© creattiva - Confindustria Genova

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE ECONOMICA, POLITICA E CULTURALE • I.P. • ANNO XXV • N. 3 • MAGGIO - GIUGNO 2014 • POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% CB-NO/GENOVA
3- 2014
editoriale
UMBERTO SURIANI
Obiettivo lavoro
l’intervista
MARCO GAY
Umanesimo Industriale
dossier riforme
LAVORO
www.madiventura.it
Frutta secca sgusciata.
Frutta secca tostata e salata.
Mix di frutta secca in granella.
In confezioni monoporzione.
Orgogliosi di essere qui
ansaldoenergia.com
Genova Impresa 3
2014
GENOVA IMPRESA
Bimestrale
Confindustria Genova
4
Editore
AUSIND
Via San Vincenzo 2-16121 Genova
6
10
Confindustria
ASSEMBLEA 2014
l’intervista
Marco Gay
UMANESIMO INDUSTRIALE
di Piera Ponta
Umberto Suriani
Registrazione
presso il Tribunale di Genova
N. 1-89 del 10-1-1989
14
dossier
FLEXICURITY
di Stefano Dolcetta
Direttore Responsabile
Piera Ponta
PRIMO ATTO DI CORAGGIO
di Emmanuele Massagli
Comitato di Redazione
Alessandro Brenna
Guido Conforti
Leopoldo Da Passano
Roberta Recchi
Massimo Sola
Umberto Suriani
Hanno collaborato
Paolo E. Arlandini
Vittoria Bixio
Caterina Cerrini
Stefano Dolcetta
Luca Failla
Stefano Frassetto
Emmanuele Massagli
Massimo Morasso
Federico Olivieri Strinasacchi
Lorenzo Quilici
OBIETTIVO LAVORO
di Umberto Suriani
N. 3/2014
Direzione e Redazione
Via San Vincenzo 2-16121
Genova
tel. 010 - 8338426
pponta@confindustria.ge.it
www.confindustria.ge.it
editoriale
PROVE DI FLESSIBILITÀ
di Luca Failla
IL PARERE DELLE IMPRESE
LA PAROLA A CGIL, CISL, UIL
OLTRE IL WELFARE PUBBLICO
di Lorenzo Quilici
Marco Gay
BEST PRACTICE SPEZZINA
BUONA FLESSIBILITÀ
CO-WORKING
34
competizione & sviluppo
BANCA CARIGE, LA SVOLTA
VERSO LA BORSA
Progetto grafico e impaginazione
CREATTIVA
Via Dante 2-87 - Genova
Tel. 010.54.29.98
info@creattivagenova.it
IB NEGLI USA
di Caterina Cerrini
COSMESI TRASPARENTE
Stampa
B.N. Marconi s.r.l.
Passo Ruscarolo, 71 - Genova
Tel. e fax 010 6515914 r.a.
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Tel. 010.310.65.20
Fax 010.310.65.72
info@nuovagiemme.it
UN VEICOLO PER OGNI OCCASIONE
CEMENTI CENTRO SUD
CARISPEZIA
RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO
di Paolo E. Arlandini
CHARGE IT
58
Genova Impresa ospita articoli e opinioni
che possono anche non coincidere con le
posizioni ufficiali di Confindustria Genova.
L’editore è disponibile a riconoscere eventuali diritti a chi ne rivendichi la proprietà.
Expo 2015
1914: L’EXPO DI GENOVA
sommario
62
giovani
GIOVANI “NEET”
di Federico Olivieri Strinasacchi
e Stefano Frassetto
CRITICI, PROPOSITIVI, RINNOVATORI
di Mattia Marconi
68
tigullio
PAZIENTI E TURISTI
di Vittoria Bixio
70
comunicazione
12 MOTIVI IN PIÙ
di Claudio Burlando
73
la città
GINO PAOLI & CO.
TOMÁS SARACENO
76
cultura & società
ESPRESSIONISTI AL CAMEC
di Luciano Caprile
LA RINASCITA
DELLA PITTURA GIAPPONESE
di Massimo Morasso
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
3
EDITORIALE
di Umberto Suriani
Obiettivo
lavoro
Il prossimo 1º luglio avrà inizio il semestre di Presidenza italiana del Consiglio Europeo. A questo appuntamento il nostro Paese si presenta forte dell’esito della recente consultazione elettorale, che ha evidenziato la maturità degli italiani, capaci di resistere alla tentazione di legittimare quei movimenti “euroscettici”, quando non apertamente sciovinisti e xenofobi, che hanno avuto la meglio
in altri importanti Paesi europei.
Con questo voto gli italiani hanno dimostrato di continuare a credere nel progetto di unificazione, non perché l’Europa di oggi vada bene così com’è, ma perché è ancora
un sogno che vogliamo vedere realizzato.
Certo, è tempo di un cambio di marcia, di una politica
economica europea che metta da parte il dogma dell’austerità, mobilitando risorse ed energie a sostegno della
crescita e dell’occupazione. Abbiamo il diritto, infatti, di rivendicare un’impostazione rinnovata, che consenta ai
Paesi in avanzo primario, come il nostro, di accompagnare il necessario risanamento dei conti pubblici con politiche di sostegno della domanda interna.
Nel frattempo, però, dobbiamo fare il massimo con le armi che abbiamo. Se è vero, infatti, che non possiamo
mettere in campo una politica fiscale particolarmente
espansiva - se non entro i ristretti paletti imposti dai parametri di Maastricht - e che non possiamo pretendere una
politica monetaria “tarata” sui bisogni specifici della nostra economia - sebbene non credo ci si possa lamentare
dell’operato di Mario Draghi - è pur vero che nessuno ci
4 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
impedisce di implementare quelle riforme “strutturali”,
spesso annunciate e mai realizzate, che collocano il nostro Paese nelle retrovie di tutte le classifiche internazionali di competitività.
La politica economica, infatti, non è fatta solo di interventi
di stimolo della domanda. Certo, sarebbe bello disporre
di qualche risorsa in più per diminuire le imposte e incentivare investimenti e consumi; nell’attesa, però, perché
non provare a intervenire sull’offerta aggregata, creando
le condizioni per aumentare la competitività delle nostre
imprese, eliminando le rigidità che ne ostacolano la crescita e ne compromettono la capacità di innovazione?
Nessun trattato ci impedirebbe, per esempio, di rivedere
le regole che governano il mercato del lavoro, certamente
fra i principali freni della nostra economia. Tra il 2000 e il
2013 la produttività del lavoro, in Germania, è cresciuta di
oltre trenta punti percentuali più che in Italia. Nonostante
questo, le imprese italiane hanno sopportato un incremento del costo del lavoro di circa dieci punti percentuali
più alto delle omologhe tedesche.
Ovviamente, molteplici sono i fattori che hanno contribuito a soffocare la nostra capacità di innovazione, principale determinante degli incrementi di produttività del lavoro,
a cominciare da livelli di investimento rimasti compressi
tra margini di profitto in diminuzione, tassazione in costante aumento e altre fonti assortite di svantaggio competitivo. Al netto di quanto precede, però, il fatto che in
questi ultimi tredici anni i salari nominali siano aumentati,
percentualmente, più in Italia che in Germania, testimonia
l’inadeguatezza delle regole che governano la contrattazione collettiva. Per questo, nelle ultime settimane, Confindustria ha lavorato all’elaborazione di un documento
programmatico, intitolato “Proposte per il mercato del lavoro e per la contrattazione”, recentemente consegnato
dal Presidente Giorgio Squinzi al Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Un documento con cui Confindustria si propone di contribuire, in modo propositivo, al dibattito parlamentare che accompagna il disegno di legge delega n.
1428, appena presentato al Senato, a pochi giorni di distanza dall’approvazione del Decreto Legge n.34/2014
(cosiddetto “Decreto Poletti”), cui va il merito di aver inteso potenziare quella flessibilità “buona”, garantita da contratti a tempo determinato, tirocini e apprendistato, ostacolata, in questi anni, dalla moltiplicazione di collaborazioni a progetto e partite IVA, che non ha prodotto che precarizzazione e incremento del contenzioso.
Se è certo, infatti, che nessuna legge può creare lavoro, è
pur vero che una buona legge può incoraggiare nuova
occupazione, così come una cattiva ostacolarla. Per questo la proposta del Governo di introdurre una nuova forma contrattuale, quale il contratto di lavoro a tutele crescenti, va valutata con molta attenzione, perché le imprese hanno bisogno di una flessibilità organizzativa difficilmente conciliabile con le rigidità proprie di un contratto
“unico”, sostitutivo di tutte le tipologie esistenti.
Sarebbe preferibile, invece, intervenire sulle attuali tipolo-
gie contrattuali, aggiustandone i contenuti in una logica di
“flexicurity”, magari definendo un salario minimo legale e
incentivando la diffusione del welfare aziendale.
Non meno urgente, inoltre, sarebbe correggere l’attuale
disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato,
da un lato limitando l’ipotesi della reintegrazione ai soli
casi di licenziamento nullo o discriminatorio; dall’altro, rivedendo l’impianto dell’art. 2103 c.c. che di fatto impedisce quella flessibilità di mansioni indispensabile per competere in mercati sempre più dinamici e incerti. Ma il vero
salto di qualità consisterebbe nell’affrontare in modo strutturale il delicato tema della contrattazione, portando a
compimento il percorso virtuoso avviato con gli accordi
interconfederali del 2009. Occorre proseguire il cammino
verso il decentramento della contrattazione collettiva, incentivando, sul piano fiscale e contributivo, la contrattazione aziendale “virtuosa”, in modo che i salari siano sempre più legati ai livelli aziendali di produttività e redditività.
Certo, nessuno pensa che questi interventi, da soli, possano portare la nostra economia a crescere di quei 5,2
punti che, secondo le più recenti stime dell’OCSE, mancherebbero all’Italia per chiudere il gap rispetto all’output
potenziale; tuttavia costituirebbero, anche sul piano psicologico, un significativo incentivo per rimettere in moto investimenti e occupazione, dettando l’inizio di quel “rinascimento” economico-industriale di cui il Paese ha bisogno.l
Umberto Suriani è Presidente Gruppo Giovani Imprenditori
Confindustria Genova
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
5
CONFINDUSTRIA
© RENATO FRANCESCHIN
Assemblea
2014
GIORGIO SQUINZI
Il 28 e 29 maggio scorso si è tenuta, a Roma, l’Assemblea generale di Confindustria. In queste pagine, riportiamo alcuni dei passaggi più significativi della relazione che il presidente Giorgio Squinzi ha presentato nella
sessione pubblica, dove è intervenuto anche il ministro
dello Sviluppo Economico Federica Guidi.
«Come consuetudine ci ritroviamo oggi nella nostra Assemblea per riflettere sulla condizione del Paese, della
sua economia, delle sue imprese.
Lo facciamo dopo un passaggio importante della vita democratica, le elezioni europee, il cui risultato ci mette di
fronte a un bivio politico: l’Europa può aprirsi finalmente
verso le riforme - come Confindustria chiede da tempo o cedere alle forze che spingono verso la dissoluzione del
sistema.
Confindustria sta dalla parte delle riforme in Europa e, a
maggior ragione, in Italia. Per noi questa è una scelta
semplice, perché siamo creatori per mestiere.
Le incertezze da rimuovere sono ben chiare. L’economia
arranca, gravata da una moneta molto forte e da politiche
di bilancio insostenibili. Abbiamo regole uguali, ma applicate in modo diverso: dalla liberalizzazione dei mercati,
alla difesa dei campioni nazionali. I forti hanno accollato ai
più fragili costi elevati, con conseguenze e lacerazioni sul
piano sociale e del lavoro. Difficile pensare che questo
cocktail non producesse alla lunga un moto di forte disillusione.
Il malessere un’origine ce l’ha. Le politiche di austerità
non hanno prodotto alcun risultato per la ripresa dell’economia e per il lavoro. Infatti la crescita c’è, ma non in Europa. La produzione industriale e il commercio mondiali
hanno ripreso a correre, anche se in maniera meno robusta di prima della crisi. Dopo il 2008 i numeri sono chiarissimi: il Pil Usa è a +6,3%, quello dell’Eurozona è a -2,5%,
con una forbice sempre più aperta tra i ricchi: la Germania con il +3,8%. E i più poveri: la Grecia con il -23,6%.
La produzione manifatturiera mondiale è cresciuta del
36% dal 2000 al 2013, quella italiana è crollata del 25%.
L’Europa fatica e perché riprenda il passo della crescita
6 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
deve avviare un ciclo macroeconomico espansivo, abbandonando il rigore fine a se stesso che ha giovato e
gioverebbe solo a chi è più forte.
L’obiettivo ambizioso dell’Unione politica a partire dalla
moneta si è spento, compresso dalla velocità del mondo
contemporaneo e svuotato dalla mancanza di leadership
politica. Se l’attuale malessere si trasformasse in un processo di disgregazione, le conseguenze sarebbero gravissime: perderemmo di colpo ciò che di buono abbiamo
costruito, con fatica, in tanti anni.
Il semestre di Presidenza italiana della Commissione deve
essere l’occasione per ridurre gli eccessi di un’austerità
applicata in modo asimmetrico e per iniziare un processo
di avvicinamento tra istituzioni e cittadini d’Europa.
Dal Governo sono venuti incoraggianti segni di rinnovamento: sulla legge elettorale, sulla semplificazione e sulla
pubblica amministrazione, sulle riforme istituzionali, sulla
legislazione del lavoro. Senza riforme è impossibile agganciare la crescita. In Confindustria abbiamo chiara la
sequenza: occorre stabilità per fare le riforme, le riforme
innescano la crescita, con la crescita viene il lavoro. Temo però che anche quest’anno la crescita che vorremmo
vedere non ci sarà e, assieme alla crescita, non ci sarà il
lavoro.
Qualche analista si era spinto ad annunciare la fine della
crisi. Noi più modestamente e pragmaticamente avevamo guardato i grandi numeri e detto che i segnali erano
contradditori. Ci hanno pensato i dati sul primo trimestre
a gelare l’ottimismo, con il Pil che ha toccato un nuovo
minimo. Il reddito procapite è ai livelli del 1996, i consumi
al 1998, gli investimenti al 1994, la produzione industriale
è tornata al livello del 1986. La disoccupazione viaggia
verso il 13%. Nel manifatturiero tra il 2001 e il 2013 abbiamo perso 120.000 imprese e quasi un milione e duecentomila posti di lavoro.
Confindustria ha già dimostrato che si può tenere un serio equilibrio di bilancio combinandolo al rilancio degli investimenti, senza i quali di crescita è meglio non parlare
più. Serve uno Stato più leggero e vicino alle imprese per
battere sfiducia e rassegnazione.
In questi anni molto è successo nel mondo della produzione. C’è una nuova stagione d’industrializzazione un
po’ ovunque nel mondo. Continuano a spostarsi produzioni attratte non più solo dai costi, ma anche dalla conoscenza. Nei paesi avanzati si concentra il valore del design e del progetto. Al contempo emergono nuove produzioni e nuove nicchie, si ricompongono filiere, c’è una
vivacità di piccola impresa creativa e di qualità. Si affermano nuove specializzazioni territoriali.
Ovunque, l’industria è al centro delle politiche. Ovunque,
ma non in Italia. Non come vorremmo. Nel frattempo
qualche misura reale si è vista, a partire da un primo intervento sulla riduzione del cuneo fiscale. Finalmente si è
avviato il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione che, per l’esattezza, sono soldi nostri e dovuti
da tempo.
È in corso un profondo rimodellamento del tessuto imprenditoriale che abbandona vecchie produzioni e modelli
di business. Si stanno intraprendendo nuove pratiche di
prodotto, di processo e di organizzazione e in molte nicchie mid-tech abbiamo consolidato la nostra leadership.
In altre ci affacciamo con promettenti nuovi campioni.
Facciamo però ancora troppo poco per il recupero della
produttività, sugli investimenti in ricerca e per il digitale e
su nuove attività ad alto valore aggiunto che sono giacimenti di crescita inespressi. Penso a quanto potrebbe
dare il mondo della salute se fosse considerato un asset
industriale e non un costo sociale da pagare.
Tantissimo fermento c’è nelle nuove imprese fatte da giovani di tutta Italia, tale da far pensare a un moto di rinnovamento felice del capitalismo italiano. Purtroppo non basterà la creativa intraprendenza dei singoli a rimetterci
sulla strada della crescita. Se vogliamo crescere, e farlo in
modo stabile e continuativo nel tempo, va garantito un
impegno strutturale sulle misure di politica industriale necessarie a rendere l’Italia un luogo che non ostacoli chi
vuole fare impresa, ma anzi lo assecondi, come succede
in tutti i Paesi nostri concorrenti.
Qui chi fa impresa è spesso trattato come un nemico della legge o un soggetto che tenta di aggirarla. Non esiste
luogo al mondo in cui asset industriali strategici possano
essere di fatto gestiti dalla magistratura in opposizione
con il potere legislativo. Non esiste luogo al mondo che
richieda sette anni per autorizzare un negozio, quindici
anni per un supermercato, undici per decidere di non autorizzare un rigassificatore, 170 giorni in media per incassare una fattura dalla PA.
L’Art. 41 della Costituzione dice: L’iniziativa economica
privata è libera. Oggi in Italia questo non è più un diritto
garantito. Confindustria non lo può accettare.
La scelta dell’Unione europea di puntare sulla sostenibilità
dello sviluppo è condivisibile, ma è evidente la necessità di
bilanciare in maniera più equilibrata gli obiettivi di competitività del sistema industriale con quelli della lotta ai cambiamenti climatici. Nella definizione dei nuovi obiettivi di riduzione della CO2 per i prossimi decenni dovranno essere coinvolte anche le altre grandi aree industriali del mondo per evitare che nuovi vincoli causino distorsioni della
concorrenza e altri fenomeni di delocalizzazione.
LA SQUADRA DI
PRESIDENZA
BIENNIO 2014-2016
Ricerca e Innovazione
Diana Bracco
Relazioni Industriali e Welfare
Stefano Dolcetta
Europa
Lisa Ferrarini
Mezzogiorno e Politiche regionali
Alessandro Laterza
Education
Ivanhoe Lo Bello
Semplificazione e Ambiente
Gaetano Maccaferri
Organizzazione
Antonella Mansi
Centro Studi
Carlo Pesenti
Piccola Industria
Alberto Baban
Giovani Imprenditori
Marco Gay
Comitato Credito e Finanza
Enzo Boccia
Comitato Fisco
Andrea Bolla
Comitato
Reti di impresa, filiere e aggregazioni
Aldo Bonomi
Comitato
Internazionalizzazione
e Investitori Esteri
Licia Mattioli
Delegato
all’Internazionalizzazione associativa
Edoardo Garrone
Delegato alla Legalità
Antonello Montante
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
7
Le imprese italiane continuano a pagare l’energia il 30% in
più rispetto alle altre imprese europee anche per effetto
delle componenti parafiscali che gravano sulle bollette.
Insisto: sono le condizioni generali a contorno dell’impresa che fanno un Paese innovativo, competitivo o meno.
In particolare, occorre rinforzare con maggiore decisione
gli investimenti infrastrutturali per contribuire ad aumentare la spesa in investimenti pubblici.
Ho cominciato sulla questione lavoro e su questa torno e
tornerò sempre in ogni nostra Assemblea, fino a quando
non vedrò segni stabili di inversione di tendenza.
Tutti gli sforzi della nostra organizzazione devono concentrarsi su questo obiettivo primario: ridare lavoro al Paese.
Il lavoro non si crea per decreto, ma con regole sbagliate
lo si può distruggere. Il capitale umano è la ricchezza più
grande che noi imprenditori abbiamo. Anche su questo
siamo pronti a scommettere e investire.
Abbiamo sottoscritto un importante accordo sulla rappresentanza per l’esigibilità dei contratti. È la precondizione per proseguire il cammino verso la modernizzazione delle relazioni industriali. Sulla rappresentanza abbiamo discusso e negoziato a lungo, non per recitare un rito
che appartiene a una stagione lontana, di cui non abbiamo alcuna nostalgia, ma per avere regole certe con cui
costruire nuove e moderne relazioni industriali. Noi non
abbiamo pregiudizi e siamo aperti al cambiamento. Dal
sindacato mi aspetto uno sforzo d’innovazione coerente
con il disegno che abbiamo sottoscritto. Al sindacato dico: guardiamo al mondo. Il processo di sviluppo delle
economie emergenti è ormai in corso da un quarto di secolo e sono queste a trascinare le economie dei Paesi
più industrializzati.
Tra 15 anni la classe a medio reddito arriverà a circa 1,5
miliardi di individui, più di mezzo miliardo sarà nei paesi
emergenti. Sono ancora troppo poche le imprese che
esportano e troppo piccolo il volume medio di esportazioni. La stima è che siano 75mila le imprese con potenziale
verso l’export ancora inespresso. Noi abbiamo ambizioni
grandi sui mercati e per molti stranieri siamo un modello
da imitare. La grande occasione per fare vetrina e sistema di tutto ciò è a Milano e si chiama EXPO.
Per molti che non ci conoscono questa non sarà un’esposizione universale o una grande fiera della tecnologia:
sarà l’Italia. Perciò qualsiasi macchia si faccia all’EXPO,
non è grave, è imperdonabile, perché la si fa a danno dell’intero Paese.
Ci sono difficoltà, inutile negarlo, ma bisogna comprenderne bene la natura e l’origine. Questo ci riporta ad uno
dei temi chiave per il Paese. “Una repubblica corrotta ha
bisogno di moltissime leggi” scriveva Tacito negli Annali.
Era il 112 dopo Cristo. Sono cadute le barriere ideologiche, si sono aperti i mercati, la rivoluzione digitale velocizza e mette in trasparenza, faremo le fatture elettroniche.
Eppure il muro invisibile di cui scriveva Tacito è ancora lì.
Dobbiamo fare di tutto per abbatterlo.Qualsiasi disegno
di policy anche illuminato e moderno non sopravvive alla
giungla normativa e alla debolezza sul piano dell’attuazione della macchina pubblica italiana. Secondo il servizio
studi della Camera dei Deputati le leggi sono 37.000. Se-
8 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
condo Sabino Cassese 150.000. Franco Bassanini si ferma a 50.000. Io ci aggiungo anche 28.000 tra leggi e regolamenti regionali. In tutte quelle pagine prospera la corruzione. Abbattiamo il muro della complicazione e allarghiamo gli spazi di mercato oggi occupati impropriamente dal pubblico. Agiamo e decidiamo in tempi normali,
non dilatati ad arte. Limitiamo l’arbitrio della burocrazia.
Gli imprenditori vogliono essere cittadini con diritti e non
sudditi in cerca di favori.
Poi c’è la nostra responsabilità. Chi corrompe fa male alla
propria comunità e fa male al mercato, produce un grave
danno alla concorrenza e ai suoi colleghi. Queste persone non possono stare in Confindustria. Occorre uno scatto morale, nostro in primo luogo, poi del Paese tutto, se
vogliamo liberarci dall’alleanza perversa tra complicazione
e corruzione.
Analogamente va risolto il rapporto malato che il contribuente italiano ha con il fisco. La malattia è seria perché
anche in questo caso l’eccesso si commenta da solo:
siamo al 68,5% del prelievo sugli utili secondo la Banca
Mondiale. Il 19º prelievo più elevato al mondo, il primato
tra le economie avanzate. Il cuneo fiscale sul lavoro è al
53%, secondo solo al Belgio, 10 punti sopra la media UE
e 17 su quella OCSE. Il che significa che fino alla prima
decade di settembre si lavora per pagare le tasse. Avanti
così e l’anno è finito prima di iniziare! Essere ancora la seconda manifattura europea e una delle prime dieci del
mondo è un vero e proprio miracolo.
Da tempo chiediamo di disboscare la giungla dei tributi
per trovare chiarezza e certezza. I principi sono già stati
scritti quindici anni fa nello Statuto del contribuente, basta applicarli.
Mi avvio verso la conclusione e, come doveroso, vengo a
parlare di noi.
All’Assemblea dello scorso anno la riforma Pesenti mosse i suoi primi passi. Oggi quella riforma non è più un disegno astratto ma una realtà concreta che cresce nelle
categorie e nei territori. Il 19 giugno approveremo il nuovo
Statuto, dimostrando che ancora una volta Confindustria
guarda avanti. La dimostrazione più evidente del fatto
che se decidiamo di cambiare siamo capaci di farlo. Oggi
si avvia la seconda metà del mio mandato di Presidente,
con una nuova squadra che anticipa lo spirito della nuova
Confindustria.
Abbiamo obiettivi chiari da raggiungere. Chiediamo riforme che rendano l’Italia più leggera e semplice, trasparente, capace di tornare a volare come è stato nel secondo
dopoguerra e come è nei nostri mezzi.
È la attuale, grande questione della politica, in Europa e
nel nostro Paese, che ha radici profonde nella separazione tra i fatti, i progetti, in altri termini la realtà e la politica.
La supereremo solo se sapremo, in un momento delicato
della nostra storia come questo, ricongiungere gli impegni presi con la loro realizzazione concreta».l
L’INTERVISTA
di Piera Ponta
Debutto al 44º Convegno nazionale dei
Giovani Imprenditori a Santa Margherita
per il neo presidente degli under 40 di
Confindustria. Un appuntamento dedicato all’Uomo e al saper fare.
Marco Gay
“ I giovani sono portatori
sani di innovazione e
di energie nelle aziende”
Umanesimo
Industriale
“ Il riconoscimento delle
competenze e del merito
è un elemento essenziale
per rimettere in moto
il mercato del lavoro”
“ I Giovani Imprenditori
possono offrire
smart money a chi
vuole fare impresa,
mettendo a disposizione
competenze, esperienza,
capacità di visione”
Marco Gay, torinese, sarà presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria per il triennio 2014-2017. Le
parole chiave del suo programma sono innovazione, responsabilità, competenze, giovani, merito e futuro. Alla
guida del Movimento, intende impegnarsi nella ripresa
dell’economia riaffermando il valore dell’italianità in una
prospettiva di internazionalizzazione e contribuire alla costruzione di un ecosistema dove chi ha idee, talento e
coraggio, possa sviluppare con successo il proprio progetto di impresa.
Presidente, poche settimane fa è stato convertito in
legge il cosiddetto Decreto Poletti. Nell’attesa che si
proceda con il “Jobs Act” predisposto dal presidente
del Consiglio Matteo Renzi, quali sono, a suo parere, i
punti di forza e i punti di debolezza di questo primo
provvedimento di riforma?
La nota positiva è che questo provvedimento costituisce,
finalmente, un inizio, un punto di partenza dal quale muoversi per cambiare davvero. Al nostro Paese serve una riforma che favorisca l’accesso al mondo del lavoro soprattutto ai giovani, che sono “portatori sani” di innovazione e di energie nelle aziende. Ci auguriamo che questo possa avvenire nel più breve tempo possibile, in maniera da dare rapidamente nuovo slancio all’economia.
Sì, il giudizio dei Giovani sul Decreto Poletti è di generale
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
11
apprezzamento. Un primo passo in avanti è stato fatto,
poi sarà la volta delle integrazioni, già disposte e oggetto
di approfondimento da parte del Governo. Ma in questa
gravissima crisi dell’occupazione, era importante dare inizio a un percorso.
Di quali strumenti deve dotarsi il nostro Paese per realizzare il progetto di “umanesimo industriale” di cui si
dibatte al convegno d Santa Margherita?
Partiamo dall’uomo e dall’impresa. Noi crediamo che la
vera innovazione sia portata da chi lavora: l’umanesimo
industriale si basa sul capitale umano, sulle competenze,
sul sapere, sul fare e sull’impresa. Questi punti cardine
devono tornare al centro del dibattito sulla crescita del
Paese, devono essere riscritto in un piano di politiche del
lavoro a medio e a lungo termine. Il riconoscimento delle
competenze e del merito è un elemento essenziale per rimettere in moto il mercato del lavoro. Non dimentichiamo
che i nostri giovani sono tra i più preparati d’Europa. Sia
chi collabora in impresa sia chi sogna di realizzare un’idea
imprenditoriale deve poter operare in un ecosistema dove
siano valorizzati il merito, la competenza, la creatività, dove ci sia spazio per l’industria italiana - che è soprattutto
un’industria manifatturiera di eccellenza. Una qualità,
questa, che va riaffermata partendo da tutto quello che,
nel mondo, è conosciuto con il brand “made in Italy”. Noi
crediamo fortemente sia nella crescita delle imprese che
già ci sono, sia nella nuova imprenditorialità. Questa sempre più diffusa passione per il fare, che spesso spinge
all’autoimprenditorialità, può talora nascere dalla necessità di crearsi un’occupazione che il mercato del lavoro non
è più in grado di offrire; ma quando l’idea d’impresa prende forma in un progetto, perché questo si possa concretizzare la buona volontà non basta: occorrono competenze e un contesto favorevole.
Il Suo percorso imprenditoriale comincia nell’azienda
meccanica di famiglia per approdare al settore della
comunicazione con una startup. Nel passare dall’idea
all’impresa, quali sono state le maggiori difficoltà incontrate? In che modo i Giovani di Confindustria possono contribuire a rendere meno arduo il cammino di
tanti aspiranti startupper?
Ho iniziato a fare impresa nel 2000, con WebWorking,
una società che opera nel settore della comunicazione digitale integrata; nel 2013 sono stato cofondatore di
AD2014, una startup innovativa che si occupa di “Internet of Things”, e di Torino1884, attiva nel Food & Beverage. La cultura d’impresa che ho respirato in famiglia sicuramente è stata di grande aiuto, ma particolarmente preziosi sono stati, per me, proprio i Giovani Imprenditori di
Confindustria. Da loro ho ricevuto consigli e suggerimenti,
com’è del resto lo spirito del Gruppo: in quanto movimento di persone, i rapporti tra noi sono diretti e costanti,
ci si aiuta reciprocamente ad affrontare le problematiche
e i temi con cui, in azienda, ci si deve confrontare tutti i
giorni. I Giovani sanno svolgere molto bene questo ruolo
di affiancamento, di supporto, di condivisione e di contaminazione; possono offrire “smart money” a chi vuol fare
impresa, ovvero mettere la loro capacità di dialogo, la
competenza e l’esperienza a disposizione degli Associati,
12 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
e non solo. Ricordo che i Giovani promuovono numerose
attività di diffusione della cultura d’impresa nelle scuole e
negli “incubatori”, sono un punto di riferimento per gli
startupper o per chi vive un passaggio particolare in
azienda e deve reinventarsi un modo di fare impresa. È
un ruolo che i Giovani svolgono al di là dell’appartenenza
generazionale e dei settori di attività delle proprie aziende.
Come si pongono i Giovani Imprenditori di fronte alla
Riforma Pesenti?
In un processo di riforma come la Pesenti - che si concretizza in un’importante operazione di semplificazione
per rendere il Sistema più snello senza perdere, però, il
contatto con il territorio e con le imprese - tutte le componenti di Confindustria devono fare la loro parte. E anche noi Giovani siamo pronti a dare il nostro contributo,
che ritengo potrà essere determinante, in particolare, nel
favorire l’aggregazione tra le diverse parti interessate,
proprio perché la nostra organizzazione è poco verticale
ed è tradizionalmente impegnata in progetti di “visione”,
proiettati nel futuro, trasversali a imprese e a territori.l
CONSIGLIO DI PRESIDENZA
Presidente
Marco Gabriele Gay
Vice presidenti
Vincenzo Caputo
Francesco Ferri
Gian Giacomo Gellini
Consiglio Centrale (membri elettivi)
Antonia Abramo
Federica Angelantoni
Antonella Ballone
Fausto Bianchi
Rocco Colacchio
Nicola Corsano
Silvia Gatti
Giorgio Giannitrapani
Lorenzo Guazzini
Jonathan Li Voti
Mattia Macellari
Andrea Porcaro
Rocco Talucci
Massimiliano Zamò
Lorenzo Zerbini
Del Consiglio Centrale fanno parte
anche i Presidenti Regionali G.I.
in qualità di membri di diritto.
DOSSIER RIFORME DOSSIER DOSSIER DOS
lavoro
Flexicurity
Più che una nuova tipologia
contrattuale, sarebbe utile
ragionare su quelle esistenti e
aggiustarne i contenuti in una
logica europea. Ora la priorità
è intervenire sul contratto di
lavoro a tempo indeterminato.
STEFANO DOLCETTA
Il nostro Paese soffre di lenta crescita ormai da
molti anni. L’Italia appare meno capace degli altri paesi
sviluppati di adeguarsi al formidabile cambiamento portato dalle nuove tecnologie e dalla globalizzazione, a causa
di un insieme di rigidità che si trasformano in nodi che
soffocano lo sviluppo. Queste rigidità sono particolarmente gravi vivendo noi, dalla prima metà degli anni novanta, una fortissima accelerazione dei processi di cambiamento e partecipando all’unione monetaria europea.
L’eredità della crisi, disoccupazione altissima e maggiore
incertezza per gli operatori, richiedono di eliminare le rigidità, sciogliere i nodi che frenano la crescita, rilanciare la
competitività, gli investimenti e tornare così su un sentiero
di crescita elevata.Tra i fattori che frenano ci sono le regole che governano il mercato del lavoro.
Il Governo si è mosso bene in tema di contratti a termine
e l’apprendistato e ciò induce a credere che il disegno di
legge delega in discussione al Senato possa rappresentare un’altra tappa di un cambiamento complessivo della
normativa che non possiamo più rinviare.
Il disegno del Governo è, giustamente, ampio e ambizioso ed è per favorire il confronto con tutti gli attori del mercato del lavoro che Confindustria ha elaborato un proprio
documento di proposte. Naturalmente il Governo deciderà autonomamente, come ovvio, noi, intanto, abbiamo
voluto sottolineare il nostro punto di vista su alcune questioni fondamentali. Uno degli obiettivi annunciati dal Governo è “ridurre la segmentazione del mercato del lavoro”. In questa prospettiva, il Governo pensa all’introduzione del “contratto unico”, o meglio, di un contratto di lavoro a tutele progressive e crescenti nel tempo.
Noi siamo convinti, invece, che non serva una nuova tipologia contrattuale, neppure a tutele crescenti. Piutto14 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
sto, sarebbe utile ragionare sulle tipologie contrattuali esistenti e aggiustarne i contenuti in una logica europea di
flexicurity. Dopo la riforma del contratto a tempo determinato, infatti, la priorità è intervenire sulla disciplina del
contratto di lavoro a tempo indeterminato. Per favorirne
l’utilizzo bisogna adeguarlo alle esigenze delle nuove realtà produttive. Due i punti su cui intervenire subito: l’attribuzione delle mansioni, per dare maggiore flessibilità organizzativa alle imprese e la disciplina dei licenziamenti,
per una flessibilità in uscita coerente quanto sarà necessario fare in tema di politiche attive e passive. Questo nostro sistema di welfare, infatti, non pare più adeguato al
mutato contesto economico. Anche il Governo ne è convinto e vuole affrontare la materia nella legge delega. L’esperienza degli ammortizzatori in “deroga” deve terminare
quanto prima possibile e, a regime, serviranno soltanto
due ammortizzatori sociali universali e obbligatori: la cassa integrazione guadagni (da finanziare interamente con
la contribuzione) e l’ASPI (da finanziare in parte con la
contribuzione e in parte con la fiscalità). Su questa impostazione sembrano oggi convergere anche i sindacati e il
Governo ma la delicatezza del tema e il perdurare di una
difficile congiuntura inducono a considerare con grande
attenzione le specifiche proposte di riforma.
Preoccupa, in particolare, il profilo dei costi che già oggi
gravano oltremodo le imprese del comparto manifatturiero. Il Governo nella legge delega parla di “rimodulazione”
della contribuzione tra settori, e di una maggiore compartecipazione ai costi da parte delle imprese utilizzatrici.
Questa impostazione è condivisibile se tende a riequilibrare gli oneri contributivi tra i diversi settori (presupposto
fondamentale per rendere effettivamente universali le tutele) ma non deve, ovviamente, tradursi in un incremento
SSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DO
di oneri per le imprese industriali, che già pagano una
contribuzione elevata e una addizionale in caso di effettivo utilizzo degli strumenti di sostegno al reddito.
Francamente non si può condividere il principio secondo
cui l’utilizzo effettivo comporta un aumento di contribuzione perché verrebbe chiesto all’impresa che deve affrontare una crisi, uno sforzo economico aggiuntivo proprio nel
momento di difficoltà. Sugli strumenti di sostegno al reddito in caso di disoccupazione, invece, andrebbe introdotta una previsione di equità volta all’armonizzazione
delle degli oneri contributivi in materia di Aspi, attualmente determinati in misura diversa tra i diversi settori.
Ma la vera difficoltà sarà sul fronte delle politiche attive, a
partire dalla “garanzia giovani”. Qui le nostre difficoltà sono evidenti. Il Governo intende creare - senza costi per la
finanza pubblica - una Agenzia nazionale per il lavoro cui
viene affidata la competenza gestionale in materia di politiche attive, di servizi per l’impiego e dell’ASPI. Sarebbe
un passo avanti.
Occorre, infatti, superare l’eccessiva frammentazione dei
soggetti istituzionali che, a vario livello, sono preposti all’attuazione delle politiche attive con una vera e propria
forma di coordinamento amministrativo per garantire la
migliore integrazione tra politiche attive e passive, valorizzando le sinergie tra servizi pubblici e privati.
Una maggiore integrazione pubblico-privato nei servizi
per l’impiego può, infatti, effettivamente rafforzare la capacità di incontro tra domanda e offerta di lavoro e adeguarla agli standard europei. Infine, una considerazione in
tema di contrattazione collettiva.
Definite le regole sulla rappresentanza con il testo unico
del 10 gennaio 2014, si deve affrontare con i sindacati il
tema degli assetti della contrattazione. L’obiettivo rimane
quello del decentramento della contrattazione collettiva,
un processo che si riscontra in tutta Europa.
Dobbiamo favorire la contrattazione aziendale virtuosa,
cioè, quella che lega i salari ai risultati di redditività e produttività. Dobbiamo evitare di sommare costi a costi. Siamo l’unico paese al mondo che ha una dinamica dei salari del tutto slegata dalla produttività e dalle condizioni generali dell’economia. Per favorire questo processo sarebbe di grande utilità una legislazione contributiva e fiscale
che premi, in modo significativo e strutturale, il decentramento contrattuale.
Siamo a metà di un percorso che vogliamo completare.
Dopo la “derogabilità normativa (accordo interconfederale
28 giugno 2011) occorre, infatti, disciplinare la derogabilità economica (solo abbozzata col Protocollo sulla produttività del 2012), individuando nei contratti collettivi nazionali di categoria nuove soluzioni che consentano, tenendo conto delle peculiarità e delle politiche perseguite dai
diversi settori, di cogliere maggiori vantaggi per le imprese. Mentre ci accingiamo a questo confronto con i sindacati il Governo pensa all’eventuale introduzione, seppur in
via sperimentale, di un compenso orario minimo definito
per legge.
Si tratta di un tema delicato e anche complesso, di cui
andranno analizzati con cura i diversi risvolti che lo connotano. In attesa che il confronto prenda avvio, mi limiterei ad auspicare che l’introduzione di un salario minimo
legale possa accelerare il processo di modernizzazione
degli assetti della contrattazione collettiva e delle dinamiche retributive, che appare sempre più una necessità indifferibile.l
Stefano Dolcetta è Vice Presidente Confindustria
Relazioni Industriali e Welfare
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
15
DOSSIER RIFORME DOSSIER DOSSIER DOS
lavoro
Primo atto
di coraggio
L’opinione del Presidente
di Adapt, l’associazione
fondata da Marco Biagi
per promuovere studi
e ricerche nell’ambito
delle relazioni industriali
e di lavoro.
Il 16 maggio 2014 è finalmente stata approvata la
legge n. 78 che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante «disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese». Si
tratta del primo atto del Jobs Act di Matteo Renzi, l’ambizioso piano di riforme del mercato del lavoro presentato
dall’allora segretario del PD l’8 gennaio 2014. Invero
quelle appena approvate sono misure volutamente di
breve termine, mirate ad ottenere qualche risultato positivo in termini di minore disoccupazione e maggiore occupazione (in particolare giovanili) già dal prossimo autunno. Le misure strutturali sono contenute in un ulteriore articolato normativo, il disegno di legge n. 1428 in discussione al Senato, che contiene cinque principi di delega miranti a modernizzare la disciplina degli ammortizzatori sociali, migliorare i servizi per il lavoro e le politiche attive,
operare una decisa semplificazione delle procedure e degli adempimenti, riordinare le forme contrattuali, sostenere la maternità e permettere una migliore conciliazione vita-famiglia-lavoro.
Pur non avendo il decreto 34 particolari velleità riformatrici, è innegabile lo stravolgimento all’impalcatura del nostro diritto del lavoro determinato dalla permessa acausalità per 36 mesi del contratto a tempo determinato. Con
buona pace del comma 01 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (la fonte di regolazione proprio del
16 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
EMMANUELE MASSAGLI
contratto a termine) che chiarisce essere «il contratto di
lavoro subordinato a tempo indeterminato» «la forma comune di rapporto di lavoro», con questo nuovo intervento
anche la legislazione riconosce de facto il contratto a
tempo determinato come la forma di lavoro prevalente
nell’Italia della crisi economica.
La statistica già aveva ufficializzato questo primato, calcolando che circa il 68% delle nuove assunzioni è a termine, nonostante l’aggravio economico dell’1,4% deciso
dalla legge Fornero del 2012 (legge 92). È stata proprio la
macroscopica evidenza di questo dato a convincere il Ministro del lavoro e delle politiche sociali a sfidare i sacerdoti dell’eterno dibattito tra flessibilità e precarietà, affermando con pragmatismo il criterio “meglio a termine che
a casa” e sperando che una acausalità così vasta possa
convincere i datori di lavoro ad allungare la durata dei
contratti a tempo determinato, solitamente non superiori
a sei mesi, anche per timore del diffuso contenzioso in
materia di causali.
Pur sperando che la realtà premi l’audacia del Governo,
non è difficile prevedere gli effetti negativi di questa liberalizzazione sul numero dei contratti a tempo indeterminato.
La ragione di questo impari confronto è probabilmente da
ricercarsi nell’obsolescenza regolatoria proprio del contratto a tempo indeterminato, più che nella eccessiva
semplificazione del “cugino” a termine.
La mancata modernizzazione di un diritto del lavoro co-
SSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DO
struito per neutralizzare preventivamente la furbizia datoriale e non per incoraggiare la propensione ad assumere
degli imprenditori è certamente un problema grave dell’economia italiana. Sono circa quindicimila, in maggioranza
sconosciuti o disapplicati, i precetti che ingarbugliano la
regolazione dei rapporti di lavoro, senza vantaggio alcuno
né per i datori di lavoro né per i lavoratori.
Non a caso il quarto articolo del disegno di legge n. 1428
è dedicato al riordino delle forme contrattuali: la semplificazione del contratto a tempo determinato se non vuole
rimanere un intervento squilibrato, o quantomeno contradditorio rispetto alla regolazione “in uscita” del contratto a tempo indeterminato, deve facilitare il tentativo di riforma proprio del contratto a tempo indeterminato, perché possa preservare la sua caratteristica «forma comune
di rapporto di lavoro», pur modernizzando la regolazione e
la gestione del licenziamento, dell’inquadramento contrattuale e dell’assegnazione delle mansioni. Molto debole e
anacronistica appare la strada del contratto unico, in un
mondo che ha sempre più bisogno di dettaglio e profilamento; certamente più interessante la sperimentazione di
tutele crescenti nel tradizionale impianto del contratto a
tempo indeterminato.
Il primo “gradino” di un rinnovato contratto a tutele crescenti non potrà che essere l’apprendistato, che di fatto
già svolge questa funzione. Anche questo istituto è stato
interessato dall’intervento del decreto-legge n. 34, sep-
pure in forma molto minore rispetto al contratto a termine. Particolarmente innovativa (e sottovalutata) è la novità
relativa alla retribuzione dell’apprendista per la qualifica e
per il diploma professionale, cosiddetto apprendista di
primo livello, da calcolarsi tenendo conto delle ore di lavoro effettivamente prestate nonché delle ore di formazione solo nella misura del 35% del relativo monte ore complessivo. Non si tratta certamente di una modifica capace
di moltiplicare da un giorno con l’altro le poche decine di
contratti di apprendistato-scuola censiti in Italia, ma può
aprire un varco perché i contratti collettivi nazionali di lavoro inizino a regolare questa tipologia di apprendistato,
l’unica capace di attivare quella virtuosa alternanza scuola-lavoro che è alla base delle ottime performance tedesche in materia di disoccupazione giovanile.
Il decreto-legge n. 34 e la relativa legge di conversione
appaiono quindi un buon primo passo nel cammino di riforma del nostro diritto del lavoro. Necessario però arrivare alla mèta, per non tradire le attese dei tanti (si vedano i
risultato delle elezioni europee) che credono in una stagione di rinnovamento: occorrerà la stessa capacità di
osservazione della realtà senza pregiudizi ideologici e ancor più coraggio per completare l’ambizioso progetto
presentato a gennaio. La speranza è che non si tratti di
una riforma “a tempo determinato”.l
Emmanuele Massagli è Presidente ADAPT
www.adapt.it
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
17
DOSSIER RIFORME DOSSIER DOSSIER DOS
lavoro
Prove di
flessibilità
Il contratto a termine
acausale
per il rilancio
dell’occupazione.
LUCA FAILLA
Si è appena concluso l’iter del primo provvedimento messo in atto dal Governo per far fronte alla necessità
di favorire il rilancio dell’occupazione. È infatti stato convertito in legge n. 78, il DL 34/2014 più comunemente
noto come Decreto Poletti dal nome dell’attuale ministro
del lavoro, con il quale il Governo si propone di semplificare incisivamente l’impianto della nostra legislazione in
materia di lavoro e di modificarne il contenuto essenziale
secondo il modello della flexsecurity.
Infatti, le disposizioni recate dal provvedimento d’urgenza
si inseriscono nel più complesso Piano per il lavoro predisposto da Matteo Renzi, cosiddetto Jobs Act, che prevede una trasformazione del mercato del lavoro italiano delineata nel disegno di legge-delega (attualmente già in
esame ma per la quale dovremo attendere alcuni mesi
per vederne i risultati) volta a semplificare le norme e riformare gli ammortizzatori sociali, eliminando in primis quegli adempimenti burocratici che oggi ostacolano l’incontro fra domanda e offerta di lavoro.
Oggi, il nostro Paese è ancora strutturato su di un diritto
del lavoro che rispecchia le caratteristiche del tessuto
produttivo di cinquant’anni fa (lo statuto dei lavoratori è
datato 1970) che mal si adatta, per le rigidità a esso connesse, alla fluidità del contesto attuale produttivo. In quest’ottica, il legislatore intende rivedere tutti i tipi contrattuali del rapporto di lavoro, anche a tempo indeterminato
(basti pensare alla sperimentazione del contratto a tempo
18 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
indeterminato a protezione crescente di cui si parla nella
legge delega). Vediamo brevemente alcune delle principali novità della Legge n. 78/2014 che, rispetto al testo
originario, introduce modifiche volte in parte a correggere
dubbi e incertezze, in parte per modificare o temperare
misure giudicate forse troppo eccessive. Vi è da dire, però, che il testo presenta nodi interpretativi ancora aperti,
che rischiano di aumentare il contenzioso giudiziario. Si
auspica quanto prima l’intervento chiarificatore del Ministero con proprie circolari interpretative.
Con l’obiettivo di creare maggiore flessibilità in ingresso avvicinando l’Italia ad altri Paesi europei (come l’Inghilterra), dove il contratto a termine acausale era già una realtà
- viene confermata l’introduzione definitiva del contratto a
termine e di lavoro somministrato acausale (cioè senza
l’obbligo di indicare le ragioni organizzative, produttive,
tecniche o sostitutive sino a oggi necessarie per la sua
stipulazione, come richiedeva il D. Lgs. 368/2001 e, prima ancora, la legge 230/62, cosi come il D. lgs.
276/2003, cosiddetta Legge Biagi, per la somministrazione) di durata massima di 36 mesi; l’obbligo della causale
rimane se l’assunzione riguarda lavoratori in mobilità, in
sostituzione di lavoratori assenti, o se si tratta di lavoratori
stagionali, e ciò per ragioni di risparmio contributivo o
normativo (l’esenzione dal calcolo della percentuale massima del 20%).
È questa senza dubbio la novità di maggiore rilievo del-
SSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DO
l’attuale legge che supera, d’un colpo, solo il tradizionale
dualismo regola/eccezione che ha sempre permeato il
nostro diritto del lavoro: l’eccezione dell’assunzione a termine rispetto al contratto di lavoro a tempo indeterminato, quest’ultimo da sempre considerato la “regola” base
di ingaggio del lavoratore subordinato.
Da qui, in passato, la necessità da parte delle aziende di
dovere attentamente “giustificare” con ragioni tassative e
ineccepibili indicate nel contratto di lavoro un’assunzione
a termine rispetto a una di lavoro indeterminato (pena vedersi trasformato il contratto di lavoro a termine in uno a
tempo indeterminato dai Giudici del lavoro), sulla differente premessa teorica che il contratto a termine dovesse
consentire unicamente il soddisfacimento di un “bisogno”
professionale a termine ovvero temporaneo e non definitivo (il picco di lavoro, la sostituzione di un lavoratore assente e cosi via), dovendosi invece imperativamente assumere a tempo indeterminato allorché il bisogno professionale dell’azienda fosse strutturale e non temporaneo
(sul presupposto assai rigido e non più attuale, però, che
se il posto di lavoro è stabile allora l’azienda deve assumere stabilmente il lavoratore).
Questo modo di pensare è oggi tramontato e da domani
le cose cambiano totalmente: il contratto a termine, cosi
come la somministrazione acausale - timidamente introdotto in via sperimentale con la legge 92/2012, cosiddetta legge Fornero, della durata massima di 12 mesi per il
“primo” rapporto di lavoro - diviene definitivo nel nostro
ordinamento, per il che oggi le aziende potranno assumere personale a tempo indeterminato ovvero a termine per la durata massima di 36 mesi - senza più dovere giustificare il motivo della propria scelta e anche per fare
fronte a un bisogno professionale stabile o strutturale.
Sono ammesse 5 proroghe nell’arco dei complessivi 36
mesi di durata del rapporto e indipendentemente dal numero dei rinnovi dei contratti, a condizione che le proroghe si riferiscano alla medesima attività per la quale è stato stipulato il contratto a termine (da qui un elemento di
rigidità inspiegabile che non dovrà essere sottovalutato
per le potenziali conseguenze a danno delle aziende).
Tuttavia, e fatte salve diverse diposizioni contrattuali dei
CCNL oggi in vigore, è stato introdotto un tetto di legge
all’utilizzo dei contratti a termine, fissato nel 20%, riferito
“al numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al
1º gennaio dell’anno di assunzione”. Ai datori di lavoro
che occupano fino a 5 dipendenti è comunque concesso
stipulare un contratto a termine.
In sede di prima applicazione restano tuttavia in vigore sino alla loro naturale scadenza le percentuali e i limiti
quantitativi anche differenti previsti dai CCNL attualmente
applicati nelle aziende. Le aziende, invece, che non applicano oggi un CCNL e che abbiano in essere un numero
di contratti a termine superiore al tetto del 20%, avranno
tempo fino al 31 dicembre 2014 per mettersi in regola, a
meno che un contratto collettivo, anche aziendale, da qui
al 31 dicembre, da loro applicato, non fissi un limite percentuale differente (maggiore) ovvero un termine (posticipato) più favorevoli: in caso contrario, non potranno accedere a nuovi contratti a tempo determinato fino al momento in cui non rientreranno i limiti percentuali.
Più complessa la disciplina in caso di violazione di tale
soglia numerica; infatti la violazione del limite percentuale
comporta per i datori di lavoro il pagamento di una sanzione amministrativa pari al 20% della retribuzione (per
ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici
giorni di durata del rapporto di lavoro) se la violazione coinvolge un solo lavoratore (ossia il 21esimo); pari al 50%
se il numero dei lavoratori assunti in violazione sia superiore a uno. Somma pecuniaria, che servirà a finanziare il
Fondo sociale per l’occupazione.
Al fine di ridurre ambiguità su tale aspetto, è auspicata sul
punto una circolare interpretativa da parte del Ministero
del lavoro che tuttavia - come ben sappiamo chi frequenta i tribunali del lavoro in Italia - non avrà certezza nell’orientare in modo univoco dei giudici del lavoro nell’interpretare la nuova normativa.
Attendiamo ora l’applicazione delle nuove disposizioni e
l’esplicitazione della riforma organica già in cantiere per
vedere se siamo nella direzione giusta per la ripresa economica da tempo auspicata da parte di tutti, con la consapevolezza però che solo aiutando le aziende e la ripresa potremo sperare di affrontare la grave crisi occupazionale che attanaglia il Paese.l
Luca Failla è Founding Partner LABLAW Studio Legale
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
19
DOSSIER RIFORME DOSSIER DOSSIER DOS
lavoro
Il parere
delle imprese
Misurati apprezzamenti
da parte di Marco
Grillo (Fincantieri)
e Marco Pezzini
(IFM Infomaster)
per la Riforma Poletti.
Abbiamo chiesto a Marco Grillo, Responsabile Risorse Umane Fincantieri - Area ligure, e Marco Pezzini,
CFO IFM Infomaster un commento sulla nuova Legge sul
lavoro. Per entrambi rappresenta un passo avanti nella
semplificazione degli adempimenti burocratici legati all’assunzione di personale dipendente, ma ancora molto
dovrà essere fatto in tema di flessibilità dell’orario di lavoro e di contrattazione di secondo livello.
Con la nuova Legge sul lavoro, cosa cambia - se cambia - per l’impresa?
Marco Grillo
Il tentativo di semplificare gli adempimenti a carico delle
imprese è apprezzabile e può favorire il rilancio dell’occu-
20 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
pazione. Per la grande impresa la semplificazione e lo
snellimento della disciplina dei contratti a tempo determinato va vista positivamente, non come una precarizzazione del lavoro ma come uno strumento più snello per sopperire a picchi di lavoro o per l’inserimento graduale di risorse, senza l’eccessiva burocrazia o vincoli che la caratterizzavano in passato. Va comunque precisato che Fincantieri, per la sua tipologia di professionalità altamente
qualificate, ha sempre puntato, anche durante il periodo
di crisi, alla stabilizzazione delle proprie risorse, investendo sulla formazione per la loro crescita professionale: solo in maniera minimale viene utilizzato il contratto a tempo
determinato. Altrettanto positiva è la disposizione contenuta nel Decreto Poletti sulla semplificazione in materia di
Durc, necessaria per rendere sempre più veloce e preci-
SSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DO
MARCO GRILLO
MARCO PEZZINI
so il controllo sulla regolarità delle ditte di appalto: la modalità telematica, introdotta attraverso l’emanazione del
decreto ministeriale entro i 60 giorni, permetterebbe un
più efficace, snello e meno burocratico processo di controllo e verifica delle ditte. Ci auguriamo altresì che il Decreto Poletti faccia finalmente maggiore chiarezza sulle
modalità di effettuazione della formazione pubblica prevista per i contratti di apprendistato professionalizzante,
forma contrattuale e di inserimento interessante e da noi
utilizzata come principale strumento di ingresso dei giovani in azienda. Sarebbe comunque auspicabile che l’offerta formativa pubblica fosse maggiormente vicina alle
esigenze aziendali, in termini di tempistiche di erogazione
e di contenuti formativi; altresì una formazione diversa da
quella già prevista per legge e che le grandi aziende co-
me Fincantieri svolgono autonomamente e maggiormente focalizzata non su argomenti tecnici ma su tematiche
comportamentali e relazionali avrebbe un maggior valore
aggiunto per le giovani risorse che si affacciano al mondo
del lavoro.
Marco Pezzini
L’approvazione della nuova legge sul lavoro è sicuramente un passo avanti nella ricerca di rendere più agevoli gli
adempimenti delle PMI Italiane. In considerazione delle ridotte risorse interne delle piccole e medie imprese, ogni
intervento legislativo volto a ridurre la burocrazia e a diminuire gli eventuali contenziosi per cause di lavoro è sicuramente positivo e propedeutico per un’assunzione più
“serena” di personale dipendente. Per la IFM Infomaster,
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
21
DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSS
azienda ligure di ingegneria del software specializzata nella progettazione e sviluppo di soluzioni avanzate nel mondo delle telecomunicazioni, la risorsa umana è il vero capitale aziendale su cui puntare e investire per continuare a
rimanere un player di riferimento in un mercato altamente
competitivo. Per questo motivo il contratto principalmente utilizzato è quello a tempo indeterminato, volto a salvaguardare l’investimento fatto e fidelizzare il dipendente affinché si senta più “sicuro” e legato all’azienda. Credo
che la nuova regola di assunzione a tempo determinato
“acasuale” possa essere un ottimo strumento per verificare, in un tempo maggiore rispetto al periodo di prova
previsto dai vari CCNL, se la risorsa prescelta sia quella
adeguata alle esigenze interne; evitando di ricorrere a
contratti surrogati e forieri di cause di lavoro, come quelli
a progetto. Un ulteriore intervento di semplificazione riguarda la smaterializzazione del Durc, superando l’attuale
sistema che impone ripetuti adempimenti burocratici alle
imprese che, soprattutto per le PMI, comportano sforzi
notevoli e prolungati nel tempo. Quello che la legge non
porterà, per le PMI, è l’incremento occupazionale, o la
stabilizzazione di personale precario, che può avvenire
solo con un rilancio dei consumi e della produzione e
quindi attraverso altri strumenti più mirati, come, per
esempio, l’interruzione del credit crunch che sta strangolando le piccole imprese dotate di modeste risorse finanziarie proprie.
Rispetto alla nuova Legge, cosa avreste voluto in più o
in meno?
Marco Grillo
La legge non affronta alcune tematiche assolutamente
imprescindibili per il mercato attuale, quale ad esempio la
flessibilità degli orari di lavoro. Su questo tema Fincantieri
è da mesi impegnata, attraverso accordi locali con le rappresentanze sindacali, nell’ampliamento della flessibilità
dell’orario di lavoro, con l’introduzione di meccanismi e di
strumenti maggiormente utilizzabili per la tipologia di
commesse che oggi il mercato propone, con programmi
sempre più articolati da gestire in termini di tempistiche di
consegna. Mi riferisco, ad esempio, all’orario plurisettimanale, che permette di far fronte ai picchi di carico di lavoro e al contempo ai periodi di scarico senza ricorrere
ad ammortizzatori sociali: si lavora di più quando serve e
non si ricorre all’integrazione salariale pagata dallo Stato
durante i brevi periodo di scarico; oppure alla distribuzione dell’orario di lavoro su sei giorni lavorativi che permette un miglior sfruttamento degli impianti e delle aree a disposizione. Alcune di queste forme di orario sono già
previste nel Contratto Nazionale Metalmeccanico, anche
se in forma troppo limitata per le nostre attuali esigenze.
Solo attraverso queste forme di flessibilità degli orari si
può competere con paesi con minor costo del lavoro e
nei quali la qualità, da sempre nostro vanto, sta lentamente migliorando. Inoltre la legge non affronta l’argomento della flessibilità in uscita, sul quale qualche riflessione ulteriore rispetto alle riforma Fornero andrebbe fatta, anche in considerazione dei cambiamenti in atto nel
mondo del lavoro.
22 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
Marco Pezzini
La legge non risolve tutte le problematiche rivolte alla flessibilità dell’orario di lavoro e alla contrattazione di secondo
livello, non ovvia a regole ormai anacronistiche e non più
rispondenti all’evoluzione dei mercati, soprattutto quelli ad
alto sviluppo tecnologico come quello dove opera la IFM
Infomaster. Ritengo che per il futuro sarebbe necessario
determinare una retribuzione minima valida per tutti i contratti, per proteggere le forme di salario a basso valore aggiunto, e rimandare alla contrattazione tra azienda e singolo dipendente l’adeguata retribuzione, determinata
sull’effettiva professionalità e apporto del lavoratore, legandola ai risultati aziendali. Per quanto riguarda la flessibilità in uscita si ritiene necessaria una modifica dell’attuale Legge Fornero: infatti, per le PMI che si dovessero trovare in situazione di crisi aziendale è oggi quasi impossibile affrontare licenziamenti che produrrebbero impegni
economici e finanziari difficili da sostenere; sarebbe invece
auspicabile che l’impresa, insieme allo Stato, accompagnasse per un certo periodo di tempo il lavoratore in uscita, diluendo così lo sforzo nel tempo ma sostenendo la
retribuzione del lavoratore.
Quanto la crisi ha avvicinato o allontanato le posizioni
di lavoratori e azienda?
Marco Grillo
Fincantieri ha affrontato il periodo di crisi con coraggio,
rafforzandosi societariamente su scala internazionale, ampliando il business di riferimento, innovando il contenuto
tecnologico dei prodotti e attuando un importante piano di
riorganizzazione in maniera indolore. L’attuazione del piano, realizzato senza alcun licenziamento forzoso, l’apertura del fronte internazionale, con acquisizioni nel segno della diversificazione del catalogo e gli accordi sulla flessibilità
stipulati in alcuni siti con le rappresentanze sindacali hanno dimostrato la consapevolezza da parte di tutti della necessità di cambiare per poter sopravvivere. La Fincantieri
e la sua gestione della crisi può essere un esempio: salvaguardare e valorizzare le maestranze interne durante la crisi, efficientando e flessibilizzando per competere con
maggiore forza e, nel contempo, incrementare la posizione mondiale di eccellenza produttiva e progettuale.
Marco Pezzini
IFM Infomaster ha fatto fronte alla crisi degli ultimi anni attuando una politica di spending review che, purtroppo,
non ha risparmiato il personale dipendente. Questa azione
ha comportato sicuramente un raffreddamento delle posizioni tra la società e i dipendenti, amplificato dal fatto che,
trattandosi di una PMI, i rapporti tra le parti sono più “familiari” e meno distanti che nei grandi gruppi.Comunque,
anche se con fatica, il personale ha compreso che le azioni messe in campo dalla società erano necessarie per salvaguardare la continuità aziendale, fornendo, attraverso le
rappresentanze sindacali, una collaborazione attiva per la
risoluzione di tutte le posizioni individuate.La società, superate le prime difficoltà, sta riprendendo un percorso di
crescita che porterà sicuramente un riavvicinamento delle
posizioni alla pari, se non migliori, del periodo ante crisi.l
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dedicata per la gestione della fornitura, di tutti i servizi correlati
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DOSSIER RIFORME DOSSIER DOSSIER DOS
lavoro
La parola
a CGIL, CISL, UIL
Da mediamente forti a fortissime,
le perplessità espresse dai
sindacati sulla Riforma
del Lavoro varata nelle scorse
settimane.
Decisamente contrario Ivano Bosco, Segretario
CGIL di Genova; deluso Antonio Graniero, Segretario generale CISL Area metropolitana di Genova; appena più
possibilista Piero Massa, Segretario generale UIL Genova
e Liguria. Questi i pareri delle forze sociali sul primo provvedimento nell’ambito del Jobs Act del Governo Renzi.
Ivano Bosco
Segretario della Camera del Lavoro di Genova
«Il nostro giudizio sul Decreto lavoro è sostanzialmente
negativo. I punti critici riguardano soprattutto le assunzioni: la mancanza della causalità nei contratti a termine
estesi a 36 mesi; sull’apprendistato, l’innalzamento della
dimensione aziendale (imprese con più di 50 dipendenti),
per far scattare l’obbligo di assunzione del 20% del totale degli apprendisti; la trasformazione del previsto obbligo di assunzione in una sanzione pecuniaria nel caso di
sforamento del tetto del 20%. Il decreto avrà l’effetto di
disincentivare le assunzioni a tempo indeterminato con il
risultato di far aumentare ancora di più la precarietà nel
nostro Paese. Già oggi i contratti di lavoro a tempo determinato sono la maggioranza: nella nostra provincia 84
contratti su 100 sono di natura precaria o a termine”. In
pratica il periodo di prova viene allungato sino a tre anni
e il rischio è che dopo questo periodo le aziende, soprattutto per lavoratori non altamente specializzati, ricorrano
ad altro personale. Attraverso questo provvedimento il
Governo pensa di dare nuovo impulso al mercato del lavoro; non è così, e lo sanno molto bene i ragazzi che
cercano lavoro, e che nella migliore delle ipotesi si sentono offrire solo tirocini non pagati o forme contrattuali precarie. La crisi internazionale che ha colpito il nostro Pae-
24 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
se ha provocato danni anche al tessuto sociale, rinfocolando il populismo e facendo passare i diritti come privilegi; per confutare questa lettura bastano pochi dati: oggi tra i neo assunti solo uno su quattro riesce ad ottenere
un posto fisso. La realtà è che il lavoro semplicemente
non c’è e il rischio che corre il nostro paese è che si cerchi di mantenere la struttura produttiva solo con la compressione del costo del lavoro destrutturando i diritti. Ecco perché la Cgil crede fortemente nel suo Piano del Lavoro e ha sostenuto il Piano per una nuova Europa firmato Ces, il sindacato europeo: investire ogni anno il 2%
del pil (in aggiunta a quanto già stanziato) in crescita e
occupazione sostenibili, per creare una nuova base industriale di qualità, un piano per l’economia europea che
dovrebbe durare 10 anni creando sino a 11 milioni di
nuovi posti di lavoro».
Antonio Graniero
Segretario generale CISL Genova Area Metropolitana
«Continuare, a ogni cambio di Governo, a mettere mano a
riforme appena varate e che ancora non hanno avuto modo di dispiegare alcun effetto, rischia di essere inutile se
non addirittura dannoso, e di creare attese e incertezze.
Il vero carburante necessario alla macchina del lavoro per
rilanciare l’occupazione è rappresentato dalla ripartenza
degli investimenti pubblici e privati, da un nuovo disegno
di politica industriale, dal pieno utilizzo delle risorse comunitarie, dall’affrontare e superare i tanti ostacoli che frenano la crescita come l’alto costo dell’energia, il faticoso e
proibitivo accesso al credito, l’eccessivo peso della tassazione su lavoro e imprese, il disordine burocratico e amministrativo, i mancati investimenti per le infrastrutture, i
SSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DO
IVANO BOSCO
ANTONIO GRANIERO
PIER ANGELO MASSA
tempi lunghi della giustizia, soprattutto civile. Il decreto
legge sul lavoro, per il rilancio dell’occupazione e semplificazione per le imprese, nella versione presentata dal Governo aveva avuto il nostro sostanziale consenso, riconoscendo le tutele comunque assicurate dal contratto a
tempo determinato. Nell’iter parlamentare del Decreto
legge sul lavoro, il Governo, tra Camera e Senato, si è imbottigliato in una partita tutta politica, con il PD alla Camera e con la sua maggioranza di centrodestra al Senato.
Con riferimento alla modifica più grave (penalizzazioni pecuniarie per il superamento del tetto orizzontale del 20%
dei contratti a tempo determinato rispetto a quello a tempo indeterminato) nel caso in cui le aziende non la rispettino la vera sanzione che inibisce i datori è l’assunzione a
tempo indeterminato che si è voluto cancellare! Noi temiamo una “stabilizzazione” della temporaneità, che ridurrebbe ulteriormente l’area dell’occupazione a tempo indeterminato, mancando nel decreto incentivi per la trasformazione dei contratti a tempo indeterminato. Quello che
poi non si comprende è il collegamento di questo Decreto
con il contratto a tutele crescenti e più in generale con il
Jobs Act, affidato al disegno di legge delega sulla riforma
del mercato del lavoro, generico complessivamente nei
termini e molto incerto negli atti delegati che dovrebbe
produrre. La vera nostra sfida al Governo dovrà essere su
due fronti: quella delle riforme degli ammortizzatori sociali
e della lotta vera alla precarietà, che nessuno vuole vedere. La vera riforma di tutela consiste nell’assicurare a qualsiasi forma di lavoro gli stessi contributi previdenziali, le
stesse tutele e il salario contrattuale, a parità di prestazioni, dei lavoratori regolari, alle false partite Iva, ai co.co.pro,
agli associati in partecipazione, ai collaboratori delle pubbliche amministrazioni, complessivamente oltre un milione
di lavoratori che non hanno nessuna delle tutele dei contratti a tempo determinato. Questo è il vero contratto unico che serve, non quello inventato di volta in volta dai
professori».
Pier Angelo Massa
Segretario generale UIL Genova e Liguria
«Il contratto a tempo indeterminato non è più la forma comune di rapporto di lavoro. Dalla riforma Treu ai giorni nostri si è cercato, direi inutilmente, di creare occupazione a
modificando la normativa sul fronte dei diritti. È evidente
che questo modello non ha prodotto risultati positivi né in
termini di nuova occupazione, né sui fronti della qualità
che della ripresa economica. Le riforme che si sono succedute tra il 2012 e il 2013 si sono tradotte in una contrazione evidente nelle assunzioni e in un aumento dell’incidenza delle forme flessibili. Parliamo di una flessibilità che
si attesta all’80%. Tuttavia, alla luce dei nuovi provvedimenti, il confronto e il riscontro potranno avvenire solo se
le semplificazioni al contratto di apprendistato, previste
nel Decreto Lavoro, produrranno un aumento di vera occupazione. E se la sperimentazione di un nuovo contratto
a tempo indeterminato, a tutele crescenti, previsto nel disegno di legge delega, sarà più confortante per le aziende rispetto al contratto a tempo determinato e delle altre
rocambolesche tipologie contrattuali. Non confrontarsi
con le parti sociali su temi socialmente rilevanti non produrrà nulla di buono. Non è tempo di tentennamenti, poiché il mancato confronto produrrebbe norme inadeguate
e non rispondenti alle reali esigenze del nostro sistema
produttivo».l
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
25
DOSSIER RIFORME DOSSIER DOSSIER DOS
lavoro
Oltre il welfare
pubblico
Benefici per
l’imprenditore
e per il
dipendente.
Il welfare aziendale rappresenta un innovativo strumento di relazione tra impresa e dipendenti, capace di
creare valore per entrambi in un’ottica win win.
Ma cosa si intende esattamente con welfare aziendale?
È l’insieme di azioni volte a migliorare i risultati dell’impresa
mediante uno strutturato ventaglio di strumenti, finalizzati
al miglioramento del clima interno e del benessere del singolo lavoratore. Il welfare aziendale nasce principalmente
dalla volontà di integrare il welfare di primo livello (per questo viene spesso indicato anche con il nome di secondo
welfare) oggi non più capace di rispettare gli standard desiderati, attraverso la realizzazione di iniziative volontarie
da parte delle imprese, spesso in accordo con i sindacati.
Una politica aziendale (perlopiù promossa dagli HR manager o dai responsabili della CSR) capace di recare benefici
in primis al singolo dipendente che ottiene dall’azienda per
cui lavora un’attenzione “esclusiva” attraverso sostegni
concreti, specifici e mirati al proprio momento di vita e poi
all’imprenditore, permettendo di ridurre il cuneo fiscale e
migliorando l’organizzazione aziendale attraverso la diminuzione dell’assenteismo e l’aumento della produttività. Infine, in un’ottica ancora più in generale, il welfare aziendale
genera ricadute positive anche sul sistema socio economico del territorio in cui l’impresa opera. In concreto, un
piano di welfare aziendale serio ed efficace è caratterizzato
da una esauriente offerta di servizi in relazione alle esigenze personali e familiari dei lavoratori, in modo tale che essi
ne possano usufruire in maniera flessibile: questa è la ratio
dei cosiddetti flexible benefit, le erogazioni di carattere non
monetario, ma contraddistinte da un valore economico più
che tangibile che, grazie alla flessibilità rispetto alle esigenze del lavoratore, al favore fiscale sia per il datore che per il
dipendente e alla adattabilità nel tempo in funzione delle
fasi del ciclo di vita, si stanno gradualmente diffondendo
anche in Italia, specialmente nelle aziende di grandi dimensioni. Ed è proprio il vantaggio fiscale che spesso porta l’imprenditore a spingere l’acceleratore sul welfare
aziendale: il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR)
chiarisce, infatti, che i componenti di welfare aziendale
non rientrano nel reddito di lavoro dipendente e quindi non
sono sottoposti alla medesima tassazione. Ulteriore beneficio si trova nella capacità dell’azienda di ottenere a prezzi
più vantaggiosi servizi che al singolo costerebbero di più.
Il dipendente, da parte
LORENZO QUILICI
sua, non è esclusivamente fornitore di una
data prestazione professionale ma al contempo diviene
anche un vero e proprio cliente, scegliendo i beni, i servizi,
le prestazioni di welfare offerti dall’azienda o per la cui fruizione quest’ultima è intervenuta facendo fronte, integralmente o meno, ai relativi costi. In Italia una delle realtà
maggiormente all’avanguardia nella realizzazione di un piano di welfare aziendale è Luxottica: a partire dal 2009, in
accordo con i sindacati, l’azienda veneta ha introdotto in
maniera innovativa un pacchetto di incentivi - applicato ai
circa ottomila dipendenti dei sette stabilimenti italiani e dell’ufficio milanese - volto a offrire un concreto sostegno al
potere di acquisto dei dipendenti con forme di remunerazione non monetaria complementare a quelle tradizionali
(salari e premi di produzione): shopping card individuale
per acquisti di beni alimentari e di uso quotidiano, contributo a diverse tipologie di spese sanitarie sostenute dai lavoratori e dai loro familiari, servizio di assistenza sociale
per prevenire e curare disagi della persona e dei familiari,
supporto per l’istruzione scolastica, borse di studio per gli
studenti meritevoli, microcredito di solidarietà per i dipendenti in difficoltà ad accedere ai canali ordinari del credito
bancario. Aziende particolarmente lungimiranti stanno percorrendo, sulla scia di Luxottica, la strada che permette di
evolvere un illuminato programma di welfare aziendale in
un sistema organizzativo innovativo ed efficiente in cui si
coniugano profitto, benessere e leadership e di cui sono
beneficiari sia l’imprenditore che i dipendenti. Nel passaggio dalla grande impresa alla PMI il concetto della singola
azienda che promuove pacchetti di welfare aziendale può
essere sostituito da una rete di aziende che insieme progettano e realizzano percorsi di welfare, anche con il supporto e la facilitazione di associazioni datoriali e non. Un
modello, questo delle PMI aggregate per realizzare piani di
welfare interaziendale, che risulta peraltro decisamente più
adatto al nostro territorio, caratterizzato fortemente da
aziende micro o piccole. Una sfida interessante che rimette in gioco valori antichi, ma di straordinaria attualità, quali
la fiducia, la collaborazione, la condivisione e il fare rete tra
imprese e tra imprese e territorio.l
Lorenzo Quilici è Responsabile relazioni esterne e istituzionali di Mixura
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
27
DOSSIER RIFORME DOSSIER DOSSIER DOS
lavoro
Best practice
spezzina
Un buon welfare
aziendale migliora
la qualità del
lavoro e fa bene
alla produttività.
La Spezia Container Terminal Spa (Contship
Italia Group) è il più importante terminal container italiano
per livello di tecnologia, efficienza, qualità dei servizi e innovazione. Dal 2006 attua una politica di welfare aziendale che oggi, attraverso una rete di 12 imprese, fornisce
servizi di qualità agli oltre 1200 dipendenti che lavorano
nel terminal del porto della Spezia.
Ce ne parla Mauro Solinas, Responsabile Relazioni con il
Territorio di La Spezia Container Terminal.
«Il progetto di welfare aziendale di LSCT è cominciato nel
2006 con l’obiettivo di condividere con le famiglie di tutti i
colleghi e il resto della comunità il mestiere del “portuale
moderno”. Il nostro lavoro, infatti, nasce solo cinquant’anni fa, con l’invenzione del container. Non potendo quindi
vantare una lunga storia alle spalle, alla quale fare riferimento per rafforzare il senso di appartenenza dei colleghi
e delle loro famiglie all’azienda e che, più in generale, potesse aiutarci a far comprendere meglio l’attività svolta nel
terminal, abbiamo iniziato a pensare a come avremmo
potuto far conoscere e condividere con la comunità “il
mestiere di papà”; e ancora: in che modo avremmo potuto contribuire a migliorare la qualità della vita in azienda e
favorire, di conseguenza, una maggiore armonia tra impegno lavorativo ed esigenze familiari.
Fino a vent’anni fa, infatti, lavoro e famiglia erano due
mondi separati: da una parte il marito/padre, in azienda,
dall’altra la moglie/madre, a casa ad accudire i figli. Oggi
la separazione dei ruoli è sempre meno frequente, entrambi i genitori lavorano e, di conseguenza, la conciliazione dei ritmi familiari con quelli lavorativi è diventata una
priorità.
Fissato l’obiettivo, il primo passo è stato avviare un piano
di comunicazione interna. Grazie a un finanziamento ai
sensi della legge 53/2003 abbiamo istituito l’Ufficio Comunicazione con il Personale, con il compito di favorire, appunto, la comunicazione interna e di mettere in atto tutte le
iniziative necessarie a dotare l’ambiente di lavoro di strutture ai quali i colleghi potessero fare riferimento per gestire
situazioni familiari contingenti, soprattutto in presenza di
una crescente richiesta di flessibilità da parte dell’azienda.
MAURO SOLINAS
Oggi è attivo un portale, sviluppato in collaborazione con
l’Università Cattolica di Milano, attraverso il quale i colleghi
possono collegarsi direttamente dal proprio smartphone o
dalle colonnine multimediali che si trovano negli uffici, per
prenotare i servizi di cui hanno bisogno: dal dog sitter alla
badante, dalla baby sitter al giardiniere ma anche corsi di
lingua, centri estivi e doposcuola. Ci si può collegare anche all’Ufficio del Personale e, online, cambiare turno di
lavoro, fissare le ferie, conoscere lo stipendio del mese.
Da tempo a LSCT le buste paga non vengono più consegnate in forma cartacea. E se qualche collega non ha il pc
a casa, può sempre usare uno di quelli a disposizione un
po’ ovunque in azienda, perfino negli spogliatoi. Inoltre,
LSCT mette a disposizione un bonus che ogni dipendente può spendere sulle varie attività a prezzi agevolati.
Il risultato: maggior senso di appartenenza e aumento
della produttività aziendale».l
DOSSIER RIFORME DOSSIER DOSSIER DOS
lavoro
Buona
flessibilità
Il punto di vista di quattro
Agenzie per il Lavoro:
Gi Group, Intempo,
Randstad Group Italia
e Tempor.
Abbiamo chiesto a quattro Agenzie per il Lavoro se
la nuova Legge sul Lavoro incentiva la “buona flessibilità”.
La risposta è univoca: sì, anzi contribuirà a ridurre in modo significativo le forme di “cattiva flessibilità”, che in molti
casi mascherano rapporti di lavoro stabili. Un importante
passo avanti verso una riforma complessiva in grado di
coniugare le esigenze di flessibilità delle imprese con le
istanze di tutela dei lavoratori.
Gi Group Spa
Il Decreto Lavoro appena convertito in legge incoraggia e
facilita la buona flessibilità. L’eliminazione della causale,
sia per il contratto a termine che per la somministrazione,
consentirà una più facile gestione della flessibilità in entrata, senza inutili contenziosi. Auspichiamo, pertanto, un
utilizzo maggiore di questi contratti a discapito di forme di
cattiva flessibilità che in molti casi mascherano rapporti di
lavoro stabili. Riteniamo, altresì, positivo la limitazione del
numero di proroghe sul contratto a termine e che vi sia un
esplicito impegno del Governo a confermare la non applicabilità alla somministrazione dei limiti previsti sul contratto a termine. In particolare, non si applica alla somministrazione il limite del 20%, il limite dei 36 mesi, il diritto di
precedenza e non c’è obbligo dello “stop and go”; gli si riconosce, quindi, un ruolo privilegiato, più facilmente gestibile da parte dell’azienda e più tutelante per il lavoratore.
Ci auguriamo che tale percorso venga portato a compimento con la Legge Delega con l’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, dove le
tutele per il lavoratore in uscita crescano con l’anzianità di
30 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
servizio, con indennità risarcitoria e supporto obbligatorio
alla ricollocazione in caso di licenziamento. Questo riconsegnerebbe al tempo indeterminato la centralità nelle
scelte di assunzione delle aziende, demandando alla
somministrazione tramite agenzia la gestione della vera e
buona flessibilità.
Intempo Spa
Il Jobs Act convertito in legge è un primo grande passo
verso la promozione della “buona flessibilità” e della sicurezza in entrata nel mondo del lavoro: riduce i contenziosi, distingue contratto a termine e contratto di somministrazione, che garantisce massima agilità gestionale all’impresa e massima tutela al lavoratore, e facilita l’apprendistato quale dispositivo privilegiato per l’inserimento
delle giovani generazioni nel sistema economico. Le regole contribuiscono a mantenere gli equilibri socio-economici, ma non sono in grado di creare lavoro, che è invece il risultato di un combinato complesso di creatività,
capacità di innovazione e sviluppo, competenze tecniche,
dinamismo e abilità del comparto imprenditoriale di fare
“sistema” e competere nel mercato globale. Come Agenzia per il Lavoro socialmente responsabile, contribuiamo
evolvendo da “cercatori di occupazione” ad “agenti di sviluppo” con un progetto, “Petroleum”, che si propone di
valorizzare i nostri beni culturali e ambientali e di stimolare
le capacità imprenditoriali e creative delle giovani generazioni a rischio di esclusione sociale o di migrazione forzata. Proponiamo di investire su asset unici al mondo, ad
elevata intensità di lavoro e flessibilità, redditività, compe-
SSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DOSSIER DO
titività, non esposti al rischio esaurimento, non riproducibili né de-localizzabili. Concretamente: un incremento di
PIL di 100 euro nel settore culturale ne genera 249 nel sistema economico; due posti di lavoro creati in quel settore ne generano uno in un settore diverso.
Randstad Group Italia Spa
In un momento occupazionale particolarmente delicato, le
innovazioni introdotte dalla Legge 78/2014 di conversione
del D.L. 34/2014 costituiscono un passo importante per
la valorizzazione della somministrazione come strumento
di gestione in grado di coniugare le esigenze di flessibilità
delle imprese con le istanze di tutela dei lavoratori coinvolti. Le nuove misure, infatti, non solo comportano una vera
e propria rivoluzione copernicana rimuovendo il vincolo,
fonte di inutile contenzioso, della causale, ma prevedono
anche altre importanti soluzioni che hanno il pregio di rafforzare la somministrazione e la sua autonomia rispetto al
contratto a termine. In tale direzione deve apprezzarsi l’esclusione del lavoro tramite Agenzia dal limite quantitativo
del 20%, che continua viceversa ad applicarsi ai contratti
a termine. Si tratta di una scelta emblematica della volontà del legislatore di affrancare tale strumento da quei vincoli che, alla luce degli stessi principi comunitari, operano
invece nei confronti del contratto a tempo determinato diretto, ancora soggetto, per esempio, al periodo obbligatorio di stop and go. Il nuovo regime normativo appare
dunque meritevole di particolare apprezzamento per la
conferma e il potenziamento della somministrazione quale
modalità di gestione del lavoro in grado di incidere positi-
vamente sull’organizzazione delle imprese e in generale
sul mercato del lavoro nel suo complesso.
Tempor Spa
Nell’attuale mercato del lavoro, dal punto di vista delle
Agenzie per il Lavoro, il DL 34/2014 conferma il percorso
fin qui intrapreso, volto a valorizzare la flessibilità aziendale in tema di assunzioni, semplificare e snellire procedure
e adempimenti. Ciò si è realizzato con una modifica fondamentale, nel settore della somministrazione, che ha introdotto il concetto di acausalità: per i nuovi contratti, stipulati con decorrenza 21.03.2014, non è infatti più richiesta l’apposizione della causale, ancorché non vietata per
casi particolari di esclusione dal contingentamento contrattuale collettivo, ai fini della regolarità del contratto. La
riforma non è da intendersi come un attacco alla somministrazione, in quanto il lavoro diretto a termine non è per
effetto della riforma meno oneroso, considerato il fatto
che è soggetto a elementi quali computo dei disabili, superamento di determinati limiti ai fini di agevolazioni, normativa legge 300/70, gestione diretta e amministrativa
del rapporto di lavoro, diritti di precedenza nei 12 mesi
successivi per assunzioni a tempo indeterminato, “stop
and go” tra un rapporto e l’altro. Tali elementi non ineriscono la somministrazione che, inoltre, consente di effettuare 6 proroghe del contratto (rispetto alle 5 previste dal
contratto diretto in primis) e di eccedere il limite del contingentamento del 20% posto dalla riforma.l
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
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DOSSIER RIFORME DOSSIER DOSSIER DOS
lavoro
Co-working
Un modo
innovativo per
condividere spazi
e idee: Plane Tree
è un progetto
dell’agenzia
di comunicazione
BoccaccioPassoni.
Dopo la condivisione in rete, a cui ci siamo presto
abituati con l’avvento del web 2.0, che ha abbattuto le
barriere tra gli utenti, dal mondo virtuale si passa a quello
reale con un innovativo sistema di intendere il lavoro: il coworking, un nuovo modo per condividere idee, progetti e
spazi. Con co-working si intende infatti uno spazio di lavoro condiviso e temporaneo che offre a professionisti,
freelance e startup la possibilità di avere a disposizione un
ufficio - una stanza o una scrivania - a una tariffa oraria,
settimanale o mensile, e di usufruire dei servizi offerti all’interno dello spazio comune ma senza i vincoli e i costi di
un contratto a lungo termine e senza dover affrontare le
spese fisse di utenze e manutenzione.
Era il 2005 quando Brad Neuberg, un giovane imprenditore di San Francisco stufo di sfruttare la connessione di
Starbucks per lavorare, decise di creare uno spazio per
dare ospitalità ad altri freelancer come lui. Nacque così il
co-working, che non tardò a sbarcare anche in Italia con
le prime aperture a Milano e Roma.
Una realtà che si è concretizzata anche a Genova (in Salita Dinegro 3), grazie all’idea di Alberto Boccaccio e di Enrico Passoni, titolari dell’Agenzia di Comunicazione BoccaccioPassoni, e della nuova socia Anna Mascheroni,
proveniente dal mondo delle PR milanesi. BoccaccioPassoni, dopo essersi avvicinata al co-working già nel 2010
ed essere entrata nel 2012 nella rete nazionale Co-Wo,
nel 2013 ha dato vita a Plane Tree, le cui radici si estendono fino a Torino, dove ha aperto una seconda sede nella centralissima Piazza Castello. Il nome Plane Tree non è
casuale: deriva dall’inglese e significa Platano, in riferimento all’albero che spicca nel suggestivo giardino presente nella sede genovese dell’Agenzia che si affaccia
sullo storico pozzo di Santa Caterina.
Proprio come un albero, Plane Tree è costituito da diversi
rami, equivalenti alle differenti figure professionali che, nel
tempo, hanno animato - e continuano ad animare - il centro co-working.
Ogni ramo è indipendente, ma unito agli altri dà il suo miglior frutto: idee, stimoli e spunti nati dall’aiuto reciproco.
In un momento di crisi, non solo economica e sociale ma
anche progettuale, gli spazi di coworking si stanno configurando - più che come luoghi di lavoro - come catalizzatori di persone orientate all’innovazione attraverso la collaborazione. Gli obiettivi e i vantaggi del co-working sono
infatti molteplici: dal risparmio sui costi dell’ufficio, al tentativo di miglioramento sulla qualità della vita professionale, in virtù della creazione di sinergie tra i co-workers e di
nuove opportunità di business e di lavoro grazie alla facilità di passaggio dall’idea all’azione.
Plane Tree si rivolge a più destinatari: principalmente freelance e piccoli imprenditori, lavoratori che viaggiano e che
hanno bisogno temporaneamente di un ufficio attrezzato,
di una sala riunioni o di una sede di rappresentanza. Più
in generale, per chiunque abbia bisogno temporaneamente di un ufficio funzionale, attrezzato ed economicamente sostenibile, e desideri mantenere la propria indipendenza.
Co-working fa quindi rima con condivisione, perché il
principale obiettivo è quello di promuovere la collaborazione e di sviluppare nuove relazioni sociali e professionali
per favorire lo scambio di saperi, idee e lavori in unico
spazio creativo, un punto di riferimento per tutti i co-workers. Lo spazio di Plane Tree nella sede di Genova, in una
delle zone esclusive del centro storico, si estende per
200 mq ed è suddiviso in open space e uffici privati che
offrono tra i servizi: scrivanie e stanze con accesso internet wi-fi, sale riunioni, un’area documenti personali, attrezzature e servizi.l
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
33
COMPETIZIONE & SVILUPPO
Banca
CARIGE,
la svolta.
A colloquio
con il
presidente
Cesare
Castelbarco
Albani.
Tutto il sistema bancario sta vivendo un momento
di difficoltà: alcuni istituti di credito si apprestano a chiedere robusti aumenti di capitale, in molti presentano bilanci con risultati condizionati da pesanti svalutazioni e
dal protrarsi della crisi; per non parlare dell’esigenza di rivedere completamente il modello di business con filiali più
leggere, automatizzate o addirittura virtuali, e la conseguente riorganizzazione del personale.
In questo quadro non fa eccezione Banca Carige, ma
l’ambizione e l’impegno dei nuovi vertici e del management della Banca nell’imprimere una svolta radicale e innovativa sono evidenti e già ampiamente apprezzati. Il
presidente Cesare Castelbarco Albani non si nasconde la
portata della sfida, ma sa di poter contare sulla competenza e autorevolezza di un amministratore delegato come Pier Luigi Montani. La prima prova da affrontare è
l’aumento di capitale di 800 milioni di euro indicato da
Bankitalia. «Non siamo abituati a piangerci addosso - afferma Castelbarco, - ma a lavorare per costruire un futuro
migliore. Riteniamo che 800 milioni di aumento di capitale
saranno sufficienti per consentire alla Banca di presidiare
adeguatamente i profili di rischio e realizzare la strategia
di rilancio indicata dal Piano Industriale presentato in Assemblea. Confidiamo che tutti i nostri 55mila azionisti
aderiranno all’aumento di capitale, ma auspichiamo anche la partecipazione di imprenditori (magari genovesi e
liguri) interessati a investimenti stabili e non speculativi».
In questa prospettiva è cominciato, in aprile, un road
show a Londra, a Parigi e a Francoforte per presentare il
Piano Industriale della Banca a possibili investitori esteri.
«In questi ultimi anni - osserva il presidente Castelbarco, complice anche la grave crisi economica, l’apertura ai
mercati internazionali è diventata una necessità, non solo
per le imprese ma anche per le banche. Per quanto riguarda Carige, nelle prime tappe del road show, a Londra
e a Parigi, abbiamo riscontrato un notevole interesse per
il Piano Industriale 2014-2018 - con cui progettiamo concretamente un rilancio della Banca - che ritengo potrebbe
tradursi in un intervento nella ricapitalizzazione della Banca da parte di alcuni Fondi esteri. Questo non significherà
perdere o rinunciare al carattere di territorialità di Carige,
anzi. Il Piano intende consolidarne il ruolo di banca del
territorio non solo in Liguria ma in tutto il nordovest e in
Toscana, razionalizzando invece la propria presenza nelle
regioni meno servite, come la Puglia o la Sardegna».
Il road show è anche un’occasione concreta di marketing
territoriale: «attraverso la presentazione della Banca - fa
notare Cesare Castelbarco, - i nostri interlocutori ricevono
uno spaccato significativo del “sistema Liguria”, di cui apprezzano in particolare il porto di Genova ed eccellenze
industriali come Ansaldo Energia e Termomeccanica, che
sono fortemente radicate sul territorio ma vantano una
spiccata vocazione internazionale». Le perplessità, precisa il presidente di Carige, «nascono sul tema delle infrastrutture: gli stessi interlocutori si chiedono se, alla fine, si
riuscirà a completare le opere infrastrutturali necessarie
per impedire l’isolamento di Genova e della Liguria dal resto del mondo e il conseguente rapido declino economico. Va tenuto presente, infatti, che il livello di efficienza
delle infrastrutture, e quindi dei servizi alla mobilità, incide
pesantemente nella decisione su dove destinare possibili
investimenti, e costituisce una discriminante essenziale
nello sviluppo dell’industria di produzione e, ovviamente,
del porto».
Anche nelle relazioni con il cliente Carige si appresta a un
cambio di passo. «L’utilizzo sempre più diffuso dell’ebanking - spiega Castelbarco, - unito al crescente ricorso
a bancomat e carte di credito, hanno reso necessario un
ripensamento dell’organizzazione delle filiali di prossimità,
non più così indispensabili per lo svolgimento delle operazioni bancarie di base».
Valutate le specificità di ogni singola filiale, all’interno del
Piano Industriale è stato definito un programma di formazione rivolto a 600 funzionari per fornire loro le competenze necessarie ad assumere ruoli con un taglio più commerciale e orientato al cliente.
«Bisogna incontrare le persone, visitare le aziende... Le
banche offrono tutte più o meno prodotti simili: la differenza sta nel servizio e nella relazione che si riesce a stabilire con il proprio cliente, al quale bisogna dare risposte
chiare ed esaustive in tempi brevi. A questo scopo servono innanzi tutto servizi online efficienti e, quando si
tratta di questioni più complesse, un funzionario disponibile e competente. Questo vale tanto per il piccolo correntista che vuole accendere un mutuo, quanto per l’imprenditore impegnato in un investimento importante. Da
oggi in poi saremo ancora più vicini al cliente, e non più
solo in filiale».l (P.P.)
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
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COMPETIZIONE & SVILUPPO
Verso
la Borsa
Con l’ingresso di Intesa
Sanpaolo e di VEI
Capitale nel capitale
della holding Rina Spa,
per il Gruppo guidato da
Ugo Salerno si aprono
nuove opportunità di
crescita, fino alla
quotazione in Borsa.
Ugo Salerno
Ugo Salerno, presidente e amministratore delegato del Gruppo Rina, non esita a definirlo «il capitolo più
importante in 153 anni di storia della nostra azienda»; si
riferisce all’accordo sottoscritto il 16 aprile scorso per l’ingresso di Intesa Sanpaolo e di VEI Capital, la Investment
Company di Palladio Finanziaria, nel capitale della holding
Rina Spa con un impegno di 25 milioni di euro (pari a circa il 29% del capitale), che potrà aumentare fino a 100
milioni in equity nell’arco di un triennio.
«Per il Gruppo - commenta Salerno - ha inizio una stagione di crescita e di acquisizioni senza precedenti… Ma
facciamo un passo indietro. In questi ultimi anni abbiamo
strutturato l’azienda su due linee di attività, separate ma
sinergiche: il mercato del testing, inspection e certification, che fa riferimento a Rina Services, e il settore engineering e consulenza, gestito dal brand D’Appolonia; in
questo modo siamo diventati la prima società indipen-
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dente di ingegneria in Italia, con un fatturato 2013 di quasi 200 milioni di euro per Rina Services e di poco sopra i
100 milioni di euro per D’Appolonia. A inizio anno, poi,
abbiamo acquisito la maggioranza assoluta del Centro
Sviluppo Materiali (CSM), azienda leader a livello mondiale nella ricerca sui materiali e sulle tecnologie applicative
con un fatturato intorno ai 30 milioni di euro. Oggi Rina è
un Gruppo con 2500 dipendenti a tempo indeterminato,
1500 a tempo determinato, 150 uffici in tutto il mondo e
un fatturato consolidato di circa 320 milioni di euro».
Una dimensione di assoluto rispetto, ma non ancora adeguata, secondo Ugo Salerno, per competere con successo sul mercato globale: «La nostra ambizione - conferma l’a.d. e presidente del Rina - è di disporre di risorse
per investimenti in Ricerca & Sviluppo, di un numero di
addetti e di una rete commerciale paragonabili a quella
dei nostri concorrenti. Una crescita organica del 5-6%
l’anno non è sufficiente per raggiungere questi obiettivi, è
necessario procedere in maniera più rapida. Qual è, allora, la nostra strategia? Acquisire società tramite le quali
rafforzarci nei nostri mercati di riferimento: energia, marine, business assurance, infrastrutture e trasporti, sia in
termini di competenze che di penetrazione geografica». In
Italia, il Rina mira quindi ad aggregare quelle realtà piccole
e medio-grandi che, ciascuna per le proprie caratteristiche distintive, possano essere introdotte sui mercati internazionali attraverso la rete di uffici Rina già esistente per
completare il portafoglio servizi; all’estero, invece, nei
Paesi a forte potenziale di crescita, l’obiettivo è individuare società che possano costituire una piattaforma per l’erogazione dei servizi del Gruppo in quelle stesse aree.
«Per esempio, guardiamo con estremo interesse agli Stati
Uniti, dove stiamo cercando una società di engineering
nella prospettiva di una loro prossima autosufficienza
energetica, e al Canada; ma siamo interessati anche all’India - aggiunge Salerno, - Paese complesso ma ricco
di opportunità, che esprime, tra l’altro, competenze tecniche di alto livello; e ancora: le repubbliche ex sovietiche,
l’Indonesia, le aree del Golfo. Qui, in particolare, la nostra
presenza è forte, avendo vinto una gara internazionale
per attività di consulenza finalizzata alla creazione di Tasneef, il primo ente pubblico di classificazione navale del
mondo arabo con sede ad Abu Dhabi. Ci siamo occupati
di organizzare i servizi dell’ente e di formare il personale:
siamo partiti da zero, ma oggi con Tasneef stiamo già lavorando a progetti di certificazione nel settore della nautica da diporto e della difesa, dove possiamo offrire un
supporto importante non solo per la nostra esperienza
nel marine ma anche per il know-how di D’Appolonia nel
campo dell’ingegneria elettronica».Di D’Appolonia Ugo
Salerno coglie l’occasione per ricordare anche le competenze sviluppate nel technology scouting e nel technology
transfer, «attività nelle quali registriamo punte di vera eccellenza. I nostri tecnici e ricercatori - prosegue - sono
bravi a individuare possibili strade di sviluppo delle idee e
a sostenerne i complessi processi di ingegnerizzazione e
di industrializzazione. Sono certo che in molti cassetti
giacciono brevetti di cui non si è saputo cogliere il potenziale di sviluppo, magari anche per impieghi diversi da
quelli per cui sono stati pensati in origine. Un po’ di responsabilità, qui, ce l’hanno anche i centri di ricerca, non
sempre così disponibili a cogliere offerte di collaborazione
in questo ambito. E pensare che Rina, D’Appolonia e
CSM insieme sono la realtà italiana che vanta il maggior
numero di progetti di ricerca finanziati dal Settimo programma quadro dell’Unione Europea: 108, davanti ai 103
di Siemens». Tornando all’operazione della “svolta”, Ugo
Salerno precisa che l’impegno con Intesa Sanpaolo e VEI
Capital è di effettuare investimenti per l’intera cifra disponibile e alla fine del triennio prepararsi alla quotazione in
Borsa. «Mi preme sottolineare - conclude - che le risorse
messe a disposizione sono finalizzate esclusivamente alla
crescita del Gruppo e che la quotazione in Borsa sarebbe
un ulteriore strumento di crescita. Non dobbiamo nasconderci che il problema della scarsa competitività dell’Italia non è tanto il costo del lavoro quanto la dimensione
e la natura delle nostre aziende: troppo piccole, troppo
nazionali e poco globali».l (P.P.)
Centro Sviluppo Materiali - CSM
Con un apporto di capitali di 4 milioni di euro a fronte di
una quota azionaria del 50,5%, all’inizio di quest’anno il RINA è diventato azionista di controllo del Centro Sviluppo
Materiali - CSM, azienda di eccellenza riconosciuta a livello
mondiale per l’attività di ricerca sui materiali e sulle tecnologie applicative. L’aumento di capitale si inquadra in un’operazione di partnership fra le due società, supportata dagli
azionisti del Centro Sviluppo Materiali (Tenaris Dalmine, Acciai Speciali Terni, Finmeccanica, Fincantieri, Tenova, Vesuvius, Arvedi, SAIPEM, Polo Tecnologico Industriale Romano,
ACEA e AMA). Infatti, l’obiettivo del CSM è potenziare ed
espandere la propria attività di ricerca applicata, anche sui
mercati esteri, mantenendo inalterati la missione aziendale,
l’enorme bagaglio tecnico-scientifico (oltre 800 brevetti nel
corso della sua storia) e il patrimonio culturale dei propri ricercatori.l
www.c-s-m.it
Agroqualità
Agroqualità nasce nel 2005 dall’esigenza delle Camere di Commercio di presidiare i temi della certificazione agroalimentare, dotandosi di una struttura specializzata, in grado di operare in un mercato che, a metà
degli anni novanta, iniziava a presentare esigenze di
salvaguardia dei valori della qualità.
Nel corso del 2007, al fine di potenziare e ampliare le
attività e i servizi offerti alle imprese, si è concretizzata l’alleanza con il RINA, tra i primi organismi di certificazione italiani, che completa le potenzialità acquisite dall’azienda in ambito regolamentato con una vasta gamma di servizi nella certificazione volontaria di
prodotto e di sistema.
Grazie all’acquisizione e la successiva fusione per incorporazione avvenuta nel 2013 di Ismecert Srl, ente
di certificazione specializzato nella valorizzazione delle produzioni agroalimentari di qualità, Agroqualità è
diventato l’organismo di controllo di riferimento per
tutto il Centro e Sud Italia.l
www.agroqualità.it
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
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COMPETIZIONE & SVILUPPO
di Caterina Cerrini
IB
negli USA
Progetti strategici e novità
oltreoceano per la software
house di Rapallo.
La software house di Rapallo ha aperto una nuova
società negli Stati Uniti per operare direttamente sul mercato americano nel settore dell’Enterprise Asset Management. La sede di IB USA Inc. è a Miami, capitale mondiale del mercato crocieristico in cui l’azienda è presente da
oltre vent’anni.
Inizia così per IB un nuovo percorso, reso possibile grazie
alle esperienze e al know-how maturati in trent’anni di attività. Una scelta che, focalizzandosi in primis sul mercato
storico del cruise, ha tra gli obiettivi da perseguire, oltre il
presidio in loco dei clienti già attivi negli USA, l’approccio
diretto a un mercato significativamente più ampio rispetto
a quello europeo.
Gli accordi con il RINA, d’altro canto, stanno portando la
suite InfoSHIP® nel mondo (è recente l’acquisizione di un
importante cliente cinese) e attualmente contribuiscono
alla messa a punto di soluzioni a supporto dei percorsi di
efficienza energetica, sia a bordo nave che a terra. Una di
queste è EGO, il programma di Energy GOvernance che
consente gestioni evolute partendo da concrete politiche
di saving, così come l’introduzione dei registri di bordo
elettronici che, oltre ad andare nella direzione paperless,
permetteranno in futuro una più ampia iterazione tra i
soggetti del mondo marine (basti pensare alla gestione
delle informazioni tra armatori e porti).
Sul fronte delle soluzioni software la tendenza attuale è la
copertura funzionale sempre più estesa in aree tecnicoingegneristiche integrate (machine, human & machine interaction), nella costante ricerca dell’equilibrio tra efficien-
tamento costi e adeguato livello di rischio (Asset Integrity
Management).
Lato tecnologie, invece, IB è sempre attiva nell’implementazione di tecnologie cross sectors, applicabili, per esempio, nel campo biomedicale, dove la riduzione del rischio
clinico è agevolata anche attraverso un preciso e puntuale tracciamento degli asset.
Altra novità di questo primo semestre è la nascita di
log@sea, la “rete d’impresa” tra due realtà liguri, IB e Circle, operativa nel settore delle comunità portuali, degli interporti e in tutta la catena logistica intermodale.
Le soluzioni IT di interoperabilità proposte da log@sea,
sono il risultato di Progetti di Innovazione, su cui entrambe le società sono impegnate da oltre cinque anni come
partner tecnologici, e di sviluppo (progetti europei del Ministero dei Trasporti e coordinati dal RINA). Tali soluzioni e
servizi altamente innovativi consentono la semplificazione
dei processi e l’integrazione tra i sistemi ICT di tutti i soggetti coinvolti, dall’armatore al terminalista, dallo spedizioniere alle Autorità Portuali, in una logica di accrescimento
della competitività.
IB è sempre più aperta e lanciata verso nuove sfide, con
continuo impegno nel migliorare la propria offerta e la capacità di diversificare i servizi, con l’intento di rispondere
alle necessità dei mercati, anticipando i bisogni dei clienti,
e di focalizzarsi su nuove opportunità di business capitalizzandone i successi.l
Caterina Cerrini è responsabile Comunicazione IB
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COMPETIZIONE & SVILUPPO
Cosmesi
trasparente
Naturalità dei
componenti, rispetto
per l’ambiente
e per gli animali:
la CSR come valore
aggiunto alla qualità
dei prodotti. Ne
parliamo con Paolo
Bassetti, socio del
Saponificio Gianasso.
Paolo Bassetti
Nel 2015 il Saponificio Gianasso festeggerà i 50 anni di attività con la certificazione “Made in Italy”, «non tanto
- chiarisce Paolo Bassetti, socio dell’azienda con il cugino
Luca Barbato - per avere maggior credito rispetto al mercato estero, quanto per rafforzare la nostra posizione a livello locale e nazionale. Il progetto di certificazione è nato
partendo dalla considerazione che il nostro prodotto può
essere il risultato di una filiera “di prossimità” tutta italiana.
L’iter di certificazione dovrebbe concludersi a fine 2014». È
questo il prossimo traguardo dell’azienda fondata nel
1965, a Savona, da Domenico Gianasso e rilevata nel
1977 da Mauro Albertin (socio di Bassetti e Barbato fino al
2011). «A quell’epoca - racconta Bassetti - il laboratorio
fabbricava soprattutto saponi a base di olio di oliva che gli
oleifici offrivano in aggiunta ai loro prodotti più tradizionali.
Questa attività andò avanti per un ventennio, fino a quando, nel 1998, con mio cugino e le rispettive famiglie acquistammo il 50% della società». Con l’ingresso dei nuovi soci e grazie ai contatti di Mauro Albertin con alcune aziende
erboristiche, il Saponificio Gianasso comincia a dedicarsi
alla produzione e commercializzazione di prodotti con il
proprio brand, facendo leva sul carattere artigianale della
lavorazione e sulla naturalità dei componenti. «Il marchio “I
Provenzali” è nato allora - ricorda Paolo Bassetti -, 15 anni
fa. Per un prodotto naturale come il nostro, le erboristerie
sarebbero state il canale di vendita più diretto, ma considerata l’esperienza maturata da mio cugino Luca e da me
40 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
nella rappresentanza di marchi importanti della cosmesi e
della pulizia della casa nella Grande Distribuzione, ci siamo
rivolti a questo mercato: una scelta sfidante, basata su
una politica commerciale tesa a coniugare qualità elevata a
prezzi convenienti ». Elemento fondamentale che concorre
alla “qualità” dei prodotti del Saponificio Gianasso (e valore
imprescindibile della Corporate Social Responsibility) è la
“trasparenza”: «Riuscire a comunicare e a rendere comprensibile la differenza tra “naturale” e “vegetale” - osserva
Bassetti - non è cosa semplice. Agire in maniera trasparente comporta l’assunzione di responsabilità nei confronti
dei consumatori: dichiarare quali materie prime sono state
impiegate, la loro origine e il loro livello di naturalità coinvolge l’intera catena dei fornitori, che devono quindi condividere i valori della nostra azienda». Tra questi, Paolo Bassetti cita la società A. & A. Fratelli Parodi, che produce oli
per l’industria cosmetica a Campomorone, a poche centinaia di metri dal nuovo stabilimento del Saponificio Gianasso: «Con la Fratelli Parodi abbiamo sviluppato un bel
progetto sull’olio di mandorle dolci Made in Italy: solo
mandorle italiane, lavorate e trasformate alla Fratelli Parodi
e poi utilizzate per i nostri prodotti. A quanto ci risulta - sottolinea Bassetti - si tratta dell’unica esperienza in Italia di
olio completamente “Made in”».
A metà degli anni novanta, il Saponificio Gianasso faceva
da apripista del settore della cosmesi naturale nella GDO
giocando un ruolo da «regista e attore allo stesso tempo -
dice Paolo Bassetti, - ma con lo svantaggio di
muoversi su un mercato piccolo, ancora tutto da
costruire. Oggi il mercato è cresciuto ed è aumentato il numero dei player. Tra questi, molti sono
leali concorrenti, ma abbiamo a che fare anche
con aziende che, dopo essersi affermate con prodotti da discount, ora propongono cosmetici naturali “fotocopiando” (e non utilizzo a caso questo
termine) quanto già esiste, di accreditato, sul mercato, spesso incuranti che i componenti dichiarati
sulla confezione corrispondano effettivamente al
contenuto».
Dalla filiera controllata alla certificazione Made in
Italy, dal “non testato su animali” al packaging
ecologico: tutti questi fattori, aggiunge Paolo Bassetti, «hanno contribuito a rendere la nostra società leader di mercato, con una quota nella GDO
prossima al 42%, mentre il “follower” più vicino si
attesta intorno al 13%; nel segmento degli oli copriamo oltre l’80% del mercato e in quello dei saponi siamo il quinto o sesto brand a livello nazionale, confrontandoci con colossi come Unilever o
Palmolive. Complessivamente, sul mercato nazionale pesiamo per il 5,7%, ma per un’azienda delle
nostre dimensioni si tratta di un grande risultato».
La linea della trasparenza e del dialogo con i consumatori è portata avanti, oltre che attraverso un
numero verde, anche grazie alla “rete”: blog, forum, Facebook, Twitter, Pinterest sono, per il Saponificio Gianasso, fonti di spunti interessanti e di
informazioni preziose, sia per lo sviluppo di nuovi
prodotti che per migliorare la qualità di quelli già in
commercio. «Per esempio, è stato proprio monitorando i social che siamo venuti a conoscenza di
alcune critiche mosse dai consumatori a una nostra linea di stick per labbra al karité e alle mandorle dolci, perché contenevano un conservante chimico; quando lo abbiamo sostituito con un conservante naturale al cento per cento, uno dei moderatori del blog lo ha subito rilevato, commentando positivamente la pronta reazione “dei Provenzali”. Il dialogo con i consumatori - afferma Bassetti - deve essere costante e improntato alla
proattività».
Oggi il Saponificio Gianasso dispone di circa settemila mq di spazi per la produzione e per il magazzino, suddivisi tra la “vecchia” sede di Borzoli e
il nuovo sito a Campomorone. Nel 2013 ha sviluppato un fatturato di 15 milioni di euro, con una
trentina di dipendenti e una rete di agenti che copre tutte le insegne della Grande Distribuzione. «In
questi anni di crisi - conclude Paolo Bassetti - la
sfida è stata riuscire a mantenere alta la qualità del
prodotto in un mercato governato dalla leva commerciale del prezzo basso e della promozione. Per
questo noi continuiamo, con convinzione, a insistere sulla CSR: rispetto per l’ambiente, per gli
animali, componenti naturali, comunicazione trasparente… per la nostra organizzazione tutto questo rappresenta un impegno non irrilevante, ma ci
crediamo, e i consumatori cominciano a riconoscere il valore di questa nostra scelta».l (P.P.)
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
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COMPETIZIONE &&SVILUPPO
COMPETIZIONE
SVILUPPO
A
Qualità
riconosciute
L’olio d’oliva selezionato
e commercializzato
da Santagata Luigi Srl
trova spazio e apprezzamento
sui mercati asiatici. Ne parliamo
con Cristina Santagata,
presidente dell’azienda genovese.
Federico e Cristina Santagata
La storia della Santagata Luigi Srl, comincia nel
1907, con il bisnonno di Cristina, attuale presidente e
rappresentante, insieme con il fratello Federico, della
quinta generazione nell’azienda che, da oltre un secolo,
seleziona e commercia olio d’oliva.
«All’inizio del secolo - racconta Cristina Santagata - il
commercio era limitato alla Liguria; con il nonno abbiamo
cominciato a vendere i nostri prodotti sul territorio nazionale e poi, a partire dagli anni Ottanta, anche all’estero».
Il fatturato 2013 risulta, per circa l’80%, dalla compravendita e lavorazione di olio sfuso: «selezioniamo e acquistiamo l’olio nel bacino del Mediterraneo, e poi creiamo i
blend per i nostri clienti. In azienda - precisa Santagata siamo tutti esperti assaggiatori: anche chi non si occupa
direttamente di selezione (compito di cui si occupa prevalentemente mio fratello Federico) conosce profondamente il prodotto. Il tratto distintivo che caratterizza il nostro olio è l’alta qualità, unica “arma” davvero efficace
contro la concorrenza delle multinazionali, soprattutto
spagnole, che detengono circa il 40% del mercato italiano. Negli ultimi anni, nel nostro settore, la maggior parte
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dei marchi presenti nella Grande Distribuzione sono passati alle multinazionali estere, e molti di questi marchi sono nati in Liguria».
Il restante 20% del fatturato annuo dell’azienda riguarda,
invece, prodotti confezionati a firma “Santagata”. «Si tratta di prodotti di alta gamma, destinati soprattutto ai mercato esteri, particolarmente sensibili alla qualità dell’offerta e, più in generale, all’autorevolezza di cui gode il “made in Italy” nel settore agroalimentare. In questo segmento, la nostra offerta - aggiunge Cristina Santagata - si
estende all’olio Raineri di Imperia (di cui siamo azionisti) e
alla collezione di oli e ricette proposta dalla società Frantoi Portofino (partecipata da Santagata con una quota del
90%), che comprende oli DOP della Riviera Ligure e monocultivar taggiaschi. In entrambi i casi, si tratta di collaborazioni molto sinergiche, in piena sintonia con la nostra
cultura di assaggiatori».
Se rischia di risultare perdente o almeno poco remunerativo mettersi in competizione con i grandi gruppi sui mercati più vicini, meglio indirizzare altrove i propri sforzi, verso mercati meno condizionati dalla leva del prezzo: «ci
siamo un po’ allontanati dall’Europa per cercare nuovi
sbocchi in Paesi dove il nostro prodotto, e quindi la tradizione e la storia della nostra azienda, potessero trovare
attenzione e apprezzamento». Per Santagata, l’ingresso
sui mercati esteri dei prodotti di alta gamma è agevolato
da una prima proposta di prodotti di media gamma: una
“tecnica di avvicinamento” alla qualità “top” che si basa
sulla comunicazione della cultura dell’olio, fatta di passione, naturalità e proprietà salutari. «In Europa - spiega
Santagata - il nostro primo mercato di riferimento è la Danimarca; ma l’area del mondo sulla quale stiamo investendo di più è l’Asia. Da ormai una ventina di anni lavoriamo con il Giappone e con Singapore, ma siamo riusciti
a capillarizzare la nostra presenza anche in Indonesia,
Tailandia, Vietnam e Filippine. Infine, la Cina: un mercato
immenso, dalle enormi potenzialità, ma molto complesso,
a causa delle profonde differenze culturali, di cui la lingua
è l’ultimo dei problemi!». Per lo sviluppo di questi mercati,
osserva Cristina Santagata, «è stata fondamentale la presenza di una nostra persona sul posto. Dal punto di vista
commerciale i clienti asiatici sono una grande risorsa e
una continua sfida, in considerazione del fatto che per loro il nostro olio è molto interessante sia dal punto di vista
culinario (per il sapore) sia salutistico. L’olio d’oliva, infatti,
è particolarmente adatto alla frittura dei cibi, molto praticata nella cucina asiatica, perché è percentualmente ricco di acido oleico, che lo rende più stabile alle alte temperature e meno nocivo rispetto ad altri condimenti. La
classe media che si sta affermando in Asia è molto attenta alla salute. Per questo motivo ci impegniamo molto
nella comunicazione delle proprietà dell’olio d’oliva e della
dieta mediterranea, di cui l’olio d’oliva è elemento centrale, collaborando con ristoranti esclusivi dove chef stranieri
usano il nostro prodotto, oppure attraverso workshop
dove spieghiamo ai nostri clienti il ciclo di produzione
dell’olio e li introduciamo ai primi rudimenti sulle tecniche
dell’assaggio».
Negli ultimi quattro anni, l’azienda ha più che raddoppiato
il fatturato, toccando i 60 milioni di euro. «Un risultato che
ci soddisfa», commenta Cristina Santagata.l (M.P.)
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
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COMPETIZIONE & SVILUPPO
Emozioni
in puro
cashmere
I progetti di Gian Piero Rosina
per Riviera Cashmere, specializzata
nella creazione di maglieria
e accessori moda di alta gamma.
Gian Piero Rosina
Dopo 25 anni di esperienza nell’azienda di filati
di famiglia, la Filtes Sas, Gian Piero Rosina, di concerto
con il fratello Alberto, valuta l’opportunità di scorporare la
società per motivi logistici: il fratello Alberto prosegue così nell’attività avviata quasi cento anni fa dal nonno Onorato, mentre Gian Piero fonda Riviera Cashmere, alla
quale trasferisce il brand e le competenze maturate negli
anni passati.
Riviera Cashmere è specializzata in accessori di alta
gamma realizzati in cashmere, esclusivamente made in
Italy. Difficile, visitando la sede, restare indifferenti alla
morbidezza, alla leggerezza e ai colori dei capi ordinati
sui vari scaffali, ed è praticamente impossibile resistere
alla tentazione di accarezzarli. «Il cashmere, o kashmir spiega Gian Piero Rosina, - è una delle fibre tessili più
amate per la creazione di maglieria e di accessori per
l´inverno. I capi realizzati con questo filato, per quanto
semplice possa essere il modello o neutro il colore, si distinguono sempre per classe ed eleganza».
Riviera Cashmere segue l’intero ciclo di produzione dei
suoi accessori, dall’acquisto della materia prima al packaging. «Le capre del cashmere (hircus falconeri) vivono nelle regioni montuose dell’Asia centrale, fino a 5mila metri
di altitudine, da ogni capra si ricavano circa 150 grammi
l’anno. Il cashmere più pregiato al mondo - precisa Rosina - è il “China white cashmere”, che proviene dalla Inner
Mongolia, mentre il “brown cashmere”, più diffuso, è prodotto nella Mongolia esterna. Per la realizzazione dei nostri capi partiamo dalla selezione del “fiocco”, un batuffolo
di lana a “campione” della fornitura proposta. Una volta in
Italia, la materia prima viene sottoposta al processo di filatura e di tintura in laboratori specializzati nel biellese; infine, il filato così ottenuto, avvolto in rocche, arriva in azienda, pronto per essere trasformato, su nostri modelli, in
sciarpe, mantelle, berretti, guanti e maglioni». Tutto rigorosamente made in Italy, dunque, e per la maggior parte
degli accessori addirittura made in Liguria. «Riviera Cashmere - aggiunge Gian Piero Rosina - crea linee di moda e
sviluppa anche campioni su disegno per importanti marchi italiani, inglesi, giapponesi, russi, francesi e americani.
Ogni stagione si scelgono i disegni e le tonalità più di tendenza, per proporre accessori in puro cashmere, in cashmere e seta o in modal cashmere, perfettamente abbinabili ai capi d’abbigliamento del momento. Ogni anno lavoriamo 6 mila kg di cashmere, in una moltitudine di colori,
dai classici e naturali ai più brillanti e modaioli».
Quasi tutti gli accessori di Riviera Cashmere si prestano a
essere “personalizzati” per diventare pregiati ed esclusivi
segni di ringraziamento o veicoli di promozione per aziende, alberghi di lusso, società di charter nautico. «Il nostro
obiettivo - aggiunge Rosina - è ampliare e diversificare la
clientela, non limitandoci alla vendita ai negozi, ma trovando sbocchi alternativi. Per un hotel della Costiera
Amalfitana, per esempio, stiamo realizzando degli scialli
leggeri, stampati a motivi floreali che rappresentano la
natura tipica della zona, che potranno essere indossati
dalle signore ospiti per ripararsi dalla brezza serale».
Pur essendo una piccola realtà, per Riviera Cashmere
«la ricerca continua della qualità è un obiettivo primario conclude Gian Piero Rosina, - rimanendo, però, sempre
ben radicati al nostro territorio».l (M.P.)
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
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COMPETIZIONE & SVILUPPO
Compleanno
nel Tigullio
Il Covo di Nord Est
festeggia ottant’anni,
ma guarda al futuro
con un’importante
sfida imprenditoriale.
La storia insegna che non sempre il passare degli
anni sia sinonimo di vecchiaia e declino, ma in alcuni casi
di fascino e prestigio. Emblema il Covo di Nord Est, che
quest’anno compie ottant’anni. Ottant’anni di successo e
storia che il celebre ritrovo ha iniziato a tracciare dal lontano 1934, quando la struttura, sorta nei primi anni del XX
secolo come abitazione privata, diventa locale pubblico e
viene riconosciuto da subito come la perla della vita notturna ligure. In pochi anni ottiene il riconoscimento di locale più gettonato ed esclusivo d’Italia, diventando presto
46 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
crocevia di artisti e celebrità provenienti da tutto il mondo.
Gli ottant’anni del Covo sono stati segnati dal lusso sfrenato e dal glamour che hanno attirato celebrità come Brigitte Bardot e Roger Vadim, Jane Fonda, Nat King Cole, i
Platters, Gloria Gaynor, Gigi Rizzi, Fred Buscaglione, Renato Carosone, Bruno Martino, gli Agnelli, Barclay, Mondadori, i Pirelli, Rizzoli con il “Sereno” Onassis, Peppino
Di Capri, Charles Aznavour, James Brown, Liza Minnelli,
Kid Creole & Coconuts, Julio Iglesias, Dionne Warwick,
Mina, Gino Paoli, Claudio Baglioni, Vasco Rossi, Riccardo
Cocciante, Bob Sinclair e molti altri. Negli anni si sono
susseguiti ospiti internazionali, da Berry White a Frank Sinatra, che ha scritto una delle principali pagine della storia del Covo di Nord Est, l’unico locale in Italia a poter
vantare la presenza di The Voice. Così per festeggiare i
suoi primi ottant’anni il Covo di Nord Est ha organizzato
un esclusivo evento, a fine maggio, nella cornice del Covino, la location più suggestiva del locale per la sua terrazza a picco sul mare.
Vip, artisti e personaggi del mondo dello spettacolo che
hanno vissuto, animato e contribuito al successo del Covo di Nord Est, hanno festeggiato il compleanno dello
storico locale accompagnati dal concerto live di Anna
Oxa, lo show cooking del noto chef Simone Rugiati e le
note dei migliori dj.
Una serata che ha dato risalto non solo alla ricca storia
del passato del Covo, ma anche al successo che ha saputo mantenere nel corso degli anni. Oggi il locale si è
rinnovato ma le qualità che da sempre gli hanno permesso di contraddistinguersi per la sua raffinatezza e accoglienza sono ancora ben visibili. A testimoniarlo, il riconoscimento di Top Club in The World, marchio riservato solo ai locali più famosi ed esclusivi di Europa e Stati Uniti
d’America. Così il locale di Punta Pedale ha oltrepassato
le Colonne d’Ercole ottenendo ancora più prestigio e visibilità internazionale. Il Covo di Nord Est, stando al passo
con le regole non scritte ma dettate dalla tendenza e dal
business, è infatti diventata una realtà a 360 gradi. Nel
corso degli anni, alla sfera del puro entertainment, garantito in primis dalla discoteca che anima le serate con la
presenza di deejay di fama internazionale che si alternano in console, ne ha affiancata un’altra prettamente imprenditoriale, volta a offrire alla sua clientela un elevato
standard di qualità in diversi ambiti. Dalla musica d’autore
che si può ascoltare nelle serate al Covino Live, alle cene
preparate da chef stellati come Max Mariola, dall’area
spiaggia che dispone anche del “Grande Blu Scuba &
Water Sport Center” alla Churrascheria e allo Shop Center. Non solo passato e presente per questi ottant’anni di
storia, ma anche uno slancio verso il futuro. Una sfida imprenditoriale senza precedenti per il Covo di Nord Est
che intende dar concretezza a una realtà che miri ancora
più alla completezza e, di conseguenza, alla competitività
al locale. La volontà è quella di portare a compimento
una struttura incompiuta nei primi del ‘900, ampliandola,
con la finalità di una riqualificazione attraverso opere di
razionalizzazione degli spazi, potenziamento delle attrezzature di servizio, funzionali al miglioramento della fruizione pubblica e dell’offerta turistica ricettiva, senza alcun
impatto ambientale. Il progetto è firmato dall’Architetto
Domenico Podestà, Consiglio Nazionale degli Architetti
Pianificatori Paesaggisti e Conservatori presso il Ministero
della Giustizia. Per una realtà così affermata ed eccellentemente gestita dall’imprenditore Stefano Rosina, non va
tralasciato l’aspetto economico con le opportunità che il
Covo di Nord Est sprigiona con la sua attività. Basta pensare all’indotto professionale che negli anni ha procurato
vantaggi al Tigullio e a tutta la regione. Sono circa sessanta i dipendenti che, nella stagione estiva, muovono
l’operato del locale nella sua gestione globale. Con un
fatturato di circa 1.500.000 euro rappresenta quindi
un’ottima opportunità ed esempio di attività imprenditoriale che ha saputo mantenersi e rinnovarsi nel corso dei
suoi ottant’anni. Inoltre la popolarità di cui gode il locale
non può che essere una valida cartina tornasole per la ricettività turistica, commerciale e alberghiera di tutta la zona. Una calamita sia per i giovani che il sabato sera raggiungono il locale da diverse parti d’Italia, ma soprattutto
per quella clientela over 30 che continua a trovare nel
Covo di Nord Est il luogo ideale per trascorrere una serata esclusiva, garantita dalle scelte operate dall’organizzazione nel distinguere location e programmi soddisfacendo le esigenze di tutti. E poi le famiglie e gli appassionati
di diving che da alcuni anni optano per il Covo per trascorrere un week end di assoluto relax. Adesso un’ulteriore sfida imprenditoriale, un altro passo verso il futuro
del Covo di Nord Est.l
COMPETIZIONE & SVILUPPO
Un veicolo
per ogni
occasione
Dall’esperienza ultra trentennale di Renzo Balbi nel mondo dei trasporti, nel 1996 nasce Genovarent, azienda in
grado di trasformarsi negli anni, con il contributo dei figli
Andrea e Marco, da piccola ditta a conduzione familiare
ad affermata realtà, riconosciuta tra le società più professionali, organizzate e affidabili nel settore dell’autonoleggio in Italia e all’estero. Questo è stato possibile grazie a
continui investimenti per il rinnovamento del parco auto,
alla qualità, all’esclusività, alla competitività, al continuo
aggiornamento dei servizi offerti e alla costante attenzione per l’evoluzione delle esigenze della clientela. Genovarent ha inoltre sviluppato la propria attività anche nell’organizzazione e gestione di meeting, congressi, fiere e altri
eventi. Il più ampio parco macchine della zona garantisce
il veicolo giusto per ogni occasione. Il noleggio senza autista offre auto di ogni categoria (utilitarie, berline, station
wagon ecc.), minibus 9 posti e furgoni da sei a quindici
quintali per qualsiasi esigenza di trasporto.
Particolarmente apprezzato il servizio con autista, svolto
con lussuose auto, minibus e confortevoli pullman granturismo da 16 a 55 posti, a disposizione 24 ore al giorno
tutto l’anno, che si avvale di personale qualificato in grado di parlare diverse lingue straniere. Vengono forniti servizi alle principali aziende liguri e nazionali, ai vari Ministeri,
agli enti pubblici e alle società sportive dilettantistiche e
Con oltre trent’anni di
esperienza, Genovarent
si conferma azienda
leader nel settore dei
trasporti. Nel parco
auto, anche una
Lancia Artena del 1932.
professionistiche. Disponibili anche auto per cerimonia,
tra cui un’auto d’epoca molto particolare: una Lancia Artena del 1932. Infine, è previsto il noleggio a lungo termine di auto e veicoli commerciali, da 24 a 60 mesi, particolarmente conveniente per chi possiede la partita IVA, ai
professionisti e alle piccole-medie imprese. Negli ultimi
sei anni l’azienda ha investito molto, acquistando dieci
pullman nuovi e ampliando l’organico fino a trentacinque
dipendenti. Ha partecipato con successo a numerose fiere del Turismo, quali MITT di Mosca, EMITT di Instanbul e
BIT di Milano, raggiungendo importanti accordi con i principali tour operator nazionali e internazionali. Anche quest’anno, per l’ottavo anno consecutivo, è stata affidata a
Genovarent l’organizzazione dei trasporti per il 44º Convegno nazionale dei Giovani Imprenditori di Confindustria,
il 6 e 7 giugno a Santa Margherita Ligure. Recentemente,
Renzo Balbi è entrato a far parte del consiglio della Sezione Turismo di Confindustria Genova e del consiglio di amministrazione di Convention Bureau Genova; questo gli
consentirà di confrontarsi con i principali operatori del
settore turistico e congressuale genovese (albergatori, organizzatori di eventi, società di trasporti e di catering, Acquario, Magazzini del Cotone, Palazzo Ducale, Fiera...) e
di condividere con loro esperienze e obiettivi per lo sviluppo imprenditoriale del settore turistico. l
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
49
COMPETIZIONE & SVILUPPO
Cementi
Centro Sud
di
A colloquio con
Oliviero Olivari, CEO,
e Carlo Pozzo, CFO,
della società
cementifera del
Gruppo Vicat.
A
Cementi Centro Sud Spa ha iniziato la propria attività in Italia nel 2003, quale appartenente al Gruppo multinazionale francese Vicat, creato nel 1853 da Joseph Vicat, figlio di Louis Vicat, l’inventore del cemento artificiale.
«Il gruppo Vicat - spiegano Oliviero Olivari, attuale CEO
della Società, e Carlo Pozzo, CFO - oggi conta 7mila dipendenti e impianti produttivi in 11 paesi nel mondo. Recentemente, Jacques Merceron-Vicat, discendente del
geniale Louis, ha lasciato la carica di Presidente del Gruppo per quella di Presidente onorario, cedendo la carica
operativa al genero, Mr. Guy Sidos, già attualmente Amministratore Delegato, passando quindi il testimone alla
settima generazione della famiglia». Una grande realtà,
quella di Vicat, dove Cementi Centro Sud ha fatto propria
la filosofia del Gruppo. «La società - precisa il management - possiede un impianto di produzione nel comune di
Oristano, a Santa Giusta, un terminal nel porto di Taranto,
un altro nel porto di Imperia, acquisito nel 2004, e un’unità per la commercializzazione dei propri prodotti a Lione.
Da Santa Giusta serviamo la Sardegna, parte del centro
Italia e la Corsica, mentre il terminal di Taranto fornisce il
cemento al mercato della Puglia e della Basilicata e Calabria; il terminal di Imperia serve, infine, la Liguria e il basso
Piemonte». La sede di Cementi Centro Sud in origine era
a Brescia, ma già nel 2003, in concomitanza con l’acquisizione da parte di Vicat, la sede è stata trasferita a Genova, nelle centralissima via XX Settembre. Alla fine del
50 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
2010, la società si stabilisce nei nuovi uffici della Torre A a
Corte Lambruschini. Attualmente, tra amministrazione, sito produttivo e i due terminal Cementi Centro Sud occupa
26 persone. «Sembra che “piccolo è bello” non vada più
di moda - osserva Olivari, - ma un’organizzazione come la
nostra, dove la “catena di comando” è corta, assicura rapidità decisionale e consente, grazie a una struttura snella
e flessibile, di contenere i costi pur mantenendo alto il livello di efficienza». Un dettaglio non da poco, in una situazione di immobilismo del mercato delle costruzioni che
non sembra dare ancora segni di ripresa. «La crisi ha avuto ripercussioni anche sulla nostra azienda - conferma
Pozzo, - incidendo proporzionalmente sui volumi. In via
prudenziale, abbiamo proceduto a un’attenta verifica della
clientela per non dover gestire situazioni finanziarie critiche». Ma se Cementi Centro Sud ha le spalle sufficientemente solide per resistere a questa crisi senza fine, secondo Oliviero Olivari e Carlo Pozzo, «fattori come l’incertezza nella programmazione e nella quantità di risorse destinate al finanziamento degli investimenti pubblici, l’eccessiva tassazione sugli immobili e, in generale, la mancanza di liquidità, che innesca un circolo vizioso di cattivi
pagamenti, continueranno a pesare e a condizionare la ripresa del settore. Nel confronto con le altre società del
Gruppo Vicat, inoltre, il contesto in cui operiamo è penalizzato da altre problematiche tutte italiane, come i costi
dell’energia, più alti che negli altri Paesi, e la burocrazia».l
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COMPETIZIONE & SVILUPPO
Banca regionale e oltre.
WORKSHOP
“TRADE FINANCE:
UN PONTE
VERSO MERCATI GLOBALI”
GIOVEDÌ 26 GIUGNO 2014
CONFINDUSTRIA GENOVA
Vocazione territoriale, vicinanza e relazione con il
cliente, capacità di ascolto delle realtà locali: sono questi i
fattori distintivi che, da sempre, animano Carispezia e il
Gruppo Cariparma Crédit Agricole di cui fa parte; principi
che guidano le azioni sui territori di riferimento, sintesi di
un perfetto allineamento con i valori espressi dal modello
federale recepito dal Crédit Agricole e adottato dal nostro
Gruppo. Carispezia, fondata nel 1842 a La Spezia, è una
tra le Casse di Risparmio più antiche d’Italia. Presieduta
da Andrea Corradino e diretta da Roberto Ghisellini, nel
corso della sua storia ha ampliato sempre di più i propri
orizzonti con un’estensione regionale sia a Levante che a
Ponente, che aveva come due estremi le province di
Massa Carrara e Genova.
Nel 2014 la Banca è stata protagonista di un altro grande
e importante passo: diventare Banca di riferimento regionale attraverso un’operazione che ha visto il passaggio
da Cariparma a Carispezia di 16 filiali retail e delle strutture private e imprese/corporate dell’Istituto radicate in Liguria. Pertanto Carispezia conta oggi 93 punti di vendita,
con 87 filiali retail, un mercato private, 3 centri impresa
(La Spezia, Massa Carrara e Genova) e un’area corporate, confermando così il proprio ruolo di leader nelle province storiche (La Spezia e Massa Carrara) e diventando il
5º player regionale, con una presenza importante nelle
province di Genova, Savona e Imperia a conferma del
proprio ruolo di banca di prossimità, attenta alle realtà ed
esigenze locali. L’appartenenza a un gruppo internazionale come Crédit Agricole, presente in circa 70 Paesi nei
cinque continenti con banche di prossimità, strutture di
Corporate & Investment Banking e Gestione di Attivi, permette a Carispezia di offrire ai propri clienti una gamma
completa di servizi destinati alle imprese che intendono
svilupparsi su mercati globali. Grazie ad accordi e convenzioni, è possibile gestire operazioni Sace, incluso lo
sconto pro-soluto di crediti con voltura di polizza, operazioni con Simest, Ebrd, Ifc, Adb o altri istituti internazionali. In particolare, la convenzione in essere con Sace consente ai nostri clienti: un accesso al credito più agevole,
con un iter deliberativo facilitato grazie alla presenza di
una garanzia autonoma, irrevocabile e a prima vista, presentata da Sace (possibilità, inoltre di ottenere importi
maggiori e durate più lunghe); usufruire di condizioni di
tasso competitive, modulate in base al profilo di rischio e
alla durata. La garanzia di Sace può assistere sia finanziamenti volti all’internazionalizzazione per progetti a
medio/lungo termine, che esigenze di supporto al circolante dell’azienda per l’approntamento di forniture destinate all’esportazione. A integrazione di tali servizi offerti,
in collaborazione con Euler Hermes SIAC Spa (compagnia numero uno dell’assicurazione del credito in Italia),
l’azienda potrà usufruire di una consulenza specifica riguardo l’assicurazione dei propri crediti commerciali (Italia
e Estero), nonché di una gamma di prodotti “tailor made”,
volti a soddisfare queste esigenze.
Tutto questo attraverso una nuova struttura di Banca
d’impresa localizzata a Genova che si è dotata di una organizzazione specializzata per tutti i target di aziende, da
PMI, a Middle a Large Corporate.
Una gamma di prodotti e servizi che Carispezia non riserva solo al territorio nazionale ma che, consapevole che
l’internazionalizzazione e l’export rappresentano uno dei
principali driver di crescita e di competitività per il tessuto
economico italiano, mette a disposizione attraverso il
Gruppo con una struttura specifica per le esigenze delle
aziende che operano a livello internazionale. Le sinergie
tra il gestore e lo specialista estero permettono di offrire
una consulenza mirata e qualificata. Infine, grazie alla rete
di Crédit Agricole, presente nei cinque continenti, Carispezia è in grado di offrire alla clientela i vantaggi di un
network internazionale. Tali tematiche saranno al centro
di un incontro organizzato presso la sede di Confindustria
Genova il prossimo 26 giugno 2014 dal titolo “Un Ponte
verso i Mercati Globali”.l
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
53
COMPETIZIONE & SVILUPPO
di Paolo E. Arlandini
Ristrutturazione
del debito
In questi anni di profonda e generalizzata crisi, il tema
della ristrutturazione/rinegoziazione del debito come
aspetto specifico per il superamento di una crisi aziendale e il proseguimento dell’attività di impresa è quanto mai
di attualità. I casi sono moltissimi (nel 2013 si contano circa 14,000 fallimenti, 3,000 procedure non fallimentari e
94,000 liquidazioni, per un totale di 111,000 chiusure
aziendali, +7.3% sul 2012) e riguardano aziende di ogni
dimensione: certamente le PMI, che in quanto tali sono
state maggiormente colpite dalla crisi e che essendo mediamente più esposte al debito bancario soffrono di una
struttura finanziaria più rigida e debole, ma anche aziende
di dimensioni molto importanti, impegnate a gestire situazioni debitorie di svariate centinaia di milioni di euro.
Il contesto in cui oggi si affronta il tema della crisi aziendale è nuovo innanzitutto dal punto di vista normativo. Il
difficile momento economico in cui le imprese si trovano a
operare, unitamente alle istanze di revisione avanzate dal
mondo delle stesse imprese, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, hanno spinto il legislatore a rivedere l’insieme
delle regole a base della gestione preconcorsuale e concorsuale della crisi.
Il nuovo contesto legislativo parte dal riconoscimento della crisi aziendale come un momento di vita di un’azienda,
dal quale uscire e attraverso il quale, se ben gestito, può
nascere un’azienda nuova o una seconda vita dell’azienda stessa, salvaguardando quindi produzione, posti lavoro, indotto di fornitori, tecnologie ecc., per mettere a disposizione strumenti di gestione della crisi dal taglio pattizio e negoziale molto flessibili, che trovano la loro puntuale applicazione quando l’interesse dell’imprenditore debitore a proseguire la propria attività e risanare la propria
esposizione incontra quello dei creditori a ottenere il migliore soddisfacimento dei propri crediti. Tali strumenti tipicamente accoppiano alla loro flessibilità, semplicità e
rapidità, maggiori costi (fiscalità diretta) e una minore protezione rispetto alle procedure concorsuali che, viceversa, sono più rigide nel loro funzionamento ma offrono rischi minori, ovvero protezioni maggiori dall’aggressione
dei creditori. Troviamo quindi disposti in un continuum logico il concordato stragiudiziale, il piano attestato di risanamento, gli accordi di ristrutturazione del debito e il concordato preventivo, ognuno con caratteristiche diverse e
adatti a diverse situazioni di crisi d’impresa. Secondariamente, il numero di crisi aziendali, ristrutturazioni del debito e procedure concorsuali che si sono visti in questi
anni più recenti ha attivato una serie di competenze professionali (di natura legale, finanziaria, fiscale, negoziale
ecc.) che ha portato quasi a codificare una gestione in
best practice della crisi e dei suoi elementi più cogenti
prima di arrivare, e sperabilmente scongiurare, a pesanti
ristrutturazioni e/o procedure con finalità liquidatorie. Come si gestisce quindi una crisi aziendale? Innanzitutto
leggendo in misura corretta e anticipatoria alcuni elementi
sintomatici dell’inizio di una situazione di difficoltà, come,
per esempio, un andamento negativo del fatturato in aree
o con clienti chiave, forti e/o sistematici scostamenti dalle
previsioni aziendali, un aumento dell’esposizione verso i
fornitori, la perdita di fiducia dei finanziatori o il ritardo
dell’azienda nel presentare i dati finanziari.
Poi, ingaggiando il prima possibile un dialogo completo
con advisor selezionati e costituendo un gruppo di lavoro
tra l’imprenditore, i consulenti storici (tipicamente il commercialista/fiscalista) e gli advisor specifici (industriale, finanziario e legale) per analizzare in modo esaustivo le
cause della crisi e conseguentemente valutare in modo
aperto tutte le soluzioni. La corretta comprensione della
crisi e dei tempi che questa detta all’imprenditore, a seconda della sua natura e della sua gravità, servono quindi
a informare le scelte strategiche fondamentali (continuità
vs liquidazione, continuità dell’impresa vs discontinuità
dell’imprenditore, continuità a quali condizioni) e la scelta
dello strumento/procedura più adeguato tra quelli messi
a disposizione dalla normativa.
L’elaborazione di un piano industriale e finanziario è poi di
importanza fondamentale per la gestione della crisi. Il piano è lo strumento di comunicazione e di lavoro principe
tra l’imprenditore debitore e il ceto creditizio. È sul piano
che si misura la credibilità di una manovra risanatoria e/o
di esdebitazione e, quindi, la sua concreta probabilità di
successo.
A livello di struttura un piano deve essere redatto secondo i migliori criteri professionali: costruito bottom-up, con
un orizzonte temporale esplicito con massimo dettaglio
sulle ipotesi chiave del suo sviluppo, non fermarsi al conto economico ma evidenziare il cash flow (di piano e di
tesoreria), gestire il vecchio debito a fronte della richiesta
di nuova finanza, contenere elementi di discontinuità veri,
mostrare sensitivity e stress test. Il piano deve poi essere
meritorio del credito: l’imprenditore deve essere il primo a
credere al piano che propone, deve specificare chiaramente i driver del cambiamento e prevedere un trasparente sistema di monitoraggio dei risultati conseguiti e dei
relativi scostamenti.
Il piano deve essere anche asseverabile. Dal punto di vista normativo, il concetto di asseverabilità è diverso a seconda dei casi: un piano attestato di risanamento (Art. 67
legge fallimentare) deve essere fattibile, ovvero idoneo a
risanare la posizione debitoria e a garantire l’equilibrio patrimoniale e finanziario dell’impresa; nel contesto di un
accordo per la ristrutturazione del debito (Art. 182-bis) un
piano deve essere tale da supportare l’attuabilità dell’accordo; nel caso invece del concordato preventivo (Art.
160 ss) il piano deve rappresentare il mezzo migliore per
la soddisfazione dei creditori, in particolare come alternativa alla liquidazione.
In conclusione, grazie a una riforma profonda del diritto
fallimentare, qualora oggi un imprenditore “fallibile” si trovi
nell’esigenza di ristrutturare i propri debiti con una dilazione, consolidamento o proposta di pagamento parziale
può utilizzare gli strumenti stragiudiziali del piano attestato di risanamento o dell’accordo di ristrutturazione o viceversa proporre un concordato preventivo ai propri creditori. In astratto tutte le soluzioni concordate della crisi
possono permettere la prosecuzione dell’impresa, ma solo un’analisi anticipatoria, completa e con le professionalità necessarie porterà alla scelta dello strumento più adeguato alle circostanze. Senza purtroppo dimenticare che
gli strumenti citati si prestano a essere utilizzati anche
quando non vi sono in capo all’impresa le condizioni per
un risanamento e, in tali casi, le finalità non potranno che
essere liquidatorie.l
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
55
COMPETIZIONE & SVILUPPO
Charge it
Il progetto d’impresa sviluppato
dalla classe quarta AFM
del Vittorio Emanuele II Ruffini di
Genova si è guadagnato un posto
alle finali del concorso
“latuaideadimpresa”, promosso da
Sistemi Formativi Confindustria.
Il nome del nostro prodotto è Charge it: si tratta
di una pedana prodotta interamente con materiale riciclabile che attraverso la pressione di coloro che vi passano
sopra trasforma l’energia cinetica in energia elettrica utilizzabile poi per caricare dispositivi mobili e cellulari. Questa pedana da noi ideata sarà fatta sotto forma di piastrella per poter essere installata in qualsiasi luogo e superficie. Al suo interno è presente un accumulatore che
immagazzina tutta l’energia e dopo averla trasformata la
trasferisce ad una torretta di controllo posta vicina alla sede. Il nostro progetto è nato dal fatto che la nostra scuola
è ubicata in un palazzo storico (palazzo dei Rolli), ricco di
rampe di scale che centinaia di studenti percorrono tutti i
giorni; da qui l’idea di creare un prodotto che riuscisse a
raccogliere energia sviluppata quotidianamente senza
sforzi per poi trasformarla in energia elettrica da usare per
qualsiasi impiego.
Il progetto, con il passare del tempo, ci ha appassionato
e, dopo una difficoltà iniziale nella scelta del prodotto, abbiamo lavorato sul cartellone, sull’intervista e sul business
plan. L’esperienza in “latuaideadimpresa” è stata molto
utile per noi studenti, perché per la prima volta siamo riusciti a entrare in contatto con il mondo imprenditoriale.
Abbiamo potuto constatare che per fare impresa occorrono originalità, creatività, spirito di iniziativa, competenze
tecniche e ottimismo.
Il progetto, svolto dall’intera classe, ci ha permesso di approfondire la conoscenza reciproca e di apprezzare maggiormente le qualità dei nostri compagni.
Con l’aiuto dei nostri insegnanti, abbiamo potuto capire
56 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
l’importanza della programmazione per un imprenditore,
con un’attenta analisi dei costi e degli investimenti necessari. Abbiamo poi incontrato imprenditori ed esponenti di
Confindustria, che hanno raccontato del mondo Smart di
cui noi tutti parliamo ma non sappiamo molto.
È stata un’esperienza molto utile, soprattutto per studenti
del nostro indirizzo prettamente economico che ci ha fatto maturare il modo di vedere e pensare sul mondo del
lavoro che ci aspetta.
Oltre a partecipare alla premiazione provinciale, tutta la
classe ha potuto soggiornare due giorni a Venezia per la
premiazione nazionale. Per tutti noi era la prima volta che
visitavamo questa splendida città. Siamo partiti al mattino
e, dopo la sosta in albergo, abbiamo visitato il centro, la
basilica di san Marco e girato per le calli. Impossibile non
comprare un ricordo tra gondole, maschere, ciondoli di
vetro o grandi e dolci meringhe.
Alla sera, dopo aver cenato in una pizzeria del centro,
siamo tornati in albergo dove abbiamo potuto conoscere
studenti di altre città che, come noi, avevano vinto la selezione provinciale.
Anche la condivisione delle camere con le mie compagne
è stato un momento divertente.
La serata fresca mi ha fatto abbassare la voce e il giorno
dopo, intervistata al Teatro Goldoni dal giornalista Marco
Caccia, facevo fatica a parlare!
Questa bella esperienza sarà un lieto ricordo di questi anni di scuola.l
Cristina Torchia è allieva nella classe quarta AFM
Vittorio Emanuele II Ruffini (Genova)
Officine IADR
Startup per l’Ingegneria, l’Architettura,
il Design e la Ricerca
È nata Officine IADR, startup genovese costituita da
un gruppo di giovani architetti, ingegneri e designer. Nasce per pensare, sviluppare e produrre idee
e servizi nel campo dell’Ingegneria, dell’Architettura, del Design e della Ricerca.
Metti insieme un gruppo di creativi, un progetto
geniale e un bando di concorso della Regione Liguria. Il risultato? Una società che lascia il segno.
Dal consolidato Studio Giuseppe Spallarossa prende
vita una nuova realtà fondata dal figlio Nicolò, classe 1982. Da un lato l’esperienza del passato, dall’altro la voglia di emergere di un nuovo e giovane
gruppo carico d’idee pronte per essere sviluppate.
Officine si dedica a progetti ingegneristici e architettonici ma non solo, guarda oltre e punta dritto
alla ricerca, presentando nuovi concept e brevetti.
Questa squadra, formata da sei creativi, sulla scia
del movimento Moderno e di tutto l’international
style, studia un’evoluzione dell’architettura del XXI
secolo. Tra i primi progetti c’è GODI, un innovativo
goniometro-distanziometro sviluppato come tesi di
laurea, oggi strumento brevettato, presentato alla
Triennale di Milano, edizione 2013, e alla premiazione dell’Adi design index. Accanto ai grandi nomi
dell’architettura contemporanea si è fatta strada
anche la giovane e promettente Officine, che
quest’anno ha concorso (con GODI) per il prestigioso Premio compasso d’oro.
«Officine IADR è qualcosa di nuovo - spiega Nicolò
Spallarossa, amministratore delegato e capo progetto del team, - siamo riusciti a creare un gruppo
coeso di giovani professionisti che vive di ricerca e
punta all’innovazione nel campo dell’architettura
del design, dell’ingegneria ma non solo, perché la
nostra forza è l’approccio interdisciplinare, questa è
la base da cui partiamo per realizzare le nostre
idee».
Da un “Noce” design “for all” (per tutti) a una libreria “Aria” sospesa nel cielo, da un’“Isola bagno” a un “Container pieghevole”, Officine IADR
stupisce e crea. Lo studio è composto da Giuseppe
Spallarossa, ingegnere, presidente e capo progetti
ingegneristici; Nicolò Spallarossa, designer, amministratore delegato e inventore; Luca Dellepiane, designer grafico e sviluppatore del concept progetto
GODI; Nicolò Friedman, architetto e direttore commerciale; Luca Musina, architetto urbanista; Simona
Origone architetto e progettista.l
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
57
EXPO 2015
Cento anni fa il capoluogo
ligure ospitava
un’esposizione universale
ricca di fascino
e di innovazione.
La riscopriamo nell’ultimo
libro di Massimo Minella,
con prefazione
di Federico Rampini,
“1914 - L’esposizione
internazionale di Genova”.
1914:
l’Expo
di Genova
Massimo Minella
Il futuro nella storia. La chiave di lettura dello sviluppo nelle pagine delle cronache di un tempo, quelle un po’
scolorite, sovente dimenticate. È esattamente questa l’operazione che Massimo Minella, caposervizio di Repubblica e responsabile delle pagine economiche dell’edizione
ligure, compie nel suo ultimo libro “1914 - L’esposizione
internazionale di Genova”, con prefazione di Federico
Rampini, editorialista e corrispondente da New York di
Repubblica. Non a caso il sottotitolo del volume è proprio
“Il futuro della storia”. Un secolo fa, infatti, Genova ospitava un’Esposizione Universale. Oggi, a un anno dall’Expo
2015 di Milano, quando gli occhi del mondo si poseranno
su questo evento, diventa doveroso per l’autore rivolgere
uno sguardo all’operazione che Genova realizzò allora. Ma
il suo non è un intento nostalgico, quanto il desiderio di ri58 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
scoprire ciò che di innovativo, affascinante, curioso quell’evento seppe mostrare al mondo allora conosciuto.
Guardare criticamente, con gli occhi di oggi, a quelle giornate antiche sarebbe anacronistico. Sono tanti gli aspetti
che possono suscitare un sorriso o, peggio, indurre a valutazioni negative. Ma non è questo lo scopo del libro di
Minella che vuole andare oltre, prendere le mosse da quell’evento per trovare spunti nuovi di riflessione, stimoli reali
per proseguire su una strada di eccellenza che appare come l’unica praticabile per chi in questa città abbia ancora
a cuore lo sviluppo. L’esposizione del 1914 seppe mostrare al mondo le capacità di Genova di essere innovativa, dinamica, sorprendente. Un’esposizione inaugurata il 23
maggio in tempo di pace e chiusa il 15 dicembre, con una
guerra già dilagante e che presto avrebbe coinvolto anche
l’Italia. In una grande spianata che oggi potremmo comprendere fra la Stazione Brignole e l’attuale via Armando
Diaz, Genova offrì quattro differenti mostre, Marina, Igiene
Marinara, Coloniale e Italo-Americana. Ognuna con la sua
inedita chiave di lettura. Vestiti a festa dal genio dell’architetto Gino Coppedé, i padiglioni seppero offrire uno spaccato realmente globale del mondo visto dalla Lanterna. Un
excursus nel tempo in grado di unire ingressi e palazzi in
stile assiro-babilonese, navi romane, corazzate, torri orientali e moschee. E poi progetti stupefacenti, come la monorotaia capace di unire il porto alla città (progetto ipotizzato dallo stesso Piano nell’Affresco del 2004 per collegare l’aeroporto a San Martino) e la funicolare per salire fino
al colle di Carignano (e che oggi si vorrebbe realizzare
dall’aeroporto agli Erzelli). Perdere la memoria di tutto
questo, o semplicemente non ridarle il giusto valore sarebbe stato un vero peccato. Da qui si muove l’autore per
cercare di restituire, sfruttando la coincidenza temporale
dei cent’anni esatti da quell’evento, almeno una parte di
quelle suggestioni. Verificando senza particolare stupore
che i desideri di allora, lo sviluppo, il benessere, la crescita
economica e sociale, non sono cambiati. Ciò che sorprende, però, è osservare come non siano cambiate nemmeno le idee per raggiungere questi obiettivi, vale a dire la ri-
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
59
cerca di quei punti di forza capaci naturalmente di proiettare in alto la città: l’economia del mare, il porto, i trasporti,
la logistica, con la capacità di servire al meglio il cammino
della merce e delle persone, la cantieristica, l’armamento,
la nautica, l’industria e l’alta tecnologia. E poi Genova città
turistica che offre al visitatore le sue bellezze naturali, i suoi
servizi, l’arte, i suoi musei, i teatri, la cultura.
È quindi una città fortemente rinnovata quella che intende
presentarsi all’expo del 1914, ancor più competitiva e
creativa, ancora più “smart” come si direbbe oggi, nelle
scienze, nelle arti, nei servizi e nelle infrastrutture. I servizi
di omnibus a cavalli, prima liberi e poi incardinati su guide
di ferro, vengono sostituiti da una rete di tram elettrici su
rotaia che corre per oltre trenta chilometri da Voltri a Nervi,
mentre altri quindici conducono a Pontedecimo da piazza
Caricamento, crocevia di traffici, commerci e varia umanità
legate al triangolo palazzo San Giorgio, Sottoripa e il porto. Nuovi imponenti palazzi ne svelano la centralità nel sistema economico-finanziario del Paese: la Borsa nel
1912, il Credito Italiano nel ‘14, la nuova sede della Banca
d’Italia, completata nel ‘15. La città sta cambiando volto,
ingrandendosi (nel censimento del 1881 i residenti sono
176mila, in quello del 1911 266mila) e arricchendosi di
nuovi luoghi simbolo, come la Stazione di Porta Brignole
(1905), l’Hotel Miramare e il Lido d’Albaro (1908). Alla fine
degli anni Dieci il porto movimenta già più di otto milioni di
tonnellate di merce, l’Ansaldo è un colosso industriale i cui
interessi spaziano dal civile al militare, l’Ilva, nata a Genova
nel 1905, è il primo gruppo siderurgico nazionale e il solo
in grado di competere con la concorrenza internazionale.
Già ampiamente elettrificata (a Isoverde nel 1897 viene
60 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
inaugurata la prima centrale elettrica italiana), la città ha
dal 1895 una linea tranviaria elettrica, grandi luoghi di ritrovo in via XX Settembre e in Galleria Mazzini e i primi locali
per spettacoli cinematografici. Di una cosa, però, già allora i genovesi non sembrano darsi pace, la mancanza di
nuovi trafori ferroviari per portare le merci del porto in Europa, fino alla Baviera e al Wurttemberg. L’apertura della
ferrovia del Sempione serve alla comunità per rilanciare l’idea di costruire un terzo valico appenninico per scavalcare i monti e arrivare direttamente nella Pianura Padana e
salire verso l’Europa. Politici e imprenditori pressano il governo, facendo leva sul rischio che siano i porti del Nord
Europa a prevalere in questa sfida, accaparrandosi mercati che dovrebbero invece essere di competenza naturale
di Genova. La commissione comunale chiamata nel 1900
a esaminare il problema conclude la sua analisi stigmatizzando “le deficienze del Porto e dei suoi ordinamenti ferroviari, più specialmente le anormali condizioni della rete che
attraversa l’Appennino”.
L’obiettivo di “congiungere il porto alla Pianura Padana
colla minima distanza e col minimo dislivello può considerarsi come il primo tronco di una grande via internazionale.
Nessun ardimento costruttivo sarà da lasciarsi intentato
per offrire al commercio la via più celere e meno costosa”.
E di fronte ai silenzi del governo, nel 1907 un gruppo di
imprenditori dà vita a Milano a un comitato ligure-lombardo che si dichiara pronto a procedere con un proprio progetto, interamente finanziato da capitali privati, in cambio
della concessione per il servizio di trasporto delle merci.
Sembra di sfogliare i giornali di oggi, ma sono cronache di
più di cent’anni fa.l
MV07812B
SEMPLICEMENTE ENERGIA.
I bambini riescono a cogliere l’essenza
del mondo che li circonda e a rappresentarlo
con un tratto spontaneo e mai banale.
Guardano al futuro con ottimismo ed entusiasmo.
Ci ricordano con semplicità che,
in fondo, il mondo è fatto di energia.
Semplicemente energia.
www.erg.it
GIOVANI
di Federico Olivieri Strinasacchi
e Stefano Frassetto
Giovani
“NEET”
Il Rapporto McKinsey
parte dalle origini
del “vero incubo”
dell’Unione Europea: la
disoccupazione giovanile.
L’aumento vertiginoso della disoccupazione, in
particolar modo di quella giovanile, è stato da più parti
definito “il vero incubo” dell’Unione Europea.
Per limitarci ai termini strettamente finanziari, nel 2011 (ultimo anno statisticamente valutabile per intero) la crisi occupazionale ha generato un danno di 153 miliardi di euro.
Ma accanto alle ovvie e allarmanti conseguenze in termini
di ricadute sociali ed economiche, il rischio più drammatico di tale scenario risiede nella creazione di una vera e
propria generazione perduta. Persone che, oltre a vivere
criticità economiche - pesando sulle famiglie d’origine e
sul sistema economico/assistenziale del proprio paese -,
si trovano impotenti a ritardare, se non a rinunciare, alla
propria realizzazione lavorativa. Non si tralascino poi le
gravissime conseguenze per il patrimonio attuale di conoscenze professionali, destinato a giungere monco e zoppicante alle generazioni future, a grave detrimento dei sistemi economici. È il dramma dei NEET: giovani “Not in
Education, Employment or Training”; persone sostanzialmente immobili e invisibili, poiché non soltanto attualmente prive di un lavoro e della formazione scolastica adeguata, ma al momento estranee anche a qualsiasi attività
di formazione o di specializzazione professionale.
A sostegno dell’occupazione giovanile l’Unione Europea
ha elaborato il programma “Youth Guarantee”, che prevede lo stanziamento di 8 miliardi di euro nell’arco temporale 2014-2020; ma il problema affonda evidentemente radici più profonde, non semplicemente risolvibili attraverso
stanziamenti economici. Il tema è al centro del Rapporto
62 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
del McKinsey Center for Governement, dal titolo “Education to employment: getting Europe’s youth into work”.
Rilasciato a inizio 2014, esso tira le somme di un survey
condotto in 8 paesi europei (Francia, Germania, Grecia,
Italia, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia) direttamente presso i soggetti coinvolti: 5300 giovani, 2600 datori di lavoro e 700 centri formativi hanno risposto alle domande del McKinsey Institute, nel tentativo di definire i
termini del problema nella maniera più puntuale possibile.
Il punto focale è fin troppo semplice da individuare: la falcidie di aziende è stata ed è tuttora tale da ridurre vertiginosamente la quantità di posti di lavoro disponibili. Ma il
rapporto indaga prevalentemente il versante dell’offerta e
muove da un interessante dato: mentre in precedenti crisi
economiche, al calo della domanda conseguiva un calo
dell’offerta, oggi, al contrario, la forbice sembra allargarsi
sempre di più e il numero delle persone disponibili al lavoro segna un continuo incremento. D’altra parte, i datori di
lavoro denunciano notevoli difficoltà a reperire i profili e le
risorse professionali di cui avrebbero bisogno. Quali sono
dunque i principali ostacoli che si frappongono alla migliore realizzazione del processo formativo che rende un
giovane pronto all’ingresso nel mondo del lavoro e appetibile per le aziende? E quali interventi possono essere attuati per correggere e migliorare questo sconfortante corto circuito?
Il percorso che conduce il giovane dagli studi all’impiego
(Education to Employment, anche E2E) si snoda attraverso tre stadi fondamentali: l’iscrizione alla scuola post-se-
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
63
condaria, la costruzione delle skills già in un’ottica lavorativa e la ricerca di un impiego. Ciascuna di queste fasi
presenta specifiche criticità, che costituiscono il cuore
dell’analisi di McKinsey.
Si scopre, anzitutto, che i costi di iscrizione e sostentamento costituiscono ancora un forte elemento detrattivo
agli studi, soprattutto nei paesi mediterranei. Ma anche il
peso dei pregiudizi sociali, che tenderebbero a scoraggiare la scelta di corsi di studio operata su basi “vocazionali”, gioca un ruolo rilevante. Fondamentale, poi, sembra
essere la carenza di sostegno e di informazioni ricevute
dalle università e dagli enti formativi: esse si manifestano
sia a livello di concreta conoscenza dei contenuti e delle
modalità di svolgimento dei corsi sia a livello di informazione sulle reali richieste degli “Employers” nel mondo del
lavoro, e pure a livello di assistenza operativa nei momenti cruciali di “trapasso” (la costruzione di un curriculum vitae, la preparazione a un colloquio di lavoro, il corretto
approccio a un rapporto di stage). Proprio in riferimento
agli stage, molti paesi denunciano ancora la scarsa apertura all’istituto da parte degli “Employers”, quando non
addirittura il loro utilizzo distorto, spesso abusato come
facile via di assegnazione a titolo gratuito di compiti bassi,
dai quali lo il giovane in stage non può apprendere nulla
del reale mondo del lavoro.
Volendo provare a ricondurre a unità gli insight rilevati, il
minimo comune denominatore è ravvisabile nella grave
deficienza comunicativa tra i tre attori principali dell’E2E: i
ragazzi si vincolano, ancora molto giovani, alla scelta di
un percorso, vivono l’esperienza formativa in maniera del
tutto slegata dalla prospettiva di un futuro impiego, e
giungono assai inconsapevoli alla soglia d’ingresso nel
mondo del lavoro, complici i datori di lavoro stessi che,
per converso, si ritrovano frustrati dalla difficoltà di reperire i talenti e i profili di cui la loro attività avrebbe urgente
bisogno. In sostanza, i giovani, le istituzioni formative e gli
imprenditori sembrano percorrere tre linee parallele, per
definizione destinate a non intrecciare rapporti.
Ma quali correttivi si possono apporre? Il rapporto individua alcune linee guida per rendere più proficuo e più efficace il processo di E2E. Anzitutto, prevedere modelli formativi più brevi e dai contenuti customizzabili, anche nelle
modalità di apprendimento e verifica: l’uso più massiccio
dell’e-learning, ad esempio, consentirebbe allo studente
di autogestirsi e affiancare agli studi esperienze lavorative,
anziché posticiparle come esperienza forzatamente successiva. Inoltre, implementare e generalizzare ovunque
metodologie di sostegno economico agli studi; infine, attuare soluzioni che coinvolgano anche il datore di lavoro
tra i soggetti deputati a contribuire al costo dell’educazione delle risorse.
Allo scopo, poi, di mettere a fattor comune gli insegnamenti delle case histories su scala mondiale, la sezione
più interessante del Rapporto registra alcune fra le più efficaci, e talvolta avveniristiche, soluzioni sperimentate dai
vari paesi. Si va dalle più classiche forme di sostegno finanziario al sostentamento degli studenti post-secondari,
attraverso mutui e finanziamenti ripianabili dallo studente
a tassi agevolati e non prima di avere acquisito un impiego di un certo reddito, a formule sempre basate sul sostegno economico ma in forme più originali (in India, gli
64 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
studenti ripagano il sostegno economico ricevuto fungendo da tutor per gli studenti delle classi inferiori); altre soluzioni puntano invece sul miglioramento del livello di informazione provvisto agli studenti - i portali informatici organizzati in UK e Svizzera, la cui efficacia è confermata dal
numero di click in costante e inesorabile aumento - o sul
miglioramento competitivo delle strutture formative stesse. È il caso degli USA, dove il presidente Obama promette di istituire un sistema di rating delle università, per
cui verrà offerto un sostegno economico più ampio agli
studenti di quelle migliori; oppure di alcune iniziative di vero e proprio Marketing Recruitment, volte a indirizzare le
scelte lavorative (“Go Build!” recita una massiccia campagna informativa dello stato dell’Alabama volta ad aumentare l’offerta nel settore delle costruzioni) o a rilanciare la
reputazione di istituti in fase di ricrescita qualitativa dopo
anni di infausta fama (ITE, Singapore). Non mancano, infine, progetti che richiedono la collaborazione attiva, anche
a livello economico, del futuro e potenziale datore di lavoro: così, sempre negli USA, un datore di lavoro che assuma un giovane fuoriuscito dal Dev Bootcamp, un corso
intensivo per sviluppatori di codici informatici, rimborsa
una fee all’istituto di provenienza per ogni 100 giorni di
assunzione. L’istituto, a quel punto, rimborsa al giovane
stesso parte delle spese precedentemente sostenute per
la frequenza al corso.
Quasi inevitabile un’escursione sulla posizione dell’Italia
nel rapporto. La disoccupazione giovanile nel nostro Paese ha recentemente toccato quota 40%; esattamente il
doppio rispetto al 2007. E degli 8 paesi analizzati, l’Italia è
capofila assoluto nel denunciare le maggiori difficoltà delle aziende a reclutare candidati in possesso delle competenze attese: sintomo di un sistema scolastico e formativo gravemente inefficiente. Di certo, sintomo di un sistema formativo che predilige l’approccio teorico e che, a
prescindere dalla qualità dei suoi insegnamenti, si disinteressa del futuro lavorativo degli studenti e non dialoga col
sistema imprese. Completano il quadro la conoscenza
media troppo bassa di alcune hard skills ormai riconosciute imprescindibili (come l’inglese e l’utilizzo professionale degli strumenti informatici), la scarsa fiducia dei giovani verso i player di ricerca del lavoro (si preferisce infatti
rivolgersi alle proprie conoscenze personali…), la scarsa
qualità degli stage e, tutt’altro che ultimo, gli elevati costi
di mantenimento agli studi universitari.
Un’ulteriore chiosa è doverosa: il Rapporto McKinsey evita di proposito di includere nel survey argomenti pure riconosciuti cruciali rispetto al tema della disoccupazione,
quali il sistema giuslavoristico e l’imposizione fiscale e
contributiva dei singoli paesi. Tuttavia, nel caso dell’Italia,
è inevitabile accorgersi - da cittadini - e sottolineare - da
imprenditori - come tali elementi gravino in maniera speciale sul Belpaese, arcinoto per la pesantezza del proprio
cuneo fiscale e per l’anacronistico sistema di tutele e garanzie forzate che paralizzano quasi completamente lo
sviluppo del mercato del lavoro nonché la possibilità per
le aziende di un approccio fiducioso all’ampliamento dei
propri organici.l
Federico Olivieri Strinasacchi e Stefano Frassetto
sono co-responsabili della Commissione Etica d’Impresa e Innovazione
del Gruppo Giovani Imprenditori
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GIOVANI
di Mattia Marconi
La storia del movimento
dei Giovani Imprenditori
a firma del vicedirettore
de Il Sole 24 Ore, Alberto Orioli.
Critici,
propositivi,
rinnovatori
“È la nostra storia che diventa manifesto del futuro”.
Il past president GI Jacopo Morelli non poteva descrivere
più efficacemente l’essenza dell’opera di Alberto Orioli, vicedirettore ed editorialista de “Il Sole 24 Ore”, dedicata al
“Movimento”, alla storia del Gruppo dei Giovani Imprenditori di Confindustria. Questo il senso più profondo che
permane tra i pensieri, che si soppesa sulle dita osservando quella copertina che già anticipa l’affrancamento
dagli stereotipi più sbagliati di chi ha chiaro fino in fondo il
proprio ruolo nella società, come imprenditore prima e
come Giovane Imprenditore poi, e il peso della responsabilità del cambiamento.
“Figli di papà a chi? Storia del movimento che ha cambiato la Confindustria”, 388 pagine in cui Orioli condensa
magistralmente gli ultimi 50 anni di storia del nostro Paese raccontati attraverso l’intreccio fitto di vicende economiche e sociali con le storie delle presidenze che si sono
succedute alla guida del Movimento. Storie di persone, di
giovani capaci di decifrare il domani, di indicare la strada,
senza mai rinunciare a raccogliere le istanze del proprio
tempo, definendo e consolidando quella che oggi appare
chiaramente la sua forte identità.
Un movimento di persone che esprime tesi e decisioni
anche più ampie della propria base associativa, che persegue tre funzioni fondamentali per assicurarsi di fare
“bene” la sua attività di associazione: interpretare correttamente il contesto, divenire forza propositiva (anche destrutturante ma mai distruttiva, semmai rinnovatrice) e infine coltivare il consenso attorno alle proprie tesi, con la
capacità di convincimento che deve necessariamente ca-
66 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
ratterizzare chi coltiva un pensiero divergente. Un Movimento in “movimento”, palestra di idee, “linfa vitale” per
tutto il sistema associativo, come ricorda il Presidente
Giorgio Squinzi nella sua prefazione, ma anche coscienza
critica e autonoma in una dialettica juniores-seniores non
sempre facile.
È con Lorenzo Vallarino Gancia, primo presidente dei
Giovani Industriali, che prende forma il gruppo e con esso
l’esigenza forte di un profondo rinnovamento associativo,
una contrapposizione generazionale sia sulle regole interne di funzionamento sia nelle modalità di rapportarsi verso l’esterno che contraddistinguerà l’agire dei primi tre
presidenti. I Giovani avviano la metamorfosi della Confindustria, da un sistema chiuso e autoreferenziale a uno
realmente rappresentativo su base elettiva, rinnovano lo
Statuto sotto la presidenza Pirelli e conquistano una nuova indipendenza e riconoscibilità sociale con i presidenti
Renato Altissimo e Piero Pozzoli.
Sullo sfondo, l’Italia del riscatto post-bellico, alle prese
con un divisionismo da guerra fredda, paga a caro prezzo
il suo cammino verso la modernità con l’inasprimento dei
conflitti sociali che portano all’“autunno caldo” e agli “anni
di piombo”. Sotto la presidenza di Luigi Abete i Giovani
portano avanti le riflessioni sulle responsabilità dell’imprenditore oltre la dimensione aziendale, in anticipo di
qualche decennio sulle prime teorizzazioni della Responsabilità Sociale d’Impresa, e formulano la risposta “partecipativa” alla crisi delle relazioni industriali, per una economia e una “Società aperta” (Popper), mercati liberi e competitivi in cui l’imprenditore agisce come “motore di sviluppo” (Schumpeter).
La qualità delle idee a supporto della mission di fare e sviluppare “cultura d’impresa” diviene centrale nelle strategie programmatiche, con l’house organ nazionale “Quale
Impresa” a fare da autorevole cassa di risonanza delle tesi e dei princìpi che vengono elaborati ed enunciati, anno
dopo anno, nei convegni di Santa Margherita e Capri.
Diversi i temi di cui il Movimento si fa portatore e che
scandiscono il passaggio dagli anni ottanta agli anni novanta: argomenti difficili, alle volte controversi, sempre in
anticipo rispetto ai tempi di una loro piena concretizzazione sociale.
Nel 1986 il presidente Antonio D’Amato parla di “globalizzazione del mercato e delle imprese” quando ancora il
termine non è di uso corrente, chiedendo al sistema Italia
di raccogliere la sfida internazionale nella consapevolezza
che la vera competizione si svolge non più tra imprese
ma tra sistemi Paese; il presidente Aldo Fumagalli, in piena Tangentopoli, denuncia senza remore l’inefficienza dello Stato, la metastasi del malaffare nel rapporto pubblicoprivato, la necessità di ripensare la politica recuperando
l’etica e la trasparenza negli affari. Un’offensiva alla illegalità che i Giovani Imprenditori conducono negli anni successivi anche nel Sud Italia contro il pizzo imposto dalla
criminalità organizzata.
La corsa all’Europa e alla moneta unica caratterizza gli ultimi anni del XX secolo, un tema da sempre caro al Movimento che, attraverso le parole della presidente Emma
Marcegaglia, immagina un’Europa che non sia soltanto
una idea, una moneta bensì una unità economica e politica: finiscono così gli anni delle svalutazioni competitive, di
uno sviluppo economico sostenuto dal debito pubblico. Il
XXI secolo si apre con la presidenza di Edoardo Garrone,
che affronta la crisi dei sindacati, il violento riaccendersi
degli scontri sulla riforma del lavoro e sull’articolo 18 e il
manifestarsi dei primi “cigni neri” con la bolla della new
economy.
I Giovani Imprenditori ribadiscono la necessità di trovare
un “nuovo concetto di lavoro” tra flessibilità e occupazione sfruttando l’economia della connessione, della conoscenza e della competizione tecnologica, e un “nuovo
concetto di sviluppo” fondato su uno sviluppo economico
sostenibile a salvaguardia delle risorse finite (ambientali e
non) di cui disponiamo.
Il passaggio del testimone tra Garrone e Anna Maria Artoni nel 2002 rafforza l’impegno dei Giovani sui “temi di
frontiera” del progresso economico e sociale: la governance dell’immigrazione, la lotta contro il declino industriale, l’allargamento dell’Unione verso Est e verso il Mediterraneo, il federalismo.
Il presidente Matteo Colaninno riprende il tema della crescita per uscire dall’interrogativo se “piccolo è bello” e individua nel capitalismo familiare moderno (capace di
aprirsi ad una gestione manageriale, di allargare l’assetto
del capitale, di diversificare le proprie fonti di finanziamento ricorrendo ai mercati) la chiave di uno sviluppo duraturo e diffuso (economia reale) da contrapporre ad un capitalismo finanziario speculativo (economia di carta) che
produce ricchezza solo per pochi. Siamo nella storia recente di questo decennio, la crisi finanziaria dei mutui
subprime e dei debiti sovrani si aggiunge in tutta la sua
drammaticità a un quadro di lento e inesorabile declino
del nostro paese, il “grande malato d’Europa”, a evidenziare come l’Italia continua a essere frenata da carenze
strutturali che la rendono meno competitiva.
Le riforme delle pensioni, del mercato del lavoro, della
pubblica amministrazione, della giustizia e del fisco divengono ora più urgenti per consentire allo Stato di recuperare efficienza e alle imprese di recuperare competitività:
la presidente Federica Guidi constata altrimenti che la recessione rischia di far avvitare il paese in una situazione di
“regresso economico, politico e civile”. Le stesse riforme
(tentate o mancate) che il presidente Jacopo Morelli addebita chiaramente a una politica incapace di fornire risposte, di passare dal dire al fare, di fornire al Paese un’idea di futuro su cui investire e sperare: “Senza prospettive, rimane la rivolta” afferma a nome di oltre 13.000 Giovani Imprenditori di Confindustria, a dimostrazione, ancora una volta, della ferma volontà di essere in prima linea,
mossi dal senso urgente del cambiamento.
È cosi che in un respiro si dipana la storia a futura memoria, di ciò che si è fatto e di ciò che si è stati, eredità per i
giovani tra i Giovani che vivono attivamente il Movimento
e ne incarnano gli ideali più profondi, che sentono l’importanza di un impegno anche al di fuori dei confini dell’impresa, stimolati a proseguire quel cammino visionario
dalla cui lungimiranza dipende il sogno di un Italia più giusta e più prospera, in un’Europa più coesa e consapevole
del proprio destino.l
Mattia Marconi
è coordinatore della Commissione Leadership & Management
del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Genova
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
67
TIGULLIO
di Vittoria Bixio
Pazienti
e turisti
Il Tigullio propone
un’offerta sanitaria
diversificata che unisce
l’eccellenza medicoassistenziale a un
contesto paesaggistico
e climatico unico.
Una leva di marketing
contro le fughe
in sanità e per il
comparto del turismo.
Con il Decreto Legislativo n. 38 del 4 marzo 2014
il nostro Paese ha dato attuazione alla Direttiva
2011/24/UE in materia di assistenza sanitaria transfrontaliera nonché alla Direttiva 2012/52/UE in materia di riconoscimento delle ricette mediche emesse in un altro Stato membro.
Il provvedimento sancisce il diritto di accedere all’assistenza sanitaria transfrontaliera, sicura e di qualità, eliminando gli ostacoli che impediscono ai cittadini di cercare
cure oltre confine; al contempo, promuove la cooperazione tra gli altri Stati membri dell’UE.
La “ratio” del provvedimento è quella di rendere effettivo
l’esercizio del diritto di fruire delle migliori cure prestate
presso le strutture sanitarie di uno dei Paesi dell’Unione
europea. Viene quindi istituito un “punto di contatto nazionale” sull’assistenza transfrontaliera che consente al
paziente di compiere una scelta informata, più adeguata
al suo caso clinico, e che rappresenta il punto di raccordo tra gli utenti, i prestatori di assistenza sanitaria e gli
Stati membri. La finalità è quella di offrire ai pazienti un’informazione chiara e accessibile a tutti circa i loro diritti:
standard elevati di qualità e sicurezza, idonea vigilanza
sui prestatori di assistenza sanitaria, accessibilità alle
strutture per i disabili, fatturazioni e prezzi trasparenti, verifiche delle autorizzazioni, della regolare iscrizione e copertura assicurativa dei prestatori, chiarezza della procedure circa i reclami e le denunce.
L’intento del legislatore è quello di promuovere le strutture di eccellenza italiane incrementandone la capacità di
attrazione verso nuovi pazienti stranieri, garantendo al
tempo stesso la libertà di scegliere da chi ricevere assistenza sanitaria; in ultima analisi, lo scopo è quello di rendere più competitivo il sistema sanitario italiano nel contesto europeo. La Direttiva europea, la cosiddetta
“Schengen della Sanità”, che il nostro Paese ha di recente recepito, dovrebbe consentire, infatti, a tutti i cittadini
europei, di effettuare oltre frontiera interventi chirurgici,
cure, ma anche esami diagnostici e consulenze, con rimborso totale da parte delle ASL (ovvero delle Regioni) verso i Paesi scelti. Il riconoscimento del diritto all’assistenza
transfrontaliera ci impone delle riflessioni sulle opportunità che oggi si presentano per il nostro territorio, e per il
Tigullio in particolare, dove le condizioni climatiche, le
bellezze paesaggistiche e artistiche e le “risorse enogastronomiche” rappresentano una sicura attrazione anche
per chi deve scegliere un luogo idoneo ma al contempo
piacevole dove farsi curare. In sostanza, la Direttiva,
nell’abbattere le frontiere in materia di assistenza sanitaria, ha spalancato le porte a un nuovo “turismo sanitario”
nella nostra Regione, che le strutture private, convenzionate e no, dovranno saper intercettare garantendo prestazioni sanitarie di qualità in un contesto ambientale gradevole e organizzato.
La diversificata offerta sanitaria che oggi il Tigullio è in
grado di proporre - cardiochirurgia, riabilitazione cardiovascolare, riabilitazione motoria, residenzialità, fisioterapia
e fisiokinesiterapia, servizi socio sanitari, cura di pazienti
anziani o cronici, cura e assistenza nelle problematiche
del sistema uditivo - rappresenta un valore aggiunto per il
territorio nel suo complesso. Quando si parla di “turismo
sanitario” non si deve pensare esclusivamente ai pazienti,
ma anche ai loro familiari, che si trovano a trascorrere un
periodo di soggiorno più o meno lungo accanto ai loro
cari. Il binomio “eccellenza sanitaria e offerta turistica” binomio che potrebbe essere declinato anche attraverso
la predisposizione di pacchetti “turistico-sanitari” ad hoc renderebbe l’assistenza sanitaria del Tigullio più attrattiva;
potrebbe al tempo stesso “compensare” il danno dovuto
all’annoso problema delle fughe di pazienti, attraverso il
recupero, invece, di nuovi “clienti” provenienti da altre regioni o, addirittura, da altri Paesi.
La cura di un paziente coinvolge non solo aspetti di natura scientifica e razionale ma anche di tipo psicologico e
sociale: il contesto nel quale ci si cura, quindi, diventa
parte essenziale della terapia stessa. Il Tigullio e le sue
strutture sanitarie e socio-sanitarie potrebbero rappresentare, in questo senso, un polo d’eccellenza.l
Vittoria Bixio è membro di Giunta
del Gruppo Territoriale del Tigullio di Confindustria Genova
con delega alla Sanità
La sanità nel Tigullio
BIO DATA Srl
www.bio-data.net
CHIROTHERAPIC Srl
www.chirotherapic.it
ICLAS-Istituto Clinico Ligure di Alta Specialità
www.gvmnet.it
ISTITUTO CARDIOVASCOLARE DI CAMOGLI
SERVIZI SANITARI Srl
www.iscc.it
LABOR DEPISAN Srl
www.depisanchiavari.it
RADIOLOGIA RECCO Srl
www.radiologiarecco.com
RIATTIVA Srl
www.riattiva.it
ROBERTO TASSANO Scarl
www.consorziotassano.it
STELLA POLARE Spa
www.casadiriposoleduepalme.com
VILLA ILIA Sas
www.villailia.it
VILLA RAVENNA Spa
www.villaravenna.it
GRUPPO REDANCIA
www.grupporedancia.it
GRUPPO VILLA SAN FORTUNATO Srl
www.villasanfortunato.it
OTOLAB Sas
www.otolab.it
COMUNICAZIONE
di Claudio Burlando
12 motivi
in più
...per comunicare meglio:
branding, editoria, new
media, pubbliche relazioni
(frutti compresi), sono
gli ingredienti del menù
Didatticom per una sana
alimentazione aziendale.
Mio nonno era un tipo curioso. Fin da piccolo ha lavorato nella trattoria di famiglia e osservava sempre gli avventori che entravano in bottega per capire bene la tipologia di servizio che poteva offrire loro. I lavoratori del porto,
i cosiddetti camalli, amavano pranzare con semplicità: tavoli in condivisione con tovaglie a quadretti bianchi e rossi; gli impiegati preferivano la tovaglia bianca; mentre i “signori”, che andavano a cena dopo aver assistito all’opera,
amavano sedersi a un tavolo apparecchiato in modo formale. Il filo conduttore che univa le diverse declinazioni di
servizio era la qualità della cucina, unita a una buona dose
di praticità e vis comica. Una comunicazione di prodotto
dal successo garantito.
La buona comunicazione in fondo è proprio questo, un
processo interattivo di trasmissione di informazioni di varia
natura che stimola una risposta interpretativa nel destinatario. Per creare la corretta strategia, che permetta alla
propria azienda o prodotto di presentarsi sul mercato con
i giusti requisiti, è necessario ascoltare e osservare il proprio target di riferimento definendo quindi il posizionamento più efficace. Oggi si tende a preferire una comunicazione specialistica rispetto a quella generica; inoltre le nuove
tecnologie digitali affiancano e integrano gli strumenti tradizionali per garantire una comunicazione mirata e specifica, in base alle esigenze degli stakeholder a cui l’azienda
si rivolge. Non esiste uno strumento più efficace di altri,
deve essere scelto in funzione dei risultati che si vogliono
ottenere, favorendo l’integrazione e l’interazione tra i diversi mezzi a disposizione.
È con queste premesse che la Sezione Comunicazione
ha creato il ciclo di workshop tematici Didatticom, dedicati alla diffusione della cultura e delle tecniche della comunicazione. Un ciclo di incontri, a cadenza quindicinale, per
trasmettere agli imprenditori principi basilari e suggeri-
70 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
menti strategici per promuovere al meglio la propria azienda e/o prodotto. Didatticom perché la condivisione delle
informazioni sollecita la curiosità e offre una visione trasversale, che stimola l’intuizione - e, guarda caso, intuizione deriva dal latino “intueri”, guardare dentro.
I dodici workshop sono raggruppati in quattro aree di riferimento: branding, comunicazione editoriale, new media,
pubbliche relazioni e reputazione; ogni singolo incontro
fornirà pillole di informazione su alcuni degli strumenti
specifici di ogni area e potrà favorire il coinvolgimento tra il
relatore e i partecipanti al workshop.
Come possono l’engagement e la multisensorialità essere
soluzioni per tradurre in buona pratica la comunicazione?
Può una storia aziendale diventare un caso editoriale? Si
può prevenire e gestire la comunicazione in situazioni
emergenziali? E ancora, come ascoltare la rete e conversare per creare valore? Come cambiano le relazioni con i
giornalisti nell’epoca del digitale? Perché utilizzare classici
strumenti di comunicazione in formato inusuale? L’ironia
può diventare uno strumento di vendita creativo?
Queste e altre domande troveranno risposta in ogni singolo workshop Didatticom, dove professionisti e specialisti della Comunicazione racconteranno case history, condivideranno visioni e strumenti creativi, per affrontare le
nuove sfide del mercato. Nella pagina accanto il programma completo. Il 10 giugno prossimo, alle ore 17,30,
si comincia con il primo incontro, “Fate il vostro gioco!”;
si parlerà di App e Gamification: consigli, strumenti e numeri per creare interazione digitale e coinvolgimento
emotivo. Come si dice in questi casi? Ah sì, vi aspettiamo
numerosi.l
Claudio Burlando è presidente della Sezione Comunicazione
di Confindustria Genova
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Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
71
LA CITTÀ
Gino Paoli
& Co.
Il 10 giugno, al Teatro
della Corte, un concerto
del cantautore genovese
per ricordare Riccardo
Garrone e sostenere il
progetto formativo Mus-e.
Ricordare Riccardo Garrone e sostenere il progetto formativo Mus-e “l’arte per l’integrazione a scuola”,
a lui molto caro. Questo l’obiettivo del concerto di Gino
Paoli, organizzato dal Comitato “Amici del Jazz - Gianni
Dagnino” martedì 10 giugno, alle ore 21.00, al Teatro della
Corte, il cui ricavato sarà devoluto all’Associazione Mus-e
Genova Onlus. Ad accompagnare il cantautore genovese
in un viaggio attraverso i suoi più grandi successi, reinterpretati in chiave jazz, Danilo Rea al pianoforte, Roberto
Gatto alla batteria, Flavio Boltro alla tromba, Rosario Bonaccorso al contrabbasso. A poco più di un anno dalla
sua scomparsa, il “Comitato Amici del Jazz - Gianni Dagnino” ricorda così Riccardo Garrone, protagonista della
vita economica, culturale, sociale e sportiva della nostra
città. Grande imprenditore, per quarant’anni a capo del
Gruppo ERG e due volte Presidente di Confindustria Genova, Riccardo Garrone si è sempre impegnato per la promozione della cultura, con uno sguardo particolarmente
attento ai più giovani. Oltre alla Fondazione Edoardo Garrone, oggi sempre più focalizzata sulla formazione delle
nuove generazioni, una delle iniziative in cui credeva di più
era proprio il progetto Mus-e, nella profonda convinzione
che l’arte, in tutte le sue forme, sia potente veicolo di integrazione soprattutto per i bambini. Consapevole che attraverso la partecipazione comune a esperienze artistiche
i più piccoli possano imparare in modo semplice e immediato a comprendere e accettare le diversità, Riccardo
Garrone ha fatto conoscere e crescere il progetto nel nostro paese, guidando per oltre dieci anni l’Associazione
Mus-e Italia, oggi attiva in 19 città. In particolare, a Genova l’Associazione Mus-e ha coinvolto in quest’anno scolastico 2500 bambini, 117 classi, 30 scuole e 29 artisti.
Acquistare un biglietto per il concerto di Gino Paoli del 10
giugno contribuirà a sostenere le attività dell’Associazione
Mus-e Genova.l
Per informazioni e prenotazioni:
www.teatrostabilegenova.it
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
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LA CITTÀ
Tomás
Saraceno
Al museo di Villa Croce, dal
13 giugno al 7 settembre,
a cura di Ilaria Bonacossa
e Luca Cerizza.
…verso la luna? Un ascensore spaziale creato dai ragni/aracnologico… la seta delle ragnatele
potrebbe essere materiale perfetto per costruire
un ascensore spaziale sarebbe … se si riunissero i
ragni che vivono in un acro e li si lasciasse filare un
giorno intero, la loro seta, unita in un solo filamento, sarebbe sufficiente a creare un filo lungo abbastanza per fare il giro del mondo… se li si lasciasse filare per dieci giorni creerebbero seta a sufficienza per un filo che arriverebbe fino alla luna…
Il lavoro di Tomás Saraceno [1973] rappresenta il
cosmo attraverso pattern strutturali presenti in ambienti fisici e biologici che spaziano da macrostrutture cosmiche a micro-sistemi biologici. A Villa
Croce, l’artista presenta Cosmic Jive: Tomás Saraceno. The Spider Sessions, un progetto sviluppato
per il museo, attraverso la collaborazione dello
Studio Saraceno, con biologi, musicisti, architetti,
fisici e ingegneri elettronici internazionali e italiani.
La mostra sviluppa una nuova fase dell’indagine
intrapresa nel 2009, alla Biennale di Venezia, sull’intricato mondo dei ragni e delle ragnatele, in cui
alle precedenti letture architettoniche, ingegneristiche, sociali e cosmologiche, si inserisce la componente sonora e temporale.
Villa Croce ospita, infatti, un’installazione sonora
interattiva in cui il movimento dei visitatori nelle sale, rilevato da sensori a raggi infrarossi, determina
una serie di reazioni acustiche, per cui, in base alla
sua posizione nel museo, il pubblico percepirà diverse composizioni sonore. I suoni trasmessi derivano dalla combinazione di vibrazioni emesse da
alcune specie di ragni mentre tessono le loro tele
cosmiche, si accoppiano, o catturano una preda registrati con vibrometri laser-Doppler e altre apparecchiature - montate con i suoni/vibrazioni dell’universo captate da diverse agenzie spaziali. Come i
ragni percepiscono la realtà attraverso pressione e
vibrazioni, piuttosto che attraverso lo sguardo o le
immagini, così il visitatore, immerso in uno spazio
quasi del tutto buio, imparerà a comunicare e a
orientarsi attraverso il movimento del corpo e il
senso dell’udito.
Verranno esposte inoltre due ragnatele ibride/strumenti musicali, filate da tre diverse specie di ragni.
Ognuna di queste tele è nata dalla collaborazione
innescata dall’artista che permetteva a ragni sociali di completare e vivere su ragnatele di ragni
semi-sociali o a-sociali e viceversa creando strutture inesistenti in natura. Queste ragnatele rivelano
la fragilità e la complessità dello strumento e dei
suoi musicisti, trasformandosi in immagini tridimensionali di ipotetiche galassie. L’immagine tridimensionale di una vera ragnatela è stata creata
dall’artista in collaborazione con il team del Dipartimento PAVIS dell’Istituto Italiano di Tecnologia,
grazie al montaggio di una serie di fotografie ottenute illuminando la tela con un emettitore di foglietti di luce laser.l
www.villacroce.org
Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
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CULTURA & SOCIETÀ
di Luciano Caprile
Espressionisti
al Camec
Fino al 13 luglio
alla Palazzina
delle Arti del
Museo Lia
alla Spezia.
Nel marzo del 1912 inaugurava i propri spazi a Berlino la Galleria Der Sturm con una mostra dedicata agli
espressionisti tedeschi. La seconda esposizione era invece riservata ai futuristi di casa nostra Umberto Boccioni,
Luigi Russolo e Gino Severini. Le due avanguardie esibivano un legame che andava al di là dell’apparenza: non a
caso, per portare un esempio, il Boccioni prefuturista e
anarchico, quello delle “fabbriche” e delle “periferie”, manifestava più di un aggancio non solo ideale con il movimento sorto in Germania in quegli anni.
Le vicinanze si evidenziavano soprattutto nella grafica dove lo scavo dell’incisione o l’impronta xilografica denunciavano uno stato d’animo, un clima particolare. Pertanto
la rassegna intitolata “L’urlo dell’immagine. La grafica
dell’espressionismo italiano”, che viene ospitata fino al 13
luglio presso la Palazzina delle Arti/ Museo Lia di La Spezia, è un’interessante occasione per accostarsi a quel periodo e a quelle prove partendo proprio da una puntasecca di Boccioni, un “Ritratto della madre”, per passare
quindi a una acquatinta/acquaforte di malinconica intensità (“Fanciulla” del 1906) di Russolo “che affida al bulino la
predilezione per tutto ciò che fa groviglio, intrigo di lacci”,
come ha scritto in catalogo Renato Barilli. E giungere
quindi alle prove di Anselmo Bucci, anch’egli vicino ai modi di Boccioni di quel tempo. Attraverso un centinaio di fogli ci si accosta al lavoro di molti protagonisti del Novecento italiano, in primis ad Adolfo Wildt e alle sue figure
scavate nella sofferenza che troveranno nella resa scultorea il culmine della drammaticità, poi il Felice Casorati delle essenziali e dolenti immagini femminili e infine l’Arturo
Martini, la cui opera è caratterizzata da una personale sintesi delle forme. Il dovuto rilievo viene assegnato a Lorenzo Viani, non solo perché un congruo numero di fogli suoi
e di altri protagonisti della rassegna spezzina provengono
dalla Galleria d’Arte Moderna di Viareggio a lui intitolata e
che accoglierà in seguito la mostra, ma perché egli è da
considerarsi l’artista più prossimo per gesti e per intenzioni agli aderenti alla “Die Brücke”. D’altronde lo stesso Viani e autori toscani come Emilio Mantelli si sono rivolti alla
grafica di matrice espressionista grazie all’edizione, proprio alla Spezia, della rivista “L’Eroica”, fondata da Ettore
Cozzani, che, soprattutto nella sua prima fase, tra il 1911
e il 1921, propone le pagine più interessanti della propria
storia scandite da splendide xilografie dei citati Wildt (in
mostra compare un esemplare de “Il peccato” pubblicato
su quel periodico), Casorati, Martini e Mantelli.
Anche il triestino Guido Marussig sembra abbeverarsi alla
stessa fonte, una volta abbandonate le iniziali sirene simboliste, al pari del ferrarese Roberto Melli reduce dalla lezione di Medardo Rosso. Comunque, per gli italiani chiamati ora in causa e per i tedeschi che hanno intrapreso
quel percorso, interviene anche il ricorso alla memoria e
all’essenzialità descrittiva dei primitivi.
Questa è altresì l’occasione per far conoscere l’impegno
di autori di quell’epoca meno conosciuti ma altrettanto
validi e decisamente impegnati in tal senso, come Adolfo
Balduini, Mario Reviglione, Domenico Baccarini, Gino Barbieri, Giuseppe Ugo Caselli, Edoardo Del Neri, Benvenuto
Maria Disertori, Moses Levy, Francesco Nonni. Per raccontare tutto ciò è stato istituito un nutrito comitato scientifico, formato da Renato Barilli, Alessandra Belluomini
Pucci, Alessandra Borgogelli, Marzia Ratti, Nico Stringa e
Giuseppe Virelli.
I numerosi saggi che affrontano i diversi aspetti del nostro
espressionismo sono stati raccolti in un catalogo, prodigo
di immagini, edito da Umberto Allemandi.l
•••
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“il sapore della tradizione”
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CULTURA & SOCIETÀ
di Massimo Morasso
La rinascita
della
pittura
giapponese
A.l
Fino al 29
giugno, al
Chiossone di
Genova, in
mostra 76 dipinti
delle più
importanti
scuole e correnti
dei secoli XVI-XIX,
patrimonio del
Museo e
presentati al
pubblico dopo
vent’anni di
restauri.
C’è chi sostiene con autorevolezza che il Chiossone
è fra i più bei musei d’arte orientale d’Europa. Ma com’è
possibile che un piccolo museo civico qual è il nostro di
Villetta di Negro riesca a competere, quantomeno in ordine alla stima di esperti e addetti ai lavori, con le grandi
istituzioni internazionali, dall’alto dei loro budget? Non è
detto che per eccellere sia sempre necessario e sufficiente attingere a risorse (qui e ora) inimmaginabili. A
suggerire questa riflessione è la mostra “La rinascita della
pittura giapponese. Vent’anni di restauri al Museo Chiossone di Genova”, che si può visitare fino al prossimo 29
giugno, passeggiando, con stupore prossimo alla meraviglia, nell’ampio salone rettangolare e nelle gallerie a
sbalzo che danno forma al suo sinuoso percorso espositivo. Vent’anni di restauri! Quanta pazienza, a più livelli, è
implicita in questo sottotitolo, e a quali immagini di laboriosità costante e instancabile, di rigore filologico, di faticoso lavoro di relazioni non può non esservi associato!
Sì, forse è proprio dando credito a progetti di inoppugnabile caratura scientifica in grado di portare a evidenza la
“qualità”, quand’essa, come in questo caso, è adamantina, che si potrebbe sfuggire al ricatto dei grandi numeri e
al contagio, di matrice bilancistica, della mania da “quantità” a ogni costo… Ma non è bene, per inseguire simili
fantasie, omettere la segnalazione della mostra che le
hanno suscitate. Si tratta di settantasei dipinti su carta o
seta (divisi, per la verità, in due turni a rotazione per attenersi ai principi conservativi di esposizione non superiore
ai 100 lux e ai 2 mesi), che costituiscono circa l’un sesto
dell’intera collezione pittorica del museo. Corrispondenti
ai principali formati pittorici - paravento (byo¯ bu), rotolo
orizzontale (emakimono), rotolo verticale o da appendere
(kakejiku) - i dipinti sono ordinati in otto sezioni che documentano lo sviluppo delle più importanti scuole e correnti
stilistiche durante i secoli XVI-XIX. Dando spazio a un
suggestivo intermondo iconografico abitato da più o me-
80 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2014
no nobili guerrieri, contadini, principi, monaci e cortigiane, massaie e cacciatori, la mostra rappresenta le condizioni evolutive della cultura e della società giapponese di
quegli anni, sintetizzando al contempo il divenire storico
delle sue scuole e delle sue tecniche, latrici sempre di
straordinaria eleganza formale e, spesso, di quasi sconcertante pregnanza simbolica, fra pitture di paesaggio (su
tutti, quattro paesaggi di notevole forza poetica di Hiroshige), paraventi, intarsi su lacche e madreperla, pitture
del cosiddetto “mondo fluttuante” e di Hokusai, il genio
artistico giapponese più noto e apprezzato qui da noi in
Occidente, che è presente con ben sette opere. Qualcuno potrebbe chiedersi, a questo punto, a chi sia da attribuire il merito di tanto fertile, fruttuosa ri-scoperta. Chiossone e Comune a parte, naturalmente, occorre nominare
almeno Donatella Failla, direttore del museo, dove lavora
dal 1982, che è responsabile scientifica dei restauri,
ideatrice della mostra e, oggi, anche del ponderoso catalogo a supporto pubblicato da Silvana, e poi la Fondazione Sumitomo, il Tokyo Research Institute for Cultural Properties noto come Tobunken, e il «Kobe Shinbunsha», il
giornale di Kobe, che hanno finanziato programmi e laboratori di conservazione e restauro per gli interventi sui
«tesori nazionali» confluiti nella mostra per un totale di oltre 700.000 euro. Un esempio mirabile di come l’appassionata, “donchisciottesca” capacità di sviluppare intensi
rapporti di collaborazione e partnership scientifica possa
sopperire, almeno in parte, a un’obiettiva carenza di fondi strutturali.
Ciò che risponde, in fondo, alla domanda dell’inizio. Ma
lascia in sospeso l’interrogazione su cosa si potrebbe o
dovrebbe fare di più, per favorire il pubblico godimento di
questo gioiello semi-sconosciuto incastonato nel cuore
pulsante di Genova a mo’ di emblema e monito di una
città, la nostra, che si vuole città della cultura aperta e
cosmopolita.l