A Percorsi tematici di filosofia e di storia per il Tirocinio Formativo Attivo (TFA) Per la classe di concorso A — Filosofia e Storia nei licei a cura di Romeo Bufalo Adalgisa Caira Antonella Giordano Ivan Rotella Premessa di Romeo Bufalo Contributi di Adalgisa Caira Armando Canzonieri Giuseppe Ferraro Dario Franco Antonella Giordano Teresa Grano Giulio Le Pera Maria Francesca Mamertino Raoul Manfrida Luana Concetta Pangallo Francesca Pupo Ivan Rotella Francesco G. Sacco Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: giugno Indice 9 19 Prefazione Insegnare ad insegnare. Sul carattere metateorico della didattica della filosofia Romeo Bufalo Premessa Adalgisa Caira, Antonella Giordano, Ivan Rotella Percorsi tematici 25 La dialettica antica come methodos della filosofia Giulio Le Pera 1.1. L’alba della dialettica: gli eleati, 28 – 1.2. I sofisti: Gorgia e Protagora, 29 – 1.3. La confutazione negativa socratica, 31 – 1.4. La dialettica costruttiva di Platone, 32 – 1.5. Aristotele: la formulazione dei principi di non contraddizione e del terzo escluso, 35 – 1.6. La teoria dei diversi tipi di opposizione, 37 – 1.7. Gli usi della dialettica, 38 – 1.8. Conclusione, 40 – 1.9. Bibliografia, 42 45 Il filosofo e le sue ombre Armando Canzonieri 2.1. Esperienze ed ombre filosofiche, 49 – 2.2. Bibliografia, 52 55 La dialettica tra antico e moderno Adalgisa Caira 3.1. Premessa metodologica, 55 – 3.2. Percorso tematico filosofico: la dialettica tra antico e moderno, 58 – 3.3. Percorso tematico storico: Risorgimento è/e Rivoluzione. L’occhio storiografico di Croce e di Gramsci, 67 – 3.4. Bibliografia, 75 5 6 Indice 77 Dal Medioevo alla Modernità. La rivoluzione astronomica come linea di confine tra due epoche Dario Franco 4.1. Il mondo di Aristotele e le aggiunte di Tolomeo, 78 – 4.2. La ripresa medievale del mondo aristotelico-tolemaico, 81 – 4.3. La rivoluzione astronomica: il sistema eliocentrico e l’infinito di Bruno, 83 – 4.4 Bibliografia, 88 91 Caratteri del naturalismo rinascimentale: Dio, natura, uomo in Giordano Bruno Maria Francesca Mamertino 5.1 Bibliografia, 101 105 Filosofia e tecnica nell’Europa moderna Francesco G. Sacco 6.1. Arti liberali e lavoro servile, 105 – 6.2. L’alchimia: un’alternativa?, 107 – 6.3. La civiltà della tecnica: artigiani, ingegneri, filosofi sperimentali, 108 – 6.4. La civiltà delle macchine: meccanica e meccanicismo, 111 – 6.5. La filosofia e i limiti della tecnica, 112 – 6.6. Bibliografia fonti, 113– 6.7. Bibliografia studi, 114 117 L’esempio dell’Illuminismo e un esempio di Illuminismo Ivan Rotella 7.1. Sigmund Freud: un esempio di didattica della filosofia, 126 – 7.2. Bibliografia, 132 137 L’età di Kant e il problema della morale Antonella Giordano 8.1. Presentazione del percorso, 137 – 8.2. La morale kantiana, 138 – 8.3. Gli scritti politici: Per la pace perpetua, 141 – 8.4. Giudizio di gusto e giudizio politico. La proposta arendtiana, 141 – 8.5. Il dispotismo illuminato. Federico II di Prussia, 144 – 8.6. Fonte: Testamento di Federico Guglielmo I di Prussia al suo successore (1722), 151 – 8.7. Bibliografia, 152 155 Verità e sistema: Hegel e la Fenomenologia dello Spirito Luana Concetta Pangallo 9.1. Il contesto culturale, 155 – 9.2. Analisi della “Prefazione” alla Fenomenologia dello Spirito, 157 – 9.3. La storiografia romantica tedesca, 164 – 9.4. Bibliografia, 170 171 L’incontro con l’Altro: problemi filosofici e storici Francesca Pupo 10.1. Bibliografia, 184 Indice 185 La questione meridionale tra capitalismo e pensiero utopistico Teresa Grano 11.1. Insegnare Filosofia e Storia oggi, fra tradizione e innovazione, 194 – 11.2. Bibliografia, 196 199 Colonialismo e cosmopolitismo Giuseppe Ferraro 12.1. Alcune considerazioni metodologiche, 199 – 12.2. Prerequisiti e obiettivi didattici, 200 – 12.3. Il percorso didattico, 201 – 12.4. Bibliografia, 210 – 12.5. Fonti archivistiche, 210 – 12.6. Fonti primarie, 211 215 Freud e la Filosofia. Il carattere transdisciplinare della filosofia e la nascita della psicoanalisi Raoul Manfrida 13.1. Freud e la psicoanalisi, 216 – 13.2. Inconscio e filosofia, 217 – 13.3. L’equilibrio psichico, 222 – 13.4. La società e la morale, 223 – 13.5. Le nevrosi, 224 – 13.6. Il principio di piacere e le fasi dello sviluppo psichico, 225 – 13.7. Bibliografia, 227 Appendice 231 TFA: tirocini e percorsi. Per un insegnamento perspicuo Adalgisa Caira 1.1. Bibliografia, 243 247 7 L’esperienza sul campo del TFA Dario Franco 2.1. Il tirocinio indiretto, 251 – 2.2. I corsi disciplinari, 252 255 Tirocinio Formativo Attivo: un percorso di formazione e di sperimentazione Maria Francesca Mamertino 261 Relazione finale di TFA. Spunti di riflessione per una nuova professionalità docente Antonella Giordano 4.1. Introduzione, 261 – 4.2. Tirocinio diretto, 261 – 4.3. Conclusioni sull’attività di tirocinio, 265 – 4.4. Didattiche e laboratori disciplinari, 266 – 4.5. Tirocinio indiretto, 268 8 Indice 269 Per una scuola di qualità Francesca Pupo 279 TFA e scuola Giuseppe Ferraro 7.1. Bibliografia, 287 289 Organizzazione e attività didattiche Raoul Manfrida 8.1. Considerazioni relative alle didattiche disciplinari, 294 – 8.2. Tirocinio diretto, 296 Prefazione Insegnare ad insegnare. Sul carattere metateorico della didattica filosofica ROMEO BUFALO Insegnare Didattica della filosofia non è un compito facile. Anzi, diciamo pure che è un’impresa piuttosto difficile. Perché non c’è un corpus teorico-concettuale e testuale sufficientemente definito, manca una tradizione di ricerca adeguatamente assestata da cui prendere le mosse. Vale, per la Didattica della filosofia, quello che secondo Hegel vale per la Filosofia nel suo rapporto con le altre scienze; e cioè che essa non gode del privilegio, del quale godono invece queste ultime, di presupporre come già dato il suo oggetto. La filosofia, al contrario, quell’oggetto deve costruirlo e inventarlo di volta in volta1. Ora, costruire e ‘creare’ l’oggetto del proprio discorso da parte di un’attività che, già nella sua costituzione linguistica, rinvia al sapere (sophia) in generale, significa lavorare (o rilavorare) concettualmente su un materiale concettuale mai definitivo, mai compiuto una volta per tutte, ma sempre in via di trasformazione, rivedibile e riorganizzabile in nuovi quadri teorici. Ma se la didattica della filosofia opera concettualmente su concetti e non su cose, questo vuol dire che essa non è una disciplina teorica, ma metateorica. Ha la pretesa di insegnare ad insegnare; di far vedere come si fa. E l’insegnare, il ‘come si fa’, non è un ‘oggetto empirico’, bensì una ‘pratica teorica’, un ‘oggetto di pensiero’, come avrebbe detto il filosofo francese Luis Althusser2. Da qui le difficoltà che inevitabilmente si presentano ogni volta che si fa Didattica della filosofia. Le stesse che mi si sono presentate quando, nell’anno accademico 2012-2013, mi è stato assegnato il Modulo di Didattica della 1 2 G.W.F.HEGEL, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, L. ALTHUSSER, Per Marx, tr. it. Editori Riuniti, Roma, 1967 vol. I, tr. it. B. Croce, 9 10 Prefazione filosofia all’interno del Tirocinio Formativo Attivo per la Classe di concorso A 037 (Filosofia e Storia nei Licei) presso l’Università della Calabria (e dalla cui esperienza è nato questo libro). Per evitare di rifare l’ennesimo corso di Storia della filosofia, che non avrebbe avuto molto senso all’interno di un ciclo di lezioni destinato a formare nuovi insegnanti (e non ad implementare le loro conoscenze), ho pensato che la cosa migliore fosse quella di introdurre gli allievi alla pratica dell'insegnamento attraverso l’illustrazione di exempla storico-filosofici la cui portata (non solo teorica, ma prevalentemente metodologico-didattica) andasse al di là della contingenza storico-cronologica dentro cui di solito vengono collocati autori e concetti, in modo che essi fossero percepiti nella loro efficacia sovrastorica (o, per l’appunto, metateorica). È stato così che siamo partiti, proprio per la sua portata ‘esemplare’, dal testo hegeliano dell’ Enciclopedia cui si è fatto riferimento sopra. E si è passati poi ad altri due ‘modelli’ (anch’essi esemplari) riconducibili ad Arthur Schopenhauer ed a Karl Marx, ossia a due autori che più distanti non si potrebbe. Richiamandosi all’autorità del «divino Platone» e del «prodigioso Kant», Schopenhauer, in apertura de La quadruplice radice del principio di ragion sufficiente3, formulava le due leggi che, a suo avviso, devono in egual misura informare il metodo di ogni filosofia: la legge dell’omogeneità e quella della specificazione. La prima raccomanda di raccogliere le specie, sulla base delle loro somiglianze, in generi sempre più ampi. La seconda suggerisce invece di tenere ben distinti i differenti tratti teorici che rientrano in un concetto più ampio. La legge dell’omogeneità serve per orientarsi nella selva delle teorie (molte delle quali sono spesso delle varianti di dottrine più note); quella di specificazione è invece indispensabile per evitare di fare confusione ed unire, in un unico grande blob, stili di pensiero, circostanze storiche, peculiarità concettuali diversi ed in cui, non di rado, si nascondono le novità più interessanti di una prospettiva filosofica. Schopenhauer applica in modo efficace le due leggi (soprattutto la seconda) all’esame di un principio-cardine della filosofia occidentale: il principio di ragionsufficiente. Per mostrare che non si tratta di un blocco concettuale compatto e indifferenziato, che trasmigra indenne, per così dire, da un 3 A. SCHOPENHAUER, La quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, tr. it. a c. di A. Vigorelli, Guerini&Associati, Milano, 1990, pp. 19-20 Prefazione 11 autore ad un altro e da un’epoca a un’altra, ma presenta delle peculiarità, dei tratti teorici specifici che lo differenziano in almeno quattro diverse fisionomie concettuali (le quattro ‘radici’ cui fa riferimento il titolo del libro). E che un conto è il principio di ragione come principiumfiendi (che riguarda cioè gli accadimenti empirici, la realtà), un altro è questo stesso principio inteso come principium cognoscendi (che riguarda le relazioni logiche istituite dal pensiero), ecc. Autori molto celebrati della storia della filosofia come Cartesio, Spinoza e Leibniz hanno, secondo Schopenhauer, unificato (astrattamente) ciò che invece andava accuratamente tenuto distinto, confondendo, in tal modo, pensiero e realtà. Questo è ciò che nel corso delle lezioni abbiamo inteso per exemplum, la cui portata metodologico-didattica non ha bisogno di essere ulteriormente sottolineata. Più o meno nello stesso arco di anni, Karl Marx, criticando la tendenza dell’economia politica classica (e del pensiero storico-filosofico in genere) ad eternizzare i fenomeni studiati depurandoli della loro contingenza e determinatezza storica, sottolineava anche lui l’esigenza di tenere ben distinti, sul piano metodologico, le identità, ossia i lati generali-comuni di un dato fenomeno storico-teorico, e le differenze, cioè i tratti specifico-determinati di esso (v. l’omogeneità e la specificazione di Schopenhauer). Solo unificando genericamente, e cioè astrattamente, infatti, Adam Smith ha potuto parlare di lavoro in generale, come se si trattasse di un’ entità (concettuale e storico-sociale) che rimarrebbe identica dal modo di produzione asiatico, a quello feudale a quello moderno; tralasciando di spiegare le circostanze e le peculiarità sociali e storico-tecniche che fanno del lavoro umano una categoria della produzione capitalistica, sensibilmente diversa, ad es., da quella connessa al lavoro schiavistico o all’economia curtense, ecc.4 Schopenhauer e Marx sono due autori separati da una distanza quasi siderale. Eppure, su questo piano metodologico e metariflessivo, ci forniscono utili e convergenti indicazioni. Le quali poi si riducono all’esigenza di tenere insieme, in ogni ricerca storiografica, i tratti generali comuni ed i lati specifico-differenziali di ogni fenomeno indagato se si vogliono evitare posizioni unilaterali e, tendenzialmente, acritiche. Esattamente il contrario di ciò che si propone di 4 K. MARX, Per la critica dell’economia politica, tr. it. Editori Riuniti, Roma, 1969. Le considerazioni di metodo sopra riassunte sono contenute nella celebre Introduzione del 1857, posta in Appendice al volume citato (in part., pp. 197 sgg.) 12 Prefazione realizzare una scuola pubblica: una formazione plurale, laica, aperta, antidogmatica. Partendo dalle indicazioni marxiane e schopenhaueriane (ed hegeliane), si è tentato di applicare al campo della storiografia filosofica il criterio della funzionalità storica delle categorie filosofiche. Un criterio che ha molto a che fare con le indicazioni metodologiche sopra riportate, e le cui linee di fondo sono state elaborate da Mario Rossi in un libro molto denso e molto originale di circa quarant’anni fa5. Cosa vuol dire insegnare Storia della filosofia alla luce del funzionalismo storico? Per rispondere a questa domanda bisogna partire dal concetto matematico di funzione. In matematica elementare una variabile y si dice funzione (o variabile dipendente) di una variabile x (che è l’argomento o variabile indipendente) nell’insieme I (che è il campo di esistenza della funzione), se esiste una legge di corrispondenza in base alla quale ad ogni valore dato alla x nel campo I, corrisponde un valore per la y. Se dalla matematica ci spostiamo nel campo della filosofia, il problema che si pone sarà quello di mostrare la funzionalità storica delle categorie filosofiche, ossia di determinare per quali argomenti una data categoria teorica è funzione; cioè ancora, quali problemi è destinata a risolvere. Il compito dello storico della filosofia, allora, non sarà quello di ordinare, l’uno accanto all’altro, secondo uno schema linearecontinuo, una serie di ritratti filosofici. Come ha osservato Paolo Rossi, questo è il metodo usato da coloro per i quali la filosofia è l’oggetto unitario e indifferenziato di una storia della filosofia intesa come processo omogeneo6. Quel compito si articola invece in due momenti essenziali. Nel primo occorre individuare gli argomenti di cui la categoria filosofica presa in esame è funzione; ossia, da quali problemi (teorici, storico-sociali, politici, religiosi, ecc.) è stata sollecitata, e fino a che punto quei problemi abbiano trovato in essa una soluzione congruente. All’interno di questo primo momento dovranno poi essere esaminate le diverse configurazioni formali che una medesima categoria assume negli altri ambiti teorici che popolano il campo di esistenza considerato. 5 M. ROSSI, Cultura e rivoluzione. Funzionalismo storico ed umanismo operativo, Editori Riuniti, Roma, 1974 (spec. Parte Terza, pp. 367-524), in cui l’autore delinea il metodo funzionalistico-storico nell’ambito della storia della filosofia 6 P. ROSSI, Storia e filosofia. Saggi sulla storiografia filosofica, Einaudi, Torino, 1969, p. 214 Prefazione 13 Accanto a questo lavoro, che possiamo definire sincronico, bisogna prevederne uno diacronico, che ripercorra le funzioni storicamente diverse svolte da quella stessa categoria in contesti temporali diversi, in modo da avere un quadro sufficientemente circostanziato dei problemi (degli argomenti) che, di volta in volta, ne hanno determinato il valore ed hanno inciso sulla sua intelaiatura concettuale. È sulla scorta di questa riproblematizzazione del rapporto passato-presente che, in molti casi, siamo in grado di accertare la funzionalità storica di un’idea o categoria filosofica e darne un’adeguata spiegazione. Un’indicazione molto utilie, in tsl senso, ci viene offerta da Nicolao Merker. In un saggio del 1974, la cui sostanza confluirà poi nel fortunato Atlante storico della filosofia7, l’autore, dopo aver precisato che il materiale con cui ha a che fare lo storico della filosofia non è «il concreto reale[…], bensì l’astratto, le categorie, le forme concettuali», ossia «il concreto già mediato ed elaborato dal pensiero»8, assegna all’indagine storiografica il compito di individuare, per ciascuna di quelle categorie, i tratti generali comuni (che permangono in ogni contesto o epoca storico-filosofica) da quelli specifici o differenziali (che ne specificano la portata e la funzione storica). Ora, l’elemento comune delle formazioni filosofiche è ciò che consente la stessa formulazione linguistica delle categorie filosofiche, e che assicura una sorta di continuità formale fra sistemi teorici storicamente diversi. Per cui, ad esempio, rintracciamo, nel vocabolario storico-filosofico idee generali come quelle di essere, non-essere, divenire, universale, particolare, forma, sostanza, fenomeno, essenza, ecc. Dal punto di vista storicofunzionalistico, però, ciò che più importa è la capacità dello storico di mettere a fuoco, per così dire, ossia di saggiare la portata funzionale dell’astrazione concettuale, in modo da individuare quali tratti nuovi, rispetto alle soluzioni passate, essa comporti; quali mutamenti di significato essa realizzi in funzione dei nuovi argomenti in relazione ai quali essa è sorta. Nell’Appendice al suo volume postumo su Le origini della filosofia greca9, Mario Rossi ritorna sul metodo storico-funzionalistico in filosofia. In questo scritto egli sostiene che le principali categorie storico7 N. MERKER, Atlante storico della filosofia, Editori Riuniti, Roma, 2002. Il saggio del 1974 è «Per una storiografia filosofica marxista», contenuto in N. Merker, Marxismo e storia delle idee, Editori Riuniti, Roma, 1974 8 N. MERKER, «Per una storiografia…», cit., p. 32 9 M. ROSSI, Le origini della filosofia greca, a cura di L. Rossi, Editori Riuniti, Roma, 1984 14 Prefazione filosofiche, dall’archédei fisici della Ionia, all’eidos platonico, alla monade leibniziana, al Non-io di Fichte, all’epoché husserliana, dovrebbero essere presentate per ciò che effettivamente sono: «significanti riassuntivi e tecnicamente costituiti di significati problematici [=gli ‘argomenti’ di Cultura e rivoluzione] nati nella storia dei rapporti umani e da essa sollecitati»10. In quest’ottica, quei significanti storici che sono le teorie filosofiche non solo mostrano tutta la loro natura di risultati sollecitati da certe istanze storico-materiali e storicoteoriche, ma «non mancano di ribaltarsi a idee regolatrici, direttrici delle attività produttive che ne avevano condizionato il sorgere, riconoscibili, all’occhio esperto, anche là dove meno si penserebbe di ritrovarle: come l’in te ipsum rediagostiniano si ritrova nelle espressioni, anche le più comuni e tecnicizzate, delle varie poetiche intimistiche del nostro secolo, o come l’imperativo categorico kantiano si ritrova nel concetto di “dovere” formulato nel vecchio Regolamento di disciplina del nostro esercito»11. Ulteriori indicazioni, teoricamente molto rilevanti in ordine alla chiarificazione ed alla messa in opera ‘didattica’ del metodo funzionalistico-storico di cui stiamo qui discutendo, ci sono offerte da un particolare settore di ricerca: quello rappresentato dalla semiologia di ispirazione saussuriana elaborata da Luis Prieto. In particolare, ci interessano le nozioni di identità e pertinenza elaborate in un’opera del 1976 intitolata Pertinenza e pratica12. Secondo Prieto, conoscere un oggetto, sia materiale che teorico (e le categorie filosofiche sono ‘oggetti teorici’), vuol dire riconoscerlo come membro dell’estensione logica di una classe, ossia di un concetto. Tale conoscenza si fonda sull’identità che il soggetto conoscente attribuisce all’oggetto. Identificare un oggetto, pertanto, significa riconoscergli certe caratteristiche e non altre, le quali definiscono la comprensione della classe logica di cui quell’oggetto è membro. Ora, l’identità sotto cui si conosce un oggetto non deriva, in modo necessario, dalla cosiddetta “natura stessa” di quest’ultimo, per cui esso sarebbe rispecchiato “così com’è” dal pensiero che se ne appropria. Tale 10 M. ROSSI, Le origini…, cit., p. 280 Ivi, p. 281 12 L. PRIETO, Pertinenza e pratica. Saggio di semiotica, tr. it. D. Gambarara, Feltrinelli, Milano 1976 11 Prefazione 15 identità dipende, invece, ossia è in funzione del punto di vista che si sceglie per conoscerlo13. Riassumendo, per Prieto concepire un oggetto, elaborarlo teoricamente equivale a un certo modo di conoscerlo. Ora, quando queste conoscenze (=gli oggetti teorici, le astrazioni concettuali) diventano a loro volta oggetto di altre conoscenze (diventano cioè conoscenze di conoscenze), come nel caso della Didattica della filosofia, il compito di quest’ultima è quello di esplicitare le identità, o, come le chiama Prieto, le pertinenze che fondano le diverse categorie filosofiche. Abbiamo cercato di vedere, a questo punto, se fosse possibile estendere, e con quali risultati, i concetti di identità e pertinenza all’ambito della didattica filosofica. Le categorie filosofiche quali “sostanza”, “forma”, “causa”, “natura”, ecc. (come, putacaso, i suoni di una lingua storico-naturale), non sono entità naturali, ma costruzioni storico-teoriche, prodotti culturali, cioè modi di conoscere. Per determinarne l’identità, il valore funzionale, bisogna allora esplicitare il “punto di vista” (Prieto), il presupposto, l’argomento (Rossi), sulla cui base un autore ha dato ad una certa categoria quella particolare fisionomia teorica e non un’altra. Questo discorso vale già per lo stesso concetto-termine di “filosofia”, la cui funzione muta in relazione alle diverse pertinenze che, di volta in volta, ne stabiliscono l’identità. Per cui, come ha rilevato ancora Merker nel citato Atlante della filosofia, sarebbe del tutto fuorviante «dare al termine sophìa la genericissima traduzione di “sapere” o “sapienza” senza le coordinate storico-culturali specifiche»14 Ma una particolare efficacia didattica tale metodo rivela se si prendono in considerazione le singole categorie filosofiche. Prendiamo, ad esempio, un termine-concetto tra i più ricorrenti della storia del pensiero come quello di ragione. Se vogliamo esaminare la diversa funzionalità che esso svolge in due momenti storicamente contigui del suo sviluppo (il Seicento ed il Settecento), dobbiamo anzitutto, come ci suggeriscono Schopenhauer e Marx, individuare quel tratto o lato generale-comune che definisce la “ragione” come struttura conoscitiva unitaria, come luogo della chiarificazione logica e della giustificazione degli enunciati (la cui coerenza dà vita ai “ragionamenti”), ecc. Questo lato generale è ciò che consente di parlare (dal logos antico alla ratio 13 14 Ivi, pp. 69-71; p. 86 N MERKER, Atlante storico della filosofia, cit., p. 20 16 Prefazione moderna, alla raison illuministica) di qualcosa come la “ragione”. Ma se rimaniamo fermi a questo significato generale, non avremo ancora colto la diversa funzionalità storica svolta dalla “ragione” in ambiti teorici e contesti temporali differenti. Come ha osservato Ernst Cassirer, il concetto di “ragione” rimane «vago e indeterminato» finché si sta fermi al suo genusproximum (o lato generale-comune). «Esso diventa preciso e determinato solo quando gli si aggiunge la giusta differentia specifica»15. Ed infatti, decostruendo la categoria storico-filosofica di “ragione” ci si accorge che essa non denota un campo semanticamente omogeneo, che non si ha a che fare, insomma, con una stessa “ragione”. Ma che la sua funzione storica muta col mutare dei i tratti che ne fondano la diversa identità, cioè la diversa pertinenza. In concreto, mentre per i grandi sistemi metafisici del Seicento la ragione «è il territorio delle “verità eterne” comuni allo spirito umano e a quello divino», il Settecento dà al termine un «significato più modesto. Essa non è più un contesto di idee innate date prima di ogni esperienza». Non è più un contenuto fisso di cognizioni, ma una facoltà in movimento, uno strumento che conduce alla scoperta di verità nuove16. Se, a questo punto, seguiamo quello che Rossi ha definito il «decorso funzionale» di una categoria, possiamo rilevare (e soprattutto il docente di filosofia potrà far notare ai suoi allievi) che gli argomenti che definiscono la diversa identità, cioè il diverso significato teorico della “ragione” nei due contesti storici (“innatismo”, “staticità” nel Seicento; “dinamicità”, “strumentalità” nel Settecento), si trasformano, a loro volta, in funzioni di altri argomenti. E si troverà, allora, che l’innatismo e la staticità sono funzionali ad una concezione meccanica dell’universo fondata su un modello geometrico di scientificità; mentre la caratteristica della dinamicità-operatività risulta pertinente all’interno di un sistema di classificazione dei fenomeni basato sul modello newtoniano di un universo in movimento (che si richiama più al naturalismo rinascimentale che alla fisica cartesiana), e così via. Fino a scorgere nell’operatività-dinamicità il riflesso teorico dell’operosità imprenditoriale e dell’ innovatività produttiva che, sul terreno storico-sociale, segnano l’ascesa della borghesia moderna. 15 E: CASSIRER, La filosofia dell’Illuminismo, tr. it. E. Pocar, La Nuova Italia, Firenze, 1973, p. 21 16 Ivi, p. 31 Prefazione 17 Un altro interessante exemplum riguarda la filosofia kantiana. Sarebbe infatti didatticamente molto efficace, ai fini della comprensione della novità rappresentata dalla filosofia critica, far osservare che la coppia concettuale analiticità/sinteticità dei giudizi in Kant dipenda funzionalmente dai particolari codici culturali che ne sottendono la formulazione come loro criteri di pertinenza. Il giudizio «tutti i corpi sono estesi», ad esempio, è analitico perché per Kant il concetto di “corpo”, come ha rilevato Umberto Eco, denota non un oggetto materiale, come direbbe Prieto, ma un oggetto teorico, una conoscenza; vale a dire un’entità culturale alla quale era stata attribuita, da Cartesio a Newton, l’estensione come una qualità essenziale o una caratteristica pertinente ai fini della sua identità filosofica. Mentre il peso rappresentava un tratto accessorio e secondario; salvo poi a diventare, a sua volta, pertinente nel quadro della conoscenza fisica (e non più filosofica) dei corpi17. Dentro questa generale prospettiva funzionalistica, variamente declinata nel corso delle discussioni del modulo,ci è parso rientrasse, per omogeneità metodologica, la cosiddetta “storiografia delle idee” elaborata da Arthur Lovejoy. Nel saggio introduttivo a La grande Catena dell’Essere, del 1936, l’autore dichiarava che il procedimento della storia delle idee è, per molti versi, simile a quello della chimica analitica; nel senso che, «nel trattare la storia delle dottrine filosofiche, essa seziona i monolitici sistemi individuali e li risolve […] nei loro elementi compositivi fino a quelle che si potrebbero chiamare le loro idee-unità»18. Termini come idealismo, illuminismo, romanticismo, pragmatismo, ecc., sono, per Lovejoy, complessi teorico-problematici il cui significato filosofico complessivo non è sempre identico, perché non identici sono, di volta in volta, i «presupposti impliciti o non completamente espliciti o abiti mentali più o meno inconsci che operano nel pensiero di un individuo o di una generazione»19 Questo, in sintesi, il resoconto del modulo di Didattica della filosofia da cui abbiamo preso le mosse. Questi gli autori e gli argomenti sui quali ci si è più a lungo soffermati. Questi, come si può vedere già scorrendo l’indice del volume, sono anche, prevalentemente, gli autori 17 U. ECO, Le forme del contenuto, Bompiani, Milano, 1971, p. 89. Il rilievo di Eco si inquadra nella teorizzazione, da lui proposta, del carattere semiotico dei giudizi. 18 A. LOVEJOY, La grande Catena dell’Essere, tr.it. L. Formigari, Feltrinelli, Milano, 1966, p.11 19 Ivi, p. 12 18 Prefazione e le questioni storico-filosofiche sviluppate dagli autori nei loro percorsi tematici a conclusione del Tirocinio che li ha impegnati per un anno accademico. Con quanto profitto e con quanta efficacia sarà il lettore a giudicare. Premessa ADALGISA CAIRA ANTONELLA GIORDANO IVAN ROTELLA Il rapporto tra docente e studente non è mai stato facile da inquadrare secondo schemi rigidamente predefiniti; il campo d’azione dei due protagonisti si presenta assolutamente flessibile e ricco di sfumature. Nel 2013 si è cercato di “regolamentare” la dialettica insegnamento-apprendimento puntando l’attenzione sulla figura del docente, con un percorso formativo noto come TFA (Tirocinio Formativo Attivo). Dopo aver sostenuto tre prove di selezione per poter accedere al promettente corso di formazione, migliaia di studiosi, lavoratori, precari, disoccupati, tutti concreti sognatori, hanno dovuto affrontare un percorso didattico pratico e teorico di non facile intendimento. Nonostante il Decreto Ministeriale 249 del 10 settembre 2010 - Regolamento per la formazione iniziale dei docenti20, regolamenti l’accesso al TFA, le modalità di svolgimento e di acquisizione del titolo, la gestione del percorso si sono rivelate abbastanza incerte fino alla fine, mantenendo tutti col fiato sospeso. Difficoltà ed incertezze che hanno stimolato noi “tieffini” della classe A037, motivati dal Prof. Romeo Bufalo, docente di “Didattica della Filosofia”,a dar vita a questo libro, che racchiude percorsi tematici e strategie di tirocinio. Un libro che, si spera, possa svelare alcuni ‘arcani’ ed offrire suggerimenti ed indicazioni utiliad altri tirocinanti della medesima classe di concorso Il TFA si è sviluppato secondo tre step: uno rivolto ad matrice didattica comune e propedeutica riguardante gli insegnamenti pedagogici; uno rivolto agli insegnamenti specifici della classe di concorso; uno rivolto alla pratica tirocinante negli organismi scolastici della regione. Ogni step prevedeva esami finali e continue messe alla prova sul campo con lezioni e unità didattiche da costruire in funzione delle classi che ci ospitavano nella veste di “possibili insegnanti”. Il percorso formativo ci ha messo di fronte ad una realtà scolastica carica di 20 http://www.miur.it/Documenti/universita/Offerta_formativa/Formazione_iniziale_insegnanti _corsi_uni/DM_10_092010_n.249.pdf 19 20 Premessa potenziali da emancipare. In particolare si è cercato di stimolare una didattica prassica, volta alla ricerca, mettendofra parentesi l’anacronistico insegnamento diretto all’anamnesi informazionista. Il piano della “Ricerca-Azione” è stato il motore di tutto il TFA. Entrando nello specifico, la prima parte di tale percorso è basata su alcuni insegnamenti generali, ovvero comuni ad ogni classe di concorso, riguardanti le Scienze dell’Educazione, al fine di garantire ad ogni docente, indipendentemente dalla disciplina particolare, un sostrato di competenze comuni e fondamentali per poter svolgere il suo ruolo di educatore che fonda e precede quello di insegnante. In particolare, si tratta di mettere il tirocinante nelle condizioni di acquisire maggiori conoscenze relative alla progettazione e alla valutazione messe in atto negli istituti scolastici, o ancora, alle metodologie e alle strategie didattiche più efficienti e più diffuse. Soprattutto queste ultime sono quelle che durante le ore di tirocinio diretto a scuola si ha avuto maggiormente modo di sperimentare, grazie anche alla presenza imprescindibile della figura del tutor accogliente. Delle 114 ore di tirocinio diretto, 18 sono previste per lo svolgimento del tirocinio relativamente all’ambito del sostegno. Tale svolgimento è preceduto dagli insegnamenti di pedagogia speciale, altro importante ramo di riferimento per il docente o neo-docente di ogni classe di concorso. La seconda parte del percorso abilitante è basata invece sugli insegnamenti delle didattiche disciplinari, ossia delle didattiche relative alle differenti classi di concorso presenti all’interno del TFA. Didattiche disciplinari teoriche, didattiche laboratoriali e tirocinio indiretto, si affiancano al contempo alle ore di tirocinio diretto a scuola nella seconda e ultima fase del percorso. L’insegnante o neo-insegnante di qualsiasi classe di concorso inizia perciò il suo percorso di formazione tenendo sempre ben presenti le didattiche relative alle Scienze dell’Educazione, per poi proseguire con l’acquisizione di ulteriori conoscenze didattiche attinenti alle proprie discipline. Infatti, il superamento delle tre prove selettive per l’accesso al TFA, è garanzia delle conoscenze relative ai contenuti delle varie discipline, ma questa conoscenza non implica necessariamente una competenza didattica altrettanto garantita. Inoltre, contemporaneamente alle ore di tirocinio diretto, il TFA prevede, per ogni classe di concorso, determinate ore di tirocinio indiretto, quale costante rielaborazione di ciò che il corsista-tirocinante Premessa 21 svolge a scuola e in classe. Infatti, oltre alla figura del tutor accogliente a scuola vi è la figura del tutor coordinatore che, in base a quanto stabilito dal Decreto, viene scelto per ogni classe di concorso; si tratta, infondo, di un moderatore, con competenza ed esperienza, del confronto inevitabile tra tirocinanti. Mentre ogni tirocinante rielabora i propri lavori al fianco del tutor, quale figura esperta nell’insegnamento, all’interno dello stesso tirocinio indiretto ci si occupa, indipendentemente dalla specifica classe di concorso, della trattazione di alcune tra le più diffuse e funzionanti strategie didattiche, quali il masterylearning o il cooperative learning, per poter così approfondire tematiche già affrontate nella prima fase del percorso. Il presente lavoro, come premesso, nasce all’interno dei corsi di didattica disciplinare della classe di concorso A037 (filosofia e storia). La seconda fase dell’iter del TFA si costituisce infatti dei corsi delle Didattiche disciplinari, perciò nello specifico per la A037, dei corsi di Didattica della Filosofia e di Didattica della Storia e dei Laboratori di entrambe le didattiche. Obiettivo primario delle didattiche e dei rispettivi laboratori è quello di fornire al neo-insegnante, non più contenuti disciplinari, bensì veri e propri strumenti di lavoro per “imparare ad insegnare”; strumenti attraverso i quali utilizzare altri strumenti, quali appunto, manuali, fonti, archivi, classici. Come per gli strumenti relativi alle Scienze dell’Educazione, così anche per le Didattiche e i Laboratori è necessario che il tirocinante superi, per ogni modulo, una prova: attraverso il superamento di ognuna di esse si accede infine all’esame finale di abilitazione. Ogni neo-insegnante-tirocinante conclude infatti il percorso formativo e di tirocinio con la stesura di una relazione finale e con un esame, nel quale confluisce tanto il resoconto del tirocinio, quanto la discussione di un vero e proprio percorso didattico relativo alle discipline di ogni specifica classe di concorso. Questo lavoro intende raccogliere alcuni tra i percorsi didattici storico-filosofici (classe A037) di alcuni dei tirocinanti della prima edizione del TFA, con l’obiettivo di fornire, ad eventuali nuovi tirocinanti futuri, degli esempi ai quali poter guardare. I temi trattati in questi lavori sono tutti rigorosamente oggetto di insegnamento a scuola delle discipline della A037, da Aristotele a Freud, dal Rinascimento all’Italia delle due guerre mondiali. Ogni lavoro nasce innanzitutto all’interno della classe scolastica che ha accolto il tirocinante, esattamente perché quest’ultimo ha avuto 22 Premessa modo, tanto di osservare, quanto di preparare la lezione e di spiegare, almeno in una delle tre classi liceali all’interno delle quali si effettuano gli insegnamenti di filosofia e di storia. Se da un lato il tirocinante affianca il tutor accogliente a scuola nella spiegazione della lezione e viene da questi accompagnato nella sperimentazione, dall’altro i docenti delle didattiche disciplinari forniscono allo stesso tirocinante la possibilità di sviluppare un proprio percorso storico-filosofico con il corretto utilizzo delle metodologie didattiche proprie delle discipline in questione. Università della Calabria, maggio 2014
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