PAROLE BIMESTRALE DI POESIA PROSA E DIALETTO MARZO - APRILE 2014 ANNO XVIII N°2 Maurizio Caruso"Maddalena"acrilico su cartone, cm 50x35, Bologna, 2013 LABORATORIO DI PAROLE Circolo La Fattoria BOLOGNA O “Floriano Fabbi” di Oscar De Pauli O “Il Poeta del mese” Alberto Masala, a cura di Rosalba Casetti. o Incipit: “il mio destino è” da una poesia di Alberto Masala, a cura di Rosalba Casetti o Un contributo di Paola Tosi O Un tema, una discussione a cura di Oscar De Pauli o Visti da Francesco Montori o Scheda di lettura, a cura di Anna Maselli o La poetica narrativa di Marina Sangiorgi o Le pâgine dal dialàtt, a cura di Viviana Santandrea o Incontri, a cura di Angela Falcucci o L’opinione di Cinzia Demi o Il racconto di Nunzio Sipione, a cura di Valeria Bragaglia o Giochi, indovinelli ed altro ancora di Sandro Sermenghi Anno 2014: ventiduesimo anniversario del Laboratorio di Parole Appuntamenti: Giovedì 8 maggio incontro - lezione con il Prof. Jonathan Sisco. Mercoledì 4 giugno alle ore 16:00 presso la “Sala Camino” del Circolo La Fattoria, in via Pirandello 6 a Bologna, festa congiunta per il compleanno di Maria Iattoni (La Regina) e Anna Maria Boriani (la Tesoriera) del Laboratorio di Parole. Rinfresco condiviso. Dal 5 al 8 giugno a Tortoreto degli Abruzzi X^ edizione del “Premio Tortoreto alla Cultura” Abbonamento annuale 5 numeri € 13,00. Una copia € 3,00. Tessera ARCI 2014 € 11,50 Iscrizione 2014 al Movimento Difesa del Cittadino € 1,00 Registrazione Tribunale di Bologna N° 8044 del 18/02/2010 Direttore responsabile Primo Mingozzi Redazione: Anna Maria Boriani, Cinzia Demi, Oscar De Pauli, Nadia Minarelli, Francesco Montori, Gabriella Penzo, Viviana Santandrea, Giovanni Vannini. Stampa: Copisteria Asterisco snc. Pubblicazione a diffusione interna del “Laboratorio di Parole” Proprietà Via Pirandello, 6 - 40127 BOLOGNA - Tel: 051 505117, Fax: 051 6333781, Bar - ristorante. 051 511807 E mail circfatt@iperbole.bologna.it Sito internet: www.circolofattoria.it P. IVA 02552140374 C. FISCALE 80066910375 “Floriano Fabbi” di Oscar De Pauli Floriano Fabbi dal 13 marzo 2014 non c’è più. E’ morto nella sua casa dopo una lunga malattia. Da circa un anno non frequentava il nostro Laboratorio e la sua assenza si è sentita: le battute pungenti e divertenti, le puntualizzazioni storiche sui luoghi significativi del passato (anche i più nascosti e marginali), dell’amata Bologna, la giocosità e la sua generosità sono un ricordo velato e impreziosito dalla nostalgia e dall’orgoglio di essere stati suoi amici e complici nella passione per la poesia, professata dal 1992 assieme a lui nel Laboratorio di Parole. Voglio ricordare che Floriano Fabbi era anche un appassionato e valente scrittore di romanzi gialli e di testi teatrali, anche in dialetto, che si divertiva (e divertiva) a mettere in scena con noi poeti del Laboratorio. Lo ricordiamo grati della sua giocosa umanità e disponibilità. Qui sotto due poesie di Maria Iattoni e di Paola Tosi a lui dedicate. Oscar De Pauli Nel Segno dì Floriano Nel rigore di metrica e di rima caro Floriano tu sempre presente. In Fattoria la tua stesura fina verso il dovuto effetto sorprendente. Nel mio librino molta tua farina col massimo di forza che consente un passo dietro l'altro e qui in cucina la verde copertina del mittente. Tutta Bologna nella tua dottrina cui nessuno restava indifferente mentr'io di radice contadina chissà se dal teatro dell’Eden la tua parola con note d’improvvisazione ancora [regalerà poesia sul tuo aiuto posai sofferente. E la "Natività" scienza divina consegna l'anima all'onnipotente?! a darci il coraggio di sfidare tempeste giocare con le nostre miserie ascoltare l’eco lontana che improvvisa [ritorna ciao floriano Floriano a te un inchino! Il segno della Croce e l'Ave Gloria dentro il tuo segno nella nostra storia. Maria Iattoni (13 Marzo 2014) Paola Tosi 1 Il poeta del mese: Alberto Masala a cura di Rosalba Casetti Alberto Masala è nato nel 1950 in Sardegna e vive a Bologna. È poeta plurilingue, che fa dell’oralità una componente fondamentale del suo linguaggio poetico. Attivo a livello internazionale con performance anche in collaborazione con musicisti, è stato tradotto in diverse lingue. Masala dice della poesia: “La scrittura [...] quella italiana in prima misura, così ombelicale e ombelicata, così ben arrotolata al proprio piccolo ego, mi provocano il silenzio e la lontananza [...] per me la poesia è altro: è la voce di chi ha visto le voci. Il poeta ne raccoglie quelle impedite[. ..] le protegge, in un cammino di sintesi essenziale, vicino allo spirito, le testimonia [...] Dice l’inespresso e l’inesprimibile […]” I testi che seguono sono tratti dal libro Taliban I trentadue precetti per le donne, ETL edizioni 2007 OBBLIGO DI INDOSSARE IL BURKA FUSTIGAZIONE PERCOSSE E INSULTI A QUELLE NON ACCOMPAGNATE DAL MEHRAM pensare sogna deformità poi le nasconde contro il cuore tu mi sei ombra mi circondi con buio mio figlio è il custode del giardino con te posso scendere in un cammino nero entrare dove continuamente cerco dove instancabilmente cerco vedere i sogni neri del silenzio sono fiera di lui è il fedele guardiano delle pietre del ramo che rompe la mia schiena DIVIETO PER UOMINI E DONNE DI nelle viscere ho allevato la condanna VIAGGIARE SULLO STESSO AUTOBUS sputare il sangue della verità la mia gamba non è separabile dall’altra e se una cade l’altra non rimane si spegneranno insieme si può solo tagliare INCIPIT: il mio destino è e quando tutto è separato aspettare la caduta 2 Il poeta del mese: Alberto Masala a cura di Rosalba Casetti DIVIETO DI RICEVERE CURE DA MEDICI MASCHI LAPIDAZIONE PUBBLICA PER QUELLE CHE HANNO RAPPORTI SESSUALI FUORI DAL MATRIMONIO accanto ho sempre un dio la verità è la sua grandezza spesso dorme al mio fianco e mi protegge i miei occhi stanotte si sono amati incestuosi tra immagini di polvere con l’orgoglio di una coppia di fatto prosciuga il desiderio piantando dei coltelli nei miei sogni perché non vedano la luce bevete alla loro salute non ho più sonno non ho più sonno non ho più sonno ho il ventre pieno di coltelli DIVIETO DI ISTRUZIONE IN SCUOLE UNIVERSITÀ O ALTRE ISTITUZIONI non sappiamo contare ma ogni giorno e ogni notte annodiamo DIVIETO DI ANDARE IN BICICLETTA E MOTO ANCHE IN PRESENZA DEL MEHRAM il mio destino è nella fissità se vado è per tornare all’ossessione resto della rinuncia si mangia anche la [scorza tre volte tre volte tre volte ma non passa il respiro se i miei denti si toccano e si stringono e si consumano tre volte la paura della vita sepolta dell’odore di tomba FUSTIGAZIONE PERCOSSE E INSULTI A QUELLE I CUI ABITI NON CORRISPONDONO ALLE PRESCRIZIONI DEI TALIBAN mia figlia sarà madre ed io le insegnerò come uccidere i figli 3 Incipit Il mio destino è il mio fare il fare degli altri, quelli prossimi e quelli remoti. Le leggi della materia. Il mio destino è duro ferro duro acciaio di gabbia e catene loro credono nelle prigioni paura ma non sanno la forza del coraggio che abbatte porte e muraglie. Io ci credo, ci credo, ci credo. Oscar De Pauli Gabriella Penzo Il mio destino è stato un concerto di giovani e compiute emozioni, anche aforismi essenziali imposti. Il mio destino è ciò che non conosco ma non sorprende quanto i giorni consumati, che non riescono a tacere. Elio Manini Piero Saguatti Il mio destino è linea sottile tracciata a mano Passando cancello e ricalco Il mio destino è camminare nutrire, nelle ombre trovate nel cammino, la luce della mia lanterna e portarla a vista, accesa. Valeria Bragaglia Malena Verdoya Per fretta e distrazione o per paura il mio destino è da scontro con la vettura. Il mio destino è […] camminare a piccoli passi dentro il ventre dell’universo. Aurelia Tieghi Maria Iattoni Vittima, fattrice colpevole io, del mio destino di sassi e d’aria di eremo e di demone. Il mio destino è la notte dell’Orsa, quando sfiora l’orizzonte del Nord. Ma riprende il cammino. Angela Falcucci Anna Zucchini Al mî destén l é una vétta insàmm a té: con la piôva e col bèl tänp, sänpr insàmm, sänper par man. Il mio destino è strisciare accanto al bruco lui per la seta, io per la vita. Anna Bastelli Silvano Notari 4 Incipit Il mio destino è vagare senza sosta cercare una risposta, fra gente senza meta che corre dietro al niente. Il mio destino è camuffarmi nascondermi tra le foglie come un camaleonte cambiare colore per sopravvivere Maria Sara Villani Maggi Il mio destino è L’attesa. Aspetterò Ancora e ancora, fino alla mia ultima [pazienza. Graziella Pisani Rosalba Casetti Una giornata il mio destino Il mio destino è nelle mie mani quando mi alzo, ad occhi persi e vado in bagno, pesto “l’osso” del cane e mi stravolgo un piede. Il mio destino è nelle mie mani quando saluto la signora delle scale e non traduco al volo il grugnito di risposta, cosicché il giorno risulterà infausto. Il mio destino è nelle mie mani quando alle nove non prendo mezza di Lexotan, alle dieci non prendo l’Ignatia, alle undici non prendo i fiori di Bach. Il mio destino è nelle mie mani quando alle quattordici vado al bar ad ascoltare l’aroma di caffè altrui, mentre disinvolto sorseggio il mio orzino. Il mio destino è nelle mie mani quando attraverso la strada sulle strisce pensando ai fatti miei, sicuro del diritto, di ritrovarmi ancora sul marciapiede opposto. Il mio destino è nelle mie mani quanto dopo cena, spalmato sul divano mi addormento, mi svegliano e ascolto: Sei andato a votare? “Doman sens’altro”. Ma domani è martedì […] Il mio destino è nelle mie mani quando a fatica, ad occhi in forse vado a letto, pesto il can che morde l’osso e quindi cado; mi desto e son deciso: - Il mio destin nelle tue mani o Dio.(Così potrò dar colpe a qualcun altro e, a dormir mi infilo.) Ma, il coglion pensiero torna e toglie il sonno, anche se son molto stanco. Giampietro Calotti 5 Un contributo di Paola Tosi commento Da “Carte sensibili” leggo e trasmetto Ecco i miei landays I landays sono una forma di poesia breve, popolare e antica ed orale che le donne pasthun utilizzano in segreto per denunciare le violenze e i soprusi a cui sono sottoposte. Landays – o landai – è un distico in cui il primo verso è di nove sillabe, il secondo di tredici. Ma non vi è rigidità nel comporre. La poesia semplice, comprensibile a tutti e che tutti possono scrivere, è certo uno dei mezzi più potenti e liberi per dare messaggi immediati, forti, che si fissino nelle menti in modo indelebile. Con la poesia si sono fatte conoscere nel mondo le lotte dei popoli oppressi, si sono tramandate per secoli le storie delle genti dimenticate. La violenza sulle donne è un fatto di inciviltà insopportabile. E’ il frutto della volontà cieca dell’uomo che vuole sopprimere la voce delle donne e la loro partecipazione alla vita attiva e alle decisioni comuni. Il patriarcato sta mostrando il peggio di sé sia a livello privato che pubblico. Ora se questo mezzo così semplice può essere la trama che unisce le voci delle donne sulla terra e dà loro potenza formando un’unica tela, partiamo da là, dalle donne afgane – così terribilmente provate – e facciamo girare questo messaggio senza stancarci, coinvolgendo amici, associazioni, istituzioni, giornali, blog, rete. E gli uomini, perché sono loro prima di tutto che debbono cambiare. Partiamo da quelli che io chiamo “i giusti” perché dicano, si espongano pubblicamente, si muovano attivamente, si colleghino tra di loro, con noi, le donne. Il viso terreo ansimava. Braccata. Le pareti spesse. Prigioniera. Un fazzoletto sulla bocca freno i singhiozzi. Il corpo trema nel buio. Se avessi gridato, la paura sarebbe fuggita col grido, ma ero muta. Paola Tosi 6 Un tema, una discussione a cura di Oscar De Pauli Crescenzo Guadagno continua la discussione iniziata nel n.5/’13 di questa rivista, sul tema: ranza o contrarietà, tutt'altro!) giacché il tema in discussione tratta altri argomenti. Ritengo opportuno evidenziare ciò che segue. La Parola è l’unità lessicale composta di lettere alfabetiche. Più parole formano una frase con un senso compiuto, che può essere: ironico, satirico, aulico, volgare ecc. Dipende da come si usa e dalla propria conoscenza. Il dibattito, secondo me, deve convergere sulla capacità culturale e intellettiva di ogni mente pensante del nostro Paese. La povertà di cognizione fa debole l'individuo e rende perdente finanche la collettività. Coloro che salgono sui palchi nelle piazze, come se salissero sul banco del pescivendolo di remota memoria, oppure sui predellini delle automobili per circuire le folle con parole a effetto, e a volte volgari, anche se sfumate o abbreviate (Vedi i vaffa) hanno bisogno di masse poco pensanti per riempire i vuoti cerebrali con parole intorbidanti. Questi tribuni trascinatori difendono i loro conflitti d’interessi spudoratamente, con indegni attacchi alla giustizia. Sì, hai ragione Valeria, siamo in una situazione economica, sociale e morale piuttosto critica, è giusta la rabbia che monta, ma tutto ciò è iniziato molti decenni fa, allora mi si permetta di chiedere: in questo caotico viaggio nella democrazia è da cambiare il conducente, il controllore, il treno o i viaggiatori che scelgono, senza discernimento o con estemporaneità, come viaggiare e con quale mezzo? Condivido le preoccupazioni di Oscar, poiché tutto ciò riporta alla memoria i tempi nefasti nella nostra Italia. Il senso delle parole Come di consueto leggo il nostro periodico “PAROLE”, ogni qualvolta mi è consegnato, partendo dalla prima pagina e arrivando all'ultima, poi ritorno alla poesia, o all’articolo, sul quale ritengo di fare una lettura più attenta. Sugli ultimi bimensili, da prima sul n° 5 del 2013, la mia attenzione si è posata sul tema: “Un Paese che perde il senso delle parole”, a pag. 7 di Oscar De Paoli, (segretario instancabile del “Laboratorio di Parole” del “Circolo della Fattoria”), poi ancora a pag. 8 la rubrica “Visti da Francesco Montori” e infine a pag. 37 un articolo di Valeria Bragaglia, che tratta lo stesso argomento scritto da Oscar. I temi menzionati sopra sono poi proseguiti nel nostro periodico n° 1 del 2014 a pag. 7, scritti da Oscar e Gabriella Penzo e, a pag. 8, da Francesco (ometto il cognome per sentirci più vicini, giacché ci conosciamo). Colgo l'occasione per entrare nel dibattito ed esprimere il mio punto di vista. Quando Oscar nel nostro incontro settimanale di giovedì 19 dicembre 2013 lesse dal quotidiano “La Repubblica” l'articolo a firma di Eugenio Scalfari, (fondatore ed ex direttore dello stesso giornale), che iniziava citando il vangelo secondo Giovanni: “All'inizio c'è la Parola e la Parola è presso Dio” ecc. io intervenni dicendo: “Prima della parola c'è la ragione perché dal pensiero ragionato si forma la parola, che esterna i sentimenti e le elaborazioni dell’ intelletto.” Lasciando la religione ad altre occasioni e luoghi appropriati (non per intolle- continua a pag. 39>> 7 Un tema , una discussione – IL SENSO DELLE PAROLE IL SENSO DELLE PAROLE – il seguitodi un tale- propri figli se vecchio e il TUTTO nell'interesse della Patria. Ecco allora che il Vecchio con un semplice «Che cosa hai detto!» diventa il difensore di chi ha come patrimonio personale “solo dei figli”. Terminata “tutta questa bella premessa”, come ci si collega alla discussione: IL SENSO DELLE PAROLE. Citando i colleghi della Fattoria che già hanno scritto di questo: Crescenzo, De Pauli e Montori. Crescenzo scrive di “ogni mente pensante del nostro paese”; De Pauli riporta lo scritto di un altro, Montori ci chiede di “inventare” parole nuove. Punti di vista TUTTI plausibili, ma non hanno trattato di SENSO. Ora sarà troppo facile, per chi leggerà queste note, criticare dell'incompletezza e dell'imprecisione e dell'incapacità e della superficialità che risultano da questo scritto. Si chiede solo, come primo passo, di leggere dal vocabolario Zingarelli (Zanichelli 1970) le 13 definizioni riportate dopo la parola SENSO e metterle in relazione con gli scritti dei colleghi. Il secondo passo sarà scriverle e inviarle alla redazione. Così si attiverà un Modo (cfr. definizione 9 del vocabolario) di animare ulteriormente le attività del Gruppo “Laboratorio di Parole”. Con le informazioni che arriveranno in redazione continueremo quello che già appare un interessante proseguimento sul cammino del linguaggio che già è stato intrapreso. Un linguaggio da frequentatori del villaggio, e frequentatori degli alti livelli, ma che sia comprensibile dai bambini e contemporaneamente dagli addetti ai lavori, un linguaggio senza artifizi e miserie. Successe che, nella foga del SENSO, disse una parola, ma era un'altra quella GIUSTA. Ebbene, siccome era stato “mandato” da suo padre, stratego di quella grande città, gli aristocratici, i democratici, i saggi, gli innocenti, i creduli e gli increduli tacquero (perché non si potrà mai sapere se il proprio cadavere sarà all'angolo di una strada il giorno dopo; la tua morte c'è quando tu non ci sei). Solo, da solo, dal fondo dell'assemblea un Vecchio, uno di quelli che possono perché vicini alla morte, alzò il braccio. «Che cosa hai detto! Tale, figlio di Tal Altro. Perché chi non ha nulla deve dare più di chi ha». […] I tre puntini di sospensione sono per dare il SENSO del tempo impiegato prima della ripresa della discussione. Il giovane dovette URLARE per superare in tono il rumore del brusio degli astanti. Non era mai successo che un giovane urlasse ad un Vecchio che le necessità della patria superano il SENSO delle parole quando si tratta di difendere l'INTERESSE. Eppure successe e quell'adulterare, o falsificare, o ingannare qualcuno facendogli credere un'altra cosa, divenne l'astutamente falso modo del “Potere” di supportare l’INTERESSE. Ora, non si starà qui a disquisire sull'episodio e sulle sue fonti, se il fatto è avvenuto o solo inventato, se vero o solo verosimile; il fatto sta che fu formato un gruppo armato e chi aveva denaro fornì le armi, alcune di scarsa qualità, e chi non lo aveva contribuì con ciò che aveva: il proprio corpo se in età da battaglia, e con i A presto, ciao da parte di un tale, tanto il cognome non vale. 8 Poesie del Laboratorio Che cosa sei Si fa presto a dire donna se non basta aver la gonna senza predisposizione non si è donna per Simone E la vita non fa sconti se i capelli sono lunghi anche i sogni sono stanchi perché sono sempre quelli Per sfuggire il destino il passato nel cestino poi si prende la valigia può sembrare anche una fuga per qualcosa da cercare che è difficile trovare. Tommaso Colonnello Antichi soldati romani sterminarono sabini Ma cosa spinge giovani cervi a battersi a colpi di corna? E giovani lupi a sfidare il capobranco? Subalterne scimmie divengono aggressive e si accoppiano di nascosto, in silenzio Una regina appena nasce corre a distruggere tutte le altre celle In un pollaio ci puoi tenere solo un gallo. Forse non sembra, ma anche tutto questo è amore Per la vita. Alessandro Bacchi Formazione sociale Ti riconosci nella nespola umiliata dal tempo e dal buio della paglia dove matura o rovina. Metafora che annulla ogni pensiero, illude nel bozzolo ogni speranza che si spegne nell'attesa. Quelle ali che riescono a volare, sono nutrite di quell'amore capace di generare mostri di rivalsa. Sono distinte, conformi quanto basta e vivono nel ricordo oscuro di quella umiltà pesata sulla loro schiena, in attesa delle nuove larve da formare. È scomodo cambiare Giampietro Calotti 9 Poesie del Laboratorio Presagio Se potessi Nella selva di ramificati intrighi un cavaliere col vello d’agnello avanza con lacchè e vassalli proni pronti ad esaudire ogni suo volere Ha bardato la sua cavalcatura con icone narcisistiche sbiadite e impettito da velleitario eroe si crede d’essere l’imperatore Si attornia di consiglieri discussi già giudicati in nome del popolo accumula beni senza misura nell’etere si muove disinvolto. Per la brama giurò sul grosso masso sul quale poggiava la segreta loggia gestita da occulti maestri in nero fanatici dell’autocrate potere: guastatori dell’ordine sovrano. Va verso l’Alto Colle lancia in resta sull’asta sbatte nel vento il vessillo della megalomania infantile che è presagio di già nefasti eventi. Appari come una notte serena nel seducente stellato splendore eppur c’eri già, come il cielo terso ed io, distratto e cieco nell’animo, non mi avvedevo di tanta bellezza poi, destatomi, alzando gli occhi son rimasto pienamente estasiato. Come attratto da una luce vivida dal tuo fascino mi sento ammaliato. Sei schietta come l’acqua di sorgente. Crescenzo Guadagno Quando il mio pensarti arde di passione con spasimo in petto muto ti chiamo il tuo viso mi appare per un istante ma ahimè, non lenisce il mio patire, se potessi baciare le tue labbra! Mi consumo nella vana speranza, dissimulo i miei confusi ardori perché tu, mio respiro, non veda. Non è certo un mendace desiderio è amore sincero che non si placa. Potessi, per te sguarnirei il cielo ti vestirei con un velo di stelle di luna ornerei la chioma bruna negli occhi vividi mi specchierei, a te darei tutto l'intenso amore! Vorrei amarti, amarti e ancora amarti purtroppo tutto ciò mi è impossibile: anni e vincoli che ci dividono m'impediscono di rivelarmi a te mi fa male averti solo per amica! Non esterno ciò che vorrei dirti: ho timore di perderti per sempre, ti avrò costante nei miei pensieri giacché nessuno potrà distruggerli. Ma tu non sai, mia ignara dolce “amica” di avere scosso in me, come folgore, l’ardore intenso che accende l’amore che non è solo della giovinezza: esso non ha età, è moto dell’anima è senza tempo, come l’Universo. Crescenzo Guadagno 10 Scheda di lettura a cura di Anna Maselli La notte, il sogno Non ci sono, non ci sono per nessuno sono ancora altrove su un tiepido piano steso su un fianco, e molto lontano. Sono qui per ritrovare un cavallo tronfio con cui parlare. E’ alto e bello con il lungo collo non mangia fieno ma a milioni fogli antichi e sconosciuti tomi anche Dante rilegato in pergamena gli è gradito per una sfarzosa cena. Che Narciso quel cavallo strano! lì nella notte a trottar disteso nei tempi passati e negli incerti domani sui luoghi vicini e su quelli lontani. Oscar De Pauli E’ una composizione in versi di varia lunghezza legati in prevalenza da rime baciate; questo rende il ritmo molto particolare. Si apre con una nota di impazienza nella ripetizione (Non ci sono, non ci sono per nessuno), poi si addolcisce nei due versi successivi a rima baciata dove le sillabe piane a vocali aperte stemperano il suono che si distende accompagnando efficacemente l’immagine. Anche i due versi successivi sono a rima baciata, ma il ritmo cambia totalmente, per la diversa lunghezza e soprattutto per il “peso” della parola “tronfio” che cade come un macigno a metà del secondo verso introducendo una nota discordante. Segue l’immagine del cavallo, armoniosa in apertura, poi un po’ ostica nel ritmo e nel linguaggio ( fogli antichi e sconosciuti tomi/ anche Dante rilegato in pergamena/ gli è gradito per una sfarzosa cena.) E così, l’immagine tutta armonia, introdotta con una nota irridente (tronfio), si chiude con la citazione autoironica e conciliante di Narciso. Tutta la parte centrale della poesia esprime uno stato d’animo di contrasti, difficoltà, scontento che si placa negli ultimi versi dove si raggiunge di nuovo un ritmo disteso, aperto, un’accettazione sorridente delle proprie difficoltà e inquietudini a conciliare giovinezza e maturità. Il linguaggio è molto personale, spesso forte e sincero quasi come in una seduta di analisi, ma da poeta, ricco di immagini e fantasia. Il ritmo procede a onde lente con molte variazioni. Oscar si guarda dentro e tende verso una conciliazione interiore, è una persona che si fa molte domande, cerca un senso alla vita e alle sue contraddizioni e sente forte il bisogno di comunicare con i compagni di viaggio. E’ una poesia che coglie l’essenza della vita in un percorso di autocoscienza. Il cavallo è l’uomo che non si piace del tutto, poi si accetta anche con le sue contraddizioni e nell’immagine conclusiva si contempla sorridendo pacificato con se stesso e quasi orgoglioso del percorso compiuto. Anna Maselli 11 Poesie del Laboratorio Quando le primavere erano poche e il futuro seducente Quando per la pasquetta si andava a Firenze, in treno, con la mamma e con il babbo. A mio padre, con gratitudine. Misuro il tempo che dista il giardino di Boboli dal mio esserci e sapere di Lunedì dell’Angelo passati. Il mio passo – verso dove? scommetteva forti somme e sfiorava il presentimento buono dei bordi del cappotto di mio padre. Svettavo di sicurezza per primavere ripetute e non ancora scrutate, per il monumento che lui era più magnifico delle porte del Battistero. Misuro la distanza di quell’avventura dal tempo dei suoi mezzi toscani poveri e sornioni. Anna Zucchini Donna Con i capelli sugli occhi, mossi dal soffio delle sue verità e dei suoi desideri l’archetipo donna dalle unghie come artigli fa e rifà a mano la sua anima che richiede sempre lavori: nei mattoni cotti al sole per allargare spazi, alzare muri, modulare forme, per aumentare la sua forza e divenire la Custode. Anna Maria Boriani 12 Poesie del Laboratorio Se ancora la penna... Tra le dita la penna vola e s’acquieta e pensa. Poi rammenta, soffre arranca, cerca, tenta, si rallegra, si esalta, scorre sul foglio bianco una folla la sospinge. Le parole. Escono le parole alla rinfusa metterle in riga si prefigge corretto sia lo scritto pur se l'affanno svia Vola la penna, segue trepida le dita che ancor rapide la guida d’essere l'ultimo pensiero d’accompagnare confida Maria Luisa Marisaldi Breast Milk Sono io quella donna cresciuta a latte intero di una ragazza orfana di madre. Attaccata a seni vergini, mi nutrivo di un concentrato di pascoli e lava vulcanica che scendeva dentro la mia culla di metallo nella camerata della Maternità. La nostra relazione, non sempre lineare. Entrambe inconsapevoli e forti nel superare le perdite con l’orgoglio del riscatto. Ho camminato sulla strada della sua vita. Quello che sto facendo è come ricordare la forma del suo corpo, una matassa intricata di fili. I piedi piccoli, non toccavano il pavimento quando sedeva, ancora belli nonostante le corse su campi minati. Riccioli sempre scuri nel viso dove il tempo è passato lieve. E’ come restituire la sua figura ancora vicina a un mondo che fagocita la memoria. Anna Maria Boriani 13 Poesie del laboratorio la Volto di nonna sul tuo viso più che in uno specchio -geografia della vitagole rocciose, aride verdi altipiani tiepidi restituiscono il tempo -Si specchia all’alba la luna nello stagno ma al tramonto chiaroscuri accesi l’accompagnano alla notte- Il respiro flebile per farmi dormire tenera mi rivedo darti la mano e mi fido. Ora dammela tu per partire Valeria Bragaglia Oggetti buttati lì, per terra, senza logica ragione e tracce di colore alle pareti, circoscritte di sale in sale, ignari ospiti commistione di idee prodotte che riempiono pamphlet molto curati recensite, omaggiate, dai soliti esperti che ne traggono motivazioni astruse neanche immaginate dagli autori ed io [...] dubbioso della mia capacità di comprensione mi fermo, e mi desto da questa ipnosi contesto, non mi piacciono nessuna emozione smuove i miei sensi una moderna traversata, senza stupore che m’ha fatto dubitare della mia intelligenza [...] il bello io lo conosco e sa affascinarmi conosco l'incanto che toglie la parola fremo all'entusiasmo che mi fa partecipe e ho l'età che mi permette di scegliere anche gli stessi insegnanti[...] per questo [...] ora esco. Carlo Boari 14 Notizie dal Laboratorio Il giorno 14/3/2014 a Roma, al Campidoglio nella Sala della Protomoteca, il nostro Socio Silvano Notari ha ritirato il sesto premio del concorso nazionale di poesia - sezione libri - organizzato da Albero Andronico con il patrocinato dalla Regione Lazio, dalla Provincia e dal Comune di Roma. Il libro è “Un uomo ridicolo” Edizioni Pendragon Bologna 2012. A Silvano le congratulazioni della redazione. Ti dipingerò Ti dipingerò dentro gli spazi minuscoli di un rigo musicale dove la tua bellezza è arpeggio e armonia. Ti dipingerò passionario su uno spicchio di luna dove l’oro dei tuoi capelli è già presente sulla tela di uno spazio cosmico. Ti dipingerò in un futuro dove le nostre anime si terranno per mano lungo il cammino terso di eterni amori platonici. L’autore, qui a fianco, propone due poesie dal libro premiato Un uomo ridicolo I disillusi amori virtuali riversi in fiumi di parole muoiono derisi nell’etere soffocati dal loro respiro. Sangue rosa lungo le vene il fuoco di grandi passioni travolto da altrui seduzioni mi sento un uomo ridicolo. . 15 La poetica narrativa di Marina Sangiorgi Marina Cvetaeva Autrice di “opere immense e tempestose”, come scrisse Pasternak, Marina Cvetaeva nasce a Mosca nel 1892. Nel 1910 pubblica il primo libro di versi. Nel 1912 sposa Sergej Efron, nascono le figlie Ariadna e Irina. Dopo la rivoluzione Efron si schiera con i Bianchi, e in seguito alla vittoria bolscevica ripara all’estero. Nel febbraio del 1920 muore Irina, di due anni. Nel 1922 Marina raggiunge Sergej a Praga con Ariadna. Nasce il figlio Georgij, detto Mur. Marina comincia intensi e interessanti carteggi con Pasternak e Rilke. Efron nel 1924 fonda un’unione del ritorno in patria tra i russi emigrati, e diventa un agente segreto sovietico. Nel 1925 vanno a Parigi. Nel 1937 Efron commette un omicidio politico, fugge in Urss. Nello stesso anno anche Ariadna si trasferisce in Urss. Nel giugno del 1939 Marina torna in Russia con Mur; la famiglia va a vivere vicino a Mosca, in una dacia degli organi di sicurezza. Nell’agosto arrestano Ariadna, nell’ottobre Sergej, in seguito giustiziato. Marina si uccise il 31 agosto 1941; del figlio Mur si perdono le tracce, e non si conosce nulla di preciso del suo destino. Ariadna rimase in prigione fino al 1947, poi fu di nuovo incarcerata dal 1949 al 1955. Riabilitata dopo la morte di Stalin, scrisse un libro su sua madre e raccolse la sua opera; è morta nel 1975. Marina Cvetaeva ha pubblicato undici raccolte di poesie in vita. Vi propongo la lettura di due testi. I versi crescono, come le stelle e come le rose, come la bellezza - inutile in famiglia. E, alle corone e alle apoteosi una sola risposta: “Di dove questo mi viene?” Noi dormiamo, ed ecco, oltre le lastre di pietra, il celeste ospite, di quattro petali. Mondo, cerca di capire! Il poeta - nel sonno - scopre la legge della stella e la formula del fiore. 14 agosto 1918 Mi pare una delle più efficaci definizione della poesia che abbia mai letto. Il poeta dorme e riceve questa bellezza, che è come quella delle stelle, delle rose, un dono da scoprire, una rivelazione di un angelo che annuncia la legge e la formula (di cui parla anche Montale). Il mondo dovrebbe cercare di capire l’evento misterioso che capita al poeta, ma non sempre ci riesce. continua a pag. 17>> 16 La poetica narrativa di Marina Sangiorgi Dal ciclo “Versi per la figlia” E vaghiamo in due per le chiese grandi - e piccole, le pievi. E vaghiamo in due per le case povere - e illustri, dei signori. Una volta hai detto: “Compramele!” con un brillar d’occhio alle torri del Cremlino. Il Cremlino è tuo dalla nascita. Dormi, mia primogenita chiara e terribile. E come sotto la terra l’erba Fa amicizia col minerale di ferro tutto vedono due chiarissime frane nell’abisso celeste. Sibilla! Perché per la mia bambina - un destino come questo? Una sorte russa. per lei … E il suo secolo: la Russia, il sorbo … 24 agosto 1918 Marina e la figlia vagano per le chiese e le case, sono erranti, abbandonate (il marito e padre è al fronte): eppure il Cremlino appartiene alla bambina di diritto. Perché questo destino, questa difficile sorte per i russi di inizio secolo? La giovane Marina e sua figlia sono due chiarissime frane precipitate dall’abisso del cielo fino a questa terra, su cui possono convivere il ferro (simbolo di guerra) e l’erba (simbolo di vita). Marina Sangiorgi 17 Pâgina dal dialàtt a cura di Viviana Santandrea I geriatrén I geriatrini Zirudèle sanza fén par i nùstar geriatrén che ai n’ère al dé dla fire là in piàze sanze dintìre. ‘Na storiella senza fini per i nostri geriatrini che c’erano per la fiera là in piazza senza dentiera. On l’ère lé con la badante cla ridéve a crepe panze e al la fève a piò non pôs parché al s ére caghè adôs pò d arpiàt in d’un cantòn la i cambiève al panulòn. Uno lì con la badante con il riso in abbondanza che rideva a più non posso lui se l’era fatta addosso, lei di nascosto in un cantone gli cambiava il pannolone. Mo l’an sa da maravièr i én cos chi polan capitèr spezialmant al dé dla fire a un geriatrèn sanze dintìre. Non c’è da meravigliare cose che possono capitare specie il giorno della Fiera a un geriatrino senza dentiera. Con al féss che pò ai é stè a s’é pérs longhe la strè on di nuster geriatrén l ère prôpi cal nunén, sanze un sôld, in bulàte, imbarièg come ‘na ciàpe. Con la ressa che c’è stata si è perduto per la strada, il nostro caro geriatrino era proprio quel nonnino senza un soldo da non dire molto brillo da stupire. A s’é vést lé pôc luntàn ón ch ai vlève dèr ‘na màn, ai à arspòst: “ Lasum ban qué, an son megga imbambiné! a sòn sòul un geriatrén ch’l à bvó un bichîr ad vén.” Si è poi visto, poco lontano, un che gli voleva dar ‘na mano gli ha risposto: “Stò nel sito, non son mica rimbambito! Sono solo un geriatrino che ha bevuto un po’ di vino.” Tótt cuntént sàtte Nadèl a sàn qué donc a festegèr i nustar brèv e bî nunén chi én pò sampar geriatrén. Noi contenti, sotto Natale, siamo qui per festeggiare i nostri bravi nonnini che son sempre i geriatrini E pò ai fàn un auguròn ch’i dâgan tôtt pió rasòn parché la vétta la sia bèle tocc e dài la zirudèle. ai quali faremo l’augurone che gli dian sempre ragione perché la vita sia bella per finire la storiella. Gustatt Augusto Mazzacurati 18 Pâgina dal dialàtt a cura di Viviana Santandrea r A se stesso Or poserai per sempre, Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo, Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento, In noi di cari inganni, Non che la speme, il desiderio è spento. Posa per sempre. Assai Palpitasti. Non val cosa nessuna I moti tuoi, né di sospiri è degna La terra. Amaro e noia La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. T’acqueta omai. Dispera L’ultima volta. Al gener nostro il fato Non donò che il morire. Ormai disprezza Te, la natura, il brutto Poter che, ascoso, a comun danno impera, E l’infinità vanità del tutto. Giacomo Leopardi A sé stass Adèsa et rechierè par sänper, mî côr stóff. Al muré l ûltum inbròi, che mé a cardêva etêren. Al muré. A sént pulîd che in nuèter d iluśiån, brîśa såul la speranza, anc la vójja l’é śmurzè. Arpòśa par sänper. Dimónndi et tanpléss. Inción quèl al vèl i tû bâtit, né ed suspîr l’é daggna la tèra. Amèr e nójja la vétta, èter mâi gnînta; e sói l é al månnd. Chiétet ormâi. Dspéra par l’ûltma vôlta. Al nòster gèner al destén an dé che al murîr. Ormâi disprèza té stass, la natûra, la catîva fôrza che, arpiatè, a dân ed tótt la guérna, e l’inutilitè sänza fén ed tótt i quî. Traduziån dla Nóccia d Bastèl 19 Pâgina dal dialàtt a cura di Viviana Santandrea Vérs l’oriżånt Verso l’orizzonte T a t î livè só e lasè al nôster źardén t é sbraghè cal mûr. Apugè al tô bastån t î andè vérs punànt såura la strè bianca atravérs i órt dóvv ai finéss la periferî. Int la gran pianûra t a t î pérs insàmm a la tô strè int la lòźa infiné dl oriźånt dóvv la lûś dal dé la câla vérs la spîre dla nôt e al dśmôrza, inapelàbil, al tô pensîr, al tô tänp. Ti sei alzato e lasciato il nostro giardino hai infranto quel muro. Appoggiato al tuo bastone sei andato verso ponente sulla strada bianca attraverso gli orti dove finisce la periferia. Nella grande pianura ti sei perso assieme alla tua strada nell’infinita loggia dell’orizzonte dove la luce del giorno declina verso le spire della notte ed estingue, inappellabile, il tuo pensiero, il tuo tempo. Elio Manini 20 Poesie del Laboratorio La casa La casa Bajo la luna naranja enlazàbamos las manos y reiamos felices cuales niñas inocentes Nel plenilunio arancione ci prendevamo per mano e ridevamo felici quali fanciulli innocenti La casa escuchaba curiosa nuestras voces argentinas y nos cubrìa amorosa presintiendo la despedida La casa ascoltava curiosa le nostre voci argentine e ci avvolgeva amorosa: presentiva il nostro partire Ahora està llena de voces y de recuerdos perdidos y de alegrìas pasadas y de penas ya vividas Adesso è piena di voci e di ricordi perduti e di gioie già passate e di pene già vissute Y de aquella joven (que soñaba) no ha quedado màs nada. e di quella ragazza sognante non è rimasto che niente. Graziella Pisani Percorsi Autostrade di ordine e possesso come avere – tutto sotto controllo come trovare – forbici e chiavi e ore sempre nel posto giusto – Quello che conosco – e che non dà sorprese. Ma là, nel caos, vive la fantasia – tra mucchi di pensieri affollati di parole di immagini di suoni ed un profumo ruvido, di piperita. Abbandonarsi al denso mormorio del sogno vagando sull’altra faccia della Luna – cercando Angela Falcucci 21 Poesie del Laboratorio Sarà quest’onda che ricade su se stessa che va e torna, va e torna sarà questo sentirsi sempre al punto di partenza che ci fa ignari di quello che arriva da distanze smisurate da sommovimenti di un altrove sconosciuto e si insinua furtivo e silenzioso cambia la natura dell’acqua finché sorprende come un estraneo che appare all’improvviso alla tua porta. Allora sai d’aver camminato a tentoni, coperto d’ombra. Rosalba Casetti Gatto Le pagine del diario dormivano sotto la polvere dell’abitudine del solito vivere monocolore Rigiravo con la solita noia di ogni giorno una clessidra a contare granelli di sabbia Mi ha risvegliata dal tepore una brezza leggera entrata da una finestra socchiusa Sei entrato tu gatto di bosco Pagine bianche si aprono le nostre mani insieme per scrivere ancora una favola nuova. steso sulla neve un maglione smarrito tende le braccia al ramo del tiglio dove oscilla lieve un hula hop rosso scagliato una sera d’estate da un ragazzo troppo felice. all’angolo le palline del Natale mandano ancora bagliori d’oro sul baracchino del fiorista pachistano. Zara Finzi Livia Corradi 22 Poesie del Laboratorio -1Piango come se fosse procedere Come se una lacrima fosse un passo. È un fluire Un inoltrarmi In un qualche territorio. A sentire l’impotenza Della mia fragile Volontà davanti A sua maestà l’innamorata Se è così che va ogni volta Che lascio o vengo lasciata Resto nella mia incapacità E piango come ultima risorsa Come unico e solo andare. Appoggiata ai bastoncini da trekking Con tutti due i palmi Mi sostengo mentre Una pressione alle orecchie Mi assorda e mi frastorna. Le gambe inchiodate fisse Immobili non percepiscono L’impulso del cervello Che sta dicendo di andare Che mi vede risalire il pendio. Perdio! Se il garbuglio Di emozioni trattenute ora è Esploso e mi inchioda qua Se non voglio camminare Nei luoghi che ci hanno Visti assieme Se il senso di te mi toglie A me e alla natura Mi addensa la malinconia Sulla pelle nelle ossa nei nervi Se riempie il mondo di un nome Che è il tuo e tu sei il bosco Sei la nebbia del pomeriggio Sei la distanza che non so percorrere Perché tutto è già nei miei occhi Tutto ricama la parola fine La parola assente La parola distanza. Se il pensiero di te Si è fatto bruma e respiro del tempo Se si è così sparso dentro e attorno Se ha preso tutto lo spazio Fino ad annientarmi e mi getta Nel baratro degli abbandonati E resto qua fissa a capo chino Alessandra Generali Il nostro tempo. Lo specchio ci spia tra le mura di una stanza, tu, ed io, con la vita giochiamo, mentre il tempo ci rincorre senza pausa. Un cristallo di luce illumina i corpi distesi su un letto d’infinite verità. L'ultimo minuto muore nella notte, come un sogno di un verso poetico. Divagando con la fantasia vado via, mi porto dietro solo i ricordi che non svaniscono mai […] Luigi Cuoco 23 Poesie del Laboratorio L'impossibile fuga Non farmi male. Quando tornava da zuccherificio -Quanto mi pesa mamma il pendolare ora ho fatto domanda ad alto ufficio a Beirut per la pace voglio andare [...]- Non farmi male con le tue mani che dovrebbero amarmi. Ogni colpo è come una bomba che distrugge tutto. Chi sei? Mi sembra di non esistere più. Posso solo cercare di salvarmi. Ma le tue mani adesso si chiudono sul mio respiro e stringono furiose. Chi sei Non m’importa più, perché penso che forse sto morendo, perché non ho visto prima in te tutto questo buio. Eppure c’era già. Sono in bilico sul tuo folle abisso, ora lo so, le tue mani non possono amarmi, possono solo farmi male. E ancora male. Ti guardo cosi doloroso come sei e non ho più paura. Me ne vado dal tuo abisso nero per sempre. Io voglio la luce. Bianca la mamma cercò sotterfugio senza verso trovar l'idea a cambiare. Sempre smarrito sconsolato micio rispose alla chiamata militare. Scrisse da Beirut l'orgoglioso amico -La vita val la pena di rischiare il tiepido di casa importa un fico [...]In bicicletta cadde in un incrocio pur da strettoie varie il suo scappare non ebbe a rialzarsi da quel buco. Da: Claudio in morte Maria Iattoni Dove le mimose si rinnovano Sotto questo cielo dove le mimose si rinnovano nell’infinito sempre più luminose, caldo sole che a grappoli come uva accattivante gronda anch’io ho bisogno di cieli diversi di albe che m’invitano tenere a sfogliare equilibri sani di rivoltarmi, salire la corrente scolpire quella roccia in me e incoronarla di qualche rara stella alpina non voglio avere paura di sognare di aprire lo scrigno dove è nascosta l’ultima primavera quella luce che mi riempie le rughe che tinge le guance ancora come tutte le donne che guerriere affrontano goccia dopo goccia come ambra sul ciliegio sposo. Piera Grosso Rosy Giglio 24 Poesie del Laboratorio Da “Le mille finestre della poesia” La finestra Chiude la notte alle stelle e svanisce sopra l’albero che svetta nel cortile di fronte. La strada e stiletti affilati di luce, intrusi nel buio falciato. Un’auto rincasa, sbatte una portiera, di nuovo il silenzio avvolge le cose. Mattino, una persiana aperta adagio, lieve una mano scosta una tendina un viso antico, il suo doppio nel vetro a sbirciare la strada, la luce fioca sfuma da lampioni custodi impotenti nel bene e nel male. Scruta la vecchia e parla a nessuno o alla finestra compagna di ore infinite. Le mani strette in grembo nel giorno che ritorna, aspetta la bicicletta che passa il motorino impertinente l’auto che ha fretta. Parla alla finestra e racconta senza sapere se lei ascolta. Lo sguardo Camminando lo sguardo si sofferma. Ammiro questo paese che è anche mio diventato e mi hanno adottato. Attraverso la strada angoli a me sconosciuti. Giorno dopo giorno mi prendono sempre più. Cammino piano piano arrivo sul castello che domina Cassacco. Sei grande mi sei vicino nei miei pensieri per abbracciarmi. Fosca Andraghetti Chiara Pinghini 25 Poesie del Laboratorio Un attimo santo Le cicale sperperano trame nel chiaro scuro del campo. Non sanno che il loro destino è coprire il silenzio nell’ordito composto. La mente è un controcampo arreso all’ascolto. Poi irrompe l’inatteso silenzio. E ti scopri ad aspettare il frinire l’alterno e rapido segno che scorre sul foglio Se stai immobile e attento le senti a folate e poi sempre più chiare le cicale d’inverno che fresano mute. Guardi nel vuoto: risplendi È lì che ti accendi, di gioia Il tuo è il volto più bello Che vedo tra i mille Che cerco, che ammiro Nel mio mondo leggero Poi, se pian piano io giro Se io mi faccio vicino A contattare i tuo occhi Rompo una cosa serena Cos’è che vedi lontano? Perché quell’aria felice All’improvviso, lì, tace Non dai segnale di vita Quando una voce ti chiama? O, è la mia voce soltanto […] E il viso, il tuo viso è mietitura di corpo e di canto. Allora mi accuso Allora mi scuso Di averti rubato Un attimo santo Nadia Minarelli Arnaldo Morelli Linguaggio di città nella stanza sola si muovono le lancette e accompagnano l’ingresso della giornata dove la pioggia si fa lentezza musicale e la città riprende il suo linguaggio Luna Coccolìo mormorato sordo a un lamento che esalta l’utopia. Sono sagome i desideri avvolgo il mio pensiero in un’amazzonia d’albe che mi separa dall’emisfero. Inanelli aloni sensuali che si perdono nel vuoto mentre fuggo da me stesso soffocato dall’immaginazione. c’è ancora un segno della notte sulla fronte, sul cuscino che respira ancora sui piedi nudi di pavimento. Filtra dalle finestre il concerto delle strade le voci bisbigliano si alzano, traboccano in un coro vivente che le brucia le asciuga le rende lucide di frenesia un po’ pazze di febbre d’amore distratto Gabriella Penzo Silvano Notari 26 Poesie del Laboratorio Una rosa non si chiama partire alla ricerca delle parole nuove e trovare solo quelle disperse nell’aria dove una rosa non si chiama, ma si volta la tristezza non piange, ma si fa gioco. Nel sonno l’alfabeto si scompone, si aggrega in suoni di vetro metallo, di carta violino poi tutti ricomposti formano una danza insolgente, inparlante, incrudele […] parole nuove inventate tra acqua e ghiaccio Gabriella Penzo Che bella notte mi riempie dal nulla e ardita vado ravvolta nel manto stellare, ma la luna sta scappando la osservo è tonda come una mela la sto raggiungendo, ma se sto e m’abbaglia, vorrei farmi incantare e ricevere uno squillo telefonico come avverrà tale contatto? Miracolo? E io spero di adagiarmi tra chi mi saprà accettare, sarò buona […] ora sono un po’ stanca […] Emelina Pellizzari 27 Poesie del Laboratorio Gioia S. Valentino Difficile e incauto provare a descriver la gioia tu punti la penna sul foglio e già il sentimento svanisce ti pare banale […] annoia perfino te stesso o il casuale lettore eppure […] eppure mi accade di essere invasa da ondate di gioia come da adolescente per uno sbadiglio del gatto per cose da niente, così o quando davanti al TV se russi e mi fingo arrabbiata mi dici “ero sveglio!” poi ti riaddormenti lì per lì. Hai posato tre rose rosse, sapientemente avvolte da una nuvola bianca un presagio nuziale. O ancora mi accade gioire per questo annuncio di estate colore di fucsia per questa camelia che sola fra i tanti bocciòli ha osato fiorire; per questo progetto di vita (mio, tuo) da bere a piccoli sorsi coscienti che non è infinita e allora provare pudore quasi quasi […] a gioire. Viviana Santandrea Ora abbracciami non temere di chiedere amore, nel profumo dei fiori era implicita la tua domanda col colore sanguigno si suggella la nostra promessa di una vita che pure sfumando si rinnova. Queste ore d’insonnia popolate dapprima di ombre fan fiorire stagioni invitanti quasi adolescenziali frenesie e un “Carpe diem” tutto da inventare. Viviana Santandrea Verso Regalatemi un verso che sia un guizzo, diverso con parole bizzarre che non resti disperso tra mille frasi anonime magari un po’ perverso che importa se poi suscita imbarazzo o sgomento al bigotto universo regalatemi un verso simpatico, geniale anche molto estroverso dal sapore piccante dal senso controverso purché non sia banale che si salvi attraverso i secoli dei secoli regalatemi insomma uno schianto di verso Viviana Santandrea 28 Poesie del Laboratorio La zingara Malinconia sgangherata dal circo clarini fantasticano con i violini Una bambina smorta cera rosa e le labbra Apri il cielo e la strada questo vento forte ruota la terra Questo sogno di alberi bianchi qual pianura la neve foglie morte Agghiaccia i corpi e i laghi fiume e i capelli Bevon ancor la tua acqua torbida di rimando assonato Mercè la vita filo di perle il collo Avvolto in un lenzuolo pidocchi qual l'amore angolo tenerezza e profumo Ho tentato ancora la primavera il cerchione e spiegarti inutilmente il rancore Occhi compassati un pagliaccetto rosso bevevo l'elisir di lunga vita Occhi dolorosi altri guardavan felici non so quale felice colpa erano Quando la notte cala guardo il cielo focolare e lacrime stelle quale amor la luna Lustrini similmente mi stringono il cuore pagliaccetto rosso l'anima piange Qual santo il melodramma io non la sgrido e non la piango che sono la sua mamma Amleto Tarroni Marzo Silenzio mite pazzerello emisfero boreale sei un motore di folate cambi sette cappelli al giorno spazzati dal vento a destra e a manca bevi la pioggia a breve esci dal tempo turbinoso con un compenso di luce, preso dal sole colori i tetti delle aurore e dipingi gesticolando come un prezioso mimo non ti stanchi di guarnire di rinverdire alberi e nidi Spuntano fiori rosa al pruno e occhi alle finestre di primule e margherite rivestite di terra grassa e di te, caro marzo che sai di primavera. C’è l’immensità emanata dal silenzio nell’identità di un fiore che vive di volute dentro il suo profumo […] lì, cade una cascata della voce l’eterno battito terracqueo in un tornante di pensieri stretti lungo il canyon della gola prima di temporali dubbiosi ci sono riflessi e tormenti silenziosi che spiccano come saette nell’aria taciturna. Aurelia Tieghi Aurelia Tieghi 29 Incontri, a cura di Angela Falcucci Riquadro 133-Cappella 3 Sarcofago N. 77 Cimitero Verano Roma Francesco (Checco) Durante In treno L’arberi che te passeno vicini pareno regazzini che sotto ar sole d’oro stanno giocanno a buzzico fra loro. Un quadretto in movimento, un acquarello, uno stile fresco e semplice, come l’autore. Nato a Roma in via dei Salumi a Trastevere nel 1893, Checco Durante entra nella compagnia teatrale di Ettore Petrolini. Con lui recita e viaggia per dieci anni, dal 1918 al 1928, quando decide di realizzare il suo sogno, diventare capocomico con una sua compagnia, la Primaria Compagnia della Commedia Romanesca. Scrive l’autore: “Dar vita ad un teatro divertente, semplice, senza complicazioni cerebrali che assolva la missione per cui, secondo me, nacque il teatro: servire da ricreazione a chi, dopo una giornata di lavoro, […] cerca due ore di passatempo per distendere i nervi e riposare lo spirito.” Nato nel suo cuore di romano de Roma, (ce vonno armeno tre generazioni), il suo teatro vuole rappresentare il popolo nella sua autentica espressione. Scrive ancora: “…Ringrazio i critici che mi hanno onorato di un loro giudizio,saluto senza rancore quelli che non me ne hanno ritenuto degno ed invio un grazie […] al mio pubblico che mi segue con la stessa cor- dialità e con lo stesso entusiasmo con cui recito per lui.” “…E’ un attore popolare, tutto realismo, che pare messo al mondo per smentire una volta di più la leggenda del cinismo romano…” Roma – “La Tribuna” Silvio d’Amico “…qui sta l’arte: nella bravura di costruire con i più vari accorgimenti di voce, di palpiti, di ombre e luci, di tempeste e sereno, la stupefacente marionetta del personaggio umano.” “Dramma” Vito Pandolfi Il 15 aprile 1953, Durante riceve dal Sindaco una medaglia d’oro in ricordo del 25° anno della sua carriera di capocomico. “…Che cosa rimarrebbe se non vi fosse Checco Durante a tenere in piedi nel suo piccolo Rossini di P. Santa Chiara la tradizione e la memoria del Teatro Dialettale Romanesco? …” Roma- “Il Messaggero” G. Ceroni Accanto a critici che ignorano il teatro del Durante, ritenendolo poco impegnato, tanta critica valorizza l’autore- attore per la sua mimica, la sua perfetta dizione, la sua simpatia arguta e bonaria, apprezzandolo proprio per la sua immediatezza, scevra da sofismi. Nella sua poesia ritroviamo la stessa atmosfera, descrive personaggi e cose quasi dipingendone le caratteristiche, spesso facendoli “recitare” sul palcoscenico di una Roma popolana, una Roma della quale interpreta l’anima. Non troviamo il pessimismo del Belli, né l’ardore di Pascarella, e neppure l’ironia moraleggiante di Trilussa, piuttosto “…il ricordo del buon pane casalingo di una volta,fragrante e sostanzioso…” continua a pag. 31 30 Incontri, a cura di Angela Falcucci A. Rovinelli Durante osserva e registra discussioni e frasi, come in queste scenette dove descrive l’andirivieni di aspiranti attori in cerca di un “cascé”, (comparse e generici cinematografici), nell’antico Caffè Giuliani, soprannominato dai giornalisti il “Caffè del cece tosto”. - A che ora avete detto sor Cinquini?/ -A le otto se gira…ma lo tenghi/ un ber fracche moderno e li scarpini?/ Me fa specie!...Ciò un fracche d’Ottolenghi…/ ste cose a me nun so da dimandamme…/(A Totarè, ciai un fracche da prestamme?)[…] Le sestine si inseguono nel via-vai di attori, comparse, giornalisti e segretari di produzione in cerca di elementi per i film in lavorazione. Era il 1919, epoca d’oro per il cinema muto italiano. Na piena ar cinematografo -Presto,signori, venghino a vedere/ il più grande spettacolo del giorno, con sei baiocchi posti da sedere… A regazzì te levi da qua attorno!... -Scusateme che fanno giovanotto? -C’è scritto: Scerlocomme er pulizzotto. […] Ed ecco una folla che si ammassa all’entrata, dentro sono spinte: “…Porca paletta che testata ar muro./ Oh, finalmente se mettemo a sede…”, proteste: “…A lanternone! Ma che te credi d’esse trasparente!”, meraviglia: “Guarda ch’è proprio bella st’invenzione./ Ancora nun riesco a capì er modo/ de come fanno smove le persone.[…]. Un altro posto caratteristico di Roma: Isola Tiberina Ne st’isola ce trovi tutto quanto:/ la Chiesa, l’ospedale e l’osteria,/ ce trovi la tristezza e l’allegria,/ ce trovi un po’ de riso e un po’ de pianto.// Ma è tanto bella: si la guardi pare/ ‘na gran barca che vada alla deriva/ che cià per meta er mare/ ma da secoli core…e nun ariva./ Loggette e finestrelle/ la profumano tutta de viole[…] Nel 1937 scrive una poesia a Ponte Milvio, dato per spacciato dai giornalisti, causa la forte piena del Tevere. Una personificazione che dedica all’amico Galdieri. Ponte Mollo No…no…se so’ sbajati…cascà nun me se vede…/ come pe’ tanti secoli, io resto dritto in piede./ Co’ tutto che c’è l’acqua che m’è arivata ar collo,/ li romani ciavranno ancora Ponte Mollo/ a cavallo der Tevere che, co’ la luna, pare/ che canti ‘na canzona corenno verso il mare.[…] Anch’egli attraversa le due guerre, e nel 1943 scrive: La guerra Senti, sarò ignorante, nun contesto/ ma, scuseme, vié qua, famme capace, seconno te la guera cià er pretesto che s’ha da fa p’assicurà la pace. Insomma, pe sta in pace su la tera, nun c’è che un modo: s’ha da fa la guera […] Partecipa a numerosi programmi radiofonici, dagli anni sessanta è in televisione con la RAI, che trasmette alcune sue commedie; recita con Rita Pavone ne “Il giornalino di Gian Burrasca”. Ancora vengono recitate le sue poesie, come La preghiera a San Giuseppe Solo- San Giuseppe Frittellaro, Coro- tanto bono e tanto caro[…] Si possono ascoltare su Youtube e ne vale la pena. Muore a Roma nel 1976. Ricordo la festa di San Giuseppe nel quartiere Prati, dove sono nata, che si celebrava per le strade dove i frittellari friggevano le profumate zeppole. Ciao a tutti da Angela 31 Poesie del Laboratorio In viale Aldini All'inizio d'estate viale Aldini somiglia a un viottolo di campagna. Ombra d'un fitto portico verde e autobus carichi di bambini che se ne vanno ai campi solari. Ma l'istituto di oncologia spunta severo tra quelle fronde. Lotta la vita nella corsia [...] ferve ed esplode appena fuori. Tu hai studiato storia e italiano? Io non ricordo la geografia [...] facciam le squadre! Ora giochiamo! Vigilatori preoccupati [...] Stefano, Alberto, siete sudati! E l'istituto di oncologia è già lontano, dimenticato. Stenta la vita nella corsia [...] trionfa fuori su un grande prato. Patrizia Tomba La donna guarda il verde per ripigliarsi l’anima che il corpo nello specchio ora sogghigna e in mano il nulla Ma il maggio che rispunta dentro la terra scura ridona zucchero di frutti e ancora il suo destino è gioco è vita è tentazione. Paola Tosi 32 Poesie del laboratorio A Orvieto (*) I fanciulli gridando sulla piazzuola in frotta, e qua e là saltando, fanno un lieto rumore: e intanto la faccia splendente della chiesa chinata con amore su di loro pare inseguirli che bellezza e felicità sono sorelle. Mirella Gresleri (*) Errata corrige della stessa poesia pubblicata sul n° 1/2014 L’ombrellifera Io sono prudente e rifuggo dal vuoto: ogni gruppo florale è ancorato a uno stelo più alti all’esterno e sempre più corti procedendo all’interno, ed ecco ho formato un piano perfetto un tappeto di fiori che facilita il compito alle api operaie. Nei prati dove abbondo nessuno mi raccoglie nessuno mi odora e nessuno per me spenderebbe due lire. Sono buona soltanto a dar sapore all’erba destinata alle mucche. Ma osservatemi bene, ficcate lo sguardo sulle mie meraviglie. Io non sono un fiore sono una galassia di fiori, riuniti come fossero stelle in sistemi floreali, ma disposti all’inverso del sistema solare. Ho messo all’esterno le stelle più grandi e al centro, protette le stelle piccine. Mirella Gresleri 33 Poesie del Laboratorio Resto ancora ad aspettare L’amore ci accomuna e gli occhi parlano fin quando le mani si toccano ci avvicina una poesia detta da una voce che ci unisce nel silenzio dell’ascolto così un concerto per violino che da anni lontani arriva a noi per portare un brivido o la vetrata di una chiesa gotica ci fa esigere un’imminenza dimenticata e l’uomo è al centro di tutto superando la quarta dimensione del tempo ignorando in quel momento il razzo che fa strage perché in una fuggevole passione cerchiamo la tregua e vogliamo vivere fra noi cercando ancora di capire il mondo. Franco Lipari Il cielo di cristallo La volta si infranse i pezzi di cristallo caddero (tutti) sulla terra E anche se erano piccoli la notte (bastarda) ne approffitò offuscandone i riflessi Ma uno di loro con un pò di coraggio (con quel telo sulla testa) si ribellò e (con la sua azione) incise Nella vela del pirata nero procurò un piccolo foro (Evento imprevvedibile) Quel pezzo di cielo di cristallo rimanendo sotto il telo s’era fatto trapassare da un lumen (uno solo) ma quello passato di là (oltre lo scuro) Rischiarò tutto quello che c’era Tale Giovanni 34 Poesie del Laboratorio Ori Non ho mai apprezzato le decorazioni solo oggi per stanchezza mi sono disteso tra gli ori cinesi e le omelie perentorie per un tranquillo dormire. Luci fino a un altare indistinto e voci confuse. L’altare come un ombrello dorato trascina lo sguardo oltre le pareti di suono. Il canto sotto la luce esteso a un’assemblea refrattaria a qualsiasi sentire che non sia il rigido, codificato rituale che vezzeggia superbi e straccioni. Oggi faccio parte del rito che consola gli oppressi degli anni, dai bersagli mancanti. Galleggio sulla consolazione di cerimonie estranee, sotto una cupola fin troppo bella che mi rende devoto fino al silenzio dei riflessi dorati. Andrea Venzi Pasqua 2014 Se sei risorto Tu mio Buon Signore e hai detto a tutti noi – cari figliuoli a testa bassa accettate il dolore ovunque son con voi non siete soli – Un poco io ti credo […] Senz’il corpo l’anima miagola al cielo torna al Padre?! E’ qui il duro percorso senza un porto […] Pure col nome di tua Santa Madre E […] Alati vidi sani portatori da Gozzadini anch’io ne vidi il volo […] Le lacrime asciugai ai genitori Addivenuti a dir – Dio lo vuole Crediamo nella tua Ressurezione Se dai coraggio pane e sole […] Umili ti preghiamo: - Pur fuor di Chiesa in ogni situazione accresci la fede e la ragione!BUONA PASQUA!!! Maria Iattoni 35 Poesie del Laboratorio “Io contro io” “Fermaci” a pensare, è calata la notte il buio dentro me tutto è immerso nel silenzio Mi scoppia l’anima di tristezza, di solitudine non vedo la verità la voglia di vita […] I miei primi venti anni Paola Mattioli Vivere Quanti giorni a contemplare il telefono muto nel silenzio ridondante del salotto ordinato e ben tenuto. Mi mancava l’inganno delle illusioni, le scoprivo, ma mi aiutavano nell’attimo in cui le inventavo per consolarmi di quell’ombrosa solitudine. All’improvviso m’invade la pace interiore, lascio tutto sospeso nel fremito di una carezza sfiorata negli occhi socchiusi ad immaginare. Amo la solitudine, temo le catene, in libertà canto stonata e decido il volume. Mi piace vivere, e credo che sia questo il segreto della gioia. Vivere. Luciana Tinarelli 36 L’opinione di Cinzia Demi Continua da n. 1 / 2014 Contro la violenza sulle donne. Voci dall’Ateneo di Bologna. (di Cinzia Demi) Ed ecco che nascono, da queste penne diverse e sodali, pagine che urlano, sussurrano, indagano, svelano – con tensioni narrative a volte davvero sconcertanti e riuscite - episodi ed emozioni a cui non è possibile non dare spazio nell’inconscio di lettore. I testi, di cui farò qualche esempio, mettono davanti agli occhi l’accadimento nudo e crudo da cui ha avuto spunto l’idea narrante, e ne tracciano delle linee spesso talmente distinte da chiedersi se sia possibile aver, comunque, pensato a costruire un fatto immaginario o se l’origine non sia un deja vu che non si fa certo fatica a rintracciare nel quotidiano. Come lettrice e critica di poesia trovo i passaggi presenti in questa forma nel libro forse meno riusciti rispetto alla prosa che invece, specie in alcuni racconti, si presenta sinuosa e accattivante come l’idea della seduzione che vuol dimostrare o, altre volte, decisa e feroce come la brutalità che tende a smascherare. La violenza ha mille facce, mille maschere ed è giusto provare a dettagliarne almeno alcune: trovo che molti racconti abbiano percorso un buon cammino di svelamento come ad esempio il primo, Blanche. Blanche – bianco – è il colore metafora che l’autore usa per rappresentare il modus vivendi del protagonista del racconto. Un uomo che identifica il suo sentire, il suo essere in perfetta sintonia con la natura attraverso la ricostruzione asettica di un ambiente di lavoro dove tutto è rigorosamente bianco e candido. La perfezione maniacale di cui si circonda è perfettamente descritta in questo passaggio: «[…] Quando Monsieur ripose il ricevitore, il sole risplendeva proprio come un diamante, dentro l’ufficio, smembrandosi in migliaia di particelle scintillanti che si posavano ovunque: sul portacenere di porcellana bianca, sul braccio della lampada al neon, laccato bianco, sullo stipite bianco della porta, sulla copertina di plastica morbida dell’agenda, anch’essa di colore bianco. Era tutto uno spazio di bellezza asettica e bianca, riflettente un’idea di lucidità, di nettezza, di leggerezza e insieme di rigore, che dava a Monsieur Auguste un delizioso capogiro, seduto al centro di quel puro universo […]» A questa perfezione, che rasenta la lucida follia di avvicinarsi al colore di Dio, non corrisponde però il comportamento osceno e crudele dell’uomo che cambia continuamente le sue giovani segretarie costringendole, per mantenere il proprio posto di lavoro, a prestazioni sessuali, e che non si scompone più di tanto quando uccide l’ultima dopo averla messa incinta, più preoccupato della macchia di sangue sul pavimento, del rosso che non si combina, che stona col resto del bianco che della sua morte. continua a pag. 38>> 37 L’opinione di Cinzia Demi Racconto ben scritto non solo da un punta di vista letterario ma anche per l’azzeccata introspezione del personaggio, che si manifesta nel ritratto della spietatezza tipica di un animo volto al male, pieno solo di un narcisistico e orrorifico se stesso. Il secondo racconto di cui voglio parlare è quello dedicato ad un personaggio del 1673: Elisabetta Pasquini. Sconvolge sempre l’idea che nel passato la vita delle donne fosse sottoposta a giudizi, costretta a situazioni, vanificata nella propria essenza da moralismi e consuetudini rigide e speculari alla mentalità collettiva che non accettava, in fondo, una partecipazione del genere femminile alla vita intera, una sua presenza come essere umano nel mondo. Elisabetta è la solita vittima di una violenza annunciata, la solita storia della ragazza ingenua che crede nell’amore e “si concede” all’uomo che ha promesso di sposarla, prima del matrimonio. Elisabetta è anche malata e il suo male, rimasta incinta, la porta alla morte dopo aver perso il bambino ma senza essersi sposata con l’uomo che ha “disonorato lei e la famiglia” e che non l’ha più voluta. La sorella prova a denunciare il fatto al Vicario e parroco del luogo, il quale le rende giustizia e il “reo confesso” stupratore viene condannato a corrispondere una cifra risarcitoria alla famiglia della ragazza. Ma il passaggio che colpisce al di là della vicenda, reale e documentata nell’Archivio Generale Arcivescovile di Bologna, è il tipo di preoccupazione e la conclusione a cui si arriva, che affiorano nelle pagine del processo, e che vengono descritte dal narratore in questi passaggi: «Nell’interrogatorio di Rubea successivo alla morte di Elisabetta, la donna commentò la morte della sorella come un evento che “ci ha lasciati con questa vergogna e dishonore”, ma aveva aggiunto “che del resto se sopravviveva la suddetta Elisabetta, volevo fare istanza fosse sposa sì come gli haveva più volte promesso il suddetto Pietro Masina, ma già che è morta bisogna havere pazienza, non resto però che io non desideri che detto Pietro sia castigato dalla Giustizia.” La pazienza di cui parla Rubea sembra riferirsi al mancato matrimonio che avrebbe ripristinato l’onore della famiglia, piuttosto che alla perdita della sorella. [mentre il Vicario che pure riuscirà a far condannare Pietro al risarcimento, giustifica le difficoltà a precede nello sviluppo delle indagini] “…la Giustificazione del quale delitto si rendeva molto difficile per la mancanza del corpo del delitto…” […] corpo del delitto che altro non era che il vero corpo oramai senza vita di Elisabetta, o forse ancora di più, quello della creatura morta nel ventre.» Racconto questo dunque, ripreso dalle cronache del tempo, che ci porta a riflettere sulla storicità del problema della violenza, sull’educazione che da sempre è stata portata avanti rispetto a queste tematiche, che spesso sembrano sminuire i fatti o addirittura riportarli su piani diversi rispetto a quello reale della cultura della violenza di genere, in fondo e tristemente sempre praticata. continua al prossimo numero: 3 / 2014 38 Un tema, una discussione a cura di Oscar De Pauli Tramite la parola si evidenzia il quoziente intellettivo di chi la pronuncia. Importante è l'apprendimento giacché sin dai primissimi anni di vita il cervello umano assorbe come una “spugna” quindi, a mio modesto parere, occorre adoperare gli strumenti idonei per accompagnare lo sviluppo culturale con una qualità maggiore. Spetta allo Stato democratico l'obbligo dell'insegnamento generale (escluse le altre culture di libero pensiero) e provvedere che i propri cittadini abbiano la possibilità di partire alla pari senza alcuna discriminazione. Soltanto così, credo, gli individui potranno formare un insieme, una collettività che possa fare scelte oculate e libere, e quindi dare valore alle parole. Pur non essendo io contro la tecnologia, poiché è importante per la continuità dell'evoluzione, temo, però, che la generazione contemporanea con l'uso del “linguaggio bit”, delle icone e dei segni, toglierà alla Parola il sentimento, l’espressione e il piacere dell'ascolto, cioè il senso, col rischio di tornare all'era dei geroglifici. Oscar, forse è vero, le parole possono pesare come pietre! Credo che se le pietre fossero ben squadrate si potrebbe edificare una Società meno aspra, più amante della propria cultura. Importante è la malta, cioè l'insieme dei singoli, giacché deve tenere legata l'intera struttura che possa avere le fondamenta poggiate, in primis, sull'etica e la morale. Concordo con Gabriella: nel dialogo multi parere c'è l'arricchimento della conoscenza, purché l'ascolto dell'altro e il rispetto reciproco siano fondamentali nella conversazione. Può la poesia dare maggiore significato alla Parola? Certamente sì, a maggior ragione quella con la “P” maiuscola. Purtroppo nel nostro Paese la poesia è in una fase difficile, è poco considerata ed è ancora la cenerentola della cultura. Anche nell’insegnamento scolastico, di ogni ordine e grado, si dà poco importanza. La poesia in questo momento è in una situazione negativa: scarseggiano le collane a essa dedicate perché non danno buoni risultati editoriali e quindi pochi guadagni per gli editori. A ritmare e rimare le emozioni è rimasto soltanto il “pop” e il “rap”, giacché il rapporto della poesia con la metrica è diventata problematica, il metro tradizionale è stato ricusato; la lingua della poesia sembra non avere più alcuna rilevanza. Come dicevo all’inizio, ho letto Coniare il mondo scritto da Francesco, che mi è piaciuto, in modo particolare l'ultimo capoverso. Francesco, con molta modestia faccio presente che ho “coniato” un’onomatopea, la troverai nell'antologia del nostro ventennale. Pensa al transitare del treno sui binari. Poi dall'aggettivo lucente ho pensato: “lucere” dedicato al pianeta Venere nella nascente alba. Ho letto la mia composizione di versi nella riunione di giovedì del nostro gruppo, i presenti sono rimasti in sospensione, per capire. Non ho spiegato allora ciò che adesso scrivo. Ho ritenuto che luccicare, brillare o lucente non davano libertà alla sensazione che era in me, lucere, invece, mi è sembrato che desse maggiore pregnanza (mentre la notte partoriva il giorno) ai versi “…Ho visto / Venere lucere nel mio...” eccetera eccetera. Crescenzo Guadagno 39 Poesie del Laboratorio ARTISTA FINITO Non è che lui non volesse dirti come li produceva quelli stramaledetti versi se poi se ne andava di fretta col vento chè anche lui il muratore taceva di sé e sempre pensava calce acqua rossi mattoni cemento nativo nella riserva a nord il segreto svelato a contratto, legna in cambio di case, emozione che si fa arte e lavoro di solitari artigiani oscura la bottega priva di adepti di sera e di giorno alle ore che si fanno tristi senza un motivo dove hai visto imparato traffici forse si di navi nell’acqua nel cielo ti guardo dentro intimità non poi criptate più di tanto per vendite rese necessarie dalla sopravvivenza contrattuale artista finito Paolo Senni G. M., SPE Sonetti preghiere elegie, Pendragon 2007, pag. 35 40 Poesie del Laboratorio Forse è così, che ti vedrò partire Rispetterò la veglia per la salma col cuore affranto, smarrito e spaventato attenderò che si alzi al cielo in volo l’essenza pura della tua anima provata che si comprima a terra spoglia l’assenza tracimante che mi lasci. Ma tu diventerai leggero già libero del tempo che si è spento sospeso su nell’aria insieme alle correnti naturali io ne accetterò il verdetto e lo farò come farebbe un uomo che continua ad amare la sua patria da lontano, nel castigo crudele dell’esilio lacrimerò discreto comprimendo nei pugni tremolanti tutta l’angoscia delirante che deriva dalla perdita di un padre lascerò l’invisibile dolore implodere nell’angolo più buio del suo male lungo la scia nervosa di memorie madide di amore e di tempeste mi getterò nel vuoto soffocante del silenzio che stringe forte al collo la sua presa affianco al suo immenso e vaneggiante dilagare senza più alcuna voce familiare di speranza proverò ad arginare in qualche modo il flusso aggressivo dei pensieri che ad oggi ancora, non afferra il senso di una vita esuberante, che scompare. Bologna, 10 Febbraio 2014 - Addio papà … il tuo Piero Piero Saguatti 41 Addio papà, oggi mi lasci un po’ più povero dentro. Qualche anno fa, se non erro nel 2006, ti dedicai questa mia poesia scritta già immaginando la tua perdita; te la lessi, non commentasti. Credo però che tu avessi compreso bene, tutto l’amore che esprimeva, preferendo il nobile silenzio a qualsiasi commento inopportuno. Ora che la rileggo per pubblicarla, mi rendo conto che non sbagliai nell’anticipare la prostrazione emotiva che ne sarebbe scaturita, quella che proprio oggi 10 Febbraio 2014 mi ha devastato l’anima… irrimediabilmente. Il racconto a cura di Valeria Bragaglia A nanna l’aveva semplicemente battezzata e a secondo del momento e delle necessità affettive dava una intonazione più o meno tenera, arrivando ad abbracciarla e con tono sognante a dire “aaa nannaaa”! E’ ancora oggi compagna inseparabile nel sonno; assieme a Juan Carlos nel lettino va sempre lei, così come è la prima cosa, scusate, il primo personaggio che viene preparato negli spostamenti. Via via che il tempo passava essa prendeva più confidenza e da compagna di letto diventava anche compagna di giochi. Come Linus, anche Juan Carlos girava e gira trascinandosi la copertina. Non c’è centimetro quadrato del pavimento della nostra casa e di tutti i luoghi dove siamo stati che non sia stato spolverato dalla nanna. C’era stato un periodo in cui Juan Carlos passava un angolino della nanna sotto il naso e, magnanimamente, invitava le persone care a fare altrettanto. Anche la nanna, come tante dive, ha le sue manie e le sue bizze. La più evidente è che non ama acqua e sapone. In tre anni o poco più di vita ha visto questi elementi pochissime volte e sempre contro la volontà sua e del suo protetto. C’è un rifiuto preventivo a che sia lavata, e quando ciò accade deve avvenire in una giornata che garantisca una rapida asciugatura, talvolta aiutata con l’asciugacapelli. E l’attesa è vissuta sempre con la preoccupazione che oltre allo sporco, col lavaggio venga via parte del prestigio, del fluido benefico che la nanna possiede. La nanna è una copertina di lana fatta ai ferri da mia moglie per il figlio che tanto abbiamo aspettato e che abbiamo adottato in Perù. Ha origini nobili essendo figlia di una giacca disfatta e la lana, rinvigorita con i vapori dell’acqua che bolliva in un pentolino, è stata raccolta in gomitoli. Sono così nate due nuove creature, figlie di una stessa madre, ma non gemelle. Una è, appunto, la nanna, sua sorella è un golfino. Nel viaggio in Perù, l’avevamo portata, a Cusco, per il bimbo a cui eravamo stati abbinati. La nanna era un oggetto utile a scaldare Juan Carlos quando lo portavamo fuori sul passeggino o in braccio; se il piccolo dormiva nella culla era coperto dalle lenzuola e dalle copertine della casa che ci ospitava, mentre la nanna veniva messa sulla sponda del lettino. Juan Carlos, quando si svegliava, la vedeva per prima e la ritrovava e ne veniva a contatto ogni volta che andavamo fuori, venendosi così a creare una sorta di tenera complicità fra i due: la nanna dava calore a Juan Carlos e gli faceva sentire la sua morbidezza di copertina e lui la gratificava mostrandole compiacimento e gratitudine. Nel viaggio di ritorno in aereo dal Perù in Italia la nanna non era stata chiusa in una valigia, ma adagiata in un sedile e talvolta sopra Juan Carlos per confermargli il suo affetto e la sua devozione. A Bologna la nanna aveva rivendicato il suo posto d’onore come guardiano del sonno di Juan Carlos. Così di notte o nei riposini del giorno essa stava sempre a cavallo di una sponda del lettino, ma un bel giorno era scivolata dentro la culla e lì era rimasta. Quando Juan Carlos aveva cominciato a parlare la copertina che serviva per fare la nanna aveva preso questo nome. Lui Nunzio Sipione 42 Giochi, indovinelli ed altro di Sandro Sermenghi ed altri FÔLA DLA FURMÎGA PAR SAN MARTÉIN Laboriåusa furmighéina ch'la zarchèva na granléina da purtèr ai sû fradî, vagabånda la s truvé, da un udåur calamitè, dàntr a cla pastizarî, zå stra él schèrp di luvigión ch'sursegièven tè ai limón con di crâfen pén éd cramma. Mänter svélta la bdalèva brîsl in tèra la biasèva sanza avair inciónna tamma: cum l'é bôna la vanégglia, la pensèva in sguzuvégglia, e la pâna... che savåur! Mo inpruvîs e inprevedébbil un scarpån cme un dirizébbil ai stianché ahi! che dulåur zanp ed anc sänza cuntrôl, pî, antànn, ucèl e dént e dla bici i muvimént! FAVOLA DELLA FORMICA PER SAN MARTINO Laboriosa formichina che cercava una granellina da portare ai suoi fratelli, vagabonda si trovò, da un odor calamitata, dentro quella pasticceria, giù fra le scarpe dei ghiottoni che sorbivan tè ai limoni con dei krapfen pieni di crema. Mentre svelta pedalava briciole in terra lei masticava senza aver nessuna tema: com'è buona la vaniglia, lei pensava in gozzoviglia, e la panna... che sapore! Ma improvviso e imprevedibile uno scarpone qual dirigibile le spezzò ahi! che dolore zampe ed anche senza controllo, piedi, antenne, occhiali e denti, e della bici i movimenti! Lî la tgnèva sänpr al côl par furtóuna al celulèr ch'al s'inpié par psair ciamèr Lei teneva sempre al collo per fortuna il cellulare che si accese per chiamare Prånt Sucåurs/TAC dal 118 che a Vigåurs tótt int un bòt al la fé ricoverèr: Pronto Soccorso/TAC del 118 che a Vigorso tutto in un botto la fece ricoverare: lé i fénn pió d na puntûra, pò una sèna medgadûra e ala fén la muradûra. lì le fecer più d'una puntura, poi una sana medicatura e alla fin l'ingessatura. La murèl l'é quassta qué:: mâi fidèrs ed zért udûr ch'i én såul turlupinadûr, La morale è questa qui: mai fidarsi di certi odori che son sol turlupinature, méi na mécca ed pan stinté con na gåzza d'âcua pûra che un bignè... con la fratûra! meglio una mica di pane stantìo con una goccia d'acqua pura che un bignè... con la frattura! Sandro Sermenghi 43 Cognome e nome Andraghetti Fosca Bacchi Alessandro Bastelli Anna Boari Carlo Boriani Anna Maria Bragaglia Valeria Calotti Gian Pietro Caruso Maurizio Casetti Rosalba Colonnello Tommaso Corradi Livia Cuoco Luigi Cvetaeva Marina Demi Cinzia De Pauli Oscar Durante Francesco Fabbi Floriano Falcucci Angela Finzi Zara Generali Alessandra Giglio Rosy Gresleri Mirella Grosso Piera Guadagno Crescenzo Iattoni Maria Leopardi Giacomo Lipari Franco Manini Elio Marisaldi Maria Luisa Masala Alberto Maselli Anna Mattioli Paola Mazzacurati Augusto Minarelli Nadia Morelli Arnaldo Notari Silvano Pellizzari Emelina Indice N° di pag. 25 9 4, 19 14 12, 13 4, 14, 42 5, 9, 15 1 di cop. 2, 3, 5, 22 9 22, 23, 16, 17 37, 38 1, 4, 7, 11, 39. 30, 31 1 4, 21, 30, 31 22 23 24, 33 24, 7, 10, 39 1, 4, 24, 35 19 34 Cognome e nome Penzo Gabriella Pinghini Chiara Pisani Graziella Saguatti Piero Sangiorgi Marina Santandrea Viviana Sermenghi Sandro Senni Paolo Sipione Nunzio Tarroni Amleto Tieghi Aurelia Tinarelli Luciana Tomba Patrizia Tosi Paola Vannini Giovanni Venzi Andrea Verdoya Malena Villani Maggi Maria S. Zucchini Anna 4, 20, 4 di cop. 13 2, 3 11 36 18 26 26 4, 15, 26 27 44 N° di pag. 4, 26, 27 25 5, 21 4, 41 16, 17 20, 28 43 40 42 29 4, 29 36 32 1, 6, 32 8, 34 35 4 5 4, 12 Movimento Difesa del Cittadino (MDC) è un’associazione dei Consumatori senza scopo di lucro, nata a Roma nel 1987, che opera a livello nazionale ed è indipendente da partiti e sindacati. MDC è membro del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti (CNCU) costituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico, di Consumers’ Forum ed è anche Associazione di Promozione Sociale riconosciuta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Inoltre collabora con Legambiente e le principali associazioni nazionali di tutela dei diritti dei cittadini e dei consumatori. MDC Promuove la Tutela dei Diritti dei Cittadini, informandoli e dotandoli di strumenti giuridici di autodifesa, prestando Assistenza e Consulenza Legale su problematiche collettive ed individuali. Porta avanti una serie di iniziative per rendere i cittadini sempre più informati su come contrastare le Insidie del Mercato, anche attraverso Azioni Legali per la Difesa degli Interessi Collettivi e Diffusi. I cittadini che hanno bisogno di un consiglio e assistenza legale in tema di famiglia, lavoro, proprietà e locazione di immobili (liti condominiali), consumo e commercio, infortunistica stradale e multe, viaggi e turismo, possono usufruire previo tesseramento della consulenza GRATUITA di un esperto. SI RICEVE TUTTI I MARTEDì SOLO SU APPUNTAMENTO DALLE 17:00 ALLE 20:00 E TUTTI I GIOVEDÌ ANCHE SENZAAPPUNTAMENTO DALLE 17:00 ALLE 20:00 PRESSO LA SEDE DEL CIRCOLO LA FATTORIA Per maggiori informazioni: tel. 051505117, E-mail bologna@mdc.it I pittori del Laboratorio di Parole Elio Manini “Orto urbano” olio su tela cm. 70 x 70 Bologna 2013 "
© Copyright 2024 Paperzz