Communio - Pontificio Seminario Campano Interregionale

D I CE M BR E 2 01 4
Communio - numero 1 - anno XV - Diciembre 2014 - Periodico del Pontificio Seminario Campano Interregionale di Napoli
- C OR UNUM IN C HRISTO -
VITA ECCLESIALE
VITA DI SEMINARIO
IN...FORMAZIONE
IL SINODO STRAORDINARIO
SULLA FAMIGLIA
LA NUOVA EQUIPE
TRA “STAGE” ED
FORMATIVA
ESPERIENZE ESTIVE
SPECIALE
TESTIMONIANZA DI
FRANCO MIANO E
PINA DE SIMONE
Consiglio di Redazione
Giuseppe MALAFRONTE, Christian LEFTA
Grafica e impaginazione
Massimiliano Domenico PICIOCCHI
Foto
Robin ZAPATA GOMEZ, Nicola SICOLO
Vignette
P. Sergio FERRARO
SJ
Pagina web
Carmine PASSARO, Antonino GARGIULO
N. 1 - DICEMBRE 2014
- A NNO XV Rivista periodica del
PONTIFICIO SEMINARIO CAMPANO INTERREGIONALE
80122 - Via Petrarca 115 - Napoli
081.2466011
www.seminarioposillipo.it/communio
Direttore Responsabile
Massimiliano Domenico PICIOCCHI
Hanno collaborato a questo numero:
Nicola GALANTE, Giuseppina DE SIMONE, Franco MIANO,
Filippo CAPALDO, Antonio FUCCI, Christian LEFTA,
P. Francesco BENEDUCE SJ, P. Roberto DEL RICCIO SJ,
Giovanni NAPOLITANO, Raffaele FARINA, Antimo FEMIANO,
P. Nicola BORDOGNA SJ, Francesco PISCITELLI,
Roberto DONATIELLO, Vincenzo VITIELLO, Gianpaolo MAZZEO,
Emanuele CAIAZZO, Massimiliano Domenico PICIOCCHI
Contatti
info@seminarioposillipo.it
communioposillipo@gmail.com
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PROMOFACTORY - Orta di Atella (CE) - 081.5022079
SOMMARIO
EDITORIALE
3
COMMUNIO: UN CAMMINO DI COMUNIONE
VITA ECCLESIALE
4
DAY BY DAY: SINTESI DEI LAVORI SINODALI
6
LA PAROLA AI TESTIMONI:
LA NOSTRA ESPERIENZA AL SINODO
10
ROMA - POSILLIPO:
IL SINODO CHE CI INTERPELLA
12
PAOLO VI È BEATO: PERCHÉ IL MONDO HA
BISOGNO DI TESTIMONI CREDIBILI
VITA DI SEMINARIO
14
IL CAMBIO DELLA GUARDIA: ARRIVI E PARTENZE
IN SEMINARIO
IN...FORMAZIONE
17
PARTIRE: VOCE DEL VERBO “AFFIDARSI”
18
ALLE TUE MANI AFFIDO LA VITA:
IL TEMA DELL’ANNO FORMATIVO
19
LO “STAGE” PASTORALE:
CROCE E DELIZIA DEL SEMINARISTA
20
TI RACCONTO LA MIA ESPERIENZA:
LO “STAGE” PASTORALE
ESPERIENZE ESTIVE
22
L’ECO DEL MESE IGNAZIANO
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IL PELLEGRINAGGIO IN POVERTÀ:
SEGUIRE CRISTO AVENDO SOLO CRISTO
25
IO CI STO: VINCE CHI RIESCE
AD ESSERE PIÙ UMANO
15
IL SALUTO DEL NUOVO RETTORE AI SEMINARISTI
16
BUEN CAMINO!
EVENTI E RICORENZE
26
ORDINAZIONI E ANNIVERSARI
2
EDITORIALE
COMMUNIO:
UN CAMMINO DI “COMUNIONE”
ALCUNE RIFLESSIONI SULLA SFIDA DI COMUNIONE CHE QUESTO
di MASSIMILIANO DOMENICO PICIOCCHI
QUARTO ANNO
I
TEMPO DI GRAZIA CI PONE
llustrare in poche righe la linea editoriale adottata e sostenuta nelle pagine seguenti è cosa ardua. Nel progettare insieme l’orientamento di fondo che unifica le diverse sezioni, ci siamo lasciati pungolare dall’istanza che la testata del
nostro periodico pone: cosa è veramente comunione?
Personalmente intravedo la sottile e comoda tentazione di
chiamare comunione una visione condivisa della vita, un
mondo ideale in cui l’uniformità è la legge ed ogni differenza è
bandita, una massificazione del vivere, del pensare,
dell’agire. Scelta comoda, di sicuro, ma credo poco rispondente al significato vero, profondo e autentico che questo termine racchiude in sé, al bisogno di alterità e di relazione che ogni uomo si porta dentro.
La storia di oggi, ancora troppo gonfia di guerre e di esodi, la vita della Chiesa, sfidata da correnti variegate
e spesso contrastanti, la nostra stessa quotidianità di sequela, la formazione in seminario che ci vede diversi, discordi, membra diverse ma accomunate in un unico corpo perché «uno solo è il Signore, uno solo è lo
Spirito» (1Cor 12,4.5), sembrano spingerci a guardare alla comunione possibile da un’altra angolazione ,
quella di chi si pone in cammino. Comunione è cammino, è alternarsi di passi non sempre concordi, non un
traguardo di conformità, ma un cammino di crescita, di confronto, di relazione. Comunione è dialogo, talvolta dialettico, ma necessaria per comprendere sempre più e sempre meglio quel Dio che desidera ancora
una volta farsi carne nell’umano come l’imminente mistero del Natale ci ricorda.
Quest’ottica di comunione - che don Tonino Bello avrebbe chiamato «convivialità delle differenze» - ci spinge a guardare con gioia alla vita della Chiesa che si sforza annunciare Cristo in maniera sempre nuova, che
dialoga al suo interno anche in modo serrato e franco (del resto parresìa e carità non sono antinomie) perché intimamente animata dal desiderio di camminare verso l’unica meta che è Cristo. Il Sinodo, cui è dedicato ampio spazio in questo numero, è proprio esempio di questa ricerca di comunione, di questo desiderio
di mettersi in cammino per cercare insieme risposte a domande che il mondo solleva con forza e desiderio:
cosa è uomo? Cosa è famiglia? Come vivere e annunciare il vangelo senza tradire Cristo? Domande di oggi,
domande di sempre, domande che conducono sulla strada della comunione.
La nostra stessa vita di seminario con le partenze e gli arrivi, con i percorsi formativi ordinari e straordinari,
con l’esperienza delle comunità nella comunità, con la convivenza spesso difficile ma che trova radici in un
desiderio di sequela comune, può essere per noi opportunità di comunione nella misura in cui ce ne facciamo
responsabili, aprendoci alla novità dell’altro, alla sua peculiarità. La strada che l’altro percorre accanto a
me è la mia strada: la sfida della comunione è tutta nell’accorgersi di questa ineludibile realtà. Il sostegno
offerto in tal senso da Communio consiste nel dar voce alle esperienze, ai vissuti, ai singoli e diversi cammini perché il lettore possa far sintesi e ascoltarne la eco nella propria vita.
In ultimo, questo periodico dedica una sezione alle ricorrenze e agli eventi salienti; non si tratta di un tocco
nostalgico, bensì della consapevolezza che una storia ci precede, che non siamo passi isolati, ma tratti di
cammino nell’unico cammino, quello della Chiesa che segue Cristo.
Con gratitudine per aver potuto dar voce a questa linea di pensiero, auguro a quanti ne avvertono il desiderio, una serena e – perché no – piacevole lettura.
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V ITA E CCLESIALE
DAY BY DAY: SINTESI DEI
LAVORI SINODALI
CRONACA DEI LAVORI DEL SINODO STRAORDINARIO
di NICOLA GALANTE
SECONDO
SULLA FAMIGLIA
ANNO
D
al 5 al 19 ottobre si è svolta la III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. I Padri sinodali hanno valutato ed approfondito i dati, le testimonianze e i suggerimenti delle Chiese particolari, al fine di rispondere alle nuove sfide sulla famiglia e in attesa dell’Assemblea Generale Ordinaria, in programma dal 4 al
25 ottobre 2015 su La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa nel mondo contemporaneo.
Di seguito viene riportata una breve sintesi dei lavori sinodali e dei temi affrontati day by day.
6 OTTOBRE 2014: SINODO, È TEMPO DI ASCOLTARE E PARLARE
Nel Discorso ai padri sinodali il Santo Padre ha auspicato uno spirito di collegialità e di sinodalità per il
bene della Chiesa e delle famiglie, ponendo come condizione generale di base il “parlare chiaro” e
l’ascolto con umiltà.
7 OTTOBRE 2014: VICINI ALLE FAMIGLIE IN DIFFICOLTÀ
Il Vangelo della famiglia e la legge naturale (Instrumentum Laboris, I
Parte, Cap. III) e La famiglia e la vocazione della persona in Cristo
(Instrumentum Laboris, I Parte, Cap. IV) sono stati gli argomenti affrontati: una pastorale familiare intensa e vigorosa con una maggiore preparazione al matrimonio, l’influenza dei mass-media nel presentare ideologie contrarie alla dottrina della Chiesa sulla famiglia
ed il matrimonio, i divorziati risposati, un linguaggio più semplice
nell’annuncio del Vangelo e nella trasmissione della dottrina,
l’importanza della catechesi per le famiglie e la necessità di una formazione più approfondita per i sacerdoti ed i catechisti.
8 OTTOBRE 2014: UNIRE VERITÀ E MISERICORDIA
Le sfide pastorali sulla famiglia (Instrumentum Laboris, II Parte, Cap. II) e Le situazioni pastorali difficili
(Instrumentum Laboris, II parte, cap. III) sono stati oggetto di riflessione. Si è prestati attenzione a: le
crisi della fede e vita familiare, situazioni critiche interne alla famiglia, pressioni esterne alla famiglia.
Quanto alla questione dei divorziati risposati, è stato evidenziato il connubio tra l’obiettività della verità
con la misericordia per la persona e la sua sofferenza. Si è anche riflettuto sull’apporto insostituibile dei
fedeli laici all’annuncio del Vangelo della famiglia, sulla precarietà del lavoro e la disoccupazione, sul
grande contributo dei nonni alla trasmissione della fede in famiglia.
9 OTTOBRE 2014: METODI NATURALI E DIVORZIATI
Le sfide pastorali circa l’apertura alla vita (Instrumentum Laboris, III parte, cap. I) e La Chiesa e la famiglia di fronte alla sfida educativa. La sfida educativa in genere / L’educazione cristiana in situazioni familiari difficili (Instrumentum laboris, III parte, cap. II).
È stata ribadita l’indissolubilità del matrimonio, basata sul fatto che il vincolo sacramentale è una realtà
oggettiva, opera di Cristo nella Chiesa, ritenendo opportuno un accompagnamento pastorale per le
4
coppie anche dopo le nozze e la necessità di semplificare e accelerare i procedimenti per la dichiarazione di nullità matrimoniale. Inoltre, ribadendo l’impossibilità di riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso, è stato sottolineato il bisogno di un approccio rispettoso e non discriminante nei confronti degli omosessuali, e, sulla questione dei matrimoni misti, è stato evidenziato che,
oltre alle difficoltà, è bene guardare anche alla possibilità, che essi offrono, di testimoniare l’armonia
ed il dialogo interreligioso. Un ulteriore accento è stato posto sulla grammatica della semplicità per
arrivare ai cuori dei fedeli e al ruolo essenziale dei laici nell’apostolato della famiglia e nella sua evangelizzazione. Infine, è stata ribadita la vocazione alla vita come elemento fondante della famiglia, invitando a rivedere l’Humanae vitae del beato Paolo VI.
10 OTTOBRE 2014: MATRIMONIO, VOCAZIONE PER LA VITA
Sono stati costituiti i dieci circuli minores (i padri sinodali sono stati divisi in dieci gruppi: tre in lingua
inglese e italiana, e due in lingua francese e spagnola, e ciascuno di questi “circoli” ha eletto il proprio presidente e relatore) per approfondire i temi toccati nelle assemblee generali, e ha avuto luogo
l’audizione di 15 interventi esterni(6 di coppie e 9 di singoli uditori). Sono state ricordate le difficoltà
che vivono le famiglie del Medio Oriente, rimarcando la necessità di un maggior dialogo tra Chiesa e
Stato e l’importanza della testimonianza.
11 OTTOBRE: SERVONO NUOVI LINGUAGGI
Il relatore generale, card. Peter Erdő, e il segretario
speciale, mons. Bruno Forte, con i loro collaboratori,
hanno lavorato per la stesura della Relatio post disceptationem (il documento che sintetizza la prima
settimana di lavori dei padri sinodali). Il Papa, per la
stesura della Relatio Synodi, ha deciso di affiancare al
relatore generale, al segretario speciale e al segretario generale, card. Lorenzo Baldisseri, il card. Gianfranco Ravasi, il card. Donald Wuerl, Mons. Victor
Manuel Fernandez, mons. Carlos Aguiar Retes, mons.
Peter Kang, p. Adolfo Nicolas Pachon.
13 OTTOBRE 2014: SULLE FERITE DELLE FAMIGLIE LA MISERICORDIA
Il principio di gradualità del piano salvifico divino è stato il metodo di lavoro emerso dalla Relatio
post disceptationem. E’ stata elaborata una prospettiva inclusiva, che riconosce elementi positivi
«anche nelle forme imperfette che si trovano al di fuori della realtà nuziale», così come nelle altre
religioni e culture. Nel documento si legge che in discussione c’è stato un dibattito tra chi sostiene la
disciplina attuale sulla possibilità di accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia per i divorziati risposati, e chi invece si esprime per una maggiore apertura rispettate determinate condizioni, con un precedente cammino penitenziale. Suggerire di limitarsi alla sola comunione spirituale
per non pochi Padri sinodali pone alcuni interrogativi irrisolti.
14 OTTOBRE: LA RELATIO? È UN TESTO DI LAVORO
Il documento conclusivo ufficiale del Sinodo sarà un testo di lavoro per le comunità ecclesiali fino
all’apertura della XIV Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi.
15 OTTOBRE: CHIAREZZA, ECCO LA LINEA DEL SINODO
I relatori dei dieci circuli minores hanno presentato i “modi” in cui propongono emendamenti e/o
integrazioni sul testo della Relatio post disceptationem. E alla luce di questi modi verrà redatta la
Relatio Synodi, il documento finale.
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16 OTTOBRE: FAMIGLIA, VERITÀ E NUOVE SFIDE
Il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, è intervenuto, insieme con i coniugi Franco e Giuseppina Miano, al consueto briefing sull’andamento dei lavori, sostenendo che il Sinodo ha
un suo dizionario (accoglienza, accompagnamento, dottrina, misericordia, catechismo e persino
tensioni, segnalando però che non vi rientrano verbi come giudicare e vocaboli come partiti).
17 OTTOBRE: LA RELAZIONE FINALE
Sono stati votati sia il Messaggio sia la Relatio finale.
Rivolto alle famiglie del mondo ed in particolare a quelle cristiane, la Relatio Synodi contiene anche
un appello alle istituzioni, affinché promuovano i diritti della famiglia, e ricorda la riflessione che è
stata dedicata all’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati.
UN INDIRIZZO DI SALUTO
Ad una richiesta da parte della redazione di illuminarci sul dibattito interno alla
Chiesa sui temi centrali del Sinodo, il card. Kasper ci ha gentilmente inviato un
biglietto di saluto, che riportiamo di seguito:
Il Sinodo è una esperienza di franchezza (parresìa) cristiana, una esperienza di
fraternità e collegialità nonostante, talvolta, opinioni diverse, è esperienza di
realismo pastorale. Riguarda la situazione attuale – tantissimi problemi non
sono solo in occidente ma anche in altri continenti e culture – e la disponibilità a
trovare vie di una pastorale vicina agli uomini, una pastorale di accompagnamento anche in situazioni complesse. Concrete decisioni devono ancora maturare, abbiamo adesso un intero anno, tempo per ascoltare ciò che dice lo Spirito
alle chiese. È necessaria ancor di più la preghiera.
Cordiali saluti
†Card. Walter Kasper
LA PAROLA AI TESTIMONI:
LA NOSTRA ESPERIENZA AL SINODO
di FRANCO MIANO
COPPIA
E
GIUSEPPINA DE SIMONE
INVITATA AL
SINODO
A
bbiamo avuto il dono di partecipare al Sinodo straordinario sulla famiglia nel tempo di grazia
del nostro venticinquesimo anniversario di matrimonio, festeggiato qualche giorno prima insieme alle persone care che ci hanno accompagnato in questi anni. Il grazie pronunciato davanti al
Signore e alla comunità ecclesiale si è dilatato e moltiplicato in un traboccare di gioia e di commozione. Ci siamo sentiti immersi in una storia più grande, nel cammino della Chiesa universale e
dell’umanità tutta.
Abbiamo avvertito la vita del mondo presente negli interventi dei padri sinodali e nelle testimonianze degli sposi uditori al Sinodo, abbiamo toccato con mano l’ansia per un annuncio del Vangelo
che raggiunga le persone nella loro esistenza concreta e la preoccupazione per una Chiesa che non
si limiti a fasciare le ferite ma aiuti ad alzare lo sguardo senza schiacciare l’orizzonte della famiglia
sulle difficoltà che ne segnano il passo.
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Abbiamo anche avvertito, talvolta, una “prudenza”
che frena il cammino e che impedisce di vedere e di
ascoltare irrigidendosi in posizioni di difesa. Tutto
questo all’interno di una esaltante esperienza di sinodalità, di un interrogarsi insieme che ha avuto
davvero, come il Papa aveva chiesto, nella parresia e
nell’umile ascolto le sue dimensioni portanti.
Nel Sinodo sono state considerate tutte le questioni
che costituiscono una sfida relativamente alla realtà
della famiglia e una provocazione per un rinnovato
annuncio del Vangelo. I media si sono soffermati in
maniera quasi ossessiva solo su alcune questioni, pure delicatissime: l’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati e l’accoglienza delle persone con orientamento omosessuale. Ma la riflessione del Sinodo
ha spaziato a tutto campo sulle tante minacce alla vita e alla stabilità della famiglia presenti nello
scenario mondiale: le guerre, la povertà, il fenomeno della migrazione, la violenza sulle donne, la
denatalità; e ci si è interrogati sui fattori di ordine culturale che ne sono spesso l’origine, primo fra
tutti il diffondersi di una mentalità individualista che polverizza i legami e compromette la possibilità delle relazioni.
Dinanzi a queste situazioni di drammatica problematicità, la Chiesa avverte la necessità di annunciare il Vangelo della famiglia, di ridire, attraverso le famiglie e con le famiglie, il sogno di Dio
sull’umanità, la vocazione alla comunione che costituisce la verità ultima dell’esistenza umana. Non
si tratta, è stato detto, di proporre un insieme di norme astrattamente definito, quanto piuttosto
valori che corrispondono alle attese più profonde del cuore dell’uomo.
«L’annunzio deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più
profonde della persona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piena nella reciprocità,
nella comunione e nella fecondità» (Relatio Synodi, 33).
Per questo l’atteggiamento da avere non è quello della condanna ma prima di tutto dell’ascolto:
l’ascolto della vita nell’ascolto della Parola. “Ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del popolo;
ascolto del popolo fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama”, come ha invitato a fare Papa Francesco nella veglia del 4 ottobre. Occorre
«prestare orecchio ai battiti di questo tempo – ha detto ancora il Papa – e percepire l’odore
degli uomini d’oggi, fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, delle loro tristezze
e angosce».
Tenere fisso lo sguardo su Gesù, imparare da lui, sforzandosi di «assumere il suo modo di pensare, di
vivere, di relazionarsi», perché solo così «sapremo proporre con credibilità la buona notizia sulla famiglia» ( Papa Francesco 4/10/2014). Questo vuol dire anche saper accogliere, saper accompagnare,
incoraggiando, sostenendo. È il senso della pedagogia divina riproposto con forza nel dibattito sinodale. Occorre
«sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche in chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate” ricordando che “il messaggio cristiano ha sempre in sé la realtà e la dinamica della
misericordia e della verità, che in Cristo convergono» (Relatio Synodi, 11).
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Come sposi partecipanti al Sinodo in qualità di esperti, coinvolti nella elaborazione della progressiva sintesi di quanto andava emergendo, abbiamo vissuto quanto il Papa ha mirabilmente ricordato
nelle parole con cui ha concluso i lavori sinodali: momenti di grande entusiasmo e momenti di fatica, quasi di scoraggiamento. Su tutto, la certezza che il Signore attraverso il suo Spirito guida la
Chiesa e che una stagione nuova si sta affacciando in cui i frutti del Concilio possono diventare veramente stile diffuso e concreta modalità di vita ecclesiale. La consegna più affascinante e impegnativa che viene da questo Sinodo straordinario, che non ha espresso decisioni e proposizioni normative, è infatti il metodo della sinodalità, del camminare insieme, in cui non c’è posto per azioni
solitarie.
Il tempo ulteriore che si è aperto e che ci condurrà fino al Sinodo ordinario del 2015 è perciò un
tempo importantissimo di confronto, di riflessione, di sedimentazione di intuizioni e di perplessità
perché maturi un orientamento condiviso, un tempo in cui riscoprire e imparare a ridire la vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, non ignorando, ma sapendo attraversare le questioni che segnano questo tempo e questo mondo, non voltando la faccia
ma fissando l’attenzione sulla vita delle famiglie e amando questa vita, come il Signore Gesù ci ha
insegnato a fare.
Lo spazio di impegno che si apre proprio a partire dall’assunzione delle sfide pastorali sulla famiglia, ha sicuramente nella formazione un suo elemento decisivo. C’è bisogno di una più intensa e
organica formazione della fede, in cui tutta la comunità ecclesiale deve sentirsi coinvolta. È solo
all’interno di un cammino di fede che può adeguatamente avere luogo quel discernimento vocazionale richiesto ad ogni credente, indispensabile per non considerare il matrimonio solo come una
tradizione culturale o un’esigenza sociale o giuridica. Un discernimento che sia aiutato a continuare
nel tempo: nell’assunzione consapevole e responsabile della propria vocazione e del suo progressivo crescere e chiarirsi, anche attraverso le difficoltà e le prove. Una cura particolare richiede poi la
formazione di quanti nella comunità hanno o avranno responsabilità di guida.
Più volte nel Sinodo si è ribadita la necessità di formare adeguatamente i sacerdoti perché non solo
sappiano riconoscere e annunciare l’altissima dignità del matrimonio e della famiglia e imparino
sempre di più a sostenerne il cammino, ma anche perché sia possibile rimettere la famiglia al centro della vita della comunità ecclesiale ripensando la pastorale, i suoi tempi e i suoi modi, a misura
di famiglia, promuovendo un’autentica corresponsabilità nella vita e nella missione della Chiesa
anche attraverso una diversa valorizzazione di associazioni gruppi e movimenti.
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Non bisogna fare della famiglia una questione specifica di cui occuparsi a cui ritagliare uno spazio,
ma la realtà chiave della pastorale, la sua dimensione portante. E questo richiede creatività, capacità
di duttilità e di essenzialità, ma soprattutto la capacità di accompagnare la vita delle persone aiutando a scorgere nella normalità la presenza del Signore. C’è bisogno perciò di una Chiesa che sia veramente casa accogliente, sempre aperta per tutti. Una Chiesa che si riscopra famiglia, lasciando emergere tutta la bellezza dell’essere e del sentirsi famiglia dei figli di Dio ritrovando il senso vivo della popolarità dell’intergenerazionalità, della generatività. Una Chiesa che sappia, potremmo dire,
imparare dalla famiglia. Come nella Scrittura, in cui l’amore sponsale diventa immagine dell’amore
di Dio, l’esser padre e madre immagine della tenerezza di Dio che genera sempre di nuovo alla vita,
e sostiene il passo dell’uomo. La famiglia, a sua volta, deve ritrovare una nuova capacità di protagonismo , imparando a riscoprirsi come chiesa domestica, luogo della trasmissione della fede, tessuto
di relazioni che generano vita, crocevia di impegni e di responsabilità, trama di concreta accoglienza
dell’altro e, per questo, insostituibile scuola di umanità, di socialità.
Si tratta di aiutare le famiglie ad aprirsi a non ripiegarsi sulle proprie difficoltà, o a pensarsi come
spazio di protezione che può bastare a se stesso, aiutarle a sentirsi parte di una più ampia realtà di
relazione da cui ricevere sostegno ma in cui imparare anche a stare nell’assunzione di responsabilità
condivise. E ciò vale tanto nei confronti della comunità ecclesiale quanto di quella civile e sociale.
Ma ciò di cui si avverte più forte l’esigenza è di nuovi racconti. Occorre imparare a raccontare le tante esperienze belle di famiglie che nella loro semplicità rappresentano la forza e la ricchezza delle
Chiese particolari, la struttura portante dei paesi del mondo. Imparare a raccontare la bellezza
dell’essere famiglia e di come l’amore possa compiere miracoli nella vita quotidiana: cosa vuol dire
essere padri e madri, figli e fratelli, il senso della reciprocità e della responsabilità gli uni per gli altri,
l’asimmetria della cura.
Il Vangelo che è annuncio di vita deve poter risuonare nella famiglia e attraverso la famiglia. Perché
«senza la testimonianza gioiosa dei coniugi e delle famiglie, chiese domestiche, l’annunzio,
anche se corretto, rischia di essere incompreso o di affogare nel mare di parole che caratterizza la nostra società» (Relatio Synodi, 37).
Solo così sarà possibile ritrovare la capacità di camminare e di camminare insieme nella linea di quella conversione missionaria e di quella corresponsabilità tante volte richiesta da Papa Francesco e che
questo Sinodo vuole far sperimentare.
Franco Miano è professore ordinario di Teologia morale presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata dal 2006. Oltre a svolgere il proprio ruolo di docente e di ricercatore, è stato anche presidente nazionale di Azione Cattolica
per due mandati (2008-2014). Dal 6 febbraio 2014, su nomina del Santo Padre
Francesco, è membro del Pontificio consiglio per i laici.
Giuseppina De Simone è professore ordinario di Filosofia presso la Pontificia
Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale Sezione San Luigi, dove insegna Filosofia della religione e Etica generale, ed è docente di Teologia Fondamentale nell’I.S.S.R. “G. Duns Scoto” di Nola. Impegnata a livello ecclesiale, è
presidente diocesana emerita di Azione Cattolica per la diocesi di Nola.
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ROMA - POSILLIPO:
IL SINODO CHE CI INTERPELLA
di FILIPPO CAPALDO
UN LABORATORIO DI RIFLESSIONE E CONDIVISIONE SUL SINODO
A CURA DELLE COMUNITÀ DEL TRIENNIO FORMATIVO
QUINTO ANNO
R
oma. Una parola che ha nel tempo semantizzato un certo modo di pensare la Chiesa, il papa, il
magistero.
Roma, dal 1962, sembra essere chiamata, e con lei tutti nella Chiesa, ad un volto diverso, ringiovanito
e non per il cambiamento dei contenuti sostanziali, il Vangelo resta invariato, bensì nel modo di fare,
nello stile riflessivo e operativo della Chiesa.
Roma sembra cominci ad essere palcoscenico, e verosimilmente non è più solo finzione, del concretizzarsi di questo rinnovamento.
Dal 5 al 19 ottobre si è tenuto a Roma il sinodo straordinario sul
tema della Famiglia, o meglio, in quelle due settimane si sono
svolti i lavori sinodali vis a vi nella loro prima parte, ma il lavoro
sinodale è cominciato già molto tempo prima con alcune istanze
precedenti non solo formali, e soprattutto, non si è concluso. Tale
evento sinodale accompagnerà tutto il prossimo anno fino a giungere alla sessione ordinaria del sinodo che si terrà il prossimo autunno. E dunque il prossimo anno non è miseramente un tempo di
vacatio legis in cui aspettare, senza saper che fare, che il sommo
pontefice legiferi sulla materia familiare (tra l’altro non è che
mancasse materiale magisteriale in merito…)
Qualora seguissimo tale visione saremmo tradizionalmente preconciliari, derogando in maniera eteronoma, riflessione e responsabilità a terzi, in questo caso al papa.
Fortunatamente sembra che lo stile del Vaticano II inizi a mettere
radici nel nostro modo di essere e di vivere la Chiesa, per cui, in
questo tempo, a tutta la Chiesa universale è affidato il testo, e con
esso la riflessione, della relazione stilata dopo questi primi lavori;
materiale prezioso su cui iniziare a lavorare noi tutti. Ed è stato
questo spirito a portare nella vita del seminario di Posillipo, già
durante le due settimane del sinodo, un periodo di riflessione analizzando le notizie che giungevano attraverso i mezzi di comunicazione. Il triennio, suddiviso nelle rispettive comunità, ha seguito
il sinodo da lontano analizzandone tematiche e metodologie, attraverso il filtro dei media e tentando
di armonizzare il materiale con le espressioni ufficiali di papa Francesco e della Relatio.
Un tempo a cori alterni, tra discussioni comunitarie ma non sempre (e per fortuna non solo), e il lavoro di commissioni ad hoc che hanno poi prodotto del materiale condiviso in un pomeriggio di approfondimento, mercoledì 19 ottobre, che ha visto tutto il triennio confrontarsi con questa realtà e con
due testimoni diretti, Franco Miano e Pina De Simone.
Una parola va spesa in merito alla vivace testimonianza di questi due coniugi che hanno preso parte
al sinodo insieme ad altre coppie, quale team di esperti. Franco Miano è stato per anni il presidente
nazionale dell’ Azione Cattolica, mentre Pina De Simone, personaggio a noi più familiare in quanto
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docente di Etica Generale e Filosofia della religione presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia
Meridionale nella sezione frequentata da noi. Entrambi parte viva del sinodo ci hanno raccontato il
quest’ultimo dall’interno, mostrandoci le profonde tematiche analizzate nel lavoro dei vescovi insieme
alle coppie laiche partecipanti, temi che sono stati ben più ampi di quelli poi effettivamente comparsi
sui giornali, più accattivanti ma forse meno veritieri.
Ma non solo, Pina e Franco ci hanno raccontato anche del clima di dialogo aperto che ha caratterizzato
il dibattito sinodale, confronto che in alcuni momenti portava necessariamente ad un clima più acceso,
ma mai si è arrivati allo scontro o alla rottura di comunione come talune testate giornalistiche facevano trasparire. Infine i due coniugi hanno condiviso con noi, stimolandoci e invitandoci a leggere e rileggere i testi, scorgendone la bellezza, la densità e la profondità.
Raccolgo personalmente una perla che si annoda ad un altro evento che i seminaristi e tutto il corpo
accademico hanno vissuto il giorno dopo tale fruttuoso pomeriggio di incontro e approfondimento.
Giovedì 20 ottobre la Facoltà ha vissuto la memoria dei gesuiti uccisi nello stato del centro America, El
Salvador, nel novembre del 1989. I sei gesuiti, insieme a due donne che abitavano con loro presso
l’Universidad Centroamericana, avevano consacrato la loro vita alla ricerca della verità e alla proclamazione della giustizia che va riconosciuta, quale diritto fondamentale, ad ogni essere umano. In un tempo in cui in El Salvador vigeva un regime militare che impediva
determinate libertà e uccideva chiunque si facesse ‘voce di chi
non aveva voce’, il lavoro dei gesuiti e degli intellettuali dell’ UCA,
come d’altronde l’azione pastorale del Cardinale di San Salvador,
Oscar Romero, vicino agli ultimi e agli oppressi, non potevano
essere lasciati liberi di smuovere le coscienze. Tutti infatti, trovarono la morte, e una morte di croce.
A questo lego, come dicevo, un’espressione di papa Francesco
pronunciata nel discorso che ha chiuso la fase sinodale residenziale: La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la
gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito
di Dio.
Il papa tra le tentazioni che esplicitava nel suo discorso, lasciava
per ultima questa che forse racchiude in sé tutte le precedenti. La
tentazione di vivere una vita tranquilla, lontana da troppe preoccupazioni e inquietudini, una vita che indossa l’impermeabile, o
forse, per restare a tema con alcuni degli argomenti che ai giornali sembra stare tanto a cuore, una vita che indossa il preservativo, così da non compromettersi, così da lasciarsi aperta l’uscita di
sicurezza. La tentazione di guardare la croce, ma di non viverla,
né nella pratica, né nel desiderio o nella tensione di viverla. Una
tentazione che noi preti, o quasi, rischiamo di vivere ancor più dei
laici paradossalmente. Il rischio di vivere il ministero in maniera funzionalistica, a prestazioni, lasciandoci toccare solo quando siamo inclusi in una griglia di un qualsivoglia organigramma, parrocchiale,
diocesano, e un po’ più indietro, in seminario o in facoltà. Il rischio di vivere assecondando lo spirito
mondano, accomodandoci su tanti cuscini, che finiscono con l’intrappolarci e l’imbavagliarci, non lasciandoci più vivere né lo spirito missionario che l’evangelizzazione ci chiede, né il conformarci
all’amore di Cristo che arriva fino alla croce. Srotolando le reti, talvolta troppo intricate di virgole, delle
mie parole, accolgo e rinvio a tutti noi il lavoro che ci spetta in questo tempo sulla Relatio synodi, chiedendo a Dio di donarci il suo Spirito non per cambiare la Chiesa, ma per accogliere la vita che il Signore
continuamente nel suo Spirito ci dona. Nello stile del Concilio Vaticano II, buon lavoro a noi tutti.
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PAOLO VI È BEATO: PERCHÉ IL MONDO
HA BISOGNO DI TESTIMONI CREDBILI
di ANTONIO FUCCI
È STATO PROCLAMATO BEATO IL 19 OTTOBRE, AL TERMINE DELLA
SESSIONE STRAORDINARIA DEL SINODO
QUINTO ANNO
si accostano alla figura di papa Paolo VI hanno subito
Q uanti
l’impressione di avere a che fare con un uomo di Dio, che è
stato sulla scena di questo mondo in modo discreto, ma non indifferente. E spontanea si impone la domanda: “Perché Paolo VI beato? Che esigenza ha oggi la chiesa di canonizzare e beatificare alcuni degli ultimi successori di San Pietro?”. La risposta a tale domanda si può trovare in un passaggio, passato ormai alla storia,
dell’esortazione apostolica di Paolo VI Evangelii nuntiandi del 1975:
«l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché
sono testimoni […]. È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà
innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di
povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità».
Ecco perché la chiesa ha sentito l’esigenza, più che il dovere, di presentare al mondo intero la figura
di Paolo VI come modello e testimone da seguire. Un uomo che ha vissuto da discepolo, che ha vissuto l’inquietudine di far arrivare a tutti un messaggio di speranza e di pace, un papa amante della Chiesa e preoccupato per la sua unità. Un pastore attento alle difficoltà vissute dalla gente, dal popolo di
Dio. Un amico che ha saputo vivere in pienezza, nella gioia e nel dolore, anche da pontefice, le amicizie. Tutto questo è il beato Paolo VI.
Per comprendere la portata del suo pontificato e per “toccare” la fede vissuta di questo discepolo può
essere di aiuto soffermarsi su tre eventi importanti, che aiutino a cogliere lo spessore umano e spirituale di Giovanni Battista Montini: il discorso di chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II;
l’incontro con il patriarca Atenagora a Gerusalemme; l’uccisione di Aldo Moro.
Il 7 dicembre 1965 nella Basilica Vaticana papa Paolo VI pronunciò il discorso di chiusura della quarta
sessione, e quindi del Concilio Ecumenico Vaticano II. Da questo discorso emerge l’amore del pontefice per la Chiesa e parimenti per l’uomo.
La Chiesa che vede Paolo VI è una Chiesa che «ha sentito il bisogno di conoscere, di avvicinare, di
comprendere, di penetrare, di servire, di evangelizzare la società circostante, e di coglierla, quasi di
rincorrerla nel suo rapido e continuo mutamento». Questa è la Chiesa che è emersa dal Vaticano II e,
al contempo, la Chiesa che desidera il papa, ovvero attenta alle esigenze del mondo, non distratta da
altro, ma “ancella dell’uomo”, di ogni uomo. Si potrebbe quasi dire che qui appare l’ecclesiologia del
pontefice, un’ecclesiologia della carità, che pone al centro del suo interesse l’uomo:
«l’uomo vivo, l’uomo tutto occupato di sé, l’uomo fenomenico. L’uomo tragico dei suoi propri drammi,
l’uomo superuomo, l’uomo falso, egoista e feroce. L’uomo infelice di sé, che ride e che piange. L’uomo
versatile pronto a recitare qualsiasi parte, l’uomo rigido cultore della realtà scientifica. L’uomo che pensa, che ama, che lavora, che sempre attende qualcosa. L’uomo sacro per l’innocenza della sua infanzia,
per il mistero della sua povertà, per la pietà del suo dolore. L’uomo individualista e l’uomo sociale, l’uomo
sognatore dell’avvenire. L’uomo peccatore e l’uomo santo».
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«Per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo», su questa convinzione papa Montini costruisce l’intero
suo pontificato.
Un altro evento che testimonia l’amore di Paolo
VI per la Chiesa, la sua preoccupazione per
l’unità e al contempo il grande rispetto e amore
per coloro che non sono cattolici, è l’incontro che
si tenne a Gerusalemme, con il patriarca di Costantinopoli Atenagora, il 5 gennaio 1964. Dopo
il commovente abbraccio pubblico, che è rimasto stampato nella memoria di chi lo ha vissuto
direttamente, ma anche di chi è stato reso partecipe attraverso i documentari, ci fu l’incontro privato presso la Delegazione Apostolica di Gerusalemme. A causa di un disguido tecnico i microfoni rimasero accessi e così è passato alla storia
quanto questi due discepoli si sono confidati, in
un clima di fraternità. Da questo breve ma intenso dialogo emerge la passione per la Chiesa di
Cristo che vivono sia Paolo VI che Atenagora, e il
vivo desiderio di unità.
Più di una volta, infatti, si ripeteranno l’uno all’altro “camminiamo insieme, facendo avanzare le vie di
Dio”. E’ emblematico che al termine del dialogo il patriarca di Costantinopoli affermi: “Santità, sa come la chiamo? O megalòcardos, il papa dal cuore grande”.
L’altro evento, questa volta drammatico, che mette in evidenza l’umanità del papa è l’uccisione del
suo amico di sempre Aldo Moro. Il 13 maggio 1978, durante la preghiera tenuta a San Giovanni in Laterano in suffragio di Aldo Moro, Paolo VI ebbe a pronunciare parole memorabili:
«E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della
vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente
ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita.
Per lui, per lui. Fa’, o Dio, Padre di misericordia, che non sia interrotta
la comunione che, pur nelle tenebre della morte, ancora intercede tra
i defunti da questa esistenza temporale e noi tuttora viventi in questa
giornata di un sole che inesorabilmente tramonta».
Traspare qui tutto il dolore dell’uomo, l’enorme dolore per la tragica scomparsa di un compagno, ma
allo stesso tempo emerge la fede del discepolo, che sa che il Signore è sempre presente e agisce con la
sua misericordia nella storia, talvolta drammatica, degli uomini. In queste parole emerge anche la consapevolezza di una vita che ormai sta volgendo al termine – il papa infatti morirà dopo meno di tre mesi – e che si abbandona tra le braccia misericordiose del Padre.
Attraverso questi tre eventi, diversi tra loro, si è cercato di mettere in evidenza alcuni tratti della personalità di questo discepolo, di Paolo, apostolo del XX secolo, che ha lasciato non solo alla Chiesa,
ma al mondo, una testimonianza viva di un’umanità pienamente vissuta in Gesù Cristo e messa al
servizio della Chiesa e dei fratelli, fino anche a vivere la spogliazione della solitudine. Ma anche in
questo è stato testimone e maestro, perché ha vissuto, come Cristo, quella che Luigino Bruni ha affermato essere «il mistero di solitudine che è proprio di ogni profeta».
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V ITA DI S EMINARIO
IL CAMBIO DELLA GUARDIA…
ARRIVI E PARTENZE IN SEMINARIO
LA COMPOSIZIONE DELL’EQUIPE PER IL
NUOVO ANNO FORMATIVO
di CHRISTIAN LEFTA
SECONDO ANNO
I
n questo nuovo anno formativo che si spalanca davanti a noi,
gravido di eventi, il pensiero della comunità del seminario di
Posillipo non può che volgersi ai formatori che nel giugno scorso hanno concluso il loro impegno in questa “palestra di vita evangelica”, e ai nuovi animatori che da settembre si sono aggiunti all’equipe formativa. Sono questi, per ognuno, giorni di
fermento e nel petto del seminario si sente battere un cuore
bifronte: se guardiamo indietro, il ricordo ancora vivo del ministero che don Carmine e padre Angelo hanno vissuto tra queste
mura ci apre al senso di riconoscenza e pone sulle nostre labbra un “grazie” sincero; se guardiamo
avanti, invece, il vento di bonaccia che accompagna l’approdo di don Luca e don Rito ci conferma nella speranza che la Grazia ci addita la rotta in mezzo ai flutti del tempo e ricomincia a soffiare nelle nostre vele. Vediamo insieme chi sono.
IN PARTENZA…
Padre Angelo Schettini sj, presbitero della Compagnia di Gesù, ha guidato la comunità
dell’attuale terzo anno attraverso il biennio. Ha salutato la comunità di Posillipo nella celebrazione eucaristica inter-comunitaria del 29 maggio.
Don Carmine Fischetti, presbitero del clero dell’Arcidiocesi di Sant’Angelo dei Lombardi-ConzaNusco-Bisaccia, ha guidato la comunità del precedente quinto anno lungo il triennio teologico, si
è congedato dall’esperienza di formatore nella celebrazione inter-comunitaria del 5 giugno.
IN ARRIVO…
Don Luca Tufano, presbitero della Diocesi di Nola, ha accettato di accompagnare la comunità
dell’attuale primo anno, si è presentato a noi tutti presiedendo la celebrazione eucaristica di giovedì 23 ottobre.
A don Rito Maresca, presbitero dell’Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, è stata affidata la cura formativa della comunità dell’attuale terzo anno, ha inaugurato il suo anno formativo
celebrando la messa inter-comunitaria di giovedì 16 ottobre.
Questo spazio d’informazione, inoltre, offre a chi scrive l’occasione per esprimere ulteriore gratitudine nei confronti di padre Roberto Del Riccio sj, già rettore del Seminario, che il 20 novembre ha portato a compimento cinque intensi anni di prezioso lavoro a servizio del popolo di Dio; una menzione
altrettanto particolare merita il neo-rettore, padre Franco Beneduce sj. Auguriamo a padre Franco e
a quanti lo affiancano nell’azione educativa un ministero sereno e fecondo e a noi tutti buona navigazione!
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IL SALUTO DEL NUOVO RETTORE
AI SEMINARISTI
P ADRE F RANCESCO B ENEDUCE SJ , RETTORE DEL
P ONTIFICIO S EMINARIO C AMPANO I NTERREGIONALE
di P. FRANCESCO BENEDUCE
RETTORE
DEL
SJ
SEMINARIO
I
l Seminario di Posillipo non è una realtà a me sconosciuta. Infatti, qui nel giugno del 1980 terminavo
il mio percorso formativo quinquennale. Nell’ultima fase formativa, avvertivo una chiamata sì al sacerdozio, ma che chiedeva anche la disponibilità ad andare dovunque ci fosse stato bisogno di portare il
Vangelo; nell’estate dello stesso anno, concluso il discernimento spirituale, con la benedizione dei miei
superiori diocesani, fui accolto nel noviziato della Compagnia di Gesù. Negli anni successivi, completata
la formazione da gesuita, ho svolto il mio ministero in diversi luoghi, in Italia e fuori, lavorando prevalentemente nell’apostolato giovanile.
Non avevo mai pensato a Posillipo come possibile destinazione, pur essendo un ambiente di formazione
dei giovani. Ora l’obbedienza mi riconduce qui. Nella sorpresa dell’inatteso, sono contento. Adesso che
è una realtà, il primo moto che sento dentro di me è la gratitudine al Signore Gesù per quegli anni trascorsi qui, per tutto ciò che ho ricevuto e quindi per tutti coloro che si presero cura di me: religiose, gesuiti, professori, presbiteri animatori, i compagni seminaristi di comunità d’anno e i tanti dell’intera comunità del seminario. Il ricordo di ciascuno non ha mai smesso di farsi preghiera.
Come mi accingo a vivere questa nuova missio?
Rispetto ad altri ministeri svolti finora, qui sento che la tensione a conoscere gli elementi essenziali è minore, naturalmente. La familiarità con il luogo e la conoscenza del percorso sperimentato sulla mia pelle, non tolgono però il senso di “timore e tremore” di chi è invitato a togliersi i sandali, perché cammina
su un terreno sacro. Il terreno è la vita di ciascun seminarista, la sua storia personale, la sua biografia familiare e soprattutto la consapevolezza dell’innesto di Dio nella sua esistenza e l’appello a seguirLo, che
a più riprese egli fa scaturire nel cuore di ciascuno.
Affidare la propria vita alle mani di Dio (cfr. Sal 31,6) è il tema scelto per quest’anno, come punto unificante del percorso formativo. Mi piacerebbe, con tutta l’équipe formativa, essere compagno di strada di
coloro che il Signore, tramite i vescovi, ci affida per essere futuri presbiteri secondo il Suo cuore per il terzo millennio. A ciascuno vorrei testimoniare che vale sempre la pena mettersi nelle Sue mani; di non aver paura del Dio di Abramo, che mantiene le sue promesse, sempre.
Due punti di riferimento mi sosterranno nella nuova missio. In primo luogo, il solco della spiritualità ignaziana, che ha in Cristo Gesù la sua centralità. Il magis, che è il desiderio di voler assomigliare sempre di
più a Gesù, unico vero pastore e sul suo esempio educarci alla cura personalis, fatta di attenzione per ciascuno. In secondo luogo, il desiderio di formare i nuovi presbiteri alla luce delle indicazioni della CEI, che
invita tutta la Chiesa italiana a sentirsi chiamata a dare nuovo impulso all’impegno missionario.
«Di fronte a questa prospettiva, la comunità educativa del seminario è chiamata a: rafforzare nei seminaristi la
passione evangelizzatrice e missionaria, superando la ritrosia a cimentarsi con la complessità dei dinamismi
sociali e la tentazione del ripiegamento intra-ecclesiale; promuovere in loro la capacità di lettura teologica della
storia e di dialogo con la cultura contemporanea; trasmettere loro la stima per i carismi e i ministeri dati a tutti i
fedeli, consolidando l’attitudine a progettare e lavorare insieme»
(CEI,La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana, n. 2)
Chiedo a tutti, alunni ed ex alunni sparsi qua e là nel meridione d’Italia, di ricordarci nella loro preghiera,
perché possiamo essere tutti, presbiteri e seminaristi, sempre più caratterizzati da un amore grande per
il Signore Gesù e da una certa audacia apostolica che incarni il Vangelo nei solchi dei cuori della nostra
gente, in tutti gli ambienti, anche quelli apparentemente refrattari e ostili, ricordando che Egli «ha un
popolo numeroso nelle nostre città» (At 18,10).
15
BUEN CAMINO!
IL SALUTO DEL RETTORE USCENTE PADRE ROBERTO DEL RICCIO SJ
AL TERMINE DEL SUO MANDATO
di P. ROBERTO DEL RICCIO
RETTORE
EMERITO DEL
SEMINARIO
SJ
È
ormai giunto il momento di passare il testimone. Dopo cinque anni di servizio come rettore del nostro seminario di Posillipo il Padre Provinciale mi ha chiesto di
tornare al servizio di docente in teologia dogmatica della Pontificia Facoltà Teologica
dell’Italia Meridionale presso la Sezione san Luigi. Lascio, dunque, l’incarico in seminario, ma per rimanere con un altro compito qui a Posillipo e così continuare a contribuire ad un’opera preziosa, di cui la Compagnia di Gesù in Italia ha la responsabilità.
Alla fine di questi anni di rettorato sento una profonda gratitudine per quanto il Signore Dio mi ha permesso di vivere. Tra le tante situazioni per le quali sento di poter dire
grazie al Signore desidero condividerne alcune, che hanno maggiormente contribuito
a farmi crescere come uomo, come cristiano, come prete.
La mia vocazione presbiterale è una vocazione educativa. È nata grazie all’esperienza
di bene che i miei educatori laici nell’arco della mia infanzia e adolescenza mi hanno
donato e ha trovato in alcune figure di preti che mi hanno accompagnato nella giovinezza la forma concreta in cui identificarmi e alla quale desiderare di tendere.
Come loro, laici e presbiteri, ho sempre desiderato mettermi a servizio prima dei più piccoli, poi di tutti coloro che avessero bisogno di qualcuno che li accompagnasse nel cammino di scoperta della propria vocazione, della propria personale forma di risposta alla chiamata che Dio fa a ciascuno. Mai avevo pensato che, per me, questo potesse concretizzarsi nel servizio di rettore di un seminario maggiore. Certo è, che da subito ho sentito di essere nel mio mondo. Per me, ex educatore scout, è stato come vivere un sogno: un campo scuola di nove mesi, in cui vivere e condividere la vita di tutti i giorni
con i giovani che il Signore mi affidava. Accanto ai giovani il Signore ha poi posto dei compagni che
con me hanno condiviso non solo le responsabilità, ma soprattutto la passione educativa. Alcuni di
essi sono miei confratelli gesuiti, altri preti diocesani. Tutti egualmente donati a questo servizio bello,
ma anche particolarmente esigente, soprattutto quando costringe il prete ad essere lontano dalla sua
terra e dalla sua gente, dall’annuncio diretto del Vangelo: don Giosuè Di Virgilio, don Rocco Picardo,
don Marco Fois, padre Ugo Bianchi, padre Andrew Bobola, don Carmine Fischetti, don Armando Nugnes, padre Angelo Schettini, padre Claudio Rajola, don Bartolo Puca, padre Nicola Bordogna, don
Luca Tufano e don Rito Maresca.
A tutto questo si aggiunge la gratitudine per la possibilità che mi è stata donata di imparare a esprimere affetto a chi mi è stato affidato, i giovani e i formatori. La cura delle persone e del loro cammino,
la condivisione della vita ordinaria ha risvegliato quel tono affettivo che in me era ancora dormiente,
permettendomi di lasciare emergere e comunicare una tenerezza che non pensavo di possedere.
Infine, un grazie per l’occasione di vivere più in profondità la chiesa locale, attraverso i contatti che
offre il servizio di rettore di un seminario maggiore interdiocesano ed interregionale con più di cento
anni di vita: ex alunni di molte regioni d’Italia, vescovi e clero delle diocesi che hanno avuto e hanno da
noi i propri seminaristi, i rettori e i formatori dei seminari della regione Campania e dei regionali
d’Italia.
Al mio successore, P. Franco Beneduce, auguro anni altrettanto e, se possibile, ancora più ricchi delle
benedizioni che Dio promette a chi si affida a Lui e a tutti voi il Signore doni un buen camino!
16
I N… F ORMAZIONE
“PARTIRE”: VOCE DEL VERBO
“AFFIDARSI”
IL
TEMA FORMATIVO DELL ’ ANNO INTERPRETATO E VISSUTO
NELLA GRAZIA DELL ’ INIZIO
di GIOVANNI NAPOLITANO
PRIMO ANNO
U
na canzone di Bob Dylan “Blowin’ in the wind” fa cantare
che, mentre la vita si dona, sta soffiando nel vento la risposta alle domande della nostra esistenza. Soffia in quel vento
che tutto disperde nei vortici del nulla, e quando smette, giunge
la voce dello Spirito che chiama e dice “vieni”.
Da Cristo, l’uomo sa di essere chiamato alla radice del proprio
essere a “divenire creatura nuova”, ad accettare la personale
vocazione ascoltando la soggettività di un imperativo interiore,
che ha aspetti trascendentali. Ciò significa dare realizzazione a
un’introspezione del sé profondo che non si vede nella fenomenologia dei comportamenti, ma che agisce come un archetipo
della propria natura. Viktor Frankl uscito vivo dal lager, consolidò alcune convinzioni già intuite prima di entrare in quel luogo
spaventoso. Egli notò che i più resistenti fra gli infelici che popolavano i campi di concentramento, erano quegli uomini per i
quali la vita conservava un significato, una vocazione. E il tema
della vocazione nella vita di una persona, è la ragione del profondo bene-essere. La vita diventa una vocazione, e dunque un
cammino di sequela fatto di tentazioni e di prove che possono
farci cadere, ma non rimarremo a terra, perché l’amore di Dio,
come la mano di un padre, è pronto a risollevarci, attraverso il
pentimento, l’inquietudine, e il sacramento della riconciliazione. Ciò risulta meraviglioso e tremendum insieme.
Gesù ha scelto dei pescatori che volevano bene alle loro reti, ha cercato dei pubblicani presi dai loro
affari, ha preso persone che avevano la vita già compromessa nella realtà di questo mondo, e ha teso
loro la mano. Come al ladro Zaccheo divenuto un figlio di Abramo, come alla prostituta che ha scoperto il “molto amore”, come all’adultera uscita viva dal cerchio dei lapidatori, come ad un pescatore
impetuoso e fragile divenuto una pietra, come ad una donna che ha cinque mariti che ha conosciuto
“il dono di Dio”, come all’incredulo Tommaso tra i beati che “credono senza aver visto”, come
all’agente delle tasse divenuto un evangelista. Mai sono state narrate vocazioni con così poche giustificazioni, senza motivazioni psicologiche, ma solo con un fisico seguire quel Gesù che non ci “chiama
più servi, ma amici”.
Il Signore ci dona esempi luminosi di uomini e donne che si fanno offerta, a conferma che a tutti è data la possibilità di conversione. Affidiamo alle sue mani la nostra vita perchè “il Signore fa sicuri i passi
dell’uomo”, e questo essere tenuti per mano è una stupenda garanzia offertaci da un Dio che ci ama.
Fissiamo anche gli occhi su di Lui, troveremo già fatto e detto più di quanto chiediamo e desideriamo.
17
“ALLE TUE MANI AFFIDO LA VITA”:
IL TEMA DELL’ANNO FORMATIVO
UNA RIFLESSIONE SUL TEMA DELL’ANNO A PARTIRE DALLA PROPRIA
di RAFFAELE FARINA
ESPERIENZA FORMATIVA IN SEMINARIO
QUINTO ANNO
G
uardare a questo quinquennio di formazione e di cammino in
seminario dalla prospettiva dell’ultimo anno provoca nel cuore
una moltitudine di sentimenti e stati d’animo che, talvolta in contrasto tra di loro, faccio difficoltà ad esprimere, soprattutto dovendoli
condensare in queste poche righe.
Dall’esterno si potrebbe incorrere nel rischio di considerare il seminario come un percorso che, progressivamente, rende capaci di camminare autonomamente, quasi come se fosse una scuola per divenire autonomi. Se fosse stato questo, mi sentirei di dire che lo avrei
avvertito fallimentare perché, ad oggi, devo riconoscermi inadeguato e incapace di camminare da solo.
Questi anni sono stati un tempo per sperimentare la sterilità del fare
da solo, l’infertilità di chi ostinatamente vuole prescindere dall’altro, anche quando talvolta l’altro è Dio.
Contemporaneamente e provvidenzialmente, però, questo tempo è stata una scuola di umanizzazione,
occasione per far maturare nella coscienza la richiesta che anche la volpe – secondo la preziosa lezione
di Saint-Exupéry – aveva mosso al piccolo principe: «per favore, addomesticami».
Come dono provvidenziale, il tema annuale che farà da fil rouge a quanto la formazione prevede, Alle
tue mani affido la vita, può rappresentare la chiave di lettura della mia intera esperienza quinquennale in
seminario. In fondo a questo percorso nasce la consapevolezza, maturata a fondo nella grazia degli esercizi spirituali vissuti a Montauto (AR), di ritornare continuamente al padre che, innamorato del suo
figlio, perdutamente lo attende a quell’uscio (Lc. 15, 20). E sicuramente ancora mi sta attendendo! Sarà
un nuovo affidarmi. Anch’io, come il figlio che nella sua energica giovinezza rischia di pianificare la propria vita oltre il progetto per eccellenza, finisco, a volte, per non affidarmi. Il tema di quest’anno, anche
rispetto al pensiero che, inevitabilmente, varca giugno e con paura si affaccia oltre, è l’invito a non progettare, a lasciar fare con la sicurezza nel cuore che questa casa è affidata ad un buon architetto. Progettare a volte è non affidarsi, è organizzare l’esistenza prescindendo da Gesù che aveva pensato altre
strade, altri cantieri dove già aveva, dall’eternità ,cominciato a lavorare.
Oggi, faccio l’esperienza di un bambino che, bisognoso del proprio papà, non teme il pericolo, non perché non ce ne siano, bensì perché non è da solo. Forse la sfida è proprio quella di sapere essere bambini,
di riconoscersi i piccoli di cui Gesù parla che, vincendo le pretese orgogliose del cuore e quegli sguardi
levati con superbia (Sal. 130), sanno ancora riconoscersi figli. Nel creare legami – non nello svincolarsi
dai legami per l’ingannevole pretesto di autonomia – e nel riconoscere Dio come creatore e vasaio (Ger.
18, 1-6) sperimento la libertà di chi non ha da affannarsi per i propri progetti ma che vive i suoi piani nella progettualità di Dio. Interessante, inoltre, che lo slogan di questo anno formativo sia lo stesso che la
liturgia delle ore propone nella preghiera della compieta: un affidarsi che si cala nell’ordinarietà della
vita vissuta tra possibilità e limiti, tra ripiegamenti e abbracci, tra partenze e ritorni. Solo partendo è
possibile anche ritornare. Che cos’è l’affidarsi, se non quel desiderio di ripartire talvolta dall’ultimo posto oltre il limite che, attanagliandoci, vorrebbe scoraggiarci? In questa ostinazione a ripartire continuamente, affidandomi al Signore, punto alla santità.
18
LO “STAGE” PASTORALE:
CROCE E DELIZIA DEL SEMINARISTA
LA PROPOSTA DELL’EQUIPE FORMATIVA DEL SEMINARIO ILLUSTRATA
DA UN FORMATORE DEL BIENNIO
di P. NICOLA BORDOGNA SJ
ANIMATORE
DEL
SECONDO ANNO
L
o stage pastorale, come viene definito nel documento La formazione dei presbiteri nella Chiesa
Italiana del 2006, si inserisce a pieno titolo nell’itinerario di formazione previsto dalla CEI. Tuttavia lo stesso stage pastorale viene spesso percepito, almeno inizialmente, come una spiacevole interruzione di un percorso che, per quanto articolato, ha oggettivamente una sua linearità. Sembra dunque esistere una certa difficoltà nel tenere insieme la dimensione oggettiva e quella soggettiva del
cammino formativo verso il ministero ordinato da parte dei diversi attori coinvolti nel processo. Pertanto mi sembra possa aiutarci nel tentativo di tenere insieme queste due istanze del cammino di formazione quanto Henry Nouwen riporta in uno scritto dal titolo significativo: Le interruzioni che modellano.
«Durante una visita all’Università di Notre Dame, dove avevo insegnato per qualche anno, ho incontrato un vecchio professore, pieno di esperienza, che vi aveva trascorso gran parte della sua
vita. E, mentre passeggiavamo per lo stupendo campus, egli disse con una punta di malinconia nella voce:
“Sai....per tutta la vita ho protestato perché il mio lavoro veniva interrotto continuamente, finché
ho scoperto che quelle interruzioni erano il mio lavoro”
Noi guardiamo forse spesso ai vari avvenimenti della nostra vita come interruzioni, grandi o piccole,
che interrompono i nostri piani, i nostri progetti, i nostri disegni di vita?
Non protestiamo internamente quando uno studente interrompe la nostra lettura, il cattivo tempo
la nostra estate, la malattia i nostri progetti bene elaborati, la morte di un amico la nostra pacifica
quiete mentale, e le svariate e discordanti realtà dell’esistenza i sogni che avevamo sognato?
E questa serie di interruzioni senza fine non produce forse nel nostro cuore sensi di rabbia, di frustrazione e anche di vendetta, tanto che a volte ci appare realmente possibile che vecchiaia sia sinonimo di amarezza?
Se invece le interruzioni fossero in realtà delle opportunità , se ci sfidassero ad una risposta interiore che dà luogo ad una crescita, facendoci giungere alla completezza dell’essere?
E se gli avvenimenti della nostra storia ci modellassero come lo scultore modella l’argilla, per cui
solo obbedendo assiduamente a queste mani che ci modellano si possa scoprire la nostra vera vocazione, diventando così persone mature?
E se le interruzioni improvvise non fossero, di fatto, altro che inviti ad abbandonare i modelli di vita
antiquati e fuori moda, dischiudendoci campi di esperienza nuovi ed inesplorati?
Infine: se la nostra storia si rivelasse non come una sequenza cieca ed impersonale di eventi che non
possiamo controllare, bensì come una mano che ci guida verso un incontro personale in cui tutte le
nostre speranze e le nostre aspirazioni saranno soddisfatte?
In questo caso, la nostra vita sarebbe una vita diversa, perché il fato diventerebbe occasione, le
ferite avvertimento, e la paralisi invito a cercare sorgenti più profonde di vitalità .
In questo caso, potremmo cercare la speranza nelle città che piangono, negli ospedali in fiamme,
nella disperazione dei genitori e dei figli.
Allora potremmo respingere la tentazione a disperare, parlando invece dell’albero che fruttifica,
mentre osserviamo la morte del seme.
Allora potremmo in verità evadere dal carcere dell’anonima serie di eventi per prestare orecchio
attento al Dio della storia che ci parla dal centro della nostra solitudine, rispondendo al suo appello,
sempre nuovo, per la nostra conversione».
19
TI RACCONTO LA MIA ESPERIENZA:
LO “STAGE” PASTORALE
di ANTIMO FEMIANO
TERZO ANNO
2
1 settembre 2013: nuovo anno formativo a Roma. La novità quasi sempre spaventa. È capitato
anche a me quando mi è stato proposto di vivere l’esperienza formativa fuori dal contesto del seminario. Arrivato a Roma, nella comunità dei padri gesuiti di Sant’Andrea al Quirinale, sono stato accolto nel migliore dei modi da coloro che sarebbero stati i miei punti di riferimento educativi e formativi: p. Giovanni La Manna, p. Camillo Ripamonti, p. Renato Colizzi. Potrei dire che questo è stato
l’anno della carità. Sono stato a contatto con la realtà delicata della povertà e del bisogno.
Ho svolto un servizio pastorale presso alcuni centri di accoglienza e dormitori per rifugiati coordinati
dalla JRS (Jesuit Refugee Service): il centro Astalli, il centro San Saba, la Casa di Giorgia.
Quanta ricchezza, quanta presenza di Dio in quei volti che chiedevano cibo, ascolto, amore! Quello
che nella vita si presenta come “male” – come all’inizio mi appariva la proposta di andare a Roma – si
è tramutata in bene e in felicità.
Stare lontano dalla mia terra, dalle mie relazioni quotidiane, dalla mia Chiesa diocesana mi ha permesso di vivere la dimensione propria della Chiesa: l’universalità. Sento di aver vissuto un po’
l’esperienza di Abramo. Attraverso le varie attività che ho vissuto durante questa esperienza ho potuto riflettere su me stesso, sulla vocazione al sacerdozio che sento nel cuore e sulla mia umana fragilità
che è stata continuamente messa alla prova dalla responsabilità del servizio. Molto forte è stata
l’esperienza spirituale: l’incontro vivo e diretto col Cristo sofferente. Gesù stesso ha pian piano convertito il mio cuore rendendo più chiaro il germe di vocazione che ha piantato in me. Come ogni esperienza di vita, non sono mancati i momenti difficili e di prova che, presentati al Signore, sono divenuti
motivo di forza e spinta spirituale. Un anno di grazia. Davvero!
di FRANCESCO PISCITELLI
QUINTO ANNO
D
urante la formazione in Seminario ho vissuto due anni straordinari di esperienza fuori sede a San Giorgio di Piano in provincia di Bologna. Ho
condiviso l’esperienza di Maranà-tha una comunità di famiglie, (…) che accoglie
bambini attraverso l'affidamento familiare, donne sole con bambini, nuclei familiari in difficoltà, persone con disagi psichici e sociali, persone in discernimento vocazionale. Questa comunità ha ricordato al mio cuore che c’è bisogno
non solo di accoglienza materiale, ma anche umana ed affettiva. L’accoglienza
si traduce in accettazione dell’altro con i suoi pregi e con i suoi difetti, come tenerezza e ascolto.
L’icona della comunità
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Maranà-tha è stata scuola di lavoro, un lavoro che diventa fonte di valorizzazione per se stessi, e in cui si
riscopre la bellezza della vita nella sua concretezza e fatica.
Maranà-tha è stata casa anche di preghiera: una preghiera che diventa incontro con Dio e aiuto concreto
per il fratello in difficoltà. Maranà-tha si è dimostrata un’esperienza per capire che siamo tutti diversi,
tutti fragili, tutti deboli, tutti limitati ma, soprattutto, tutti uomini. Uomini fino in fondo, uomini amati da
Dio per quello che siamo.
Maranà-tha è stata per me luogo per poter incontrare Dio in tutto e in tutti. Infatti, studiando, giocando,
lavorando, condividendo, soffrendo ti metti in gioco fino in fondo e cerchi di fare esperienza del Dio di
Gesù Cristo che si cela dietro ogni persona ed ogni situazione per sostenerti e confortarti.
di ROBERTO DONATIELLO
TERZO ANNO
I
nteriorizzare un’esperienza, così particolare e intensa come quella che ho vissuto, è stato come un
cammino di discernimento vocazionale, accogliendo, vivendo e sintetizzando una proposta diversa
Mi fu proposto di cominciare un cammino fuori dalle mura del seminario svolgendo il mio servizio pastorale all’interno della Comunità Maranà-tha. La comunità, insediata in un casolare, è composta da diverse
famiglie che vivono l’ideale evangelico di comunione occupandosi di bambini e ragazzi con disagi familiari.
Potevo semplicemente aspettare un anno, lasciar scorrere su di me questa esperienza, compiere una serie di gesti automaticamente: la sfida è stata quella, appunto, di interiorizzare una proposta, di farla mia.
Ho compreso, infatti che a volte non basta soltanto vivere un’esperienza, per poi lasciarsela alle spalle,
ma a conclusione di essa è opportuno constatarne i frutti, farne tesoro, gioire e gustare di essi.
La gioia di tale missione è stata quella di mettersi a disposizione della comunità svolgendo ogni tipo di
mansione riguardante la manutenzione della struttura e del verde adiacente ad essa. Ancora più bello è
stato condividere la propria vita ordinaria in compagnia di persone diversamente abili, mentalmente e
fisicamente, ma è stato in particolar modo entusiasmante scoprire che dedicando – per qualcuno sarebbe stato solo un perdere – del tempo in loro compagnia ho riscoperto l’autenticità del Vangelo nelle parole di Gesù quando ci dice che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (At. 20, 35).
Sono grato per questa esperienza perché mi ha insegnato ad apprezzare i doni che il Signore mi ha dato,
donandomi la capacità di poterli mettere a disposizione di tutti coloro che ne hanno bisogno nella completa gratuità del servizio.
LO “STAGE” NEI DOCUMENTI
108. Dal punto di vista soggettivo, l’itinerario dovrà tener conto del grado di maturazione dei singoli e
potrà essere più articolato, includendo, a seconda delle necessità, la possibilità di stages pastorali. Si
tratta di periodi in cui un seminarista, vivendo generalmente in una parrocchia, è impegnato in un programma di lavoro, studio, attività pastorali e accompagnamento educativo, pensato su misura per lui,
allo scopo di verificare e rafforzare gli aspetti in cui deve crescere.
(CEI, La formazione dei presbiteri nella Chiesa Italiana, 2006)
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ESPERIENZE ESTIVE
L’ECO DEL MESE
IGNAZIANO
di VINCENZO VITIELLO
UN BIGLIETTO DI UN SEMINARISTA AL RIENTRO DAL
MESE DI ESERCIZI SPIRITUALI
QUINTO ANNO
Vincenzo è un seminarista della diocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, in formazione al quinto anno. Di recente ha vissuto l’esperienza del mese di Esercizi Spirituali (dal 8 agosto al 7 settembre) presso la casa per esercizi
“villa S. Giuseppe” a Bassano del Grappa (VI). Gli esercizi sono stati guidati da p. Mario Marcolini sj e
sr. Gabriella Mian AdGB, secondo l’articolazione delle quattro settimane proposta da S. Ignazio di Loyola.
Biglietto Spirituale, niente di diverso.
“Il mese ignaziano è uno spartiacque” è una citazione che in realtà non esiste e
che qui uso per vincere il complesso della prima riga. Ma il fatto che non esiste
non dice nulla della sua veracità. In effetti il mese è stato per me un poco uno
“spartiacque” tra le “turbolente dialettiche coppie” della mia vita di cui già sento
il profumo della futura sintesi guardando alla mia storia, guardando a come il
Signore, di tanto in tanto, ha fatto in me “dei due un uomo solo”, come è venuto
con una ipotesi terza tanto sconosciuta e cara che ho abbandonato le mie due
perché troppo meschine. Scrivo adesso come a un bambino, scrivo, racconto pagine, capi scoperti di copertina, rilegate sole alla Vita che le tiene disordinate e
sorride. “C’è un ordine. Credi?” mi dice; ne tira fuori le righe quando ne ho bisogno. E sorride. Ti scrivo e me ne pento, ti consegno il fianco, premo sui tasti una
ulteriore sentenza contro la mia storia o trascino le mani sul mio testamento,
personale esperienza del Testamento: dipende da te.
Il mese è uno spartiacque come quel tempo che consegna un neonato dalla voce
alle braccia della madre; il mese è uno spartiacque come quel tempo che consegna al figlio la vera voce della madre prima solo sentita attraverso liquidi e tessuti che ne attutivano la vitalità. Al mese sono nato. Prima del mese ho sentito
la Parola ed era tutto, ma l’ho sentita come nel grembo e spesso l’ho rifiutata; al
mese ho cominciato a sentirla come un neonato e spesso l’ho rifiutata.
Spero che il mio niente sia servito al tuo desiderio di Dio. Ti benedico per come
posso. Ti lascio con ancora una citazione.
Cercavo giustizia, cercavo libertà, cercavo diletto, cercavo rispetto, cercavo Cristo, cercavo maturità, cercavo perennità, cercavo bellezza, cercavo certezze,
cercavo me stesso, cercavo l’amore, cercavo vittoria, cercavo l’amico, cercavo
l’odio, cercavo la fuga. Cerco ancora, ma m’importa di Dio.
Vincenzo
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IL PELLEGRINAGGIO IN POVERTÀ:
SEGUIRE CRISTO AVENDO SOLO CRISTO
IL RACCONTO DI UN’ESPERIENZA INTENSA DI AFFIDAMENTO
PROPOSTA AL QUARTO ANNO DI FORMAZIONE
di GIANPAOLO MAZZEO
QUINTO ANNO
I
l pellegrinaggio in povertà è stata un’esperienza significativa, che mi ha arricchito umanamente e
spiritualmente. L’esperienza del pellegrinaggio di povertà consiste nel partire a piedi da un luogo
per giungere a un altro senza aver nulla con sé, in povertà assoluta, nemmeno quella “corazza” che
potrebbe essere l’etichetta di seminarista. Con i mie compagni, Alessandro Miraglia e Vincenzo Mancusi, dal 9 al 24 luglio abbiamo percorso l’Umbria partendo da Spoleto per giungere al monte de La
Verna, sulle ombre del santo povero per eccellenza: Francesco. Proprio come il santo di Assisi, il pellegrinaggio è stato una scuola di umiltà: non avere nulla, chiedere ospitalità, sperare nell’aiuto degli
altri.
Come dice Sant’Ignazio nelle Costituzioni della Compagnia di Gesù, il pellegrinaggio e il chiedere
“l’elemosina di casa in casa” aiuta a umiliarsi, a fidarsi davvero solo di Dio.
La fiducia nella Provvidenza ti apre il cuore, ti rende sicuro e felice, anche se sembra che non hai nulla. Abbiamo sempre trovato qualcuno che ci ha accolto, un sorriso ospitale, braccia aperte e persone generose. Tra i
tanti volti e le tante storie incrociate, proprio alcune
suore di clausura sono state tra le più ospitali. Le monache ci hanno fatto sentire la tenerezza di Dio. Con loro
abbiamo pregato, e condiviso una tappa del nostro
cammino. E come poter dimenticare il vescovo di Gubbio che ci ha accolto e celebrato con noi l’Eucaristia. A
ogni luogo e città, siamo stati arricchiti da incontri preziosi, abbiamo superato gli inevitabili timori per
l’ospitalità della notte. Molte volte proprio quando pensavamo che non avessimo trovato altro che porte chiuse, abbiamo fatto invece esperienza della Provvidenza.
Ricordiamo ancora il suono delle parole di chi ha percorso e alleviato un tratto del nostro sentiero: da lontano si
tesse il filo invisibile della preghiera.
«Gli scolastici prima d’essere approvati
e di fare i voti e la promessa di cui si è
parlato sopra, per lo spazio di tre giorni
e ai tempi per loro stabiliti, sull'esempio
dei primi compagni, devono chiedere
l'elemosina di porta in porta per amore
di Dio nostro Signore. In tal modo, in
contrasto con il sentimento comune
degli uomini,a lode e servizio di Dio,
potranno meglio umiliarsi e far maggiore profitto nello spirito, dando gloria a
sua divina maestà».
(IGNAZIO DI LOYOLA, Costituzioni della
Compagnia di Gesù, n. 82).
Ed anche i paesaggi meravigliosi e le Chiese medievali che custodiscono patrimoni di fede sono stati i
degni compagni di un’esperienza di fede completa e profonda.
Dopo molti giorni di cammino, stanchi e felici, siamo giunti a La Verna. Su quel monte abbiamo pregato San Francesco, lodando con lui il Signore perché ci ha fatto continuamente sentire la sua bontà.
Il pellegrinaggio ci ha aiutato a comprendere come anche la nostra vita di fede deve attraversare e
superare tante tappe, incontrare volti nuovi, imparare a crescere superando la stanchezza ma soprattutto ci ha fatto comprendere che l’unica certezza è che Dio non ci lascia mai, ma, anzi, ci precede e
non ci fa mai mancare nulla. In questi giorni di grazia, abbiamo capito la verità profonda del Signore
che ci invita a guardare gli uccelli del cielo e i gigli del campo, cioè ad avere fiducia in Lui. Noi davvero
valiamo più di molti passeri (Mt 6, 25-34).
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Alla fine del nostro cammino, in maniera provvidenziale, abbiamo incontrato un nostro amico di comunità che era in pausa durante il mese ignaziano. Scambiare due chiacchiere con lui, condividere le
diverse esperienze dell’unico Dio è stato bellissimo quanto inaspettato. Ancora una volta il Signore ci
ha sorpresi e ci ha fatto gustare come lui rinnova le amicizie se fondate in lui. Ho riflettuto come, proprio mettendosi in cammino con Dio, è possibile sentire la bellezza delle libertà, dell’essere accompagnati da un amore invisibile e concreto, che ti sostiene nei momenti bui, quando non ce la fai più a
camminare.
Ringrazio il Signore per tutto questo e so che continuerà ad accompagnarmi nel mio cammino di sequela. Auguro che molti possano fare la mia stessa esperienza di povertà, mettersi in cammino senza
contare sui propri mezzi, affrontando le paure e l’incertezza per scoprire dietro a ogni angolo la presenza di Dio che non ci lascia mai. In fondo è questo vivere secondo il Vangelo.
Che cos’è allora questa povertà con cui Gesù ci libera e ci rende ricchi? È proprio il suo modo di amarci, il suo farsi
prossimo a noi come il Buon Samaritano che si avvicina a quell’uomo lasciato mezzo morto sul ciglio della strada (cfr
Lc 10,25ss). Ciò che ci dà vera libertà, vera salvezza e vera felicità è il suo amore di compassione, di tenerezza e di condivisione. La povertà di Cristo che ci arricchisce è il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri
peccati, comunicandoci la misericordia infinita di Dio. La povertà di Cristo è la più grande ricchezza.
(PAPA FRANCESCO, Messaggio del Santo Padre per la quaresima, 2014)
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IO CI STO:
VINCE CHI RIESCE AD ESSERE PIÙ UMANO
UN ESPERIENZA D’UMANITÀ PROPRIO DOVE L’UOMO SEMBRA
ESSERE NEGATO: 15 GIORNI NEL GHETTO
di EMANUELE CAIAZZO
TERZO ANNO
C
i sono momenti della nostra vita in cui rischiamo di vivere in maniera vaporosa, come una nuvola.
Quando da bambini guardavamo le nuvole credevamo – un po’ anche per l’effetto
dei tanti cartoni animati – che ci si potesse camminare sopra, o magari distendersi
come su di un letto e dormire per ore. Ma quando poi cresci, capisci che quei folti
batuffoli non sono altro che acqua condensata: resti deluso per il sogno svanito.
A volte la nostra vita assume contorni simili: all’apparenza può sembrare di realizzare qualcosa di fantastico, che permette di toccare il cielo, ma, concretamente,
non è altro che acqua che lascia gli altri soltanto inzuppati. Assumiamo forme apparentemente consistenti, ma materialmente liquide o, come direbbe qualcuno,
“vulimm fa tropp ‘e filosof!”.
Siamo chiamati, invece, alla concretezza, ad avere mani sporche di mondo che non ha solo la forma
del mio ombelico, ma assume il volto di un altro che è diverso da me, nella forma degli occhi, nel colore della pelle, nell’ampiezza del cuore.
Sono stato a Foggia dal 17 al 31 agosto scorso per vivere questo progetto estivo, che prende appunto il
nome Io ci Sto! nel quale ci si occupa in modo particolare degli immigrati che vengono sfruttati come
braccianti agricoli nell’area della capitanata. Occuparsi di loro significava andare nei luoghi dove queste persone vivevano, a casa loro (nel ghetto di Rignano Garganico, all’ex pista aereoportuale di Borgo
Mezzanone e a Ortanova), per fare scuola d’italiano, ciclofficina e animazione ai bambini. Servizi, questi, che offrivano loro mezzi concreti per potersi relazionare in un paese dove il “negro ha l’ebola”, e
vivere in condizioni di libertà, seppur minima. Basti pensare che il solo possesso di una bicicletta poteva
significare il sottrarsi dalle mani dei caporali. Varie sono state le sfide ho dovuto affrontare lungo quei
giorni.
Con me stesso: vivere giorni di uscita dal quotidiano, togliere tempo alle mie
vacanze estive per far spazio a qualcun altro non è stato uno scherzo. Non nascondo che i primi giorni la mia valigia era sempre pronta per poter andare via
da un momento all’altro.
Con i volontari: la maggior parte dei giovani impegnati in questo progetto estivo erano non credenti. Discussioni, domande: tante sono state le occasioni e i
momenti forti nei quali sono stato chiamato anche a dare ragione della fede
che mi è stata donata.
Con l’immigrato: avere di fronte una persona che ha scritto sulla propria pelle
una storia vissuta tra barconi e sfruttamenti, cambia la tua vita: allarga il tuo
sguardo verso orizzonti dove ci sono persone che, per vivere, lavorano sotto il
sole per 12 ore al giorno, guadagnando solo 35 “miseri euro.
Io ci sto: un impegno, una sfida che viene vinta da chi riesce ad essere più umano, anzi, più umano
insieme a chi umano non lo è più: l’immigrato, lo straniero, colui che per patria ha il mondo intero,
ma un mondo cattivo, che lo sfrutta e lo condanna alla fatica e alla morte.
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EVENTI E RICORRENZE
ORDINAZIONI
DIACONALI
P IERCARLO D ONATIELLO - Arcidiocesi di S. A NGELO DEI LOMBARDI - 28/06/2014
M ARIANO S IGNORE - Arcidiocesi di C APUA - 02/03/2014
F ABRIZIO D ELGADO - Diocesi di T EANO -C ALVI - 27/06/2014
G IUSEPPE D E M ARCO - Diocesi di P OTENZA - 31/10/2014
R AZVAN A NDREI C ADAR - Diocesi di AVELLINO - 23/11/2014
M ARIUS C RISTINEL C ADAR - Diocesi di AVELLINO - 23/11/2014
M ICHELE M ASTROIANNI - Diocesi di A LIFE -C AIAZZO - 07/12/2014
ORDINAZIONI PRESBITERALI
S TEFANO S GUEGLIA - Diocesi di C ASERTA - 25/04/2014
G IUSEPPE A VOLIO - Diocesi di A VERSA - 03/05/2014
A RMANDO B AZZICALUPO - Diocesi di A VERSA - 03/05/2014
M ICHELE M ANF USO - Diocesi di A VERSA - 03/05/2014
A LESSANDRO P ALUMBO - Diocesi di A VERSA - 03/05/2014
D OMENICO P EZZELLA - Diocesi di A VERSA - 03/05/2014
A NTONIO S CARANO - Diocesi di A VERSA - 03/05/2014
G IANFRANCO D EL N ESO - Diocesi di I SCHIA - 27/06/2014
M ARCO D’O RIO - Diocesi di I SCHIA - 27/06/2014
25° ANNIVERSARIO
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DI
ORDINAZIONE PRESBITERALE
A MEDEO D AMIANO - Diocesi di C ASERTA - 25/11/2014
D ONATO B ONO - Diocesi di O TRANTO - 1/04/2014
R OBERTO C ARNEVALE - Diocesi di M ILETO - 27/06/2014
F ERDINANDO D I M AIO - Diocesi di S ORRENTO - C ASTELLAMMARE - 04/10/2014
D ONATO M ANCA - Diocesi di O TRANTO - 29/04/2014
F RANCESCO M AROTTA - Diocesi di T ELESE - C ERRETO - S ANT ’A GATA DEI G OTI - 28/05/2014
M ELILLO S ERGIO - Diocesi di A VELLINO - 09/09/2014
L UCIANO M ICHELI - Diocesi di M ATERA - 18/03/2014
F RANCESCO P ETROSINO - Diocesi di A VERSA - 08/04/2014
T OMMASO D’A USILIO - Diocesi di A VERSA - 22/06/2014
G ENNARO R OMANO - Diocesi di N OLA - 16/09/2014
A RCANGELO R UGGERI - Diocesi di O TRANTO - 15/04/2014
G IUSEPPE S AGLIANO - Diocesi di A VERSA - 17/06/2014
G IOVANNI S CHIAVONE - Diocesi di A VERSA - 03/06/2014
50° ANNIVERSARIO
DI
ORDINAZIONE PRESBITERALE
S.E. M ONS . M ICHELE D E R OSA - Vescovo di T ELESE - C ERRETO - S ANT ’A GATA DEI G OTI - 29/06/2014
D ON E LIO C ATARCIO - Diocesi di C ASERTA - 05/07/2014
D ON A NTONIO T ARTAGLIO NE - Diocesi di C ASERTA - 05/07/2014
D ON M ICHELE N ASUTI - Diocesi di M ANFREDONIA - 05/07/2014
D ON G IUSEPPE F ERRARI - Diocesi di M ILETO - 12/07/2014
D ON A NGELO I ACONO - Diocesi di I SCHIA - 12/07/2014
D ON G IUSEPPE L EOPIZZI - Diocesi di N ARDÒ - G ALLIPOLI - 12/07/2014
D ON D OMENICO P IROZZI - Diocesi di A CERRA - 05/07/2014
D ON A NGELO C RISPINO - Diocesi di A VERSA - 28/06/2014
D ON A LFONSO D’E RRICO - Diocesi di A VERSA - 28/06/2014
D ON F RANCO D ONADIO - Diocesi di A VERSA - 28/06/2014
EVENTI
Il giorno 15 ottobre, alcuni ex alunni del Seminario si sono incontrati con il loro formatore,
don Ettore Franco, per una concelebrazione in
onore del loro 25° anniversario di Ordinazione
presbiterale. A loro e a quanti, per diversi motivi, non sono potuti essere presenti giungano
i nostri più cari auguri di un sereno e
fecondo ministero
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16
PONTIFICIO SEMINARIO CAMPANO INTERREGIONALE
80122 - Via Petrarca 115 - Napoli
081.2466011
www.seminarioposillipo.it/communio