L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLV n. 74 (46.912)
Città del Vaticano
mercoledì 1 aprile 2015
.
Alla terza conferenza mondiale dei donatori le agenzie dell’Onu denunciano la mancanza di fondi
Raid sulla capitale yemenita
Aiuti insufficienti
alla popolazione siriana
San’a epicentro
delle violenze
KUWAIT CITY, 31. La terza conferenza dei Paesi donatori per la Siria,
che si apre oggi in Kuwait presieduta dal segretario generale dell’O nu,
Ban Ki-moon, e dall’emiro kuwaitiano, Sabah Al Ahmad Al Sabah,
punta a raccogliere fondi per almeno
8,4 miliardi di dollari, necessari solo
per quest’anno a contenere le conseguenze della catastrofe umanitaria
che dilania il Paese entrato nel quinto anno di guerra civile. Alla conferenza partecipano i rappresentanti di
una settantina di Paesi, per lo più
occidentali e del Golfo persico, e
una quarantina di organizzazioni
non governative.
L’appuntamento ha un rilievo
mondiale assoluto. Quella in Siria è
la maggiore crisi dalla fine della seconda guerra mondiale e non si intravedono ancora soluzioni diplomatiche o negoziali. Secondo i dati
dell’Onu, oltre dodici milioni di
persone, più della metà della popolazione siriana, sono profughi, otto
milioni sfollati all’interno del territorio e circa quattro rifugiati nei Paesi
vicini. I morti in questi quattro anni
di guerra civile sono stati 220.000, i
feriti e i mutilati un numero incalcolabile. Quasi dieci milioni di persone
non hanno cibo sufficiente; oltre undici milioni non dispongono di acqua potabile e strutture sanitarie; solo il 40 per cento degli ospedali sono rimasti ancora in piedi; due milioni e mezzo di bambini non frequentano più la scuola.
Di «vergogna, ira profonda e frustrazione» per il fallimento della comunità internazionale nel trovare
una soluzione a questa catastrofe ha
parlato oggi Ban Ki-moon, aprendo
la conferenza in Kuwait. Il segreta-
In Giordania e in Iraq
Il cardinale Filoni tra i rifugiati
«Ho ammirato e sono rimasto edificato dalla generosità di tanti»: in partenza per Baghdad dopo aver visitato due parrocchie ad Amman, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, ha riportato una vera e propria lezione
di umanità e di fede, in luoghi dove l’uomo e i suoi diritti vengono calpestati in modo sistematica. Dopo la
visita dello scorso agosto, il prefetto di Propaganda Fide è tornato in Iraq per portare la benedizione e l’aiuto concreto di Papa Francesco alle famiglie cristiane e
agli altri gruppi che, a causa delle violenze degli jihadi-
sti, sono stati costretti a lasciare le loro case. Prima
tappa del suo viaggio, la capitale giordana, dove le due
parrocchie visitate accolgono rifugiati iracheni, indipendentemente dalle religioni professate: al momento
una ventina di famiglie. «È bello — dice — vedere che
riescono a ritrovare una loro dignità e amicizia». Nella
parrocchia di Maria Madre della Chiesa funzionano
anche una scuola pomeridiana per i figli dei rifugiati
(trecento bambini), un corso di inglese e un centro di
ritrovo per gli adulti. Il cardinale è ora a Baghdad dove ha già fatto visita a un campo di rifugiati.
Nonostante le trattative tra le varie fazioni mediate dall’inviato delle Nazioni Unite
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Intensi combattimenti in Libia
TRIPOLI, 31. Almeno 14 miliziani
leali al Governo di Tobruk, internazionalmente
riconosciuto,
sono
morti ieri nel corso di violenti combattimenti a Bengasi. Lo si apprende da una fonte della sicurezza locale. Tre di loro sono morti nel
quartiere di Abu Hadima, uno nel
quartiere di Suq Al Hut, dieci nel
quartiere Buatni. La città è al centro di intensi scontri armati tra le
forze del generale Khalifa Haftar e
gli islamisti di Ansar Al Sharia.
E proseguono intanto le operazioni militari dell’esercito libico
nell’ovest del Paese nonostante il
negoziato in corso. L’agenzia Lana
riferisce che aerei da guerra delle
truppe di Haftar hanno compiuto
raid sulle montagne dell’ovest, a 80
chilometri da Tripoli, senza causare
vittime. Media libici riferiscono di
due feriti in un altro raid compiuto
a Zuwara, città sul mare a sessanta
chilometri dal confine con la Tunisia già colpita più volte negli ultimi
tre mesi.
In attesa che riprenda il dialogo
mediato in Marocco dall’inviato
dell’Onu, Bernardino León, continuano dunque gli scontri tra le varie fazioni armate. Tuttavia «i combattimenti non fermeranno questo
dialogo», ha assicurato ieri León.
Dal canto suo, il premier libico
riconosciuto dalla comunità internazionale, Abdullah Al Thani, ha annunciato che il Governo di Tobruk
chiederà alla Lega araba raid aerei
sulla Libia simili a quelli che la
coalizione a guida saudita sta compiendo in Yemen. L’annuncio è sta-
to fatto a una televisione di Riad
ma per ora appare agli analisti solo
un tentativo di rilancio in quella
sorta di partita a scacchi che si sta
giocando nel negoziato in Marocco
per riunificare il Paese segnato dalla contrapposizione tra gli Esecutivi
(e soprattutto i potentissimi Parlamenti) di Tripoli e di Tobruk. «La
Libia domanderà alla Lega araba
un intervento in Libia per il ritorno
della legittimità», ha annunciato il
premier ad Al Arabiya domandandosi perché «sia impossibile sostenere la legittimità nello Yemen e
non fare lo stesso in Libia». Già a
metà febbraio, con il traino emotivo
dei raid aerei egiziani sulla città di
Derna, Al Thani aveva chiesto
«azioni militari» avvertendo che la
minaccia fondamentalista «si sposterà nei Paesi europei». Un analogo appello era venuto anche dal
presidente egiziano, Abdel Fattah
Al Sissi ma c’era stato l’invito da
parte della comunità internazionale
a dare una chance al dialogo impostato dall’Onu. La richiesta egiziana si è poi ridotta a quella di togliere l’embargo alle forniture di armi alla Libia.
Truppe guidate dal generale Haftar a nord di Tripoli (Ansa)
rio generale dell’Onu ha anche sottolineato la necessità di portare davanti alla giustizia i responsabili del
bagno di sangue e dei crimini commessi contro il popolo siriano.
Sulla necessità di intervenire in
soccorso della sventurata popolazione siriana si susseguono le dichiarazioni. Il pericolo, però, è che ancora
una volta, a queste non facciano seguito comportamenti concreti conseguenti. Nelle due precedenti conferenze, tenute sempre in Kuwait, erano stati presi impegni per donare rispettivamente 1,5 e 2,4 miliardi di
dollari. Ma le Nazioni Unite hanno
lamentato che gli impegni presi in
quelle occasioni non sono stati rispettati.
Questa prospettiva sembra incombere ancora di più ora che la situazione è drammaticamente peggiorata, come ha denunciato Valérie
Amos, responsabile dell’Ocha, l’ufficio dell’Onu per il coordinamento
degli interventi umanitari, sottolineando il continuo aumento delle
violenze, che vedono vittime in particolare i bambini.
Molte agenzie dell’Onu hanno
annunciato di essere rimaste senza
fondi e di essere costrette a ridurre o
interrompere le proprie attività. Il
Programma alimentare mondiale ha
bisogno di circa trenta milioni di
dollari a settimana per sfamare sei
milioni di persone dentro e fuori la
Siria. All’Organizzazione mondiale
della sanità serve oltre un miliardo
di dollari per medicine e servizi sanitari. L’Unicef, l’agenzia dell’O nu
per l’infanzia, ha bisogno di 903 milioni di dollari nel 2015 per far fronte all’emergenza di otto milioni e
mezzo di bambini. Anche la Fao,
l’organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, ha avvertito alla vigilia della conferenza che
servono 121 milioni di dollari per
l’assistenza alimentare ai cittadini in
Siria e ai rifugiati siriani nei Paesi vicini, in particolare Giordania, Libano, Iraq e e Turchia.
Nella generale crisi siriana si segnalano in particolare le conseguenze sulle minoranze etniche e religiose, acuite negli ultimi mesi dall’irruzione nel conflitto del cosiddetto
Stato islamico (Is) e delle sue violenze. Nel presentare ieri i temi della
conferenza, il ministro kuwaitiano
dell’Informazione, Salman al Sabah,
ha sottolineato che una soluzione
politica in grado di risolvere la grave
crisi umanitaria in Siria costituirebbe
il primo passo per arginare nel mondo la minaccia dell’Is. «C’è in atto
uno sforzo internazionale contro l’Is
del quale ci aspettiamo il successo.
Ma la minaccia non si combatte solo
militarmente, e uno dei punti principali è quello di trovare una soluzione in Siria», ha detto.
Negoziati sul nucleare iraniano
Verso
l’intesa
LOSANNA, 31. Il ministro degli Esteri
russo, Serghiei Lavrov, ha annunciato che tornerà in giornata a Losanna
per la conclusione dei negoziati sul
programma nucleare iraniano. «Le
possibilità di giungere a un’intesa
sono elevate», ha detto il capo della
diplomazia del Cremlino. A poche
ore della scadenza, prevista proprio
per oggi, sono infatti riprese le trattative per giungere a un accordo tra
il gruppo cinque più uno e Teheran.
Prima della riunione con il ministro
degli Esteri iraniano, Mohammad
Javad Zarif, c’è stata una consultazione tra i ministri degli Esteri di
Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia,
Cina e Germania. Ieri sera il segretario di Stato americano, John Kerry,
ha parlato di «un piccolo spiraglio
di luce» ma anche di «punti complicati» da risolvere.
Bombe della coalizione colpiscono San’a (Epa)
SAN’A, 31. Ancora violenza nello
Yemen. Nelle ultime ore la capitale
ha subito i raid aerei più intensi
dall’inizio dell’operazione «Tempesta risolutiva» lanciata dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita
per colpire i ribelli huthi. Colonne
di fumo si levano da San’a mentre
i testimoni parlano di violentissime
esplosioni sentite per tutta la notte.
L’obiettivo della coalizione che
comprende una decina di Paesi
arabi e alla quale, nelle ultime ore,
hanno dato il loro appoggio diversi
Paesi africani — Mauritania, Senegal, Guinea e Sudan — mira a distruggere le infrastrutture militari
degli huthi e dei loro alleati, le milizie dell’ex presidente yemenita,
Ali Abdullah Saleh, che minacciavano di prendere il controllo dello
Yemen. Oltre a San’a, gli aerei
hanno colpito depositi di armi e
munizioni dei ribelli huthi a Dhamar (centro), a Hodeida (ovest) e a
Taiz e Aden (sud).
Nel corso di un raid nel nordovest del Paese sarebbe stato colpito anche il campo profughi di Al
Mazrak, nella provincia di Hajja
con un bilancio di almeno quaranta morti e duecento feriti. Vi erano
molti combattenti huthi tra le vittime. Il portavoce della coalizione, il
generale saudita Ahmed Al Asiri,
ha affermato che «non c’è conferma che si trattasse di un campo
profughi». Al Asiri ha anche accusato gli huthi di piazzare i propri
lanciarazzi e i pezzi di artiglieria
tra la popolazione civile per farsene scudo.
Inoltre, per la prima volta nel
conflitto sono intervenute direttamente navi da guerra della coalizione con un bombardamento di
un’unità degli huthi mentre cercavano di avvicinarsi ad Aden. Quattro navi inviate dall’Egitto a sostegno della missione nello Yemen si
sarebbero posizionate nel golfo di
Aden dopo aver attraversato lo
stretto di Bab El Mendab.
L’Arabia Saudita si è detta disposta a organizzare colloqui tra le
forze politiche yemenite per «assicurare la sicurezza e la stabilità del
Paese». Tali colloqui dovranno però avvenire «sotto l’ombrello del
Consiglio di cooperazione del Golfo persico e nel quadro degli sforzi
per stabilizzare le istituzioni legittime», si legge in un comunicato.
Esiste, inoltre, una condizione per
l’avvio dei negoziati, ovvero la consegna di «tutte le armi alle autorità
statali».
Solidarność e i regimi totalitari
La Stalingrado
del comunismo
TOMÁŠ HALÍK
A PAGINA
4
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha nominato
Prefetto della Congregazione
per l’Educazione Cattolica Sua
Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Giuseppe Versaldi, finora Presidente della
Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede.
Il Santo Padre ha nominato
Membro dell’Amministrazione
del Patrimonio della Sede Apostolica l’Eminentissimo Signor
Cardinale Rainer Maria Woelki,
Arcivescovo di Köln (Repubblica Federale di Germania).
Provviste di Chiese
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo dell’Eparchia di Piana
degli Albanesi di Sicilia il Reverendo Giorgio Demetrio Gallaro, del clero dell’Eparchia di
Newton dei Greco-Melkiti (Stati Uniti d’America).
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo della Diocesi di Kalemie-Kirungu (Repubblica De-
mocratica del Congo) il Reverendo Padre Christophe Amade, M. Afr., Superiore Provinciale dei Padri Bianchi per l’Africa
Centrale.
Nomina di Vescovi
Ausiliari
Il Santo Padre ha nominato
due Ausiliari per l’Arcidiocesi
di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo): il Reverendo Padre Donatien Bafuidinsoni, S.I., Vicario Giudiziale
della medesima Arcidiocesi, e il
Reverendo Monsignore JeanPierre Kwambamba Masi, del
clero di Kenge, officiale della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Al Reverendo Bafuidinsoni è
stata assegnata la Sede titolare
vescovile di Gemelle di Bizacena e al Reverendo Kwambamba Masi è stata assegnata la
Sede titolare vescovile di Naratcata.
L’OSSERVATORE ROMANO
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mercoledì 1 aprile 2015
Ribelli filorussi
nei dintorni della città
di Donetsk (Ansa)
Non si sbloccano i negoziati sul debito
Sulla Grecia
si tratta a oltranza
durante una conferenza stampa. E
per questo non è ancora previsto
un incontro a livello europeo. «Dipende anche dal fatto che al momento non abbiamo ancora alcuna
proposta greca» ha aggiunto Jaeger,
precisando: «La palla ora è nella
metà campo ellenica».
Un messaggio molto simile è
giunto ieri anche dal cancelliere tedesco, Angela Merkel. «Stiamo lavorando perché la Grecia possa restare nell’Euro» ha detto Merkel da
Helsinki, dove si è recata in visita
ufficiale. Merkel ha insistito sulla
necessità delle riforme che il Governo ellenico si è impegnato ad adottare e ha sottolineato che il punto è
«se Atene vuole e può corrispondere alle aspettative che tutti abbiamo: ci possono essere variazioni
quanto al tipo di misure per le quali opta un Governo, ma alla fine il
quadro generale deve concordare».
Sulla difficoltà dei negoziati in
corso è intervenuto ieri anche il
commissario Ue agli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici.
Per cercare di raggiungere un’intesa
entro le scadenze «tutti stanno lavorando giorno e notte, anche il sabato e la domenica» ha detto Moscovici durante un intervento al
Parlamento Ue. «E tutti sanno che
il tempo è limitato» ha aggiunto,
riferendosi ai protagonisti dei negoziati avviati venerdì scorso, ovvero,
oltre al Governo greco e le istituzioni europee (Ue, Bce), anche il
Fondo monetario internazionale. Le
riforme su cui prosegue il lavoro —
ha detto Moscovici — devono essere
«coerenti con la volontà degli elettori greci, ma devono anche garantire che gli impegni presi dalla Grecia con i suoi interlocutori siano
completamente rispettati».
BRUXELLES, 31. «Stiamo cercando
un compromesso onesto con i nostri creditori, ma non un accordo
incondizionato». Queste le parole
pronunciate ieri dal premier greco,
Alexis Tsipras, nel corso di un intervento al Parlamento di Atene. La
ristrutturazione del debito greco —
ha spiegato Tsipras — è necessaria
affinché Atene possa rimborsarlo.
Ma il tempo stringe: la liquidità
della Grecia è agli sgoccioli e, senza
aiuti da Bruxelles, Atene potrebbe
non essere in grado di onorare gli
impegni di rimborso.
Il Governo tedesco ha fatto sapere ieri di non aver ancora ricevuto
la lista di riforme da parte dell’Esecutivo di Tsipras, condizione necessaria per ricevere gli aiuti. Il portavoce del Ministero delle Finanze,
Martin Jaeger, ha detto che Berlino
non ha ricevuto alcun documento
I punti centrali della bozza
Atene e la lista della discordia
ATENE, 31. La Grecia punta a raggiungere per quest’anno un incremento netto delle entrate di 3,7 miliardi di euro: questo il primo
obiettivo fissato dal Governo Tsipras nella tanto attesa lista delle riforme da presentare ai partner europei, considerata una condizione imprescindibile per l’esborso degli
aiuti. È quanto emerge da una bozza che ha iniziato a circolare tra i
negoziatori: in tutto quindici pagine che elencano proposte di riforma
più dettagliate nel tentativo di
sbloccare i prestiti di emergenza da
parte di Ue e Fondo monetario internazionale. Il primo punto della
bozza riguarda il giro di vite su trasferimenti di capitali: Atene conta
di rastrellare tra i 725 e gli 875 miliardi di euro attraverso «il rafforzamento delle attività di indagine su
una lista di trasferimenti bancari e
soggetti offshore». Il secondo
aspetto è invece la lotta al contrab-
bando di petrolio, tabacco e alcol.
L’azione di contrasto frutterà — secondo la bozza di lista — tra 250 e
400 milioni di euro. Un altro tema
chiave del documento riguarda la
lotta all’evasione dell’Iva, che dovrebbe portare nelle casse dello Stato 350-420 milioni di euro. Sulle
privatizzazioni, il piano di Tsipras
dovrebbe generare quest’anno 1,5
miliardi, una cifra inferiore rispetto
ai 2,2 miliardi indicati nel prospetto
di bilancio 2015 del precedente Governo. Sono previsti infine una tassa sul lusso, una tassa sulle lotterie
e un accorpamento istituti previdenziali da cui sono attesi dieci milioni di euro di risparmi. A ciò si
aggiunge un rafforzamento del
meccanismo del controllo per prevenire l’evasione fiscale. La lotta al
lavoro nero porterà entrate per 150
milioni. In programma anche la
reintroduzione della tredicesima
mensilità per le pensioni più basse.
L’invito del cancelliere tedesco all’Europa
Uniti per la pace in Ucraina
KIEV, 31. L’Unione europea agisca in
maniera unita nell’ambito della crisi
ucraina: questo l’appello lanciato ieri dal cancelliere tedesco, Angela
Merkel, nel corso di una visita ufficiale a Helsinki, dove ha incontrato
il premier finlandese, Alexander
Stubb. Il cancelliere ha invitato tutti
gli Stati Ue a consultarsi tra loro e a
non agire da soli.
«Il nostro desiderio è collaborare
con la Russia, ma sulla base di determinati principi», ha ribadito Angela Merkel, riferendosi alla firma
degli Accordi di Helsinki nel 1975,
base per la fondazione della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Allora gli
Stati partecipanti, tra cui l’ex Unione sovietica, si impegnarono a rispettare l’inviolabilità delle frontiere,
a non interferire negli affari interni
di altri Paesi e a rispettare i diritti
umani e le libertà fondamentali.
«Non vogliamo scontri militari», ha
ricordato il cancelliere, spiegando
che proprio per questo sono state
imposte le sanzioni economiche contro Mosca. Se l’Europa agisce insie-
me, ha aggiunto, avranno effetto in
Russia.
Da parte sua, Stubb ha sottolineato che l’Unione europea vuole collaborare con la Russia. Il premier finlandese si è anche mostrato fiducioso che si troverà una soluzione al
conflitto, anche se questo richiederà
pazienza e perseveranza.
Intanto, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, durante
un’audizione all’Europarlamento, ha
detto che quello che sta facendo la
Russia, attraverso la sua politica aggressiva e di «intimidazioni» nei
Al via la campagna elettorale per le legislative del 7 maggio in Gran Bretagna
Dopo le amministrative
Lo spettro
dell’Hang Parliament
Parigi
verso il rimpasto
di Governo
LONDRA, 31. La visita di ieri del premier, David Cameron, alla regina
Elisabetta II per lo scioglimento del
Parlamento ha segnato il via ufficiale alla campagna elettorale in vista
delle elezioni politiche del 7 maggio,
considerata dagli analisti come il voto più imprevedibile della recente
storia britannica. Tanti i temi sul tavolo del confronto: salute, welfare,
immigrazione e Unione europea. Si
punta soprattutto a evitare un Hang
Parliament, letteralmente un “Parlamento appeso”, ovvero senza una
maggioranza certa e autonoma.
Al momento — dicono gli analisti
— nessuno è in grado di prevedere
chi vincerà. I sondaggi sono ancora
troppo altalenanti per dare un’idea
chiara sull’esito del voto per il rinnovo del Parlamento. Dopo che due
giorni fa il quotidiano «The Sunday
Times» ha dato per la prima volta il
laburisti in testa di quattro punti, ieri il tabloid «Daily Mail» ha conferito ai conservatori un vantaggio del
tre per cento.
I due principali partiti (i conservatori e i laburisti) sono alla ricerca
di consensi sufficienti a formare ciascuno un Governo con una maggioranza autonoma, senza coalizioni né
appoggi esterni.
Da ieri, il Governo Cameron resta
in carica per lo svolgimento degli affari correnti, mentre il Parlamento
ha già chiuso i battenti. La prima
seduta della nuova legislatura è già
convocata per il prossimo 18 maggio; per il 27 è previsto nell’Aula dei
Comuni il discorso della Corona.
Parlando per l’ultima volta al Paese davanti Downing Street, il primo
ministro Cameron ha rivendicato di
avere messo la Gran Bretagna «sulla
strada giusta, quella della ripresa
economica», e ha chiesto agli eletto-
In Italia battuta d’arresto
nella ripresa dell’occupazione
ROMA, 31. Battuta d'arresto nella
ripresa del mercato del lavoro italiano. I dati diffusi oggi dall’Istat
parlano chiaro: a febbraio scorso si
è registrato un calo del numero di
occupati rispetto al mese precedente. Il tasso di disoccupazione è risalito di 0,1 punti percentuali su
gennaio e di 0,2 punti sul febbraio
2014, raggiungendo il 12,7 per cento. Nel dettaglio, ci sono 23.000
persone in più, rispetto al mese
precedente, che cercano lavoro senza trovarlo, ben 67.000 rispetto ai
dodici mesi precedenti (più 2,1 per
cento). Si interrompe quindi il calo
registrato a dicembre e gennaio.
«Dopo la crescita del mese di dicembre e la sostanziale stabilità di
gennaio, a febbraio 2015 gli occupati sono diminuiti dello 0,2 per
cento. Il tasso di occupazione, pari
al 55,7 per cento, è calato nell’ultimo mese di 0,1 punti percentuali»
si legge nel documento dell’Istat.
Cresce anche il tasso di disoccupazione giovanile, che è salito a febbraio di 1,3 punti percentuali su
mese e di 0,1 punti su anno, per
un totale del 42,6. Se si guarda al
totale della popolazione giovane
(tra i 15 e i 24 anni), si scopre che
quasi 11 ragazzi su 100 pur cercando lavoro non lo trovano.
Violenti scontri
nel Myanmar
Tutta la regione himalayana colpita da piogge torrenziali
NEW DELHI, 31. Almeno diciotto
persone sono morte per le alluvioni
che hanno colpito la regione himalayana del Kashmir, nel nord
dell’India. Come riferiscono i media
locali, sei cadaveri sono stati trovati
stamane sotto una frana che ha
travolto un villaggio del distretto di
Budgam, il più colpito dal maltempo. Si temono che possano esserci altre persone intrappolate nel
fango e nei detriti che hanno sommerso decine di abitazioni. Dichiarato lo stato di emergenza in tutta la
zona.
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PARIGI, 31. Due giorni dopo la
sconfitta della sinistra alle amministrative, il primo ministro francese, Manuel Valls, ammette che
c’è la possibilità di un rimpasto
di Governo. «Ognuno — ha detto
in un intervento televisivo — ha la
sua parte di responsabilità, e debbo per forza assumermi la mia,
anche se mi sono impegnato a
fondo in questa campagna». Si
tratta di «una responsabilità collettiva: la sinistra era talmente divisa al primo turno che non poteva lanciare una forte dinamica al
secondo. Sono convinto che se
fossimo stati uniti fin dal primo
turno, avremmo potuto vincere
più dipartimenti». Valls ha quindi escluso le dimissioni: «Non è
quello che si aspettano e che mi
chiedono i francesi. Mi chiedono
di restare al mio posto. Non aggiungeremo crisi alla crisi. Fin
quando avrò la fiducia del presidente, fin quando avrò l’impressione che il legame con i francesi
è in piedi, andrò avanti». Il primo ministro ha lasciato intendere
la possibilità di un futuro accordo di Governo tra socialisti e verdi. «All’Assemblea nazionale abbiamo una maggioranza. È importante che la sinistra si unisca,
la divisione porta alla sconfitta.
Io voglio unire» ha detto.
ri di scegliere «fra l’andare avanti»,
offerto dai conservatori, o il «caos
economico» dei laburisti, che il cancelliere dello Scacchiere, George
Osborne, ha apertamente accusato
di «volere solo nuove tasse».
La risposta del Labour di Ed
Miliband non si è fatta attendere:
«Vogliamo un cambio di passo, e
vogliamo costruirlo tutti insieme».
Morti e dispersi per le alluvioni nel Kashmir
L’OSSERVATORE ROMANO
confronti dei Paesi dell’Europa
dell’est che si avvicinano all’Ue
(Ucraina, Moldova e Georgia) punta a «ripristinare le sfere di influenza» e questo «è inaccettabile». Ecco
perché, ha sottolineato, «valuteremo
la sua futura richiesta di adesione
come quella di qualunque Paese: è
diritto di ogni Nazione chiederlo».
Stoltenberg ha però anche rassicurato che «non c’è nessuna minaccia
imminente per nessuno degli alleati», e ha sottolineato che «per la
prima volta nella sua storia, la Nato
«deve affrontare nello stesso tempo i
due compiti» che finora avevano caratterizzato le due diverse fasi storiche della sua azione. «Dal 1948 fino
alla caduta del Muro di Berlino e alla fine della Guerra fredda — ha ricordato Stoltenberg — l’Alleanza
atlantica ha rappresentato un fattore
deterrente senza che ci fosse bisogno
di sparare un solo colpo. Dal 1989 si
è riorientata sulla gestione di quelle
crisi che rischiavano di rappresentare una minaccia per i Paesi europei
della Nato e sugli alleati nordamericani: per questo sono state condotte
operazioni nei Balcani, in Afghanistan, di contrasto della pirateria nel
Corno d’Africa e in Libia». Ora —
ha proseguito Stoltenberg — «la sfida è continuare a gestire le crisi ma
nello stesso tempo pensare alla difesa collettiva in Europa».
Intanto, continuano senza sosta le
operazioni di sgombero di migliaia
di persone gestite da squadre della
Forza nazionale di risposta dei disastri, inviate da New Delhi. Nella zona non piove più da alcune ore, ma
il livello del fiume Jhelum ha superato i limiti di guardia e in alcune
zone potrebbe straripare. Il nuovo
disastro, dopo le alluvioni dello
scorso settembre che hanno causato
250 morti, ha sollevato le proteste
dell’opposizione, che stamane ha
bloccato i lavori dell’Assemblea parlamentare locale di Srinagar.
Segreteria di redazione
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
NAYPYIDAW, 31. Pesanti combattimenti tra l’esercito governativo e le
milizie del gruppo etnico dell’Arakan sono stati segnalati ieri
nello Stato del Myanmar del
Rakhine, vicino al confine con il
Bangladesh. Lo hanno confermato
fonti governative e dei media locali, precisando che un soldato è
morto.
I combattenti dell’Arakan sono
accusati di essersi alleati con altri
gruppi etnici armati che stanno
combattendo sul fronte cinese, a
Kokang.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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fax 06 69885164, 06 698 82818,
info@ossrom.va diffusione@ossrom.va
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
L’attacco nell’Arakan è avvenuto
poche ore prima della ripresa del
settimo incontro per le trattative
sul cessate il fuoco tra i negoziatori
del Governo e i rappresentanti dei
gruppi armati del Paese asiatico.
L’incontro è in programma nella ex
capitale, Yangon, dopo una settimana di pausa. Molti, ancora, i
punti di contrasto tra le parti. Durante i colloqui, combattimenti tra
gruppi ribelli armati e forze governative sono scoppiati anche in altre
zone: nello Stato del Kachin e a
Ta’ang, nell’area di Palaung.
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L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 1 aprile 2015
pagina 3
Sostenitore del partito di opposizione
All Progressive Congress (Afp)
Veicolo
della Croce rossa
attaccato
nel nord del Mali
BAMAKO, 31. Un veicolo della Comitato internazionale della Croce
rossa (Cicr) che portava medicine
nel nord del Mali è stato attaccato
ieri da uomini armati non identificati che hanno ucciso il conducente del mezzo e ferito un’altra persona. Nel darne notizia, il Cicr
specifica che l’attacco è stato sferrato nei pressi di Gao. A tre anni
dall’intervento armato francese,
dal successivo dispiegamento dei
caschi blu e dalla dichiarata fine
della transizione con l’elezione
nell’estate del 2013 di Ibrahim
Boubacar Keïta alla presidenza
della Repubblica, il nord del Mali
resta nella morsa delle violenze,
mentre sul piano politico non si
arriva ancora all’accordo tra le forze tuareg e arabe e le nuove autorità della capitale Bamako.
Anche qui, intanto, è in atto un
riposizionamento delle forze politiche. Una decina di partiti hanno
dato vita a una nuova coalizione,
che si definisce Centro e che ha
scelto di non sostenere né Keïta
né l’opposizione guidata dal presidente del Parlamento, Soumaïla
Cissé. Il nuovo raggruppamento
vede tra i propri dirigenti più attivi Bamba Kiabou, presidente della Convenzione di riflessione e
azione per il Mali, e la leader ecologista Diallo Fadimata Touré, e
dichiara di volere essere «un’altra
voce» rispetto ai due schieramenti
principali.
Pur criticando le politiche governative, che Touré ha definito
«balbettanti», la nuova formazione sostiene il recente accordo di
Algeri, sottoscritto dall’Esecutivo
con alcune forze del nord del Mali, ma respinto dalle principali organizzazioni tuareg e arabe.
Secondo Bamba Kiabou, in
particolare, il documento «prende
in considerazione le richieste di
tutti».
Preoccupazione
dell’Onu
per le tensioni
in Burundi
Lo sfidante Buhari in vantaggio sul presidente uscente Jonathan ma resta possibile il ballottaggio
Fiato sospeso in Nigeria
ABUJA, 31. La Nigeria lacerata dalle violenze attende i risultati delle elezioni presidenziali e parlamentari tenutesi sabato e protrattesi in molti casi anche nella giornata di domenica. I primi dati
diffusi ieri dalla commissione elettorale, dopo lo
spoglio delle schede in circa la metà dei 37 Stati
della Federazione, davano oltre due milioni di
voti di vantaggio nella corsa alla presidenza all’ex
generale Muhammadu Buhari, a suo tempo a capo della giunta militare dittatoriale caduta nel
1999 e oggi candidato dalla coalizione di opposizione All Progressive Congress (Apc).
Ulteriori notizie fornite dall’agenzia di stampa
britannica Reuters, quando mancherebbero dal
conteggio solo tre Stati, attribuiscono a Buhari
tre milioni di voti in più di quelli conseguiti dal
presidente uscente Goodluck Jonathan, ricandidato dal People’s Democratic Party (Pdp), a sua
volta a rischio di perdere la maggioranza in Parlamento.
La commissione elettorale aveva annunciato
dati certi entro la mattinata di oggi, ma nel momento in cui andiamo in stampa si ignora ancora
l’esito dello scrutinio. L’incertezza non è in termi-
ni di voti assoluti — mancano quelli di Stati molto popolosi e tradizionalmente roccaforti di Jonathan e del Pdp, come il Rivers e il Lagos, ma il
successo di Buhari e dell’Apc sembra ormai certo
— ma è conseguenza delle regole elettorali. Per
essere eletti alla presidenza al primo turno, infatti, serve non solo la maggioranza assoluta dei voti
espressi, ma anche almeno il 25 per cento dei
consensi in due terzi degli Stati della Federazione. In assenza di questa condizione, Buhari e Jonathan si sfideranno nel ballottaggio previsto per
sabato 4 aprile.
Mentre si moltiplicano gli appelli interni e internazionali ad accettare il risultato elettorale,
qualunque esso sia, la situazione resta estremamente tesa. Gli osservatori internazionali e lo
stesso segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon, hanno parlato di un voto sostanzialmente
regolare e pacifico, ma nel Rivers e nel Lagos,
dove le autorità hanno imposto il coprifuoco,
l’Apc denuncia brogli massicci a favore di Jonathan e del Pdp. In ogni caso, in diverse località
ci sono stati episodi cruenti. Secondo organizzazioni nigeriane per la tutela dei diritti umani, tra
sabato e domenica sono state uccise almeno cinquanta persone negli Stati di Lagos, Osun, Rivers, Akwa Ibom, Borno, Bauchi, Edo, Gombe e
Yobe.
A insanguinare la vigilia elettorale erano stati
invece attacchi contro le popolazioni civili sferrati
dai miliziani di Boko Haram che avevano ucciso
una quarantina di persone, trenta delle quali trucidate in modo particolarmente feroce nel villaggio di Barutai, nel Borno, lo Stato nordorientale
dove il gruppo jihadista ha le sue principali basi.
Ancora oggi, inoltre, è stata segnalata un’incursione di Boko Haram oltre la frontiera con il Niger, respinta dalle forze locali e da quelle del
contingente del Ciad, il maggiore di quelli della
forza africana inviata contro il gruppo jihadista e
alla quale forniscono truppe anche Benin, Camerun e appunto Niger. Secondo fonti ciadiane citate dall’Agenzia France Presse, gli assalitori hanno
avuto forti perdite e hanno abbandonato armi e
veicoli prima di ritirarsi oltre frontiera, verso la
località nigeriana di Bosso. La France Presse parla anche di vittime civili. Nell’area di Bosso sono
in atto anche operazioni dell’esercito nigeriano
NEW YORK, 31. Il presidente del
Burundi, Pierre Nkurunziza, dovrebbe «considerare con attenzione le conseguenze per il Paese
delle sue decisioni alla vigilia delle
elezioni presidenziali» del prossimo 26 giugno. Lo ha detto il Segretario generale dell’Onu, Ban
Ki-moon, in una telefonata allo
stesso Nkurunziza della quale ha
dato notizia ieri il suo ufficio.
Dopo i responsabili della comunità ecclesiale, di organizzazioni
della società civile e persino di alcuni esponenti del partito governativo — oltre ad alcuni soggetti
internazionali — è dunque l’O nu
stessa a contestare l’intenzione di
Nkurunziza di candidarsi a un terzo mandato, in contrasto con l’interpretazione più diffusa sia della
Costituzione sia degli accordi di
pace di Arusha che nel 2000 misero fine alla guerra civile.
Nella telefonata, Ban Ki-moon
ha ricordato appunto «le molte
voci che nella comunità internazionale e nella società civile hanno
chiesto una rigida aderenza alla
lettera e allo spirito degli accordi
di Arusha». Ha inoltre chiesto a
Nkurunziza di far sì che i servizi
di sicurezza «restino imparziali
nel caso di manifestazioni pubbliche», auspicando che le decisioni
del presidente «mantengano il
Burundi sulla strada della pace e
della stabilità».
Già nelle scorse settimane Ban
Ki-moon era intervenuto su vicende politiche burundesi, chiedendo
un’inchiesta approfondita e imparziale sull’aggressione a mano armata della moglie dell’oppositore
ed ex capo guerrigliero Agathon
Rwasa.
Dopo la strage al museo del Bardo
L’impatto della violenza sull’economia latinoamericana
Jihadisti maghrebini minacciano
nuovi attentati in Tunisia
Quanto costa la criminalità
TUNISI, 31. L’ombra del terrore non
si allontana dalla Tunisia: un gruppo jihadista maghrebino che di recente si è allineato al cosiddetto
Stato islamico (Is) ha minacciato
nuove «operazioni dolorose» dopo
l’attentato del 18 marzo al museo
del Bardo di Tunisi, che ha fatto 22
vittime. «L’operazione al museo del
Bardo — si legge in un comunicato
del gruppo, chiamato Brigata Uqba
ibn Nafi — è stata solo un test, che
ha mostrato come sia facile penetrare il vostro sistema di sicurezza.
Molte operazioni dolorose seguiranno, giorno dopo giorno».
Non è ancora stato possibile verificare l’autenticità del comunicato,
che tuttavia è apparso su siti usati
in genere dal gruppo jihadista per i
suoi annunci. Ieri, le autorità tunisine hanno annunciato l’uccisione del
leader del gruppo terroristico, Khaled Chalib conosciuto come Lokman Abu Sakhr, e di otto suoi uomini in un’operazione nella provincia meridionale di Gafsa.
Il leader terrorista era considerato
la mente dell’attacco al museo del
Bardo. La Brigata Uqba ibn Nafi è
nata da Al Qaeda nel Maghreb islamico, ma ne sarebbe uscita di recente per entrare a far parte dell’Is.
Tuttavia non c’è stato finora un vero
e proprio “giuramento di fedeltà” al
sedicente califfo dell’Is, Abu Bakr
Al Baghdadi. Nella Brigata si sarebbero formate fazioni opposte in merito alla questione. La roccaforte di
questo gruppo terroristico tunisino è
sulle montagne Chaambi al confine
con l’Algeria.
Nel frattempo, ieri il museo del
Bardo di Tunisi ha riaperto le porte
al pubblico dopo la strage del 18
marzo. La struttura è stata aperta
eccezionalmente fino alle 16, nonostante il vecchio orario prevedesse il
lunedì come giorno di chiusura. Per
PANAMÁ, 31. L’impatto della violenza prodotta dalla criminalità in
America latina è in crescita e, a oggi, divora il sei per cento del prodotto interno lordo (pil) regionale.
L’allarme arriva dal direttore di analisi economiche della Banca di sviluppo regionale (Caf), Pablo Sanguinetti, che nei giorni scorsi ha
presentato un rapporto dal titolo
«Verso una America latina più sicura» presentata a Panamá.
Secondo lo studio, la criminalità
è la principale preoccupazione del
24 per cento della popolazione latinoamericana. «Esistono costi a carico dei Governi impegnati nel repri-
Abusi nelle carceri
femminili
messicane
Forze antiterrorismo dispiegate a Tunisi (Ansa)
il Ministero della Cultura tunisino
la decisione è stata dettata dalla necessità di far fronte alle continue richieste di visite da parte della popolazione tunisina, di organizzazioni
internazionali e regionali.
La riapertura del Bardo — il museo, inaugurato nel 1888, custodisce
la più ricca collezione di mosaici romani del mondo — giunge all’indomani della marcia contro il terrorismo nella capitale tunisina a cui
hanno partecipato decine di leader
stranieri. A margine della marcia internazionale contro il terrorismo, il
presidente tunisino, Beji Caïd Essebsi, che aveva esortato i suoi com-
patrioti a partecipare in massa alla
marcia, ha inaugurato una stele al
museo del Bardo in memoria delle
vittime dell’attentato.
E un messaggio di solidarietà al
Bardo è giunto anche da Parigi.
«Era necessario partecipare a questa
marcia, i tunisini auspicavano la
presenza della Francia e la Francia
voleva essere al fianco dei tunisini
che sono stati all’origine delle primavere arabe e sono stati vittime di
un atto terroristico odioso» ha detto
ieri il presidente francese, François
Hollande, sottolineando l’importanza di unire le forze nella lotta contro il terrorismo.
CITTÀ DEL MESSICO, 31. La discriminazione contro le donne in
Messico si riflette anche nelle prigioni. In un rapporto la Commissione nazionale dei diritti umani
ha evidenziato le difficili condizioni di vita all’interno delle carceri
femminili, dove sono presenti “regni” governati da criminali che
abusano, praticano estorsioni, obbligano a prostituirsi donne già
costrette a vivere in condizioni degradanti, ammassate in piccoli
spazi, carenti di tutto, dai servizi
igienici al cibo. La Commissione,
che ha esaminato 77 istituti, capaci
di contenere fino a 13.000 donne,
ha denunciato carenze e problemi
che non si riscontrano fra i detenuti maschi. Piaghe già segnalate
in un rapporto del 2013, rimaste,
però senza risposta.
mere e risarcire le vittime della criminalità, ma ci sono anche costi più
indiretti, come accade ad esempio in
alcune località del Messico dove la
criminalità fa sì che la gente non
possa andare al lavoro o a scuola. E
questo è più difficile da misurare»
ha spiegato l’esperto.
La ricerca mostra che negli ultimi
quindici anni il tasso di omicidi in
America latina è aumentato rispetto
ad altre regioni del mondo. Lo studio, in 260 pagine, cerca soprattutto
di individuare i diversi fattori che
stanno alla base del fenomeno. «In
media il tasso di omicidi è fra i 2527 ogni 100.000 abitanti, un tasso
molto elevato» ha rilevato Sanguinetti, facendo notare che in Messico
nel 2006 la media era di dodici
omicidi per 100.000 abitanti, mentre
oggi è salito a 26.
Ma la cosa ancor peggiore è che
la criminalità agisce spesso in contesti già fortemente piegati dalla povertà e dalla miseria. Nella regione
latinoamericana ci sono ancora —
dicono le statistiche della Banca
mondiale — 130 milioni di persone
che vivono con meno di quattro
dollari al giorno, nonostante la crescita economica negli ultimi dieci
anni e gli sforzi per incoraggiare
l’accesso al mercato del lavoro.
Perde consensi il partito
boliviano al Governo
LA PAZ, 31. Nelle elezioni regionali
e comunali di domenica, il Movimento verso il socialismo (Mas),
del presidente boliviano, Evo Morales, è riuscito a mantenere il suo
rango di prima forza politica del
Paese, ma ha perso vari dei suoi bastioni tradizionali. Lo sconfitta più
cocente è stata registrata a El Alto
(la città nei dintorni di La Paz dalla
quale partì nel 2003 la cosiddetta
"guerra del gas"), dove ha vinto
Soledad Chapeton, leader dell’opposizione di origine indigena.
A livello nazionale, il Mas continua, comunque, a controllare il
maggior numero di comuni del
Paese e quattro dei nove dipartimento in cui è diviso il territorio
nazionale, anche se l’impatto politico dei risultati a El Alto (e nella regione di Santa Cruz), ora in mano
all’opposizione, è innegabile.
A El Alto, la città sudamericana
con il più alto tasso di popolazione
indigena, Chapeton (55 per cento
dei voti) ha nettamente battuto il
candidato governativo alla rielezione, Édgar Patana (28 per cento),
trasformandosi nella nuova speranza elettorale per Samuel Doria
Medina, l’ex imprenditore leader
dell’Unità nazionale (di centrodestra). Il vicepresidente, Álvaro
García Linares, ha riconosciuto le
diverse sconfitte locali del Mas, interpretandole, però, come un segno
che «il popolo accompagna ancora
il nostro progetto».
In una nota, García Linares ha
comunque tenuto a precisare che
anche nelle elezioni locali del 2010
il partito di Governo perse circa un
milione e mezzo di voti, ma quattro
anni dopo Morales fu rieletto con
ampia maggioranza.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
Il marxismo fu una sorta
di eresia cristiana
In molti Paesi dopo il 1968
l’ideologia si trasformò
in una singolare religione di Stato
di TOMÁŠ HALÍK
no spettro si aggira
per
l’Europa
–
spettro del comunismo»,
scrivevano
Marx ed Engels nel
rivoluzionario anno 1848. Fortunatamente,
lo spettro del comunismo smise di aggirarsi su e giù per l’Europa nell’Annus
mirabilis 1989.
Il mezzo secolo della dominazione comunista nell’Europa centroorientale può essere suddiviso in
diverse fasi. La prima consisteva
in una sovietizzazione forzata di
quei Paesi nell’immediato dopoguerra. La seconda cominciò dopo le proteste popolari contro i
regimi stalinisti: la rivolta del 1953
nella Ddr, la rivoluzione ungherese e la vittoria del “comunismo
nazionale” di Gomułka in Polonia nel 1956, che implicò l’affermazione della burocrazia statalista nei regimi socialisti, e finì con
la soppressione della Primavera di
Praga nel 1968, quando gli eserciti dei cinque Paesi del Patto di
Varsavia invasero la Cecoslovacchia.
La terza fase fu contrassegnata
da una generale stagnazione in
tutto il blocco sovietico sotto il
regime di Breznev, e si finì nel
1980 con la fondazione del sindacato Solidarność in Polonia. La quarta vide il tentativo di Gorbachev di liberalizzare il regime sovietico introducendo la perestrojka nella seconda metà degli anni Ottanta, e si concluse alla fine del 1989, con
gli sconvolgimenti politici nell’Europa
centro-orientale e il collasso dell’Unione
Sovietica.
La campagna più violenta contro le
Chiese ebbe luogo fino all’anno 1956
quando il terrore rivoluzionario degli anni
Cinquanta si esaurì e il comunismo, invecchiando, mise su un po’ di pancia, l’euforia di una parte della società e la paura e
la rabbia dell’altra furono sostituite da un
diffuso senso di noia. Dopo il 1968, nella
«U
La svolta
degli anni Ottanta
Pubblichiamo la parte iniziale di un intervento
sulla Chiesa di fronte alle sfide degli anni
Ottanta nell’Europa centrale e orientale edito
insieme ad altri contributi pronunciati in
occasione del convegno «La Chiesa e la svolta
degli anni Ottanta e Novanta in Europa centroorientale», che si è svolto in Vaticano il 6
giugno 2014, organizzato dall’ambasciata della
Repubblica di Polonia presso la Santa Sede in
collaborazione con la Pontificia Accademia
delle Scienze nell’anno della canonizzazione di
Giovanni Paolo II. L’autore è un filosofo,
psicologo e sociologo ceco, ordinato sacerdote
clandestinamente nel 1978, Premio Templeton
2014, amico di Václav Havel e stretto
collaboratore del cardinale František Tomášek.
maggior parte dei Paesi comunisti l’ideologia comunista si trasformò in una singolare religione di Stato: curiosamente, nessuno vi credeva, nemmeno i suoi sommi
sacerdoti. Nemmeno la stragrande maggioranza dei funzionari comunisti credeva
più nel marxismo, diventando semplicemente, il più delle volte, dei cinici apparatčiki. Nell’est vi furono molti meno marxisti convinti che nell’ovest; nei Paesi comunisti il marxismo era morto molto prima della caduta del comunismo.
Il marxismo fu una sorta di eresia cristiana. Chesterton definì l’eresia “la verità
impazzita”, una particella della verità che
si è strappata a forza dal proprio contesto
espandendosi e raggiungendo dimensioni
terribili. Il marxismo costituiva un’inversione di sorta dell’escatologia cristiana nello spazio-tempo di un futuro storico che
poteva essere pianificato e realizzato mediante gli interventi rivoluzionari nella
storia.
I comunisti si aspettavano che i cambiamenti della struttura di base dell’economia, come l’eliminazione della proprietà
privata dei mezzi di produzione a favore
di quella sociale, avrebbero automaticamente portato a dei cambiamenti nella
“sovrastruttura” culturale e spirituale, generando un “nuovo uomo socialista”.
L’ideologia marxista dava per scontato
che la religione si sarebbe automaticamente estinta nel momento stesso in cui fossero cambiate le relazioni sociali. Ma quando venne messo in atto l’esperimento della
socializzazione dei processi produttivi, la
rivoluzione nella sovrastruttura non si verificò. Il cristianesimo nella Russia sovietica e, più tardi, nei suoi Stati satelliti, rifiutò di morire. La violenza che i comunisti
cominciarono ad adottare contro le chiese
e contro i credenti fu, in effetti, la dimostrazione pratica del fallimento della loro
teoria. Neanche la violenza fu loro di aiuto. Dopo la caduta del comunismo, alcuni
rappresentanti del liberalismo economico
— molti di loro ex-comunisti — ereditarono
dal marxismo un determinismo economico
primitivo e considerarono il liberalismo
mercoledì 1 aprile 2015
Solidarność e i regimi totalitari
La Stalingrado del comunismo
come “marxismo al contrario”. Si aspettavano, infatti, che dei cambiamenti in direzione opposta nel campo economico, e, in
particolare, la privatizzazione delle aziende industriali, avrebbero automaticamente
cambiato gli atteggiamenti della gente e la
mentalità della società, e che gli “uomini
sovietici” si sarebbero trasformati in persone con tutte le “virtù protestanti” che, secondo Max Weber, stavano alla radice del
capitalismo.
Però è molto più facile fare di un acquario una zuppa di pesce che far tornare
zuppa un acquario pieno di pesci: la creazione di una biosfera morale per la cultura
della democrazia nell’economia e nella politica dei Paesi postcomunisti sembra richiedere dei cambiamenti assai più profondi e cure più complesse di un mero
cambiamento della proprietà o delle relazioni economiche.
Alcune giovani democrazie dei Paesi
post-comunisti affrontano ancora il doloroso attraversamento del deserto. Ricordo
una storia che mi è stata raccontata sugli
indiani che venivano spostati dai colonialisti dai loro insediamenti di origine a
nuovi territori. Prima della fine del viaggio gli indiani chiesero di fare una sosta,
spiegando: «Forse i nostri corpi sono arrivati quasi alla fine del viaggio, ma le nostre anime si trovano ancora nelle nostre
vecchie case. Dobbiamo aspettare le nostre anime». Tutte le volte che ho a che
fare con delle imperfezioni delle democrazie rinate nell’Europa centro-orientale, mi
vengono in mente queste parole. Dobbiamo aspettare le nostre anime. Alla domanda su cosa sarebbe venuto dopo il comunismo, Alexandr Solženicyn una volta rispose: «Un lungo, lunghissimo periodo di
convalescenza».
Nell’Europa orientale si parla molto
della necessità di “venire a patti con il
passato comunista” — e, chiaramente, tale
importante compito deve essere ancora
realizzato. La condanna del comunismo
non è, semplicemente, la questione di portare in giudizio qualche criminale comunista o prendere le distanze a parole dal
passato regime e dalla sua ideologia. Significa, invece, rendere evidenti le “radici
antropologiche del totalitarismo”, e quelle
L’intervento di Pio
XII
forme di comportamento e quei tratti
di carattere degli uomini che permisero al regime totalitario di sopravvivere
così a lungo.
Sono convinto che ciò che tenne il
comunismo al potere non fu la fede
nell’ideologia, e tanto meno l’esercito e
la polizia, ma un patto non scritto tra i
governanti e i governati: se i governati
si dimostreranno indifferenti alla vita
pubblica, se si atterranno alle regole del
gioco, allora il regime non interferirà
mai troppo nelle loro vite private. E allora, lo Stato assicurerà ai cittadini obbedienti un certo grado di sicurezza sociale
e tollererà ogni genere di cose: la scarsa
moralità nel lavoro, le piccole trasgressioni
quotidiane contro la “proprietà del popolo”, e così via. Tale “contratto sociale” segreto formava uno strano tipo di essere
umano, che lo scrittore russo Alexandr Zi-
noviev e il filosofo polacco padre Tischner
definivano homo sovieticus: gente priva di
iniziativa, creatività e senso di responsabilità.
Nel suo celebre saggio Il potere dei senza
potere, scritto nel periodo comunista, Václav Havel parlò di un fruttivendolo che
in concomitanza con ogni anniversario
della rivoluzione d’ottobre esponeva nella
sua vetrina — come era la consuetudine
all’epoca — un manifesto con lo slogan di
Marx ed Engels: «Proletari di tutto il
mondo, unitevi!». Cosa intendeva il fruttivendolo con quel suo gesto? Il fruttivendolo non intendeva proclamare nulla sui
lavoratori e sulla loro unità. Ciò che il
fruttivendolo stava dicendo ai suoi superiori, piazzando lo slogan tra cipolle e carote, era: “io sono un cittadino leale e non
un agitatore. Lasciatemi in pace! Sono
uno di quelli che partecipano regolarmen-
Una pubblicazione per il venticinquesimo anniversario della fondazione del sindacato
te alle elezioni in cui il Partito Comunista
riceve regolarmente il suo 99,9 per cento
dei voti. Il regime può contare su di me
quando ha bisogno di mostrare l’immagine delle masse unanimi e contente”.
In realtà fu questo il segreto della stabilità dei regimi comunisti. In quel clima di
costante mutuo inganno e paura, l’unica
persona davvero pericolosa era chi, come
il bambino della favola sulle nuove vesti
dell’imperatore, inaspettatamente affermasse la verità: che l’imperatore era nudo.
Ricordo il potere liberatorio dei testi di
Havel: c’erano le parole che svelavano la
vera natura della nostra realtà quotidiana,
nascosta dietro la neolingua della propaganda. Il gioco del sotterfugio venne
scompigliato dal fatto che le sue regole
non scritte furono scoperte e rivelate. Le
parole acquisirono il potere della luce e
diventarono l’arma della luce, il potere di
chi non ha potere. Il coraggio di affermare la verità, di chiamare le cose con il loro
nome “dicendo pane al pane” fu anche
l’arma più potente della Chiesa nella sua
lotta contro i regimi totalitari comunisti.
La Chiesa cattolica dell’intero blocco sovietico ricevette un fortissimo incoraggiamento quando l’arcivescovo di Cracovia,
cardinale Karol Wojtyła, fu eletto Papa
nell’ottobre del 1978. La prima visita del
Papa polacco nella sua patria, nel giugno
del 1979, mostrò a tutto il mondo la vitalità della Chiesa polacca e il totale fallimento dell’ideologia comunista. Il clima psicologico di quella visita diede un forte stimolo al movimento di Solidarność.
Durante il periodo comunista la Polonia aveva conosciuto diverse proteste di
intellettuali e studenti, e vari moti dei lavoratori. Il regime era sempre riuscito a
far prontamente fronte a entrambi i tipi di
protesta: gli intellettuali e gli studenti non
rappresentavano le masse e quindi, politicamente, non costituivano nessuna forza
reale. Quanto ai capi dei lavoratori, in generale non riuscivano mai a formulare le
loro rivendicazioni politiche con sufficiente chiarezza, né negoziare con i funzionari
del regime; spesso si accontentavano di
parziali promesse sociali o misure a breve
termine. Gli intellettuali dell’opposizione
e i lavoratori scontenti avevano bisogno di
incontrarsi e unire le forze, e ora la necessaria piattaforma veniva offerta dalla Chiesa. Con il supporto morale e logistico della Chiesa nacque un movimento di massa,
con i leader dei lavoratori chiaramente
identificabili e i loro consiglieri politici
provenienti dai ranghi degli intellettuali
dell’opposizione. Uno degli intellettuali
padri di Solidarność era un prete e filosofo, padre Tischner, amico intimo del Papa.
Per la storia del comunismo, la nascita di
Solidarność significa ciò che la battaglia
di Stalingrado aveva significato per il nazismo.
in favore degli ebrei perseguitati nei diari di quattro monasteri femminili romani
Lo vuole il Papa
È Pio XII a chiedere di nascondere gli ebrei tra l’ottobre del
1943 e il giugno del 1944, durante i terribili mesi dell’occupazione nazista di Roma. Lo
testimoniano le cronache di
quattro monasteri femminili romani e lo racconta il docu-film
Lo vuole il Papa di Antonello
Carvigiani (regia di Andrea
Tramontano, postproduzione di
Giuseppe Pasqual) in onda su
Tv2000 mercoledì 1 aprile.
«In tale frangente ebrei – fascisti – soldati – carabinieri e
borghesi, cercano rifugio negli
istituti religiosi; che con grave
pericolo, aprono le porte per
Una pagina della cronaca del monastero dei Santi Quattro Coronati
salvare vite umane. È questo il
desiderio espresso, ma senza
obbligo dal Santo Padre Pio
XII». Nel registro della cronaca
del Monastero di Santa Maria
dei sette dolori — a Trastevere
— l’indicazione è riportata in
modo esplicito. Lo scrivono,
nel 1944, le religiose. Per la prima volta questa cronaca viene
raccontata. Così come per la
prima volta vengono mostrate a
una telecamera le note storiche
del Monastero di Santa Susanna e dell’Istituto di Maria
Bambina. A questi tre documenti si aggiunge, poi, la cronaca, più conosciuta, del Monastero dei Santi Quattro Coronati.
Le memorie conservate nelle
quattro case religiose romane
vengono racchiuse in un unico
percorso storico e narrativo.
Dalla loro lettura si ricompone
un quadro delle vicende che
appare chiaro. Chi vuole l’aper-
tura delle case religiose, anche
delle clausure, è Pio XII.
Nel docu-film sono contenute anche le testimonianze di alcune religiose che hanno raccolto le memorie orali delle loro consorelle che vissero quei
terribili avvenimenti. Particolarmente significative le parole di
suor Roberta Cappiotti, priora
del monastero cistercense di
Santa Susanna. Originaria di
Verona, si trova nel monastero
romano dal 7 dicembre del
1950. Suor Roberta nel docufilm racconta: «Quando sono
entrata qui nel monastero di
Santa Susanna le madri di allora, madre Aleyde De Conti, abbadessa, madre Beatrice Paoletti, priora, madre Zarus Elisabetta, maestra delle novizie, ci
raccontavano — e ho sentito io
con le mie orecchie — che durante la guerra Pio XII aveva
dato ordine a tutti i superiori
di aprire le porte della sacra
Registro del monastero
di Santa Maria dei Sette dolori
clausura per salvare, far entrare
più persone possibili, tra le
quali, soprattutto, gli ebrei».
Importanti anche le testimonianze di due persone —
all’epoca ragazzi — salvate in
questi monasteri, che raccontano cosa hanno sentito e che
idea si sono fatta sulla decisione di accoglierli.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 1 aprile 2015
pagina 5
Marc Chagall, «I figli d’Israele mangiano
l’agnello della Pasqua» (1931)
La cena pasquale di Marc Chagall
Settimana santa in Sicilia
Cronache
di anime azzurre
di LAURETTA COLONNELLI
arc Chagall. Il pittore
degli innamorati che
volano allacciati nel
cielo. Che rovesciò i
colori fino a farli sembrare «vino che zampilla dalle mie tele». Che di notte sognava creature alate scendere attraverso il soffitto nella
sua stanzetta tra bagliori e tuoni in un
turbine di nuvole. Che realizzò anche:
diciassette quadri a olio dedicati a episodi della Bibbia da lui ritenuti essenziali; novantanove pastelli con i bozzetti per questi quadri; centocinque incisioni; alcune crocifissioni in cui Cristo ha i fianchi cinti dal talled, lo scialle ebraico per la preghiera. In tutto,
quattrocentocinquanta opere ispirate
alle Sacre Scritture. L’artista ebreo, nato nel povero villaggio di Vitebsk in
Bielorussia, volle riunire nell’arte la
tradizione ebraica e quella cristiana, il
Nuovo e il Vecchio Testamento. Dipinse Cristo sulla croce con le sem-
M
Lo sconcerto non è provocato
dall’annuncio del tradimento
ma da quanto succede
all’esterno del piccolo cenacolo
bianze di un rabbino, come aveva già
fatto Rembrandt tre secoli prima. Nella Crocifissione bianca, dipinta nel 1938,
Cristo è il figlio di Jahvè che incarna
la sofferenza del popolo di Dio, quasi
una premonizione delle atrocità che
sarebbero state commesse nei mesi e
negli anni successivi. Intorno alla croce ruotano il villaggio ebraico distrutto
dai pogrom, la sinagoga incendiata,
l’Ebreo errante che fugge nella notte
con il sacco sulle spalle, il fuoco bianco che divora i rotoli della Legge, le
case rovesciate a indicare il capovolgimento del mondo, un’orda di guerrieri
Festa
della malinconia
che avanza, uomini che fuggono in
barca per sottrarsi all’orrore, un poveruomo che porta al collo un cartello
con su scritto Ich bin Jude. Nel cielo
sopra la croce, gemono gli antichi profeti e con le mani si coprono gli occhi,
per non vedere quel caos doloroso. Diceva Chagall: «Se gli uomini volessero
leggere con più attenzione la parola
dei profeti, vi troverebbero le chiavi
per la vita».
Come intitolò Chagall la sua cena
pasquale?
La intitolò I figli d’Israele mangiano
l’agnello della Pasqua. Nel quadro, oggi
al Museo di Nizza, sette commensali
vestiti di nero sono riuniti dentro una
stanza che affonda nell’oscurità, rischiarata solo dal bianco abbagliante
della tovaglia. Al centro, il vassoio con
l’agnello intero, la cui carne non sembra arrostita, ma appena scuoiata, ancora sanguinolenta. Due piatti con gli
azzimi. Due calici di vino rosso. Un
gran movimento di mani che ricordano
la gestualità drammatica delle mani
degli apostoli dipinte cinque
secoli prima da Leonardo.
Qui lo sconcerto non è provocato dall’annuncio del tradimento, ma da quanto succede all’esterno del piccolo
cenacolo. Un angelo bianco
con la spada sguainata passa
volando a gran velocità nel
cielo notturno sopra il tetto.
In lontananza, i corpicini
nudi e imbrattati di sangue dei primogeniti egiziani precipitano giù dalle
mura di una città. I commensali sembrano consapevoli di quanto sta accadendo. L’ultimo a destra, con
un’espressione di angoscia, si è alzato
per scrutare dalla piccola finestra nel
buio cupo della notte. Lo spazio architettonico della stanza ricorda quello
dei cenacoli di Giotto e di Lorenzetti,
ma senza raffinatezze architettoniche
trecentesche. Chagall è tornato alle
origini: una stanza con le pareti di legno e il tetto di paglia, aperta sul davanti, come il capanno che nel me-
di MELO FRENI
C
dioevo accoglieva gli attori delle sacre
rappresentazioni.
Chagall conosceva Giotto?
Nel libro La mia vita, scritto tra il
1921 e il 1922, aveva raccontato: «Avete
mai visto, nei quadri dei maestri fiorentini, uno di quei personaggi con la
barba mai cimata, dagli occhi bruni e
a un tempo cinerini, dal colorito
d’ocra cotta e coperto di pieghe e di
rughe? È mio padre».
Che cosa rispondeva Chagall a chi
gli chiedeva se la fede religiosa fosse
necessaria per l’artista?
«L’arte, in generale, è un atto religioso. Ma sacra è l’arte creata al di sopra degli interessi: gloria o altro bene
materiale. L’arte mi sembra essere soprattutto uno stato d’animo. Forse la
mia arte è un’arte insensata, un mercurio cangiante, un’anima azzurra che
precipita sopra i miei quadri».
Anticipazione
Anticipiamo uno stralcio dal volume La tavola di Dio. L’Ultima cena.
Cosa mangiarono Gesù e gli apostoli e che cosa gli hanno fatto mangiare i
pittori di tutti i tempi. Quadri, ricette, Inferno, Paradiso, nelle librerie dal
2 aprile (Firenze, Edizioni Clichy, 2015, pagine 250, euro 15). L’autrice,
giornalista all’«Europeo» e dal 1996 alla sezione culturale del «Corriere
della Sera», avvia un percorso tra arte, cibo, storia e fede procedendo
per domande e risposte tra le numerose rappresentazioni dell’ultima
cena, dai cenacoli fiorentini a Leonardo, da Giotto a Veronese, da Marc
Chagall a Andy Warhol. In quale salsa Gesù intinse il boccone che
offrì a Giuda? A che ora ebbe inizio l’ultima cena? Chi la cucinò?
Pesce, agnello o maiale? Arrosto o bollito? Vino bianco o vino rosso?
Quesiti affrontati assieme ad approfondite analisi delle opere.
Memoria degli eventi
Orologio della passione
di MAURO PAPALINI
Nei secoli, la passione di Gesù è stata al centro
della vita spirituale dei fedeli; questo ha dato
luogo a una grande quantità di pratiche devozionali che avevano come oggetto la meditazione
sui singoli avvenimenti. Quella oggi più nota è
la Via crucis. Ma una pratica di cui ormai si sono perse le tracce era il cosiddetto “O rologio
della passione”: la memoria degli eventi veniva
distribuita nelle ventiquattro ore.
Per ricostruirla occorre tener conto che,
all’epoca, si credeva che Gesù Cristo fosse morto
venerdì 25 marzo, in pieno periodo equinoziale
— quando giorno e notte hanno la stessa durata
— e che nell’orario cosiddetto italiano, in uso fino alla metà del XIX secolo, il conteggio delle
ore iniziava dal tramonto: ovvero, in quei giorni,
alle sei pomeridiane.
Salvador Dalì, «La persistenza della ragione» (1931)
omincia tutto il Giovedì santo. Le
chiese sono aperte e dentro le chiese i sepolcri sono nuvole di veli e di
organze trapunti di fiori come stelle, per una scenografia che difficilmente farebbe pensare a un preludio di morte.
C’è tutto, infatti, per la rappresentazione di un
trionfo come soltanto la morte di Cristo può
ispirare.
Quello della Passione in Sicilia non ha nulla
di altri trionfi immortalati, ad esempio, da grandi pittori, come Bruegel o Dürer. Il suo trionfo
in Sicilia porta il nome di Antonello da Messina, i cui Calvari hanno l’impronta della sua nativa mediterraneità, apertamente dichiarata con
lo sfondo del mare nella raffigurazione di un
paesaggio rasserenante, che assorbe il pathos di
un sentimento che parte da lontano.
I greci si erano fatti portatori di un’inquietante consapevolezza della morte, gli arabi, poi, vi
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori ne dà una versione in una tavola posta all’inizio della sua opera L’amore delle anime (1751). Il soggetto, naturalmente, è Gesù. «Ora 1: Licenziatosi da Maria, fa
la cena. Ore 2: Lava i piedi agli apostoli, ed istituisce il Santissimo Sacramento. Ore 3: Fa il sermone, e va all’orto. Ore 4: Fa orazione nell’orto.
Ore 5: Si mette in agonia. Ore 6: Suda sangue.
Ore 7: È tradito da Giuda, ed è legato. Ore 8: È
condotto ad Anna. Ore 9: È menato a Caifas, e
riceve lo schiaffo. Ore 10: È bendato, percosso, e
schernito. Ore 11: È condotto al concilio, e chiamato reo di morte. Ore 12: È portato a Pilato, e
accusato. Ore 13: È schernito da Erode. Ore 14:
È ricondotto a Pilato, e posposto a Barabba.
Ore 15: È flagellato alla colonna. Ore 16: È coronato di spine, e mostrato al popolo. Ore 17: È
condannato a morte, e va al Calvario. Ore 18: È
spogliato e crocifisso. Ore 19: Prega per li crocifissori. Ore 20: Raccomanda lo spirito al Padre.
Ore 21: Muore. Ore 22: È ferito colla lancia. Ore
23: È schiodato, e consegnato alla Madre. Ore
24: È seppellito e lasciato nel sepolcro».
L’ora 1 corrisponde alle attuali 7 di sera, le ore
2 alle 8 e così via, mentre le ore 24 corrispondono alle sei pomeridiane del Venerdì santo.
Come si può notare, sant’Alfonso, salvo il congedo da Maria, rispetta i testi evangelici anche
nella compatibilità degli orari: dall’ultima cena
dopo il tramonto, alla crocifissione alle ore 18
italiane, cioè a mezzogiorno, fino alla morte in
croce alle 21, cioè alle tre pomeridiane. A proposito di ciò il frate minore francescano Cherubino
da Roma, a metà del XVIII secolo, così argomentava: «Da qui è che nostro Signore Gesù Cristo
spirò in croce per nostro amore circa le ore 21;
essendo avvenuta la sua morte ai 25 di marzo,
quando sona il mezzo dì alle ore 17 e mezza; e la
metà del tempo tra mezzo giorno e tramontare
del Sole cade sulle 21, che appunto era l’ora di
Nona, in cui abbiamo dal Vangelo ch’egli spirò».
Per fra’ Cherubino il mezzogiorno suonava alle
17.30 perché usa l’orario italiano Ab Avemaria,
mezz’ora indietro rispetto a quello A solis occasu
cui fa riferimento sant’Alfonso.
A questo schema venivano aggiunte per ogni
ora preghiere, affetti — brevi preghiere in cui si
esprimevano sentimenti di affetto e di amore a
Gesù — riflessioni e discorsi, formando così interi
libri; un esempio significativo è nel 1718 l’opera
in due volumi del cappuccino Simone da Napoli
Horologio della Passione di Gesù Cristo secondo le
24 hore, nelle quali la patì, per eccitare ne’ cuori de’
fedeli gratitudine, amore, ed imitazione; distinto in
discorsi istorici, discorsi riflessivi, ed affetti meditati-
Si credeva che Gesù fosse morto
venerdì 25 marzo in pieno periodo equinoziale
Quando giorno e notte hanno la stessa durata
vi. La devozione all’orologio della passione continuò anche quando l’orario italiano cadde in disuso. Ne abbiamo un esempio in un’opera scritta
dalla mistica serva di Dio Luisa Piccarreta (18651947), discepola e penitente di sant’Annibale Maria Di Francia: Le ore della passione di Nostro Signore Gesù Cristo (1921). Si tratta di un’opera di
taglio mistico e non devozionale come quella di
sant’Alfonso; qui la scansione delle ore è quella
attuale. Nella pia donna pugliese oltre all’accento posto sulla durata delle singole ore è interessante la disposizione e la concatenazione degli
eventi, leggermente diversa da quella di sant’Alfonso. L’Orologio della passione non era tra le
pratiche più diffuse, ma certamente oggi sembra
la più originale.
Antonello da Messina, «Crocifissione» (1475, particolare)
lasciarono l’impronta della loro malinconia: la
malinconia e la morte, o meglio la malinconia
della morte, che nella sua tragicità emerge il Venerdì santo, giorno che pur nella mestizia diventa il cardine della ricorrenza pasquale, da
quando gli anni pomposi della Spagna lo rimossero dagli oscuri cordogli medievali per
consegnarlo alla sua solennità.
Monaci e frati salgono ancora i pulpiti con la
foga ammonitrice dei loro sermoni, ma al termine delle omelie, di lì a poco, per le strade, le
folle rinnovano la festa di una composta malinconia che è connaturata al proprio sentimento,
quello di un popolo storicamente senza pasque
e senza resurrezioni. Tutto si ferma lì, al Venerdì santo.
Ecco le frotte dei diavoli vestiti di rosso che
rotolano per falde e dirupi, le processioni, anche notturne, delle vare con la rappresentazione
dei misteri che resistono allo sfarzo delle luci e
dei fiori, dei frutti più saporiti della terra che
copiosamente le arricchiscono; ecco le schiere
dei giudei che battono le lance a guardia del sepolcro e la mestizia delle musiche e dei cori per
il copione più suggestivo e spontaneo di un teatro che attinge pure al repertorio classico della
Passione, per cui il Vexilla Regis prodeunt di Venanzio Fortunato (VI secolo) diventa “'a Visilla”
lancinante dei “cantàri”; e quella Virgo dolorosa
sul cui passo si snodano le lamentazioni delle
madri ammantellate, prefiche spontanee che
continuano a piangere sul destino dei propri figli sventurati.
La morte e le morti. Ma soltanto quella di
Cristo ha un valore paradigmatico e non a caso
per il sindacalista ucciso il poeta cantava: «Era
l’amuri lu sò capitali / e ‘sta ricchizza a tutti la
spartiva / Turiddu Carnevali numinatu / e comu a Cristu murìu ammazzatu».
Sono tanti i drammi che si fondono, è il sentimento più antico della morte. È il dramma anche teatrale della Grecia che ritorna per una
platea di strade e di balconi, di folle mute, assiepate lungo i marciapiedi. Ecco perché mentre
dovunque il mondo cristiano celebra la Passione
in funzione della Pasqua che sopravviene, nei
cuori dell’isola la festa si ferma all’alba di Parasceve, al Venerdì santo, che fissa nella commossa fantasia l’immortalità della morte; e ne scansa
l’oblio a confronto dell’ignominia di altre morti
che ricorrono, atroci, a oltraggiare il senso sacro
e redentivo della fine.
«Ad un passo dalla gioia»: intanto che ai piedi delle Crocefissioni di Antonello, la figurazione
di teschi e di civette, di vermi e di serpenti, ristabilisce il senso del destino, ineluttabile oltre
la serenità dei paesaggi: è il trionfo della malinconia mentre scorrono le processioni dei misteri.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 1 aprile 2015
Di fronte alla sciagura della Germanwings
In silenzio
con la luce della fede
Chiesta l’istituzione di una commissione per fare luce sulla strage di Youhanabad
Verità
sulle violenze in Pakistan
LAHORE, 31. Mentre è salito a venti
il numero delle vittime della strage
di Youhanabad, leader politici e religiosi chiedono al Governo pakistano del Punjab di istituire al più presto un’apposita commissione d’inchiesta sulla strage, che si occupi sia
dell’attentato terroristico del 15 marzo scorso alle due chiese cristiane,
sia di individuare i responsabili del
linciaggio seguito al massacro,
quando la folla ha ucciso due sospetti terroristi.
Alcuni leader cristiani — riferisce
Fides — hanno rimarcato presso le
autorità la negligenza nel prevenire
la violenza terrorista e i tumulti seguiti. Rabbia e frustrazione sono
cresciute a causa dell’impunità che
si registra in numerosi casi di violenze. «Il governo deve occuparsi di
più dei cristiani e delle minoranze
religiose», soprattutto ora che la
gente sta gradualmente tornando a
Youhanabad, ha spiegato Joseph
Nadeem, responsabile della “Renaissance Education Foundation”, che si
occupa dell’istruzione di famiglie
povere. «La polizia sta rilasciando
molti arrestati e la situazione ora è
tranquilla» ha proseguito. «Speriamo di vivere una Pasqua serena e
pacifica».
Secondo Ataurehman Saman,
membro della commissione giustizia
e pace «la nazione ha pagato un tributo di sessantamila vite per il terrorismo e l’estremismo religioso. Nel
mondo considerano il Pakistan un
covo di terroristi.
La sola via di salvezza è garantire
sicurezza alla gente innocente e porre fine a una politica di diniego o di
copertura dei mali del Paese». Anche l’arcivescovo di Lahore, monsignor Sebastian Francis Shaw, nei
giorni scorsi aveva affermato che è
una sfida per tutti i pakistani far
sentire la propria voce contro gli attacchi che minano la possibilità di
vivere in pace».
BERLINO, 31. Dio si nasconde anche nel silenzio e nell’inspiegabilità
di una sciagura aerea. Nell’orizzonte della fede cristiana, la mano di
Dio si può scorgere anche dietro
l’apparente ineluttabilità della morte legata a una tragedia segnata
dalla debolezza umana e dalla fragilità di un’organizzazione che si
riteneva perfetta. Questi i sentimenti con cui le comunità cristiane
tedesche in questi giorni sono tornate a interrogarsi sul dramma
dell’aereo della Germanwings, precipitato la scorsa settimana sulle
Alpi francesi.
La Germania ricorderà le vittime
del volo con una cerimonia funebre
nel duomo di Colonia, il prossimo
17 aprile. Tuttavia, in molte diocesi
del Paese i presuli hanno colto
l’occasione delle celebrazioni d’inizio della settimana santa per approfondire la riflessione e dare conforto ai fedeli. «Le immagini orribili di questo incidente aereo, le
ipotesi sconvolgenti e i pensieri riguardo a ciò che le azioni di un
uomo hanno causato, con la morte
di 150 persone, ci accompagnano»,
ha detto il cardinale arcivescovo di
München und Freising, Reinhard
Marx, pensando soprattutto al dolore dei parenti delle vittime. In
questi casi molti si domandano come ci possa essere consolazione, e
nell’omelia pronunciata domenica
scorsa presso la Frauenkirche di
Monaco, il cardinale ha sottolineato come proprio «Gesù stesso è il
sollievo, l’espiazione, la riconciliazione e la guarigione, Dio che si
mette lui stesso in gioco».
Alla sciagura aerea e alle sue
particolarissime circostanze ha fatto
cenno anche il cardinale arcivescovo di Colonia, Rainer Maria Woelki: «C’è spazio per l’indignazione e
il reclamo verso Dio se un uomo
ha inflitto questo dolore infinito a
così tante persone». Analoghe le riflessioni espresse dal vescovo di
Münster, monsignor Felix Genn, il
quale ha ammesso di non poter rispondere «alla domanda del perché, anche se alcuni si aspettano
delle parole da me come vescovo».
Tuttavia, il presule ha sottolineato
come la fede in Dio sia di aiuto
proprio laddove l’uomo con le sue
forze non trova più risposte: «Si
ama Dio e si può anche urlare il
dolore». Parole, sentimenti, interrogativi risuonati anche nel pomeriggio di ieri, lunedì, a Santa Maria
dell’Anima, la chiesa della comunità tedesca a Roma, dove una celebrazione ecumenica è stata promossa su iniziativa delle ambasciate di
Germania, Francia e Spagna presso
la Santa Sede. Delle storie di generosità e di profonda dignità delle
famiglie delle vittime del disastro
parla, in un colloquio con l’agenzia
Sir, il vescovo della diocesi francesce di Digne, Jean-Philippe Nault.
«In questi momenti non è tanto
importante dire qualcosa ma esserci. Essere presenti, nel silenzio. Essere una presenza di amicizia, di
preghiera, di Chiesa. E se qualcuno
non aveva la forza di pregare, noi
lo abbiamo fatto al loro posto», ha
detto.
Iniziativa dei leader cristiani e islamici
Conferenza interreligiosa permanente
per il Libano
BEIRUT, 31. I leader religiosi musulmani e cristiani del Libano
hanno deciso di dare vita a una
conferenza permanente con riunioni trimestrali nella quale verranno affrontate le principali questioni che riguardano la vita del
Paese. La decisione è stata presa
nel corso del summit interreligioso
che si è tenuto presso la sede patriarcale maronita di Bkerké.
Ragione dell’incontro era l’analisi della situazione di stallo politico venutasi a creare da tempo in
Libano, per la quale i leader religiosi stanno cercando nuove stra-
tegie di uscita. I partecipanti al
summit si sono trovati d’accordo
nell’assicurare il sostegno incondizionato e totale alle forze armate
nell’affrontare infiltrazioni e minacce terroristiche e appunto nel
rendere permanente questo organo
di consultazione. Hanno poi ribadito la loro preoccupazione per la
mancata elezione di un presidente
della Repubblica, essendo convinti
che lo stallo continui a rappresentare una minaccia per tutto il Paese. La carica presidenziale è vacante dal maggio 2014.
L’ex ministro pakistano per le minoranze Paul Bhatti
Nella lotta all’analfabetismo
Allo studio del Wcc
A Port-au-Prince
Serve parlare
al cuore dei giovani musulmani
I copti
con il Governo
egiziano
Manuale
per il dialogo
ecumenico
Comunità religiose ad Haiti
nel mirino della criminalità
IL CAIRO, 31. Il dipartimento dei
servizi e delle attività sociali della
Chiesa copta ortodossa ha sottoscritto nei giorni scorsi al Cairo il
protocollo di collaborazione al
progetto
nazionale
di
lotta
all’analfabetismo predisposto dal
Governo egiziano.
Il protocollo — riferisce l’agenzia Fides — è stato firmato presso
la residenza patriarcale, alla presenza del patriarca Tawadros II e
del vescovo Yoannis, responsabile
delle iniziative sociali ed assistenziali della Chiesa copta ortodossa.
All’atto della firma hanno presenziato anche rappresentanti politici
e accademici particolarmente coinvolti nei programmi di istruzione
a vantaggio della popolazione
adulta analfabeta.
Stando ad alcuni dati, il Paese
arabo con il più alto numero di
analfabeti è proprio l’Egitto, dove
la percentuale di chi non sa né
leggere né scrivere varia, secondo
stime approssimative, dal settanta
per cento al cinquanta per cento
per le donne e dal quaranta per
cento al venticinque per cento per
gli uomini.
Secondo l’Organizzazione per
l’Educazione, la Cultura e le
Scienze
della
Lega
Araba
(Alecso), ci vorranno tra i venti e i
venticinque anni per debellare il
fenomeno dell’analfabetismo nel
mondo arabo, e in particolare in
Egitto, considerando il ritmo di
progresso fino a ora registrato, che
è pari al solo uno per cento
annuo.
GINEVRA, 31. Si sa che le parole
sono importanti. Per affrontare
e soprattutto superare al meglio
le incomprensioni che molto
spesso si generano anche nello
svolgersi del dialogo ecumenico
e interreligioso, un gruppo di
studiosi e di teologi sta mettendo a punto una miniguida.
L’iniziativa è del World Council of Churches (Wcc) che vuole in questo modo aiutare i leader e i membri delle varie comunità religiose a utilizzare la
giusta terminologia e le corrette
definizioni nel corso dei loro
colloqui.
La guida naturalmente dovrebbe offrire anche numerosi
suggerimenti ed esempi sulle
metodologie da applicare e le
problematiche attuali riguardanti il dialogo ecumenico e
anche quello interreligioso.
Il gruppo di lavoro incaricato dal World Council of Churches è composto da persone
che operano a stretto contatto
con la commissione Fede e costituzione e con il Programma
per il dialogo interreligioso e la
cooperazione della stessa organizzazione ecumenica.
La decisione di realizzare la
guida è stata presa durante un
incontro che si è svolto nei
giorni scorsi presso il Centro
ecumenico di Bossey, in Svizzera. Il vademecum dovrebbe essere completato e reso disponibile entro il prossimo mese di
settembre.
LISBONA, 31. «L’eliminazione della
violenza contro i cristiani dipende
dalla capacità di arrivare al cuore
della comunità musulmana, in
particolare dei giovani». È quanto
ha affermato nel corso di un’intervista all’agenzia portoghese Ecclesia, Paul Bhatti, ex ministro pakistano per le minoranze e fratello
di Shahbaz, ucciso durante un attentato nel 2011. Bhatti ha preso
parte a un convegno organizzato a
Lisbona. «Più che combattere la
legge sulla blasfemia — ha sottolineato Bhatti — il Pakistan ha privato innumerevoli cristiani della
loro libertà. Dobbiamo lottare
contro un’ideologia che sfrutta e
distorce la legge islamica per trarre il proprio beneficio». Secondo
Bhatti, le impostazioni radicali
dell’islam spesso vengono inculcate già in età infantile. «Poi — ha
spiegato — questi bambini crescono con l’odio e sono anche pronti
a uccidere o a morire in nome della religione. Questo è il grande
problema. Per ovviare a questa situazione — ha concluso — occorre
sensibilizzare le comunità locali e
mobilitare i musulmani moderati».
PORT-AU-PRINCE, 31. Una sorprendente ondata di attacchi contro le comunità religiose si registra, a partire dal mese di novembre scorso, ad Haiti. È quanto segnala Luis Badilla su ilsismografo.blogspot.it in un articolo nel
quale si spiega che in totale sino
ad oggi le comunità religiose attaccate (conventi, case religiose,
centri pastorali...), maschili e femminili, sono ventisette e il numero
di azioni violente ormai sono almeno trentanove. Nella totalità
degli attacchi i malviventi hanno
chiesto sempre dei soldi, portando
via anche qualsiasi cosa abbia un
valore nel mercato delle ricettazioni. In moltissimi casi questi furti
con scasso sono stati violenti, con
uso d’arma da fuoco, con pestaggi
e altre azioni intimidatorie. Una
religiosa è morta in sala operatoria
mentre veniva operata in seguito a
un trauma subìto nel corso di un
assalto al convento e un’altra è in
coma da alcune settimane a seguito delle percosse.
Buona parte delle violenze si
sono registrate nella capitale,
Port-au-Prince, e nei dintorni, ma
anche in altre città del Paese si verificano episodi simili. Membri
del clero hanno denunciato a più
riprese quest’ondata criminale dalle frequenze di radio emittenti cattoliche e in diverse occasioni numerosi fedeli hanno protestato in
piazza, ma per ora nulla sembra
essere stato chiarito da parte delle
autorità che non sono in grado di
fornire informazioni. Fra le notizie
che circolano, ma che sono ancora
da verificare, anche diversi casi di
stupri effettuati su religiose da
parte dei malviventi. Come evidenziato nei giorni scorsi anche
dall’«Osservatore Romano», il
Paese, ancora segnato dalla distruzione causata dall’ultimo terremoto, è alle prese con un’escalation
generalizzata della criminalità. Le
statistiche evidenziano, fra l’altro,
una
crescita
costante
degli
omicidi.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 1 aprile 2015
pagina 7
Nel tempo pasquale una pedagogia di maturazione cristiana
Guardando
all’albero della vita
di ANGELO AMATO
È appropriata e teologicamente opportuna l’immagine di copertina di
questo bel volume del cardinale
Müller intitolato La Croce è Vita. Si
tratta, infatti, del mosaico absidale
risalente al secolo XII presente nella
basilica di San Clemente a Roma.
Riproduce la Croce come albero della vita. È il trionfo della Croce, mistero centrale della fede cristiana. La
croce fiorisce su un verde e lussureggiante cespo di acanto, dal quale si
dipartono numerosissimi girari che si
estendono in tutte le direzioni, con i
loro fiori e i loro frutti.
Spiega a tale proposito il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, che pone questa immagine come commento ideale al Credo: «La
vitalità di questa pianta è data dalla
croce di Gesù, il cui sacrificio costituisce la ricreazione dell’umanità e
del cosmo. Gesù è il nuovo Adamo
che, con il mistero della sua passione
e morte, fa rifiorire l’umanità, riconciliandola col Padre».
Sui bracci della croce sono disposte dodici bianche colombe, che rappresentano i dodici apostoli, anch’essi partecipi della croce, anch’essi martiri come Gesù, anch’essi testimoni del Vangelo fino al dono supremo della vita. Ai piedi della croce, in atteggiamento raccolto di preghiera, c’è Maria, la madre, l’Addolorata: Stabat Mater dolorosa iuxta
crucem lacrimosa. Nel prefazio della
messa della Presentazione del Signore viene ben chiarita la presenza e
l’associazione di Maria alla croce di
Gesù con queste parole: «Un solo
amore associa il Figlio alla Madre,
un solo dolore li congiunge, una sola volontà li sospinge: piacere a te
Padre, unico e sommo bene».
Il mosaico di San Clemente menziona anche il Padre. Infatti in alto,
Il trionfo
della Croce
Pubblichiamo,
quasi integralmente, l’intervento
che il cardinale prefetto
della Congregazione
delle Cause dei Santi
ha tenuto ieri, lunedì 30,
a Roma, in occasione
della presentazione del libro
La Croce è Vita. Meditazioni
sulla Passione e sulla Pasqua
di Gesù (Milano, Edizioni Ares,
2015, pagine 143, euro 14),
scritto dal cardinale prefetto
della Congregazione
per la Dottrina della Fede,
Gerhard Ludwig Müller.
sulla croce, si vede la mano del Padre, che offre una corona di gloria al
Figlio obbediente, vittorioso sulla
morte con il suo mistero pasquale.
La nascita di Gesù, il suo apostolato
terreno e la sua morte in croce fanno
parte del disegno redentivo del Padre, condiviso pienamente dal Figlio
nella carità dello Spirito Santo.
Nel mosaico, oltre a Maria, ai piedi della croce, c’è anche Giovanni, il
discepolo prediletto. La loro presenza è fondata sul quarto Vangelo, in
cui si legge: «Gesù, vedendo la madre e lì accanto il discepolo che egli
amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da
questo momento il discepolo la prese nella sua casa» (Giovanni, 19, 2627).
Notiamo ancora che alla base di
questa rigogliosa pianta di acanto
c’è un piccolo cervo, che combatte il
serpente del male. Inoltre dalla
pianta che sostiene la croce scaturisce una sorgente di acqua zampillante, che dà origine a quattro ruscelli,
simbolo dei quattro vangeli, ai quali
si dissetano i fedeli, come fanno i
cervi alle sorgenti di acqua viva. In
conclusione, nel mosaico clementino
la Chiesa viene rappresentata come
un giardino fiorito vivificato dalla
croce di Gesù, vero albero della vita.
Imitando il loro divino Maestro,
tutti i santi hanno abbracciato con
amore il legno della croce per attingervi forza e fedeltà nella sequela di
Gesù. Alcuni, come san Francesco
d’Assisi o san Pio da Pietrelcina,
hanno addirittura vissuto sulla loro
pelle la passione di Cristo, visibile
concretamente nelle stimmate e, talvolta, anche nella transverberazione
del cuore.
La croce è la vera scuola di ogni
santità. Non c’è pedagogia cristiana
senza l’esperienza e la partecipazione al dolore, che fa parte dell’essere
umano ferito dal peccato, che è la
vera fonte della sofferenza e della
morte. Commenta a ragione il cardinale Müller nella meditazione sul
venerdì santo: «L’amore di Dio per
l’uomo non prova disgusto per la
sofferenza umana, fatta di sangue e
lacrime, dolore e paure, di handicap
e deturpazioni riversati su tante sue
creature».
Gesù, infatti, è l’uomo dei dolori
che ben conosce il patire (cfr. Isaia,
53, 3). Per salvarci Egli si è caricato
dei nostri peccati, sottomettendosi
alla passione e perfino alla morte,
egli che era la vita, anzi la fonte di
ogni vita: «Nonostante egli sia, al
contrario di noi, senza peccati personali e perfettamente santo, si è addossato le nostre colpe, come anche
la conseguenza del peccato — la
morte — che è espressione ed esito
del peccato d’Adamo e dei nostri
peccati personali, delle nostre malvagità».
Guardando al Crocifisso i santi
hanno abbracciato le sofferenze, i
dolori, le umiliazioni, le persecuzioni. Lo hanno fatto con fede, con fortezza, confidando nella parola di
Gesù che dice: «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno,
vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di
voi per causa mia. Rallegratevi ed
esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Matteo, 5, 4. 1012).
Si giunge alla gioia della Pasqua
solo dopo il Calvario. La via crucis è
il passaggio obbligato alla via lucis.
In un suo discorso san Gregorio Nazianzeno così commenta: «Con le
nostre sofferenze imitiamo le sofferenze, cioè la passione di Cristo.
Con il nostro sangue onoriamo il
sangue di Cristo. Saliamo anche noi
di buon animo sulla sua croce. Dolci
sono infatti i suoi chiodi, benché
duri. Se sei Simone di Cirene prendi
la croce e segui Cristo. Se sei il ladro e se sarai appeso alla croce, se
cioè sarai punito, fai come il buon
ladrone e riconosci onestamente
Dio, che ti aspettava alla prova. Se
sei Giuseppe d’Arimatèa, richiedi il
corpo a colui che lo ha crocifisso,
assumi cioè quel corpo e rendi tua
propria, così, l’espiazione del mondo. Se sei Nicodemo, il notturno
adoratore di Dio, seppellisci il suo
corpo e ungilo con gli unguenti di
rito, cioè circondalo del tuo culto e
della tua adorazione. E se tu sei una
delle Marie, spargi al mattino le tue
lacrime. Fa’ di vedere per prima la
pietra rovesciata, vai incontro agli
angeli, anzi allo stesso Gesù. Ecco
che cosa significa rendersi partecipi
della Pasqua di Cristo».
Ed eccoci al grande mistero della
Pasqua. Dice il cardinal Müller: «Il
messaggio della risurrezione di Gesù
dai morti e della conseguente risurrezione di tutti gli uomini dalla morte, ha sempre riscontrato obiezioni
da parte di filosofi idealisti e materialisti. Gli uni sostengono che, in
verità, l’uomo sia soltanto spirito
confinato in questo mondo materiale
e l’anima dovrebbe quindi essere liberata dalla carne corruttibile, che
suscita soltanto ribrezzo, quando si
pensa a tutti gli uomini storpi o vecchi, così lontani dall’ideale della bellezza. Dall’altra parte, la voce oggi
dominante dei materialisti sostiene
che l’uomo sia soltanto un organismo complesso e la cosiddetta anima
sia nient’altro che un processo che
serve per guidare questo organismo.
Perciò — così affermano — il senso
della vita è il suo godimento fisico».
In realtà nell’uomo c’è la dimensione materiale e quella spirituale.
Se il corpo si corrompe alla morte,
l’anima spirituale continua a vivere
nell’eternità. Ma, fondandosi sulla
risurrezione di Gesù, i cristiani credono nella risurrezione dei corpi.
Sorella morte corporale, come la
chiama san Francesco, non è l’ultima
parola della nostra umanità, dal momento che anche il corpo anela alla
vita eterna. Il Dio cristiano, infatti,
«non è Dio dei morti, ma dei viventi» (Matteo, 22, 34). Anche nel tempo pasquale, che per i suoi cinquanta giorni è il tempo forte più ampio
dei quaranta giorni della quaresima,
la Chiesa ci offre una sua pedagogia
di maturazione cristiana. Non solo
in quaresima c’è l’invito alla conversione, ma anche nei cinquanta giorni
di Pasqua. Nel tempo pasquale, infatti, le letture bibliche ci offrono
preziose indicazioni di un itinerario
di maturazione cristiana. A Pasqua,
infatti, e solo a Pasqua, gli apostoli
sperimentano la loro vera conversione, senza ripensamenti e dubbi, come accadeva prima di Pasqua.
Il cardinale Nichols sul Modern Slavery Act
Contro
la schiavitù
LONDRA, 31. Soddisfazione è stata
espressa dalla Chiesa di Inghilterra e Galles per l’approvazione della legge che contrasta la tratta degli esseri umani e tutte le forme
moderne di schiavitù. Il Modern
Slavery Act 2015 migliora, in modo significativo, il sostegno e la
protezione delle vittime della tratta, dà alle forze dell’ordine gli
strumenti necessari per contrastare
lo schiavismo moderno, garantisce
la certezza di una pena severa per
i colpevoli, prevedendo anche, nei
casi più gravi, la confisca dei
beni.
In una nota, il cardinale Vincent Gerard Nichols, arcivescovo
di Westminster e presidente della
Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, ha sottolineato che
«sebbene nessuna legge possa tenere conto di tutta la grave attività criminale della tratta di esseri
umani e della schiavitù moderna,
aumentare il sostegno e la protezione delle vittime è particolarmente positivo. Assieme ad altri —
ha spiegato il porporato — la
Chiesa cattolica è impegnata a lavorare per l’eliminazione della
schiavitù moderna. Come ha detto
Papa Francesco, il reato della tratta è un crimine contro l’umanità,
una ferita sul corpo di Cristo».
Da qui, l’auspicio del cardinale
Nichols affinché «la società venga
liberata da questa piaga e si sostengano tutti coloro che cercano
di combattere i trafficanti e vanno
in soccorso delle vittime della
tratta». La nuova legge, inoltre,
ha il fine di incoraggiare le imprese ad agire in modo tale che le loro catene produttive siano esenti
da forme di schiavitù. Viene, infine, istituito il primo commissario
indipendente anti-schiavitù del
Regno Unito, punto di riferimento della lotta alla tratta per garantire che i colpevoli vengano catturati e perseguiti secondo la legge e
che le vittime vengano rapidamente identificate e aiutate.
Il ministro dell’Interno britannico, Theresa May, ha espresso
soddisfazione per il risultato ottenuto, definendo il Modern Slavery Act «una legge storica», in grado di combattere «la schiavitù
moderna nella società di oggi, che
rappresenta un affronto alla dignità e all’umanità di ognuno di
noi».
L’Irlanda e la memoria del conflitto
Un lungo
venerdì santo
Nella pietà popolare
Mater dolorosa
«Venerare la Madre del Signore è solo un aspetto del culto cristiano, culto
che è l’essenza del cristianesimo: la salvezza operata da Cristo». Infatti,
non esiste «un culto liturgico verso la Vergine Madre staccato dal mistero
di Cristo, o che non conduca a lui e a una trasformazione cristiana
dell’esistenza». Ne consegue che «anche il culto alla Mater dolorosa fa parte dell’unico ciclo cristologico della liturgia, nel quale la Chiesa celebra il
mistero della salvezza». È quanto, attingendo alle riflessioni post-conciliari, in particolare alla Marialis cultus di Paolo VI, sottolinea la teologa madre Maria Marcellina Pedico, membro del Consiglio direttivo della Pontificia Accademia Mariana Internazionale, nel volume Mater dolorosa. L’Addolorata nella pietà popolare (Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana,
2015, pagine 381, euro 16).
DUBLINO, 31. «Non è possibile
trovare Dio tra coloro che distruggono gli altri», lo si trova invece
«in coloro che subiscono l’invidia
e il rancore». Lo affermano in un
messaggio congiunto per la Pasqua, monsignor Eamon Martin,
arcivescovo cattolico di Armagh, e
Richard Clarke, arcivescovo di Armagh della Church of Ireland.
Una dichiarazione comune realizzata anche per la memoria di
quanti persero la vita nel sanguinoso conflitto tra gli anni Sessanta e Novanta. Molte furono anche
le persone disperse, delle quali
non si sono avute più notizie. A
loro è dedicato invece il messaggio che lo stesso arcivescovo di
Armagh e primate di tutta l’Irlanda, Eamon Martin, ha scritto in
occasione della domenica delle
Palme. «Alcune famiglie — scrive
il presule — stanno vivendo un
lungo venerdì santo ed è difficile
per loro sperimentare la promessa
pasquale della risurrezione». Per
questo il presule ha fatto appello
alla coscienza di chiunque sia in
possesso di informazioni che possano aiutare a fare luce sulle tante
persone che furono sequestrate,
uccise e sepolte in luoghi che sono rimasti fino ad oggi sconosciuti.
Nel messaggio congiunto dedicato a tutte le vittime del conflitto, i presuli cristiani affermano di
vedere «ancora forti i segni
dell’oscurità del venerdì santo in
cui tutto sembrava perduto.
Un’oscurità che si esprime negli
orrori della disumanità crudele e
nello svilimento giorno per giorno
della dignità di chi non è in grado
di difendersi; nella violenza fisica,
negli omicidi, nelle guerre e persecuzioni. In altri termini nell’estremo egoismo di chi si è allontanato
in
modo
catastrofico
dal
perdono».
Tuttavia, i vescovi ricordano che
«nel grido pietoso di abbandono
alla croce, il venerdì santo ci ricorda che non è possibile trovare Dio
tra coloro che distruggono gli altri». Di qui l’esortazione a sperare
con san Paolo nella risurrezione di
Cristo come «prova che ci sarà un
raccolto di speranza, una vittoria
finale dell’amore sull’odio, sull’ingiustizia e sulla futilità».
Nei giorni scorsi anche l’“Irish
Churches’ Peace Project”, al termine di un incontro tenutosi a Belfast, ha diffuso un comunicato nel
quale si afferma che «come cristiani abbiamo una responsabilità
particolare per essere agenti di riconciliazione nelle nostre comunità, diffondere messaggi di speranza e portare guarigione a coloro
che soffrono». L’Irish Churches’
Peace Project è un organismo nato
nel 2003 che riunisce le principali
Chiese cristiane dell’Irlanda del
Nord (cattolica, presbiteriana,
Church of Ireland e metodista)
con lo scopo di promuovere la riconciliazione
delle
diverse
comunità. Sono passati diciassette
anni dalla firma dell’Accordo del
venerdì santo (Good Friday
Agreement) che avviò il lungo e
ancora non concluso processo di
pacificazione.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
mercoledì 1 aprile 2015
Bambine in un campo profughi ad Arbil
(fotografie di Segundo Tejado Muñoz)
A colloquio con il sottosegretario di Cor unum
Missione
ad Arbil e Duhok
di GIANLUCA BICCINI
Risvegliare le coscienze della comunità internazionale sul dramma dei
profughi iracheni e riaccendere i riflettori sulle difficili condizioni dei
cristiani nella regione, portando loro
la solidarietà di Papa Francesco: con
questo duplice obiettivo una delegazione del Pontificio Consiglio Cor
unum e della Congregazione per le
Chiese orientali si è recata dal 26 al
29 marzo ad Arbil e a Duhok. Guidava il gruppo il sottosegretario del
dicastero per la carità del Pontefice,
monsignor Segundo Tejado Muñoz,
che in questa intervista al nostro
giornale parla della tre giorni in
Iraq.
Due tappe in tre giorni. Che impressioni avete tratto dalla visita?
In effetti è stato un vero e proprio
“tour de force”, ma è servito per conoscere da vicino la realtà delle persecuzioni subite dalle minoranze cristiana e yaizida in fuga dalle violenze delle milizie del cosiddetto Stato
islamico (Is), che hanno conquistato
ampie porzioni di territorio in Iraq e
gnor Rabban A-Qs, vescovo di
Amadiyah, con sede a Duhok, come
dono per le rispettive comunità.
Chi vi ha accompagnati?
nella vicina Siria. Abbiamo visitato
infatti soprattutto i profughi di Mossul e della Piana di Ninive, che in
quest’area del Kurdistan autonomo
iracheno sono riusciti a trovare accoglienza.
Siete andati per portare loro la solidarietà del Papa. Cosa avete fatto in
concreto?
Lo abbiamo fatto attraverso un
segno: due icone della Madonna che
scioglie i nodi, da lui benedette
all’udienza generale di mercoledì
scorso, 25 marzo. Alla vigilia della
partenza infatti io e monsignor Khaled Ayad Bishay, officiale della Congregazione per le Chiese orientali,
siamo stati in piazza San Pietro per
parlare al Pontefice del nostro viaggio e lui ha benedetto le immagini
mariane che poi abbiamo recato ai
due presuli delle diocesi caldee visitate: monsignor Bashar Mattie Warda, arcivescovo di Arbil, e monsi-
La spiritualità del prete
Pastore e non funzionario
Il cardinale prefetto della Congregazione per il clero ha tenuto nei giorni scorsi a
Firenze una conferenza sulla spiritualità presbiterale secondo Papa Francesco.
Ne pubblichiamo alcuni stralci. Il porporato interverrà anche alla trasmissione
su Giovanni Paolo I, che andrà in onda su Rai storia, martedì 7 aprile, alle
ore 21.30, nella quale sottolineerà che Albino Luciani «aveva veramente l’idea
che nel corpo della Chiesa sono i pastori e quindi i vescovi e i sacerdoti il nerbo,
la spina dorsale».
suoi figli. Non si tratta quindi di
un “potere”, da esercitare con autorità, o anche con asprezza, ma della
custodia amorevole di quel tesoro
di Dio, che è ogni uomo.
Il presbitero-pastore è capace di
commuoversi, di partecipare interiormente della vita dei suoi fedeli,
non limitandosi a porsi come “benefattore”, che realizza un’opera
buona in maniera asettica, impersonale. Quando un sacerdote si immedesima
con quel che il suo
prossimo vive in quel
momento, gli diventa
possibile servirlo nella
maniera più efficace,
annunciandogli il volto di Cristo di cui ha
più bisogno in una relazione
veramente
umana.
La terza dimensione
caratterizzante
della
spiritualità presbiterale
secondo Papa Francesco, a mio modo di
vedere, può essere
considerata
quella
“profetica”. Ho cercato sin qui di sintetizzare la visione della
spiritualità presbiterale
secondo Papa Francesco, cogliendo alcuni
dei numerosi spunti
che egli continuamente propone, con la sua
Daniel Bonnel, «Il buon pastore» (2003)
predicazione, i suoi
discorsi e, soprattutto,
scepolo infatti non smetterà di con il suo esempio personale, che è
prendersi cura del suo rapporto il principale “testo” da consultare
personale con l’unico Maestro, non per chi vuole comprendere la sua
si sentirà “arrivato”, con al massimo visione del ministero ordinato. Tale
il compito di “mantenere” il livello spiritualità presbiterale è una proposta “in positivo”, costruttiva, che
spirituale raggiunto.
La spiritualità presbiterale com- mira a liberare i presbiteri dal riporta anche un tratto caratteristico, schio della corruzione e dell’imborassai presente nelle riflessioni e nel- ghesimento, perché il popolo di
le esortazioni di Papa Francesco: Dio abbia sempre pastori secondo
l’essere pastore, l’immagine che il cuore di Gesù. Il Santo Padre inmaggiormente caratterizza i presbi- fatti continua a mostrare come i sateri, anche nella comprensione della cerdoti siano un dono che Dio fa
alla sua Chiesa e alla società in
gente.
Il presbitero-pastore è chiamato mezzo alla quale operano come pain primo luogo a essere guida per il stori. Da qui sorgono alcune esisuo popolo, a farsi carico della re- genze, necessarie per far sì che quesponsabilità di condurre al Signore sto dono non vada sprecato, ma,
coloro che, attraverso la Chiesa, il curato con gioiosa perseveranza,
Signore stesso gli ha affidato; egli possa portare appieno i suoi frutti.
In sintesi allora, è necessario che
si fa carico del cammino dei suoi
fedeli, non con la fredda logica del ogni sacerdote continui a sentirsi
“manager” che cura gli affari della discepolo in cammino per tutta la
sua “azienda”, ma con la premura vita, a volte bisognoso di riscoprire
del padre che riconduce a casa i e rafforzare il suo rapporto col Si-
di BENIAMINO STELLA
Alla domanda «chi è il presbitero?»
Papa Francesco risponde innanzitutto dicendo che è e rimane sempre un discepolo del Signore. Si
tratta di un’affermazione solo apparentemente semplice, che porta con
sé conseguenze importanti per la
vita dei presbiteri e per il loro ministero. Un presbitero che si sente di-
gnore, e, anche, di lasciarsi “guarire”; non a caso Papa Francesco nel
suo discorso alla plenaria della
Congregazione per il clero (3 ottobre 2014), ha ricordato che nel cammino di discepoli «a volte procediamo spediti, altre volte il nostro
passo è incerto, ci fermiamo e possiamo anche cadere, ma sempre restando in cammino».
Nel rapporto con il Signore, il
discepolo, chiamato a essere pastore
e inviato a evangelizzare con spirito
profetico, viene preservato dal diventare un “funzionario” del sacro,
un “mestierante” della pastorale,
magari preparato nella gestione di
eventi e iniziative, ma spiritualmente impoverito, distante dalla gente e
non più capace di contagiare con la
gioia del Vangelo. Obbediente a
Dio attraverso la Chiesa, esigente
innanzitutto con sé stesso, per custodire la vocazione e il ministero,
strumento della tenera vicinanza di
Dio agli uomini, consapevole di essere sempre allo stesso tempo pastore e discepolo.
Le nomine di oggi riguardano la
Chiesa in Italia e nella Repubblica
Democratica del Congo.
Giorgio Demetrio Gallaro
eparca
di Piana degli Albanesi
di Sicilia (Italia)
Nato il 16 gennaio 1948 a Pozzallo, ha compiuto gli studi medi e secondari nel seminario di Noto. Trasferitosi nel 1968 negli Stati Uniti
d’America, ha completato i corsi
teologici al Saint John seminary di
Los Angeles. Ordinato diacono nel
1971 e presbitero nel 1972, dopo aver
lavorato per otto anni in due comunità parrocchiali dell’arcidiocesi californiana, ha completato a Roma la
formazione al Pontificio istituto
orientale e alla Pontificia università
San Tommaso, conseguendo il dottorato in diritto canonico orientale e
la licenza in teologia ecumenica.
Rientrato negli Stati Uniti, ha svolto
attività di parrocchia e insegnamento nell’eparchia Melkita di Newton
in Massachussets, in quella ucraina
di Stamford nel Connecticut e
nell’arcieparchia rutena di Pittsburgh in Pennsylvania. Dal 2011 era vice presidente della Società di diritto
orientale e dal 2013 consultore della
Congregazione per le Chiese orientali. Al momento, sta svolgendo gli
uffici di sincello per gli affari canonici e di vicario giudiziale nell’arcieparchia di Pittsburgh. Inoltre era
C’erano il segretario generale di
Caritas internationalis, Michel Roy,
e il presidente di Caritas Medio
oriente (Mona), Joseph Farah; il segretario generale della Focsiv, Attilio
Ascani, e quello della fondazione
Avsi, Giampaolo Silvestri, e Moira
Monacelli di Cor unum. Con noi
anche alcuni giornalisti italiani e di
altre nazionalità proprio con l’obiettivo di mostrare al mondo, attraverso
immagini e reportage, la realtà che
abbiamo incontrato.
Una missione che rientra nei compiti
del vostro dicastero?
Infatti un aspetto fondamentale
della nostra attività è quello di recarci
in luoghi colpiti da sciagure. Lo abbiamo fatto anche
ad Haiti o in Siria,
per citare le missioni più recenti. Ma
qui c’era una sorta
di allarme confermato anche dalle
agenzie locali delle
Nazioni Unite. Le
quali ci hanno detto
che alcuni progetti
stanno chiudendo
per mancanza di
fondi. Ma soprattutto si è trattato di
incoraggiare
le
agenzie
cattoliche
che da tempo lavorano lì, prima tra
tutte la Caritas. Siamo andati per dire
loro che non sono
soli sul campo. La
loro opera di accoglienza gravita attorno a tre priorità:
alloggio, educazione
e sanità. E noi non
dimentichiamo i volontari e le agenzie, che sono le braccia della Chiesa,
le mani di chi dà.
Come si è svolta la visita?
Abbiamo iniziato ad Arbil incontrando le due principali comunità
cattoliche: quella caldea e quella sira. Poi abbiamo avuto un colloquio
con Nabil Nissan di Caritas Iraq e
con esponenti di altre realtà locali:
tutti ci hanno illustrato difficoltà e
attese. Poi ci siamo trasferiti al
Nord, a Duhok, città vicina a Mos-
sul. Abbiamo attraversato diversi
check-point dei peshmerga curdi, i
quali garantiscono la sicurezza del
territorio. Il vescovo caldeo Al-Qas
ci ha guidati in una sorta di pellegrinaggio tra gli sfollati che vivono in
case affittate anche grazie ai contributi della Conferenza episcopale italiana. Siamo stati inoltre in un campo profughi gestito dal Governo turco e dalle Nazioni Unite. Si tratta di
una tendopoli con annesso ospedale
da campo, in cui abbiamo sentito
storie toccanti. Io ho esperienze di
sfollati a causa di disastri naturali,
ma questa è gente che è stata cacciata dai propri vicini di casa o di negozio. Sono storie di dolore e di
umiliazioni. Come quella di una
donna rapita e riuscita a sfuggire ai
suoi aguzzini.
Com’è la vita all’interno dei campi?
Pur non mancando acqua e cibo,
si vive sempre in un clima di tensio-
Christophe Amade, vescovo
di Kalemie-Kirungi
(Repubblica Democratica
del Congo)
Nato il 18 gennaio 1961 a Mune,
ha fatto gli studi primari a Bidri e a
Nyaguma (1967-1973) e quelli secondari nel seminario minore Giovanni
XXIII a Vida, Mahagi-Nioka, e al
collegio di Ovoa (1973-1979). Ha
quindi insegnato all’Institut technique agricole di Laybo, Mahagi-Nioka dal 1979 al 1981 e ha studiato filosofia nel seminario maggiore Notre
Dame de la Ruzizi di Bukavu tra
1981 e il 1984, prima di entrare nel
noviziato dei padri bianchi a Friburgo. Dal 1985 al 1987 ha svolto tirocinio pastorale nella parrocchia ghanese di Funsi, in diocesi di Wa. Dal
1987 al 1990 ha completato la formazione teologica al London missionary institute, in Inghilterra. Ordinato
sacerdote il 25 agosto 1990, è tornato, fino al 1993, nella parrocchia di
Funsi. Poi, per cinque anni, ha stu-
Sì, perché è anche la città che in
qualche modo ne coordina l’assistenza. Abbiamo visitato altre realtà che
accolgono profughi. Una è composta da edifici in costruzione i cui lavori si sono fermati a causa della
guerra. Sono stati dati in uso alla
Chiesa locale, che attraverso divisioni provvisorie realizzate con mattoncini le ha assegnate a 175 famiglie.
Un’altra è un campo formato da
edifici-container e animato da un
prete espulso da Mossul.
Quali aspetti positivi avete riscontrato?
Oltre all’encomiabile attività formativa dei giovani, mi ha colpito la
cura e la partecipazione alle liturgie,
in particolare quelle di sabato sera,
vigilia della domenica delle Palme.
C’è poi una fervente evangelizzazione, perché — come mi ha confidato
In una chiesa caldea a Duhok
ne. I volontari devono fare quotidianamente i conti con l’esasperazione
soprattutto degli uomini che si sentono inutili e frustrati perché essendo senza lavoro hanno ben poco da
fare. Diverso è invece il discorso per
i bambini, ai quali si cerca di assicurare educazione, formazione e animazione. Un programma molto bello per garantire tranquillità alle nuove generazioni.
Arbil ospita ben dodicimila famiglie di
sfollati. È una realtà nevralgica nel
Nomine episcopali
docente di diritto canonico e teologia ecumenica al seminario bizantino cattolico dei Santi Cirillo e Metodio di Pittsburgh e giudice d’appello per l’arcieparchia di Philadelphia degli ucraini.
contesto dell’accoglienza assicurata dalla Chiesa?
diato a Roma per la licenza in filosofia. Dal 1998 al 2004 è stato prima
docente e poi rettore del Consortium di filosofia a Jinja, in Uganda;
dal 2004 al 2009, è stato a Roma
per conseguire, nel 2010, il dottorato
in filosofia alla Pontificia università
Gregoriana; dal 2009 al 2013 ha insegnato filosofia al consortium di
Kumasi, Ghana, e poi, per un anno,
all’università Sain Augustin di Kinshasa. Dal 2014 era provinciale dei
padri bianchi per l’Africa centrale.
Donatien Bafuidinsoni
ausiliare di Kinshasa
(Repubblica Democratica
del Congo)
Nato l’11 dicembre 1962 a Mai
Ndombe, Bandundu, è entrato nel
noviziato della compagnia di Gesù a
Cyangugu, in Rwanda, il 29 settembre 1981. Emessi i primi voti l’11 settembre 1983, ha studiato filosofia
nella facoltà del San Pietro Canisius
Kimwenza, a Kinshasa, tra il 1983 e
il 1986, conseguendo la licenza
all’università di Lubumbashi nel
1988. Quindi, fino al 1992, ha studiato teologia all’istituto dei gesuiti
Hekima di Nairobi, in Kenya. Ordinato sacerdote il 18 luglio 1993, fino
al 1999 ha completato la formazione
con il dottorato in diritto canonico
alla Pontificia università Gregoriana.
monsignor Warda — il problema è
anche il cibo, ma soprattutto la
mancanza di speranza per gente che
vede difficile poter tornare nelle proprie case. E il fatto che la nostra visita si sia svolta a ridosso della Settimana santa può essere letto come un
messaggio di speranza nella risurrezione anche di queste persone. Ce lo
auguriamo noi, così come se lo augura il Papa, che anche all’Angelus
di domenica 29 ha di nuovo parlato
della tragica situazione dei cristiani
martiri di oggi.
Dal 1999 al 2001 è stato delegato del
provinciale per la formazione dei gesuiti in Africa; e dal 2001 al 2008
provinciale della compagnia di Gesù
per l’Africa centrale. Dal 2009 vicario giudiziario dell’arcidiocesi di
Kinshasa, risiedeva nella casa Saint
Ignace, di cui era il superiore.
Jean-Pierre Kwambamba
Masi, ausiliare di Kinshasa
(Repubblica Democratica
del Congo)
Nato il 19 agosto 1960 a Ngi, nella provincia di Bandundu, è entrato
nel seminario minore Saint Charles
Lwanga di Kalonda, dove nel 1979
ha portato a termine gli studi secondari. Quindi ha studiato filosofia nel
seminario maggiore Saint Augustin
di Kalonda tra il 1979 e il 1982 e teologia nel seminario maggiore Giovanni XXIII di Kinshasa dal 1990 al
1992. Ordinato sacerdote il 17 agosto
1986, dal 1987 al 1992 ha studiato
per il dottorato in liturgia a
Sant’Anselmo. Successivamente, per
due anni, ha insegnato al seminario
minore Saint Charles Lwanga di Kalonda. Dal 1994 al 1998 è stato vicario generale della diocesi di Kenge.
E poi, fino al 2003, rettore e docente nel seminario maggiore teologico
Saint Cyprien di Kikwit. Nel 2003 è
divenuto officiale presso la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti e dal 2009 è cerimoniere pontificio.