello
nazionale nella produzione di mangimi, primo produttore avicolo in Europa e con i marchi
Negroni e Montorsi tra le prime aziende nell’industria salumiera.
Nel 2009, il gruppo Veronesi ha dichiarato di importare 40 mila tonnellate di soia OGM al
mese e solo 9 mila tonnellate di soia free OGM. In più, abbiamo acquisito una confezione
di mangimi per vacche “lattifera 18 pallet” a marchio Veronesi dove nell’etichetta c’è
scritto che contiene materiale OGM. Il gruppo Veronesi si trova quindi anche tra i primi
commercianti di mangimi OGM in Italia!
Da ottobre 2014, il coordinamento Zero OGM insieme ad associazioni, produttoriconsumatori e semplici cittadini stanno portando avanti una campagna per spingere il
gruppo Veronesi a riconsiderare la sua politica in materia di OGM. Il coordinamento si è già
dato due volte appuntamento davanti ai mangimifici della Veronesi: il 4 ottobre 2014 a
San Pietro in Gù (PD) e il 6 dicembre 2014 a Ospedaletto Euganeo (PD).
Entrambe le volte, i manifestanti hanno consegnato delle lettere contenenti le richieste
sopra esposte. Purtroppo, però, in queste due occasioni il gruppo Veronesi non li
ha ricevuti di persona, e l'unica risposta scritta che ha inviato l'8 ottobre 2014 è stata
evasiva, prefigurando l'impossibilità di qualsiasi confronto.
Il coordinamento Zero OGM chiede nuovamente al gruppo di prendere tutte le misure
necessarie al fine di :
• Garantire tracciabilità e trasparenza sul prodotto finito, quello che troviamo nello
scaffale del supermercato. Vogliamo un'etichetta chiara che indichi la presenza di
OGM nell'alimentazione degli animali o in qualsiasi altra componente di prodotto;
• Mettere in calendario da subito la conversione delle filiere compromesse con gli
OGM, con l'obiettivo di costruire e mantenere una produzione sementiera OGM free
e una mangimistica totalmente OGM free, rispettosa dell'ambiente e della salute
umana e animale.
Il silenzio del gruppo e la non risposta a queste domande, ci spinge a pensare che mais e
soia OGM vengano utilizzati come base dell’alimentazione di tutti gli animali dai quali
derivano i prodotti finiti del gruppo, prodotti che consideriamo «a rischio OGM» :
NEGRONI, AIA, WUDI, GOLOSINO, AEQUILIBRIUM, ecc.
Davanti a questa chiusura, il Coordinamento Zero OGM insieme ad altre realtà presenti sul
territorio si danno un nuovo appuntamento il sabato 28 febbraio 2015 questa volta davanti
alla sede della Veronesi a Verona per provare un'ultima volta a creare un dialogo con il
gruppo Veronesi prima di lanciare una campagna di boicottaggio dei prodotti dei marchi
Veronesi (AIA, Negroni, ecc.) che presentano un rischio elevato di essere derivati da
animali alimentati con OGM.
Coordinamento Zero Ogm per un cibo sano per
tutti (anche per gli animali)
Mail: coordinamentozeroogm@libero.it Web:
http://zeroogm.wordpress.com/
Cell: 339 1610100
***SCARICA QUI IL VOLANTINO SULLA MANIFESTAZIONE***
(segnalato da Altragricoltura Nord Est - febbraio 2015)
ECCO COME I SUPERMERCATI CI FANNO SPENDERE DI PIÙ
Saprete tutti che le strutture dei supermercati sono studiate nei minimi dettagli.
Oggi vogliamo darvi notizia sugli ultimi ritrovati di quella scienza economica nota
come marketing applicato alla disposizione delle merci nei supermercati.
Già negli anni Settanta, i primi studi dimostravano che
mensole più ampie e il giusto posizionamento dei
prodotti sono fattori chiave per determinare il giusto
incremento delle vendite.
Ora ne scopriamo di più: una ricerca più recente ha
analizzato la strategia promozionale per la vendita
di bevande gassate. Pare basti posizionarle a fine
corsia per aumentarne le vendite del 51,7%. Una mossa
che ottiene lo stesso risultato di abbassarne il prezzo del
22%.
Il posizionamento strategico è una modalità di vendita
ormai collaudata, che però non ha ricadute solo sul
consumatore finale, ma anche su chi produce. Infatti,
per conquistarsi un posto in prima fila bisogna accettare
condizioni che non tutti possono permettersi.
E quindi anche qui vale la regola del “c’è chi può”, mentre i produttori e gli artigiani più
deboli si devono accontentare di posizioni meno vantaggiose. A discapito quindi di chi è più
debole e forse anche del consumatore finale che ha più difficoltà a individuare produzioni
che non si avvalgono di economie di scala e logiche industriali.
E quindi la domanda è: queste manipolazioni, oltre a guidare il consumatore verso percorsi
ben studiati, non sono forse anche uno strumento di concorrenza sleale nei confronti dei
produttori che non possono permettersi di pagare lo spazio migliore? Le conseguenze?
Grazie anche al posizionamento negli scaffali, tra il 1980 e il 2000 l’industria alimentare è
diventata quella che ben conosciamo oggi: «E questo è molto probabilmente uno dei
fattori che hanno contribuito al raddoppio del tasso di obesità negli Stati Uniti nello stesso
periodo» ci dice Deborah Cohen studiosa di scienze naturali e autrice di Big Fat Crisis:
The Hidden Influences Behind the Obesity Epidemic — and How We Can End It (Le
influenze nascoste dietro l’epidemia dell’obesità).
Potrà sembrarvi incredibile, ma il trucchetto di posizionare junk food/cibo spazzatura,
bibite gasate e cibarie varie alla fine delle corsie in scaffali espositivi (avete presente? Si
stanno moltiplicando anche in Italia, con le offerte imprendibili del giorno: vedi foto ad
inizio articolo) funziona eccome: si stima che il 30% delle vendite nei super mercati
statunitensi sono da attribuirsi a questi espositori vetrina che campeggiano alla fine delle
varie corsie. Sarà capitato anche a voi di aggiungere quella cassa di bibite in offerta che
prima di metter piede nel supermarket non avevate assolutamente considerato di
comprare.
Insomma, ci può cascare anche il compratore più attento. E sapete perché? Alla fine della
spesa si registra un certo “affaticamento decisionale”: dopo aver passato in rassegna
lunghe file di scaffali, selezionando cosa comprare e cosa no, le nostre capacità cognitive
diminuiscono e le scelte finali vengono fatte di pancia, senza considerare le conseguenze a
lungo termine. Il problema è che se si esagera riempendo il carrello con cibo raffinato, ad
alto contenuto di zucchero e grassi, i rischi di andare incontro a guai e problemi di salute
crescono. E non tutti sono in grado di difendersi da questi attacchi.
Bisognerebbe che qualcuno ci mettesse lo zampino con regole diverse: se è noto che
questa disposizione è collegata all’aumento di obesità e diabete, perché non intervenire?
Negli Stati Uniti l’obesità è un’epidemia che coinvolge due terzi degli adulti e un terzo dei
bambini. Due terzi. Spaventoso.
Soluzioni? Un buon inizio sarebbe quello di allontanare bibite gasate e mega zuccherate,
patatine, dolciumi non meglio identificati dalle casse. Per poi magari decidere di mettere in
bella mostra i cibi più salutari, e sistemare quelli con basso valore nutritivo e ricchi di
componenti poco salubri in posizioni meno favorevoli. In questo modo non se ne
impedirebbe il consumo, ma almeno non sarebbe dettato da un acquisto impulsivo.
(Fonte Slow Food Usa).
(da Slow Food - febbraio 2015)
TUTTO QUELLO CHE DEVI SAPERE SULLO SBLOCCA ITALIA
“Una manovra contro l’ambiente, una
manovra che favorisce gli interessi privati
speculativi sul territorio e sui mari italiani,
proprio
quando
l’Italia,
già
fragile,
affronta un’emergenza permanente dovuta
al dissesto idrogeologico e ai cambiamenti
climatici”.
Questo è stato il commento a caldo del WWF Italia sull’approvazione definitiva da parte del
Senato del decreto Sblocca Italia (dl 133/2014) il 7 novembre scorso.
“La fiducia imposta dal Governo sia alla Camera che al Senato su disposizioni che
perpetuano un modello di sviluppo insostenibile per le nostre risorse naturali e fossili, per
le misure contrastanti le strategie dei Paesi più avanzati al mondo per una progressiva
decarbonizzazione dell’economia, accresce la sfiducia nei confronti dell’esecutivo dei
cittadini che tengono alla tutela e valorizzazione del capitale naturale del Paese.
Ma questa volta siamo in buona compagnia e chiederemo alle Regioni e alla categorie
economiche (ad esempio del turismo e della pesca) che hanno a cuore il Bel Paese, di
intraprendere tutte le iniziative, anche legali, contro queste norme contro natura” questa
la valutazione conclusiva sul provvedimento della presidente del WWF Donatella Bianchi.
Su 45 articoli, ben 11 disposizioni, un quarto delle norme contenute nel decreto, sono
intese a indebolire le tutele e le valutazioni ambientali e a dare mano libera agli interessi
speculativi sui beni comuni. Tutto ciò con il rischio che, ai danni ambientali, si aggiungano,
come segnalato dal presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone, i rischi
relativi ad un aumento della illegalità.
Le norme pericolose per l’ambiente sono molte
La prima, è sicuramente quella relativa alla proroga delle concessioni senza gara d’appalto
e all’allargamento dei poteri delle concessionarie autostradali in violazione delle
normative comunitarie che ha, come sua ulteriore conseguenza, l’espropriazione del
territorio per realizzare tratte interconnesse, contigue o complementari.
Controversa appare anche la norma su
misura per favorire, con agevolazioni
fiscali,
il
project
financing
dell’ex
europarlamentare Vito Bonsignore (NCD)
per la realizzazione dell’autostrada OrteMestre che, se autorizzata, minaccerà
l’integrità delle aree protette limitrofe,
quali il Delta del Po e le paludi di
Comacchio.
Inoltre, poco allettante per l’ambiente, è
anche il combinato disposto delle norme a
favore
degli
speculatori
edilizi
e
fondiari. Norme che andrebbero a regolare le deroghe alla pianificazione urbanistica, alla
elusione del nulla osta paesaggistico delle soprintendenze e del via libera agli appetiti dei
privati sul patrimonio pubblico sulla base di semplici accordi di programma.
Infine, non sono meno preoccupanti le nuove norme previste che definiscono forzosamente
come strategiche intere categorie di interventi (incenerimento dei rifiuti, gasdotti,
rigassificatori, stoccaggio di gas, ricerca, prospezione, coltivazione e stoccaggio del gas
naturale nel sottosuolo) in deroga alle procedure di valutazione ambientale ed economicofinanziarie cancellando le ineludibili intese con le Regioni (stabilite dal Titolo V della
Costituzione). Nel dettaglio, i risultati di queste disposizioni hanno dell’incredibile. Eccone
alcuni:
L’articolo 5 del decreto ha consentito alle concessionarie autostradali di presentare entro il
31 dicembre del 2014 atti aggiuntivi che aggiornino e rivedano le concessioni in essere e
autorizzino l’unificazione di tratte interconnesse, contigue, ovvero tra loro complementari,
ottenendo così un doppio risultato: da un lato quello di eludere la direttiva comunitaria
sugli appalti e dall’altro quello di imporre il proprio dominio sulle trasformazioni territoriali
indotte dalle infrastrutture.
È stato calcolato da alcuni degli economisti italiani più sensibili (come Tito Boeri e Giorgio
Ragazzi) che questo dono porterà vantaggi ai concessionari per ben 16 miliardi di euro
ottenuti con i maggiori flussi di cassa derivanti dalle proroghe. Il maggiore beneficiario
(per 10 miliardi di euro) sarebbe il Gruppo Gavio che ha varie concessioni sparse sul
territorio. Beniamino Gavio, presidente di SIAS, ha subito commentato che così il suo
gruppo avrà modo di spalmare gli investimenti su più anni e gli aumenti su più chilometri
(imponendo nuove gabelle in Italia e prendendo in giro l’Europa, nda).
Una disposizione che garantisce un secondo risultato con il regalo a Bonsignore sulla OrteMestre prevista all’articolo 1. A completare il quadro sono i nuovi finanziamenti sulle
grandi opere previsti all’art. 3 che individua nuove risorse per oltre 3,8 miliardi di euro, il
47% dei quali destinati a nuove strade e autostrade e il 25% alle ferrovie (privilegiando
l’Alta Velocità).
Questo in una situazione in cui mentre il
debito pubblico italiano è secondo solo a
quello della Grecia, i costi del programma
delle
infrastrutture
strategiche
è
completamente fuori controllo (in 14 anni i
costi sono lievitati da 125,8 miliardi di euro
per 15 opere del 2001 ai 275 miliardi di
euro per 404 opere del 2014) e la stessa
associazione nazionale dei costruttori ANCE
chiede
di
puntare,
in
funzione
anticongiunturale, sulle piccole e medie
opere,
sul
contrasto
al
dissesto
idrogeologico e sulla manutenzione del territorio….continua QUI la lettura dell’articolo.
(da BioEcoGeo - febbraio 2015)
L'AGRICOLTURA BIODINAMICA
CONTRASTA ANCHE FRANE E
ALLUVIONI
L'agricoltura biodinamica è benefica per il Pianeta.
Non solo permette di produrre cibo sano e genuino,
ma contrasta frane e alluvioni, aiutando ad arginare
le conseguenze dei cambiamenti climatici.
Un'agricoltura che, a differenza di quella convenzionale, non toglie risorse e fertilità
alla terra, ma gliele restituisce. Non usa pesticidi ed è fondata su prezzi giusti per
agricoltori e lavoratori. Cibo sano e meno frane e alluvioni, ecco dunque i maggiori
vantaggi dell'agricoltura biodinamica di cui si è discusso negli ultimi giorni "Oltre
Expo.Alleanze per nutrire il Pianeta", ospitato dall'Università Bocconi e organizzato
dall'Associazione per l'Agricoltura Biodinamica.
I terreni coltivati con l'agricoltura biodinamica, rispetto a quelli gestiti con metodi
tradizionali, sono più resistenti all'erosione e al rischio desertificazione fino al
60%. Non solo: reagiscono meglio ai mutamenti climatici perché più forti ed efficienti,
tutelano la biodiversità, preservano e consumano meno risorse idriche. I terreni, ospitando
una maggiore varietà di piante e animali e di microorganismi che rendono
l'ecosistema più resistente, affrontano meglio le situazioni di disturbo e di stress come le
variazioni di climatiche.
Una qualità non da poco, per un Paese sempre più segnato dagli effetti devastanti del
climate change. Inoltre la biodinamica non è solo un modo per coltivare la terra in armonia
con l'ambiente, ma sempre più rappresenta una prospettiva concreta per far ripartire
l'economia del Paese, per creare nuovi posti di lavoro e per difendere il nostro territorio.
Nel mondo ci sono più di 2 milioni di ettari coltivati in modo biodinamico e certificati, ma
sono molto più numerose le aree agricole dove si produce secondo le pratiche
agronomiche biodinamiche. L'Italia è al terzo posto (dopo Germania e Francia) tra i Paesi
europei per superficie destinata all'agricoltura biodinamica e conta oltre 4500 aziende che
ne applicano le tecniche, tra cui alcune grandi realtà: ad esempio, è coltivata con i metodi
biodinamici una delle più grandi aziende biologiche europee, così come la più grande
azienda agricola in assoluto del Molise è oggi biodinamica.
Uno studio dell'Istituto Elvetico FIBL condotto per ben 21 anni su un confronto tra
agricoltura chimica industriale, sistema a lotta integrata, biologico e biodinamico, ha
fornito un quadro da cui emerge che le caratteristiche della biodinamica vanno ben oltre le
qualità dei prodotti coltivati. I dati evidenziano che il metodo biodinamico è quello che
raggiunge le migliori performance di sostenibilità, fertilità e biodiversità. A volte
questi dati sono anche doppi rispetto al bio, soprattutto per quel che riguarda la tenuta dei
terreni all'erosione.
L'Italia è al primo posto per quanto riguarda la coltivazione biologica in Europa, al terzo
per la biodinamica. Ma la domanda dei consumatori per i prodotti bio è così in crescita
che la nostra produzione nazionale non riesce a sostenerla. Aumenterà dunque il numero
delle aziende italiane che si dedicano all'agricoltura biologica e biodinamica, con il
vantaggio di proteggere i suoli da frane e conseguenze del climate change?
Leggi anche: Luna Rossa: come influenza l'agricoltura biodinamica
(da Greenme.it - febbraio 2015)
L'EXPO E IL PARCO DELLA BIODIVERSITÀ
Circa due settimane fa si sono incontrati a Milano quarantadue tavoli di lavoro, “l'Expo
delle idee”, fortemente voluti dal Governo per abbozzare quella che diventerà “la carta di
Milano”. E' balzato sotto gli occhi di tutti che, nessun tavolo fosse stato dedicato
all'agricoltura biologica, né a sua “cugina”, l'agricoltura biodinamica. Un vero e proprio
“boccone amaro” per un settore, che cresce di anno in anno e che vale il 10% del pil
contadino italiano.
Così, a meno di un mese dal grande evento Expo, a gran richiesta si è creato un “Parco
della biodiversità” (Biodiversity Park) un cluster (area tematica) presente all'interno della
fiera. Questo parco nasce dalla collaborazione tra BolognaFiere e Expo 2015 S.p.A. e con
la partecipazione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, del Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Un grande parco che si estende su una superficie di 8.500 metri quadri, un'area dedicata
alla biodiversità, con al suo interno un teatro e due padiglioni, quello del biologico e quello
dedicato alla Mostra delle Biodiversità. Con un scopo ben preciso: valorizzare le eccellenze
italiane ambientali, agricole e agroalimentari attraverso un percorso che racconta
l’evoluzione e la salvaguardia della biodiversità agraria.
Un parco però che stride fortemente con il sentire comune degli addetti ai lavori del
settore biologico italiano, che hanno più volte interpellato il Ministro dell'Agricoltura
Martina, per avere un incontro e poter discutere sull’insediamento di una commissione
specifica sul biologico e biodinamico, la destinazione puntuale dei fondi e il sostegno per la
formazione e la ricerca nel settore.
Secondo i regolamenti della commissione europea, il 30% dei fondi di sostegno
all’agricoltura devono essere destinati a biologico e biodinamico. Ma, secondo le
associazioni biologiche in Italia la norma rischia di essere aggirata e le risorse annacquate
in quelle trasferite al convenzionale. Expo a parte, la questione “biologico italiano”
rimane ancora viva e più che mai importante.
(da Bio@gricultura Notizie di AIAB - febbraio 2015)
FARINA: NON È UNA MERCE QUALUNQUE
Di grano duro o tenero, di segale, avena,
orzo, mais, miglio…
In Kenya, a Lare, ho mangiato dell’ottimo
chapati (sì il tipico pane indiano, che laggiù è
stato adottato come cibo nazionale dopo le
ingenti migrazioni indiane per la costruzione
della ferrovia tra Nairobi e Kampala, in
Uganda), preparato con farina di zucca locale.
Il seitan, l’ingrediente che può sostituire le carni
nei piatti vegetariani, è a base di farina.
La farina muove il mondo gastronomico: pane,
dolci, salse e molto altro.
È la base indispensabile di ogni cucina del mondo, dall’inizio della storia agricola. Scriveva
Archestrato da Gela nel IV secolo: «Poi voglio lodare il figlio del fior di farina di Tègea,
cotto sotto la cenere. Il pane che va al mercato ottimo lo offre ai mortali l’illustre Atene,
mentre a Eritrea, ricca di grappoli, esso, venuto dal forno bianco, fiorente nelle sue
morbide stagioni, ti diletterà nel corso del pasto…».
Muove il mondo e nel nome della farina, del pane nelle sue tante forme, scoppiano ancora
oggi rivolte e moti. Scoppiano in piazza, con la rabbia, o si giocano molto più sottilmente –
e con conseguenze ben più vaste – nelle stanze dove si decide il futuro del cibo: prezzi
stabiliti dalle borse come se fosse una commodity, una merce, qualsiasi; lotte per il
controllo dei semi attraverso politiche commerciali, accordi internazionali o con la ricerca in
laboratorio.
La farina rappresenta il nutrimento originario, e attraverso l’evoluzione dei modi per
coltivare i cereali o per trasformarli, parla e ha sempre parlato dello stato del nostro
sistema del cibo. Cominciano a essere più d’una le ricerche scientifiche che cercano nessi
tra il suo impoverimento ed eccessiva raffinazione con le tante malattie tipiche del nostro
tempo, come la celiachia; diventa sempre più invadente nelle nostre diete la presenza dei
derivati e sottoprodotti del mais perché il mondo agricolo e produttivo si è sempre più
orientato verso la sua coltivazione al posto di quella del grano.
Anche le tecniche per ottenere la farina cambiano, ma a detta degli esperti di qualità
alimentare è difficile sostituire le virtù di una farina macinata a pietra, ottenuta attraverso
pietre speciali – con precisi requisiti di durezza, porosità e omogeneità strutturale – mosse
da mulini che si stanno diffondendo nuovamente e non troppo timidamente: il metodo più
antico resta il migliore.
Il prodotto tra i più antichi, la farina, resta il più importante e sarà molto dura scalzarlo dal
ruolo che ricopre. Sempre in Africa, ma in Etiopia, in un mercato di Addis Abeba ho visto
una donna che raccoglieva i semi di teff, un antico cereale degli altopiani del suo Paese,
che cadeva dai camion che lo trasportavano. Con una spazzola li prendeva da terra
chinata, con il figlio avvolto da un telo alle sue spalle.
Ogni volta che ho l’occasione di mangiare l’ingera, la base della cucina etiope ottenuta con
la farina di questo cereale, dal sapore un po’ acidulo, penso all’immagine di quella donna e
a cosa si può fare grazie alla farina, a cosa rappresenta, a come contenga in sé così tanto
della nostra vita e della nostra storia.
(scritto da Carlo Petrini su Slow Food - febbraio 2015)
IDROVIA: MODIFICARE SUBITO LE RICHIESTE PROGETTUALI
C’è una urgenza: quella di modificare subito le specifiche progettuali inserite nel
bando di concorso dell’idrovia. Solo così il progetto partirà con il piede giusto.
Serve cioè cambiare i termini del contratto a monte del lavoro progettuale; perché ora non
sono imposti molti di quei paretri tecnici fondamentali per ottenere un opera veramente
utile (ad es. dal punto di vista trasportistico), sui quali l’assessore Conte si è detto
pubblicamente d’accordo. Altrimenti alle associazioni rimarrà solamente lo spazio per le
critiche a posteriori, con spreco di tempo ed efficacia.
Chiariamo: è un bene che lo scorso 12 febbraio
l’assessore regionale all’Ambiente, Maurizio
Conte, abbia scritto alle associazioni che hanno
chiesto di partecipare alla conferenza di servizi
preliminare per il completamento dell’idrovia
Padova – Venezia, invitandole a presentare in
forma scritta i loro contributi, che saranno
sottoposti all’attenzione del Raggruppamento
Temporaneo di Professionisti incaricato del
progetto.
Si tratta sicuramente di una buona notizia, che
premia l’azione di quanti da anni stanno
esercitando una forte pressione nei confronti della Regione affinché si decida a completare
l’opera. La lettera dell’assessore Conte ha, però, aperto alcuni dubbi a cui è necessario
dare urgente risposta.
L’anno scorso, Legambiente Veneto con sei circoli locali ed una decina di comitati ed
associazioni, sorti per la difesa del territorio padovano e veneziano dal rischio idraulico,
hanno sottoscritto un documento comune, che invita ad adeguare il progetto dell’idrovia
affinché svolga al meglio le funzioni trasportistica, di tutela idraulico-ambientale e di
sviluppo turistico-ricreativo del territorio che andrà ad attraversare.
Il documento evidenzia, inoltre, alcune carenze del bando regionale per l’affidamento della
progettazione preliminare, che rischiano di portare ad un risultato insufficiente se non
addirittura negativo. La richiesta della conferenza di servizi istruttoria, nelle intenzioni dei
sottoscrittori del documento, aveva quindi la finalità di individuare, prima della
progettazione preliminare, le esatte caratteristiche che il canale idroviario deve avere per
raggiungere tutti gli obiettivi prefissati.
Ad esempio, si chiedeva che la sezione del canale fosse adeguata ai battelli previsti per la
rete idroviaria veneto-lombarda,e che la portata dell’idrovia fosse non di 350 ma di
400/450 mc/s, per garantire un sicuro deflusso delle acque nelle occasioni di piena del
sistema dei fiumi Brenta e Bacchiglione. E ancora, che scomparisse dalla pianificazione del
territorio la contestatissima camionabile affiancata all’idrovia.
L’assessore Conte in più di un’occasione si è dichiarato favorevole a molte delle richieste
fatte nel documento, ma per dare concretezza a questa posizione è necessario modificare
le specifiche progettuali inserite nel bando di concorso. Solo così il progetto partirà con il
piede giusto. Chiedere alle associazioni, come è stato fatto, la presentazione di contributi
critici, da sottoporre ai progettisti, non è la stessa cosa di modificare fin da subito i termini
del contratto. Nel caso i progettisti non recepissero le nostre indicazioni, dovremmo
intervenire all’interno dei tavoli di discussione promessi dall’assessore durante l’iter
progettuale. Ma questo vuol dire allungare i tempi.
E di tempo ne è stato perso fin troppo se si pensa che è dal 2006 che il prof. Luigi
D’Alpaos, docente presso l’istituto di Idraulica dell’Università di Padova, sollecita il
completamento dell’idrovia per ridurre il rischio idraulico del territorio e che in questo
periodo il territorio è stato allagato più volte con ingenti danni. Ma c’è un ulteriore motivo
di urgenza.
Nei prossimi giorni verranno convocati, presso il Ministero delle Infrastrutture, gli Stati
Generali degli operatori del settore per discutere del nuovo Piano Strategico dei Porti. È
prevista una drastica riduzione delle autorità portuali ed in questo quadro Venezia e
Trieste si stanno già facendo la guerra. Un’immediata decisione sull’idrovia Padova –
Venezia, intesa come parte integrante del sistema idroviario veneto-lombardo posto a
servizio del futuro porto offshore al largo di Malamocco, può dare un contributo decisivo a
favore di Venezia, fermo restando che la soluzione vincente è quella del porto diffuso
dell’alto e medio Adriatico che includa anche gli scali sloveni e croati.
Serve quindi una risposta urgente che solo la conferenza di servizi preliminare può dare.
Peraltro l’art. 14 bis della legge 241/90 sui procedimenti amministrativi consente
l’indizione della conferenza di servizi preliminare anche in assenza del progetto, qualora ci
sia uno studio di fattibilità dell’opera. Lo studio di fattibilità dell’idrovia esiste già dal 2012,
presentato su richiesta della Regione dallo studio dell’ing. Rinaldo. Si convochi quindi
subito la conferenza di servizi, aperta a tutti i portatori di interessi pubblici collettivi.
(da Ecopolis Newsletter di Legambiente Padova - febbraio 2015)
L'AGRICOLTURA BIODINAMICA È UNA PROSPETTIVA CONCRETA
PER IL FUTURO ITALIANO (E NON SOLO)
L'agricoltura biodinamica è una prospettiva concreta per risollevare l'economia del
nostro paese ma, anche, per difendere il nostro ambiente e la nostra terra. In
Italia, il mondo che “gira intorno” all'agricoltura biodinamica conta circa 4.500
aziende (grandi e piccole), un mercato che da lavoro a svariate centinaia di
persone e che, apre sempre più a nuove possibilità di lavoro e di crescita.
Insita nell'agricoltura biodinamica c'è la sua continua evoluzione soprattutto nella
metodologia di coltivazione: una tecnica in grado di rilanciare diversi settori dell'economia
del nostro stivale. Tecniche di coltivazione e in generale l'agricoltura biodinamica sono
state al centro del convegno “Oltre Expo: alleanze per nutrire il pianeta”, all’Università
Bocconi tenutosi dal 20 al 22 febbraio scorso.
Una tre giorni di studi e relazioni rivolti al mondo accademico, economico, rurale, alla
società civile e soprattutto ai giovani, nella convinzione che da questo ambito, potranno
arrivare positive ricadute occupazionali ed economiche. Fulcro principale di questi incontri
è l'agricoltura biodinamica, la sua storia, che ha quasi un secolo, ispirandosi alle concezioni
antroposofiche che Rudolf Steinerespresse.
La base ideale per creare un’unità biodinamica è l’azienda agricola (a ciclo chiuso) con
allevamento di bestiame. Gli animali costituiscono infatti un elemento importante del ciclo
biodinamico perché forniscono prezioso fertilizzante, da usare dopo il compostaggio.
Secondo questa tecnica infatti la vitalità del terreno deve essere preservata tramite mezzi
naturali. Il tutto con l’ausilio di preparati naturali prodotti in azienda che potenziano i
processi di vita del suolo e delle piante.
La biodinamica non è dunque solo una tecnica agricola, ma una filosofia di vita che
apprezza l’armonia di un campo coltivato, preserva la fertilità e la stabilità del terreno,
salvaguarda la diversità e la bellezza del paesaggio, sperimenta le interazioni tra il nostro
corpo e gli elementi della natura e mantiene un buon equilibrio psicofisico.
(da Bio@gricultura Notizie di AIAB - febbraio 2015)
LONGEVITÀ E VECCHIO WELFARE
Non sono un peso passivo di cui farsi carico ma soggetti protagonisti. Non sono recettori
inattivi di risorse e servizi di welfare. Sono anzi portatori di un contributo concreto e
sostanziale alla vita delle famiglie. I longevi sono tra i grandi protagonisti del sistema di
cura: quattro milioni e mezzo circa si prendono cura di persone non autosufficienti, oltre
sette milioni contribuiscono con i propri soldi all’economia domestica di figli e nipoti, quasi
nove milioni si occupano dei piccoli.
Lo fanno abbinando il dovere al buon vivere:
poco meno di quattro milioni svolgono attività
di volontariato, tre milioni e mezzo circa
fanno regolarmente attività fisica, quasi sei
milioni frequentano spazi culturali, sei milioni
e mezzo sono clienti di ristoranti, circa tre
milioni vanno nelle scuole da ballo e nelle
balere.
Più o meno tre milioni viaggiano verso
l’estero, sette milioni guidano la macchina,
due milioni e settecento mila svolgono
un’attività
lavorativa
in
nero,
oltre
quattrocentosettemila pensano, nel prossimo
futuro, di avviare un’attività lavorativa
autonoma, e duecentoventicinquemila si
preparano, nell’anno che verrà, a cercare lavoro.
Anche in rete: sul portale Kijiji, nel 2013, sono aumentate del 21 per cento, rispetto
all'anno precedente, le inserzioni di over sessantacinque in cerca di impiego, anche a
tempo parziale. Tanto di cappello. Ma, spesso, fragilità e non autosufficienza hanno una
relazione diretta con il tempo che passa. Ancora, le generazioni attuali dei dodici milioni di
longevi beneficiano di percorsi previdenziali forti e patrimoni mediamente solidi, fatti di
proprietà della prima casa, presidi economici che hanno consentito di affrontare le
emergenze assistenziali ad alto costo legate alla non autosufficienza, appunto.
Tra gli ottantenni, però, sta crescendo in modo esponenziale la quota di persone che ha
bisogno di supporto. Una situazione davanti alla quale il nostro sistema di stato sociale
mostra tutte le sue lacune. Cosicché, oggi, a occuparsi dei longevi non autosufficienti sono
le famiglie, attraverso l’assistenza domiciliare privata, magari con il ricorso a una badante.
Un modello, questo, certamente funzionale ma che si va incrinando per le difficoltà che
stanno coinvolgendo sempre più i budget familiari, tanto che cinquecentosessantuno
famiglie, per pagare l’assistenza, hanno dovuto dare fondo a tutti i loro risparmi e, a volte,
persino a vendere la propria casa.
Si stima, secondo quanto si legge nel Rapporto
"L'eccellenza sostenibile del nuovo welfare", elaborato
dal Censis, che le risorse private mobilitate siano
ingenti: oltre nove miliardi di euro destinati alle
badanti, quasi cinque per il pagamento delle rette per
gli oltre duecentocinquantanove mila longevi ospiti
delle residenze.
Poi, le risorse pubbliche: sono pari all’1,28 per cento
del PIL, circa venti milioni di euro, aumentato di più
0,21 per cento in sei anni. A volte, vivono in case non
ottimali per la non autosufficienza.
Cioè: due milioni e mezzo vivono in abitazioni non adeguate alle loro condizioni di ridotta
mobilità, più di un milione in case addirittura inadeguabili. E le residenze? Parcheggi per
vecchi, per ben duecentomila anziani non autosufficienti. E se vecchio e non
autosufficiente, invece, fosse il modello di stato sociale italiano?
(da Altrenotizie - febbraio 2015)
Signori….in carrozza!!!!
Proseguiamo il viaggio nell’informazione con:
Cosa sono le agromafie
e
Inugurato il primo asilo ad architettura passiva d’Italia
da Tuttogreen – febbraio 2015
Il Jobs Act e i lavoratori “carne da macello”
e
Lavoro a minuti e nero di gruppo, così si licenzia il precariato
da MicroMega di Repubblica.it – febbraio 2015
Disseccamento degli ulivi del Salento a causa di..….QUI le ultime
notizie in merito
da Agernova – febbraio 2015
«Produrre secondo modalità che scaldano il pianeta, deve costare
molto di più» Editoriale di Carlo Petrini da Slow Food – febbraio 2015
La lezione di Kobane e L'happy meal di McDonald's
da Altreconomia – febbraio 2015
Per la scuola non basta uno slogan
e
La politica al tempo dell’esecutivo
da Eddyburg – febbraio 2015
Buon viaggio con El Tamiso !!!!