n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE iWatch e le Crepa nel monopolio Passaporto elettronico Compri online e speranze delle SIAE: il tribunale dà Per richiederlo ci vuole ritiri nelle stazioni 22 startup italiane ragione a Soundreef 02 ancora troppa carta 04 TotalErg A nulla è servito regalare a pioggia smartwatch a tutti i giornalisti alla conferenza stampa del CES di Las Vegas. E a nulla è servita l’enfasi di Ennio Doris con gli intervenuti alla conferenza stampa milanese: “Voi direte ai vostri figli e ai vostri nipoti che quel giorno, al lancio di I’m Watch, c’eravate”. Sì, perché alla fine Ennio Doris nel cassetto il “piano B” non ce l’aveva e ha scelto di mettere la parola fine a I’m Watch, la sua startup tutta “made in Vicenza” che avrebbe dovuto rivoluzionare il mondo dell’elettronica con i propri smartwatch. Un’iniziativa evidentemente nata con il piede sbagliato: basi tecnologiche fragilissime, impossibilità di proporre autonomamente un ecosistema di app, ritardi produttivi cronici e promesse di vendita regolarmente mancate. Ma soprattutto mancanza di un vero progetto a medio termine: c’era solo il tentativo di cavalcare per primi la moda dei “wearable”, un interesse che, tra le altre cose, non ha ancora dato vere conferme di sé al registratore di cassa. Come avevamo previsto e come era facilmente prevedibile, sugli smartwatch sono arrivati i colossi: Apple, Google, Samsung, LG, Sony, Microsoft; e nessuna ha trovato una buona idea comperare la startup vicentina, evidentemente evanescente. La responsabilità non è tanto dei due giovani e sprovveduti fondatori, quanto dello stesso Doris e del suo braccio destro Edoardo Lombardi, entrambi manager di lungo corso e quindi “indifendibili”: da noi messi sull’avviso, hanno tirato diritto. Eppure, quando queste cose che ci sembravano evidenti e le scrivevamo, più volte siamo stati tacciati di “esterofilia”, siamo passati per polemici detrattori dei giovani talenti, per “sfascisti” a tutti i costi. E invece era già tutto scritto. Proprio come accadde per Volunia, il motore di ricerca “visuale” made in Italy inspiegabilmente celebrato da molta stampa prima del lancio e miseramente tornato nell’oblio un minuto dopo. Anche in questo caso, si capiva bene sin da prima che Volunia non sarebbe andato da nessuna parte. Ma anche in quel caso si alzò il grido dei “patrioti a prescindere” che volevano che un’idea debole, eseguita tra le altre cose molto male, dovesse essere un successo solo perché nata sotto il tricolore. Non basta essere una startup per essere innovativi. Le startup in Italia sono troppe e il rischio è che quelle davvero buone si confondano nel rumore di quelle “tanto fumo”. ci sono anche tanti fanatici delle startup “a prescindere” (per credo o per interesse), che santificano gli uffici condivisi, la nuova rivoluzione industriale che parte dal basso, gli incubatori. In realtà ci sono buone idee e buone “execution”, e le due cose devono andare di pari passo, altrimenti finisce male. Negli States, là dove alcune startup diventano aziende vere, la selezione è massacrante, bisogna avere idee chiare, visione interdisciplinare e molto talento. Da noi queste sono qualità che si richiedono più agli aspiranti concorrenti di XFactor che agli startupper. Resta il sospetto che qualcuno abbia pensato che le startup possano essere un sistema per fare soldi facili (come le vecchie net company), vendendo il “paccotto” appena avviato a un finanziatore che vuole sentirsi alla moda. È un peccato: per ogni startup all’italiana che scoppia (anche malamente), il conto lo paga la credibilità del sistema della giovane imprenditoria nei settori innovativi. Senza metodo e rigore, ci sarà spazio solo per un’altra “bolla”. Gianfranco GIARDINA Svelati iPad Air 2 e iMac 5K iPad Air 2 è ancora più sottile e potente Il nuovo iMac sfoggia un display 5K da urlo Il Mac Mini 2014 è più veloce e costa meno IN PROVA 25 Samsung Galaxy Note 4: sempre al top 30 09 Arriva il lecca lecca di Google Presentato Android 5.0 “Lollipop”, tutte le novità del sistema operativo mobile che farà il debutto sui nuovi Nexus 6 e Nexus 9 Amazon Fire HD 6 e 7 Tablet a prezzo super 33 10 Google lancia Nexus Player È il primo Android TV 07 Netflix 4K è il futuro dell’home video? 35 Funziona come centro multimediale e come console giochi. Per ora è in pre-order solo in USA Olympus OM-D E-M10 Bella e compatta n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE MERCATO I Giudici di Milano danno ragione alla startup italiana per la raccolta dei diritti d’autore negli esercizi commerciali SIAE meno monopolista, il tribunale dà ragione a Soundreef Riaffermato il principio del libero mercato e della libera concorrenza per l’intermediazione nel settore dei diritti d’autore di Paolo CENTOFANTI S oundreef, piccola startup londinese fondata da un gruppo di giovani italiani, ha ottenuto ragione dal tribunale di Milano, in una vertenza che la vedeva indirettamente contrapposta a SIAE. Il principio che passa dal dispositivo dei giudici di Milano è che il diritto europeo in termini di libera concorrenza e libera circolazione dei servizi nell’Unione prevale su quel che resta del monopolio di SIAE in Italia. Soundreef è una società che si occupa di dare in licenza musica per la riproduzione in ambienti come centri commerciali, eventi e concerti live e di distribuire i proventi agli autori dei brani che vengono così sfruttati. Ma una cantautrice italiana, non meglio precisata, e la radio in store Ros & Ros, hanno chiesto ai giudici di bloccare l’attività di Soundreef, sostenendo che il mandato secondo la legge italiana spetti esclusivamente a SIAE . Il tribunale però ha risposto picche, sostenendo che: “non sembra infatti potersi affermare che la musica (...) gestita da Soundreef e da questa diffusa in Italia in centri commerciali GDO e simili, debba obbligatoriamente essere affidata all’intermediazione di SIAE. Una simile pretesa entrerebbe in conflitto con i principi del libero mercato in ambito comunitario e con i fondamentali principi della libera concorrenza.” Se è vero che l’articolo 180 della legge sul diritto d’autore dà un mandato di esclusiva a SIAE, dicono i giudici, questo non può scontrarsi con il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea in materia di libera circolazione dei servizi. Un mandato di esclusiva oltretutto che il parlamento europeo ha già votato per eliminare all’interno della riforma per la creazione di un mercato unico della mu- sica all’interno dell’Unione Europea. La direttiva europea, approvata lo scorso febbraio, e che i paesi dell’Unione dovranno recepire nel proprio ordinamento entro aprile 2016, prevede infatti per tutti gli autori la facoltà di scegliere autonomamente la società di collecting per ciascuna classe di diritto di sfruttamento. In questa sorta di limbo legislativo, da qui al recepimento della direttiva europea, i giudici di Milano hanno dato dunque ragion d’essere al ruolo di Soundreef, escludendo che il suo operato possa ritenersi scorretto. Comprensibile la soddisfazione di Francesco Danieli, CEO di Soundreef: “siamo sempre stati convinti MERCATO Dal 2015 l’Irlanda non sarà più la meta preferita delle multinazionali dell’hi-tech L’Irlanda non è più il paradiso delle multinazionali Le aziende dovranno pagare tasse irlandesi in ogni caso. La pacchia è finita, addio Cayman di Emanuele VILLA ono anni che le multinazionali (soprattutto quelle hi-tech) vengono accusate di ogni genere di stratagemma volto ad abbattere le tasse sui profitti. Apple, Google, Facebook e Amazon sono nel centro del mirino, ma il fenomeno non è limitato alle aziende di tecnologia bensì a tutte le multinazionali; parliamo di miliardi di dollari e di euro che ogni anno vengono sottratti alle casse statunitensi ed europee. Gli schemi adottati dalle aziende per pagare il meno possibile sono variegati, ma una costante c’è sempre: l’Irlanda. E questo per due motivi: intanto è lo stato europeo con la Corporate Tax più bassa in assoluto (12,5%, in Italia superiamo il 30%, negli USA è 35%), ma soprattutto è l’unico che permette a un’azienda di non essere considerata fiscalmente residente se controllata e gestita altrove, anche se la sede è in Irlanda. Da qui il complesso schema del Double Irish (con l’ulteriore “variante olandese”) che consiste nella creazione, da parte della Casa madre statunitense, di due sussidiarie in Irlanda (da cui “double”) una fiscalmente resi- S torna al sommario dente, l’altra controllata e gestita in un paradiso fiscale come le Cayman (o affini). Mediante un complicato schema di cessione dei diritti sulle royalties dalla Casa madre alla controllata offshore (che non paga tasse sulle stesse o paga una percentuale irrisoria essendo in un paradiso fiscale), gli utili delle vendite di prodotti e servizi generati dall’azienda residente in Irlanda vengono Lo schema Double Irish per punti (Visualeconomics). “assorbiti” dal pagamento delle royalties alla società offshore, 2020 per adeguarsi. Ci si interroga sulle ridudendo in modo netto le tasse sui possibili conseguenze per l’economia profitti, irlandesi o statunitensi che siano. dell’isola, non dimenticando che proprio Il ministro delle finanze Michael Noonan schemi come il Double Irish hanno porha deciso di cambiare rotta: incalzato tato sull’isola un’infinità di multinazionali, dalle pressioni di USA e UE, il ministro generando reddito e dando lavoro agli ha dichiarato che a partire dal 2015 le irlandesi. Ma Noonan è certo: con nuovi aziende registrate nello Stato saranno incentivi che verranno posti in essere e anche fiscalmente residenti nello stesso. con una corporate tax al 12,5% (questa Questo vale per le nuove imprese: quel- non è a rischio), chi potrà mai abbandole già presenti sul territorio hanno fino al nare l’Irlanda? che la concorrenza – anche nel mercato dell’intermediazione dei diritti d’autore – sia legittima ed auspicabile perché produce effetti positivi soprattutto per i titolari dei diritti, spingendo le collecting society ad operare meglio ed in condizioni di maggiore efficienza” E forse proprio l’efficienza di Soundreef è ciò che preoccupa maggiormente SIAE in vista dell’apertura del mercato del diritto d’autore in Europa. Soundreef, infatti, offre prezzi bassi a chi chiede musica in licenza e un meccanismo trasparente di rendicontazione per gli autori, con dettaglio delle proprie royalty in 7 giorni e pagamenti dei diritti entro i 90 giorni. MERCATO Finlandia in crisi, ma è colpa di Apple Standard & Poor’s ha declassato la Finlandia, passata da un rating AAA ad un più basso AA+. Le cause sono diverse, tra cui le sanzioni nei confronti della vicina Russia e l’innalzamento dell’età media, ma anche la perdita d’appeal del comparto industriale ha contribuito. All’inizio del secolo, infatti, Nokia e l’industria di produzione della carta erano i due gioielli dell’industria manufatturiera finlandese, ora invece Nokia e le aziende nordiche che esportavano carta in tutta Europa sono in fortissima crisi. La colpa, quindi, secondo il Primo Ministro finlandese Alexander Stubb, ricade su Apple, che con iPhone e iPad ha annientato in un sol colpo l’intero reparto industriale. Se l’iPhone ha infatti fatto fuori Nokia, l’iPad ha ridotto l’uso della carta per la stampa dei giornali. La sfida, ora, è rivitalizzare il comparto puntando sulle biotecnologie per l’industria forestale e su reti di telecomunicazioni per Nokia. Sempre che Apple, o magari questa volta Google, non decidano di mettersi di mezzo. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE MERCATO Jiffy è un nuovo sistema di pagamento peer-to-peer facile da utilizzare per il trasferimento diretto di somme di denaro Parte dall’Italia Jiffy, il bonifico istantaneo via smartphone Il sistema offre un’elevata sicurezza e si utilizza mediante lo smartphone. Sarà adottato da 9 grandi gruppi bancari italiani di Paolo CENTOFANTI ffettuare un qualsiasi trasferimento di denaro diventa facile come inviare un SMS o un messaggio su WhatsApp, un’operazione istantanea, ma con la stessa sicurezza di un bonifico bancario tradizionale. Sono queste le caratteristiche essenziali di Jiffy, un servizio di pagamento peer-to-peer realizzato da SIA e in via di lancio in Italia con il supporto di 9 dei più grossi gruppi bancari italiani, tra cui UBI Banca e Intesa San Paolo, con una copertura di quasi il 60% dei conti correnti italiani. Per pagamento peer-to-peer (o meglio person to person) si intende la possibilità di trasferimento diretto di denaro tra due persone e Jiffy è una soluzione che intende rendere l’operazione il più sempli- E video lab Jiffy Pagamenti p2p su smartphone Pace fatta in tribunale tra Beats e Bose Dopo l’annuncio dell’acquisizione di Beats da parte di Apple, Bose aveva intentato una causa contro l’azienda di Dr. Dre, sostenendo la violazione di ben 5 dei suoi brevetti su una tecnologia che, di fatto, è uno dei marchi di fabbrica di Bose degli ultimi anni. La causa legale è giunta a conclusione con un accordo tra le due parti, il cui contenuto non è noto. Ultimamente Bose e Beats sono state protagoniste anche di un’aspra battaglia a distanza a livello di comunicazione. L’NFL, sponsorizzata da Bose, ha imposto ai giocatori di football di non comparire in interviste ufficiali indossando cuffie Beats, mentre secondo indiscrezioni, Apple si starebbe preparando a rimuovere i prodotti Bose dai suoi Apple Store in seguito all’acquisizione di Beats. torna al sommario ce e immediata possibile e, a differenza di un normale bonifico, anche istantanea, il tutto comodamente dallo smartphone. Il servizio sarà integrato direttamente nelle app di home banking delle banche che decidono di supportarlo e per utilizzarlo serve solo un’informazione: il numero di telefono del destinatario. All’attivazione di Jiffy, infatti, viene associato il numero di telefono all’IBAN del conto corrente o della carta conto prepagata di appoggio; in questo modo, un po’ come WhatsApp, all’interno dell’app della banca avremo automaticamente una rubrica con tutti i contatti che hanno già attivato il servizio e a cui potremo inviare del denaro con un semplice gesto: si seleziona il contatto, si digita l’importo e il gioco è fatto. Se il contatto a cui si vuole mandare il denaro non ha ancora aderito al servizio, si può comunque procedere inviando una richiesta di invito a iscriversi. Poiché Jiffy è accessibile direttamente dall’interno dell’app della banca, il livello di sicurezza è quello del relativo servizio di home banking, mentre la transazione è affidata alla collaudata infrastruttura di SIA. Un’azienda di cui magari non avete mai sentito parlare, ma di cui utilizzate i servizi ogni volta che pagate con una carta di credito o prelevate da un bancomat. SIA fornisce, infatti, le infrastrutture di comunicazione e sicurezza per i pagamenti e i trasferimenti di denaro elettronici per banche, istituzioni, pubblica amministrazione e imprese di ogni livello, fino alla Banca d’Italia. SIA nel 2013 ha gestito 2,7 miliardi di operazioni con carte di credito o debito, 2,2 miliardi di bonifici, per un totale di 4,9 miliardi di pagamenti elettronici. Jiffy è stato implementato sulla base dell’area unica di pagamenti europea (SEPA), piattaforma che permetterà così di utilizzare il servizio con qualsiasi conto corrente delle banche europee e SIA punta molto sulla possibile adozione del servizio anche da parte delle realtà di altri paesi europei. Un punto chiave per il successo dell’iniziativa rimane a nostro avviso la modalità con cui le singole banche comunicheranno il servizio ai propri clienti e soprattutto quali saranno le procedure per la sua attivazione. Un conto è trovare l’opzione per attivare Jiffy direttamente all’interno dell’app di home banking per smartphone o tablet, un altro è doversi recare in filiale e firmare nuove carte. SIA si occupa infatti solo di fornire la piattaforma alle banche, che sceglieranno le modalità con cui proporlo ai clienti. Il servizio è davvero semplice e potrebbe tranquillamente sostituire in molti contesti la necessità di utilizzare un POS o il bonifico tradizionale. MERCATO Nokia ha pubblicato un video in cui mostra la potenzialità della piattaforma Here Auto La navigazione ora è “connessa”, con Here Auto Grazie al cloud, la navigazione è totale: parte da casa, prosegue in macchina e finisce a piedi di Emanuele VILLA ei giorni del salone di Parigi abbiamo dedicato un servizio completo a Here Auto, la piattaforma di navigazione servizi connessi di casa Nokia. Successivamente, l’azienda ha poi pubblicato un video che illustra in modo pratico i punti di forza del sistema, riportamo di seguito. L’idea è notevole: Here Auto non è un “navigatore da auto” ma una piattaforma integrata che, grazie all’impiego pervasivo del cloud, segue l’utente lungo tutto il viaggio, dalla sua pianificazione in casa al tragitto in auto, ma senza dimenticare i momenti di avvicinamento alla meta a piedi. Il sistema è collaborativo, il che significa che i passeggeri possono, tramite i display posteriori, impostare delle tappe lungo il tragitto e proporre fermate al conducente, che N deciderà se accettarle o meno. Nel primo caso, il sistema si aggiorna per tenerne conto; inoltre, come destinazione possono essere anche punti d’interesse, il calcolo del traffico è costante e, come anticipato, nel momento in cui il conducente scende dall’auto lo smartphone si aggiorna automaticamente e prosegue l’esperienza “connessa”, ovviamente tenendo traccia di dov’è stata parcheggiata l’auto. La cosa interessante è che il sistema Here Auto è aperto e personalizzabile dalle singole aziende automobilistiche per l’integrazione “seamless” con i propri sistemi di infotainment: Nokia HERE Auto n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE MERCATO Il processo per fare il passaporto elettronico è stato migrato in larga parte al digitale, ma non tutto fila liscio Passaporto elettronico sì, ma molto poco digitale Purtroppo la coabitazione con le pratiche cartacee fa sì che la maggior parte dei vantaggi per i cittadini vada perso I di Gianfranco GIARDINA l nome “Passaporto Elettronico” farebbe ben sperare: finalmente - viene da credere - la Pubblica Amministrazione ha imboccato la strada della digitalizzazione. Chi invece si è trovato a rinnovare il passaporto in questi mesi ha sperimentato una digitalizzazione a metà, che non semplifica più di tanto le cose al cittadino e che non cambia le (cattive) abitudini della Pubblica Amministrazione. Anzi, per mancanza di coraggio, di visione o di capacità gestionali, si inseriscono le rigidità e i costi dei sistemi digitali, senza modificare di fatto il processo, che resta ancora molto “cartaceo”. Ma andiamo per gradi. Un inizio promettente si fissa l’appuntamento con un sito Va detto innanzitutto che il “passaporto elettronico” si chiama così non tanto perché sia immateriale o realizzato per via digitale, ma perché integra nella copertina un microchip che aumenta il livello di sicurezza e automatizza alcune operazioni di riconoscimento. Ma per certi versi, il passaporto elettronico - a partire dal nome - poteva anche essere l’occasione per la Pubblica Amministrazione per dimostrare la propria propensione verso la semplificazione e digitalizzazione dei processi. E proprio questo sembra essere stato l’intento: la Polizia di Stato ha aperto da qualche tempo un sito che permette di preparare la propria domanda di emissione di un nuovo passaporto e di prenotare un appuntamento presso l’ufficio della questura preferito, per perfezionare il deposito della domanda stessa. Qui l’operazione va via veloce: si inseriscono tutti i dati personali e familiari, si sceglie l’ufficio e quindi lo slot orario disponibile. A breve giro di posta arriva via mail la conferma dell’appuntamento fissato e il modulo della domanda precompilato in formato PDF. Il problema, almeno nel nostro caso, è che l’appuntamento non è affatto tale: una volta arrivati al posto di Polizia abbiamo scoperto che non c’è alcuna gestione degli appuntamenti e ci è stato chiesto di fare una comune fila allo sportello, attendendo il nostro turno: perché allora richiedere di fissare un appuntamento? La domanda (compilata online) va consegnata in carta A questo punto, bisogna radunare la documentazione per l’emissione del nuovo passaporto, da portare in questura. E qui arriva il primo paradosso, derivante evidentemente dalla ritrosia dell’apparato pubblico di abbandonare le vecchie abitudini: la prima cosa che il cittadino deve portare con sé è la stampa (!) del modulo precompliato presente nel PDF ricevuto. In pratica, il cittadino inserisce tutti i dati nel sistema telematico per utilizzarlo come banale macchina da scrivere: infatti poi deve presentarsi con il modulo su carta. Si tratta di una cosa totalmente senza senso: se i dati sono già sul server della Polizia di Stato che ha ricevuto la domanda, che motivo c’è di portare la stampata? L’ufficio che la riceve, infatti, dispone di un terminale e recupera tutti i dati della richiesta effettuata. Questo, tra l’altro, mette in difficoltà, e del tutto inutilmente, i tanti utenti che non dispongono di una stampante, come spesso accade a coloro che operano solo da tablet. Perché non dematerializzare del tutto la domanda? Le fotografie: l’assurda conversione digitale-analogico-digitale Insieme alla richiesta vanno consegnate due foto tessera rispondenti alle specifiche richieste per i passaporti esemplificati sullo stesso sito della Polizia di Stato. Sarebbe molto facile consentire, in fase di caricamento online della domanda, l’upload diretto di un’immagine digitale, ovviamente da verificare in presenza del diretto interessato in questura. La richiesta invece prevede due copie fisiche della fotografia, in dimensione 4 x 4 cm. Ed ecco un nuovo paradosso: quando si arriva allo sportello con le fotografie, quello che accade è che una di queste finisce per essere pinzata sulla domanda cartacea; l’altra viene ritagliata e applicata su un cartoncino premarcato che poi viene inserito nello scanner per la digitalizzazione. In pratica la foto, che in origine era digitale (ce la siamo scattata da soli) deve essere stampata, con i costi ma soprattutto con le complicazioni connesse, per poi essere ridigitalizzata pochi minuti dopo. Per farla ancora più semplice basterebbe dotare gli uffici della questura di una banalissima webcam (come accade un po’ dappertutto al mondo) per la cattura del viso dell’interessato direttamente al momento della presentazione della domanda. Peraltro la presenza dell’interessato è obbligatoria dato che vengono catturate anche le impronte digitali (che poi vengono memorizzate nel microchip): tanto vale catturare anche il viso. A meno che non si voglia difendere il business dei chioschi fotografici. Addirittura, nel nostro caso, la prima foto consegnata è stata “scartata” perché, a detta dell’impiegata che ha ricevuto la domanda, “lo sfondo non è bianco” (era semplicemente grigio chiaro). Avevamo seguito pedissequamente le istruzioni, anche molto visuali, presenti sul sito della Polizia di Stato al capitolo “Esempio foto per passaporto”: tutti gli esempi dati per corretti sono su un prevalente sfondo blu e non bianco (come invece indicato nella lista dei documenti da presentare). Siamo quindi stati costretti a fare una nuova fotografia e farla ristampare di nuovo, con la conseguente perdita di tempo e denaro. Tutto si sarebbe risolto istanta- segue a pagina 06 torna al sommario n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE MERCATO È finita l’avventura dello smartwatch italiano finanziato da Ennio Doris attraverso un fondo d’investimento Chiude i’m Watch: lo smartwatch italiano al capolinea L’azienda incolpa Samsung, Google e Apple, colossi con i quali è impossibile competere. Ma la motivazione è traballante L’ di Roberto PEZZALI avventura di I’m Watch è arrivata al capolinea: lo smartwatch italiano, il pioniere degli orologi intelligenti, resterà solo un ricordo, neppure troppo piacevole per alcuni clienti. Nel momento in cui smartwatch e tecnologia wearable sono i trend in crescita, i’m Spa, l’azienda di Manual Zanella e Massimiliano Bertolini, ha annunciato di voler uscire dal mercato dei wearable. Non solo i’m Watch non sarà più prodotto, ma viene sospeso anche il progetto i’mTracer presentato al Mobile World Congress di Barcellona. L’azienda, che ricordiamo è stata finanziata nel progetto da Ennio Doris tramite un fondo di investimento, ha annunciato ufficialmente la fine del progetto sul suo sito. “Autentica pioniera in questo settore, l’azienda ha preso questa decisione per via dell’accesa concorrenza che si è creata sul mercato degli smartwatch con la presenza di grandi aziende multinazionali che possono contare su una straordinaria potenza finanziaria e tecnologica. Uno scenario competitivo che di fatto ha confermato una volta di più come il “first mover” di un settore difficilmente riesca poi a conquistare il mercato di riferimento.” Una scusa questa però traballante: la storia di i’m Watch è paragonabile infatti a quella dello smartwatch americano Pebble, un prodotto nato e sovvenzionato dagli utenti tramite Kickstarter che è riuscito a dimostrare che non esistono solo Apple e Google. I’m Watch è stata affossata da un supporto non all’altezza, da una durata della batteria ridicola, da tempi di consegna annunciati ma mai rispettati e da un prodotto troppo complesso e macchinoso, anche se diverse iterazioni software lo avevano piano piano portato ad un livello discreto. Neppure per il nuovo progetto i’mTracer Zanella e Bertolini fanno il mea culpa. “Per quanto riguarda i’mTracer, le cui performance devono rispondere a livelli di elevata affidabilità, il prolungato perdurante ritardo nel suo sviluppo tecnologico, affidato ad una società di progettazione esterna, ha portato ad un impegno finanziario molto più elevato di quello inizialmente previsto, costringendo così l’azienda alla sospensione del progetto, nonostante che gli aspetti commerciali e quelli di marketing fossero già ampiamente definiti e pronti per il lancio.”Chi ha comprato lo smartwatch potrà avvalersi dei diritti di garanzia e assistenza come previsto dalla legge. MERCATO Passaporto elettronico, ma poco digitale segue Da pagina 05 quanto faceva ai tempi delle foto solo analogiche con l’aggravio anche della scansione e della gestione del file. Il peggio di entrambi i mondi. Passaporto elettronico, pratica online ma pagamento solo in posta neamente con una banale webcam. Alla fine, quando si ritira il passaporto, si scopre che la foto è appunto digitale ed è stampata e non applicata sul documento. Ma la conversione digitale-analogico-digitale della foto non può che averne compromesso la qualità: l’immagine è brutta, addirittura attraversata da un difetto di scansione o di stampa. Se la foto fosse stata caricata direttamente online da cittadino inviando il file originale sarebbe stata sicuramente qualitativamente migliore e, quindi, con una maggiore riconoscibilità, elemento che dovrebbe ispirare le scelte relative ai passaporti. E anche con un buon risparmio di tempo per l’operatore: invece così chi processa la pratica si trova a fare tutto torna al sommario E poi arriviamo ai pagamenti da effettuare prima di poter presentare la domanda. Si tratta in buona sostanza di una marca da bollo da 73,50 € e di un versamento di 42,50 € sul conto corrente postale del Ministero delle Finanze. Già il cittadino fatica a capire perché sia necessario fare due pagamenti disgiunti che - alla fine - vanno entrambi per canali diversi nelle casse dello Stato: e infatti un motivo vero non c’è, salvo la lentezza della burocrazia che sarebbe molto inefficiente nel ridistribuire questi fondi ai due uffici pubblici che li devono ricevere. La marca da bollo, seppur “elettronica”, va comperata in un tabaccaio o in una delle rivendite autorizzate. Ma il maggior paradosso è il versamento sul conto corrente postale. Le istruzioni del sito della Polizia di Stato sono chiare: il versamento va effettuato “esclusivamente” attraverso un particolare bollettino postale precompliato che si trova presso gli uffici postali, che sempre presso gli uffici postali va pagato. Noi, increduli, per evitare il viaggio all’ufficio postale e la lunga fila per il pagamen- to, abbiamo prima provato in tutti i modi il pagamento online. I nostri tentativi di pagare online, sia sui siti degli istituti bancari che sul sito stesso delle Poste Italiane non sono andati a buon fine: il pagamento su quello specifico conto corrente postale viene sempre rifiutato e quindi è obbligatorio recarsi presso un ufficio postale e sperare che il bollettino prestampato sia effettivamente disponibile. Ovviamente tutto ciò poteva (o meglio dovrebbe) essere evitato con un semplice pagamento online sul sito sul quale si compila la domanda, con carta di credito o PayPal: lo fanno ogni giorno milioni di siti privati nel mondo, possibile che non possa farlo uno Stato come l’Italia? E se proprio non si poteva fare online, sarebbe stato sicuramente meglio richiedere un’unica marca da bollo della somma delle due cifre. Ma forse a chi ha pensato il processo non stanno molto a cuore il tempo e le tribolazioni dei cittadini. La notifica funziona ma l’intero processo va rivisto Dopo qualche giorno dalla consegna della domanda, arriva in maniera tempestiva, e questa volta ben funzionante, una notifica via mail che il documento è pronto presso l’ufficio della questura dove abbiamo presentato la domanda. E in effetti il documento è lì che ci aspetta. Insomma, un processo che inizia bene e finisce bene, ma che in mezzo è ancora tutto da mettere a posto, con tutti i difetti della gestione cartacea tradizionale che si sommano alle rigidità di quella digitale. Una questione da poco - sia chiaro - visto che alla fine il Passaporto lo si ottiene in molti meno giorni di quanto non accadeva qualche decennio fa. Ma si tratta di un esempio lampante di come l’applicazione dell’Agenda Digitale richieda nel nostro Paese persone molto competenti e un impegno a riprogettare i processi, non solo a rivederli in chiave (apparentemente) “moderna”. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE MERCATO Anche il terzo trimestre di Samsung vede una sensibile contrazione dei profitti Samsung: profitti giù del 60% in un anno Sulla divisione smartphone pesano la concorrenza sempre più forte e il calo dei prezzi di Paolo CENTOFANTI amsung avvisa gli investitori, prima del rilascio dei dati ufficiali, che l’ultimo trimestre fiscale vede ancora un calo dei profitti, con prestazioni peggiori del previsto. Il terzo quarto fiscale dell’anno si chiuderà infatti con un margine operativo di 4,1 trilioni di Won, pari a circa 3 miliardi di euro, con un calo del 60% rispetto allo stesso periodo di un anno fa e in calo di oltre il 40% rispetto allo scorso trimestre. A pesare sul bilancio di Samsung è ancora una volta l’erosione dei profitti per quanto riguarda gli smartphone e i tablet, mercato in cui è in corso una sensibile contrazione dei prezzi a fronte della concorrenza che arriva dai produttori cinesi di terminali Android di fascia bassa e media. Sulla fascia alta, invece, nell’ultimo mese si è aggiunta la concorrenza di Apple che soprattut- S MERCATO DTS su tutti i prodotti LG TV compresi DTS e LG hanno firmato un accordo strategico globale che consentirà al marchio coreano di integrare un decoder DTS, e in particolare DTS-HD, all’interno di tutta la propria offerta. Escludendo i prodotti per i quali non avrebbe senso, possiamo dunque supporre l’integrazione della tecnologia DTS nei TV, nelle soundbar, nei sistemi home theater e prodotti analoghi di home entertainment. Più nel dettaglio, LG ha ora la possibilità di integrare nei propri prodotti il decoder DTS-HD, che di fatto rende compatibile il prodotto con le codifiche DTS, DTS Coreless Lossless, DTS Express e DTS-HD Master Audio, quest’ultima inaugurata con i Blu-ray Disc una decina d’anni fa e attualmente sinonimo di altissima qualità d’ascolto. E’ previsto il supporto fino a 11.1 canali, mentre la compatibilità con il DTS Surround (il DTS “classico”, tanto per intenderci) è una fondamentale apertura verso formati magari non più allo “stato dell’arte” (come il DVD) ma pur sempre diffusissimi. torna al sommario Swisscom sta valutando se vendere Fastweb a Vodafone Acquistando Fastweb Vodafone entrerebbe in diretta competizione con Telecom Italia nella comunicazione su fibra ottica di Emanuele VILLA to con i nuovi iPhone 6 Plus ha preso di mira una nicchia in cui prima Samsung dominava quasi incontrastata, mentre aziende come Huawei e Xiomi cominciano offrire alternative di qualità a prezzi sensibilmente più bassi. L’andamento del titolo degli ultimi anni mostra come Samsung, dopo una note- vole crescita a partire dal 2011, si trovi ora ai minimi dal 2012 e tendenzialmente in calo da ormai più di un anno. Più volte negli ultimi mesi gli analisti avevano sottolineato come l’eccessivo sbilanciamento di Samsung sulla telefonia avrebbe potuto creare problemi sull’andamento generale dell’azienda. MERCATO Il canale TV dedicato allo shopping va a gonfie vele In forte crescita il canale HSE24 Nuova sede e 30 assunzioni U di Emanuele VILLAI na notizia piacevole per chi ama fare shopping e, magari, segue con costanza gli show di HSE24, il canale di shopping e informazione accessibile al 37 del digitale terrestre e 870 di Sky. In un momento di crisi economica come questo, HSE24 diffonde segnali e dati incoraggianti che dimostrano lo stato di salute di un’attività che può ancora garantire prospettive di crescita. L’azienda, che com’è noto propone show di vendita per 17 ore al giorno, delle quali 15 in diretta, ha recentemente inaugurato la propria nuova sede a Fiumicino, con completo rinnovamento dei set televisivi in cui avviene la ripresa e la trasmissione dei programmi. Con la nuova sede, dice l’AD del gruppo Nicola Gasperini, si realizza un vero e proprio Villaggio HSE24, con l’accorpamento di uffici e studi in una sede da 7.000 metri quadri. L’inaugurazione della nuova sede è stata inoltre l’occasione per fare il punto sul progetto HSE24 e valutare alcuni numeri forniti dall’azienda, che nonostante il periodo globalmente non favorevole, mostra prospettive di crescita; colpisce l’aumento dell’organico di 30 unità entro la fine dell’anno, unità che si sommeranno ai 180 dipendenti attuali e a un investimento in comunicazione di 2 milioni di euro, a sua volta diretta conseguenza del raddoppio del fatturato del 2014 rispetto al 2013. Secondo Reuters, Swisscom starebbe vagliando l’ipotesi di vendere Fastweb a Vodafone per una cifra tra i 4 e i 5 miliardi di euro. Secondo le stesse fonti, la trattativa non sarebbe ancora avviata ma Vodafone avrebbe manifestato chiaramente l’intenzione di sedersi a un tavolo con Swisscom per discutere una possibile acquisizione e dal canto suo, l’azienda svizzera sarebbe possibilista in merito. Contattate da Reuters, nessuna delle aziende interessate ha rilasciato dichiarazioni in merito. Swisscom acquistò Fastweb nel 2007 per 4,2 miliardi di euro e finora non ha mostrato alcun desiderio di disfarsene, ma la sua acquisizione da parte di Vodafone darebbe a quest’ultima un vantaggio competitivo enorme nella battaglia sulla fibra ottica, che al momento vede contrapposte Fastweb e Telecom Italia. Sempre secondo Reuters, anche altre aziende sarebbero interessate a rilevare Fastweb, ma la presenza importante nel mercato italiano e l’interesse più volte mostrato in merito darebbero a Vodafone una posizione di forza all’interno di un’eventuale trattativa. L’acquisizione di un operatore di banda ultralarga si inserirebbe perfettamente nella strategia globale dell’azienda, poichè Vodafone sta cercando di affiancare al proprio core business di connettività mobile anche la fornitura di contenuti e servizi annessi. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TV E VIDEO Google lancia un set top box che funge da centro multimediale e da console giochi Google Nexus Player è il primo Android TV Nexus Player per ora arriverà solo in USA, è già disponibile in preorder al prezzo di 99$ O di Emanuele VILLA ltre alla release definitiva del sistema operativo e ai due nuovi Nexus, Google ha anche annunciato un set top box con funzionalità di streaming e di console da gaming: Nexus Player, il primo dispositivo basato su Android TV. Nexus Player, realizzato da Asus e basato su uno chassis circolare molto curato e rifinito, si pone come punto di riferimento dell’intrattenimento domestico nell’era “connessa”: grazie ai servizi di Google, che spaziano in ogni settore dell’entertainment, Nexus Player non solo offrirà streaming audio e video, ma anche un’infinità di altri servizi di fornitori terzi, multimediali e d’informazione. Parlando di mercato statunitense (Nexus Player è previsto al momento per i soli USA), non possiamo non citare Netflix, Hulu, TuneIn, YouTube, Pandora, Plex e Songza, che si sommano ai servizi di casa Google quali Music, Games e Movies & TV. Senz’altro streaming, senz’altro compatibilità con Google Cast (Chromecast, tanto per intenderci) e integrazione perfetta con gli altri dispositivi Android di casa, ma con una particolare predilezione per i giochi: d’altronde su Play Store Pratico costa 18 euro ed è il telecomando due in uno pensato appositamente per Mediaset Premium e compatibile con tutte le TV e tutti i decoder della pay TV ce n’è un’infinità e sarebbe uno spreco non poterne usare almeno una selezione in salotto. Ed è questo il motivo per cui tra gli accessori di Nexus Player è già previsto il gamepad, che secondo le dichiarazioni dell’azienda è stato realizzato per permettere il controllo preciso dei migliori Android. Insieme alla console, che sotto il profilo tecnico è basata su un processore Intel Atom quad core da 1.8 GHz e dispone di Wi-Fi ac integrato (oltre ovviamete a una presa HDMI per il collegamento al TV), Google fornisce anche un piccolo telecomando abilitato ai controlli vocali e pensato per le funziona- lità multimediali dell’apparecchio, mentre - come detto - chi volesse lanciarsi nel gaming dovrebbe acquistare a parte il joypad. Sempre sotto il profilo hardware, segnaliamo gli 8GB di storage, 1 GB di RAM e la GPU Imagination PowerVR Serie 6. Nexus Player è già disponibile in preorder (USA) su Play Store, al prezzo di 99 dollari. ENTERTAINMENT Il servizio di streaming ha aggiornato il catalogo con il codec AAC a 320 kbp Per gli abbonati la musica di Rdio si sente meglio L’opzione è attiva su ogni tipo di dispositivo, ma solo per chi ha un abbonamento unlimited di Massimiliano ZOCCHI roliferano da tempo i servizi per ascoltare musica in streaming e la concorrenza è spietata. Come spingere gli utenti a scegliere la propria proposta anziché una dei concorrenti? Rdio, uno dei principali attori del settore, prova a giocare la carta della qualità d’ascolto. L’intero catalogo del servizio fondato nel 2010 e presente in 60 paesi è stato aggiornato utilizzando il codec AAC a 320 kbps. I vantaggi di questa codifica, specialmente a questi livelli di banda, sono noti, e rappresentano un netto salto in avanti. La codifica è proposta in tutte le versioni di Rdio, sia per PC che per le app sui device portatili, ma potrà essere utilizzata solo dagli abbonati al servizio unlimited, disponibile in Italia a 9,99 euro al mese. Chi vorrà usufruire P torna al sommario Meliconi ritorna con Pratico Un telecomando per Mediaset Premium della versione gratuita si dovrà accontentare della scelta tra 64, 96 e 192 kbps. Anche chi utilizzerà la sottoscrizione top potrà comunque scegliere il livello di qualità per ogni dispositivo, per ottimizzare la banda disponibile, specialmente in mancanza di rete WiFi. La scelta del bitrate è utile, inoltre, per chi decide di scaricare i brani sul proprio dispositivo per l’ascolto offline, così da ottimizzare lo storage. Per avere a disposizione la nuova opzione sarà sufficiente effettuare il login oppure aggiornare l’app iOS o Android. Ricordiamo che il servizio è disponibile anche in diversi sistemi multiroom come Roku e Sonos. di Roberto PEZZALI Meliconi torna sul mercato con un nuovo modello di telecomando universale: Pratico è il nuovo telecomando dedicato espressamente a Mediaset Premium che può comandare direttamente una TV e un decoder esterno. A meno di 20 euro il nuovo Pratico dispone di codici per più di 30 modelli di decoder in circolazione e per quasi tutte le TV sul mercato, da quelle più piccole ai grossi TV per il salotto. La differenza tra i classici telecomandi e il nuovo Pratico di Meliconi è l’inserimento di una serie di tasti dedicati a Premium e ai servizi interattivi, con un bel bottone azzurro nella zona centrale. Purtroppo non è retroilluminato e i materiali non sembrano troppo pregiati, ma a questa cifra non si può chiedere neppure troppo. Nel caso in cui si rompa un telecomando, soprattutto quello del decoder, la soluzione Pratico è sicuramente da considerare anche solo per la comodità di avere due prodotti in uno. Il prezzo di listino è fissato a 17,90 euro. Nuovo Loewe Connect. Una sorprendente gamma di TV Ultra HD. Loewe Connect. Immagini nitide e ultra-definite unite ad una eccezionale qualità audio grazie all’avanzata tecnologia degli altoparlanti SOEN©. Un vero talento multimediale, con hard disk integrato da 1 TB e tutta la comodità di programmare le registrazioni anche da remoto. Disponibile in vari colori, nei formati 40‘‘ e 55‘‘. Rigorosamente Made in Germany. www.loewe.it n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE MOBILE Apple ha presentato iPad Air 2, con soli soli 6,1 mm di spessore è il più sottile di tutti iPad Air 2: sottile, potente e fa foto più belle Prezzi da 499 euro (16 GB Wi-Fi) fino a 819 euro (128 GB cellular), è già possibile ordinarlo di Roberto Pezzali I l nuovo iPad Air è finalmente arrivato, e si chiama come previsto iPad Air 2. Apple fa contenti tutti: per chi voleva un tablet più sottile ha ridotto ancora lo spessore portandolo a 6.1 mm, per chi fotografa con il tablet ha aggiunto una fotocamera più potente e, a condire il tutto, ha pure inserito la versione oro, che a qualcuno piace sempre. Tolta la finitura Gold, indirizzata inevitabilmente ad altri mercati, ma comunque disponibile anche da noi, l’iPad Air 2 è un notevole passo avanti per coloro che hanno uno dei primi 4 modelli di iPad Gli elementi di forza del nuovo iPad sono principalmente il nuovo schermo, il processore, la fotocamera e la sezione di rete. Il processore è il nuovo A8X, versione con GPU potenziata dell’A8, sempre 64 bit ma una potenza di calcolo grafico del 40% superiore a quella del vecchio: rispetto al primo iPad l’aumento di prestazioni è enorme, ma questo lo davamo anche per scontato. L’elemento forse più interessante per molti utenti è la nuova camera iSight da 8 Megapixel con pixel da 1.12micron, ottica F2.4 e possibilità di ripresa video 1080p: la camera non è la stessa dell’iPhone 6, ma probabilmente si avvicina molto come prestazioni a quella dell’iPhone 5S. Ovviamente, grazie a iOS 8 e all’engine fotografico integrato nel nuovo SoC A8X, la camera è in grado di registrare video Full HD, time-lapse, slowmotion e di scattare foto panorama a 43 Megapixel. Nonostante la riduzione delle dimensioni l’iPad mantiene un’ottima autonomia, 10 ore, e può contare anche su un nuovo tipo di schermo con pannello, vetro e touch uniti in un unico elemento (gap-less) rivestiti da un nuovo trattamento antiriflesso. I prezzi partono da 499 euro per la versione da 16 GB Wi-Fi passando a 599 per la 64 GB e 699 per la 128 GB. Per le versioni cellular si parte da 619 euro per la 16 GB, 719 euro per la 64 GB e 819 euro per la 128 GB. iPad Air 2 si può già preordinare. iPad Mini Retina 3: in più ha solo il Touch ID Il Touch ID fa salire i prezzi, chi non è interessato alla funzione può scegliere l’iPad 2 Mini A torna al sommario Nei nuovi iPad disponibili sul mercato Usa e UK ci sarà Apple SIM: una SIM riprogrammabile creata da Apple che permetterà all’utente di scegliere l’operatore post vendita di Roberto PEZZALI MOBILE Apple rivede anche l’iPad in versione Mini, che arriva così alla terza generazione di Roberto Pezzali pple ha presentato anche l’iPad Mini 3 e qui è il caso di andare subito al sodo: rispetto al modello precedente le novità sono il Touch ID e il colore Gold. Nel corso della presentazione il capitolo iPad Mini è passato mol- Apple vuole eliminare la SIM card to veloce, una sola pagina, forse perché davvero non c’era molto da raccontare: anche controllando la tabella di confronto sul sito si capisce che iPad Mini 2 e iPad Mini 3 sono identici, stesso schermo, stesse dimensioni e peso e stesso processore A7. Cambia, come abbiamo detto, il Touch ID, e probabilmente è un elemento costoso se l’iPad Mini 3 da 16 GB costa di più del vecchio modello Retina da 32 GB, comunque acquistabile. Invariati anche tutti gli altri elementi, dalla rete alla fotocamera: come per il modello maggiore arriva la finitura Gold e sparisce la versione da 32 GB: il Mini 3 da 16 GB costa 399 euro, il Mini 2, invece, ha un prezzo di 299 euro. A questo punto, per chi vuole prendere il piccolo iPad e non è interessato al Touch ID conviene davvero il vecchio modello da 32 GB, ha più memoria e costa meno. Le altre configurazioni prevedono l’esborso di 499 euro per il 64 GB e di 599 per il 128 GB, mentre i modelli LTE sono posizionati a 519 euro, 619 euro e 719 euro rispettivamente per 16, 64 e 128 GB. Apple si prepara ad un’altra svolta: vuole mandare in pensione la vecchia SIM. Una mossa che è stata già tentata in passato e che è stata arrestata dai paletti messi dagli operatori telefonici. Questa volta, però, Apple dev’essere stata molto persuasiva, perché i nuovi iPad Air 2 e iPad Mini 3 saranno i primi tablet con Apple SIM. I clienti di un iPad in versione Wi-Fi + Cellular troveranno nello slot della SIM una sim Apple universale e programmabile, da usare per accedere a piani dati temporanei a breve termine. Questo vuol dire che chi viaggia, ad esempio, potrà continuare a saltare di operatore in operatore scegliendo sempre l’opzione più conveniente, con addebito su carta di credito associata all’account AppleID. Apple SIM al momento funziona solo in UK e USA e ovviamente può essere rimossa per far spazio ad una SIM tradizionale. Apple ha comunque messo le basi per quello che è il vero spauracchio degli operatori di telefonia, un prodotto privo di SIM che in due passaggi permette di sganciarsi da un operatore per passare alla concorrenza. La facilità del passaggio con Apple Pay è inotevole se paragonata alla fatica necessaria per dotarsi di un piano dati, con limitazioni e vincoli. Resta da chiedersi se mai gli operatori accetteranno una cosa simile anche su uno smartphone: sarebbe la fine della SIM. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE MOBILE Google ha ufficializzato il nome e diffuso i dettagli del nuovo sistema operativo mobile Android 5.0 Lollipop, ecco tutte le novità Il sistema operativo di Google farà il suo debutto sugli attesissimi Nexus 6 e Nexus 9 G di Paolo CENTOFANTI oogle ha ufficialmente dato un nome ad Android L e illustrato i dettagli della nuova versione del sistema operativo mobile. Android giunge così alla versione 5.0 e proseguendo la tradizione dei “dolcetti” prende il nome di Android Lollipop, leccalecca. Android Lollipop arriva con un tema grafico completamente rinnovato all’insegna del nuovo “material design”: animazioni fluide e naturali, luci ed ombre realistiche e una tipografia più leggera e ariosa. Sotto il nuovo “vestito” ci sono anche importanti cambiamenti a livello più profondo del sistema operativo. Innanzitutto Android supporta ora i processori a 64 bit con architetture x86, ARM e MIPS e tutte le principali Google apps saranno già ottimizzate a 64 bit. Tutte le app di terze parti scritte in Java saranno, inoltre, già in grado di sfruttare l’architettura a 64 bit del sistema operativo. Ma Google ha anche rivisto l’ambiente runtime di Android con l’introduzione di ART, che promette a parità di processore prestazioni fino a quattro volte superiori rispetto a Dalvick, una maggiore fluidità dell’interfaccia grafica e una migliore gestione del multi-tasking. ART era già stato introdotto in via sperimentale in KitKat, ma in Lollipop diventa il nuovo runtime di riferimento per gli sviluppatori. Altre novità relative alla fondamenta del sistema operativo riguardano una maggiore efficienza energetica, un migliore supporto per i dispositivi Bluetooth Smart e LE, supporto per le librerie grafiche OpenGL ES 3.1 e soprattutto una completa revisione del- torna al sommario Will.i.am ha presentato Puls Lo smartwatch indipendente Il cantante dei Black Eyed Peas ha lanciato Puls È uno smartwatch di lusso che può fare a meno dello smartphone di Roberto PEZZALI l’engine audio. Android Lollipop promette supporto per audio a bassa latenza per le app di produzione musicale (uno dei talloni di Achille di Android finora) e introduce il supporto per gli accesori audio USB (microfoni, cuffie, mixer, ecc.). Confermati il supporto nativo per il nuovo codec HEVC fino a risoluzioni Ultra HD e la possibilità di salvare fotografie in formato RAW. A livello di funzionalità, con Android Lollipop arriva una gestione più flessibile delle notifiche. L’utente può personalizzare le informazioni che verranno visualizzate sulle notifiche per ogni app, per una maggiore privacy, e viene introdotta una nuova modalità Priority che, quando attivata, permette di ricevere notifiche solo da determinati contatti e servizi. Inoltre è ora possibile interagire con le notifiche anche direttamente dalla lockscreen. L’altra grossa novità è il supporto multiutente anche per gli smartphone. Ciò consente di accedere ai propri dati sul telefono di un amico, semplicemente loggandosi con il proprio account, oppure ancora prestare il proprio smartphone in modalità guest bloccando l’accesso ai propri dati personali. Parlando di sicurezza dei dati, con Android Lollipop la crittografia sul telefono è attiva di default, in modo da proteggere il contenuto in caso di furto. La lista completa delle novità è disponibile sulla pagina ufficiale dedicata ad Android 5.0. Due anni abbondanti dopo i primi annunci di sviluppo, arriva Puls, lo smartwatch “non watch” che andrà all’attacco del mercato.Cosa lo differenzia dal resto dei contendenti al trono? La possibilità di effettuare e ricevere chiamate, oltre all’accesso alla rete grazie a un’antenna 3G integrata. Niente smartphone da portarsi appresso, quindi, e la possibilità di ascoltare musica, connettersi e tenere traccia dell’attività fisica saranno demandate in toto al Puls stesso,. Pochi i dettagli tecnici rivelati, il dispositivo ha Wi-Fi, Bluetooth, 16 GB di storage, è già predisposto per i social network e sarà anche disponibile un’alternativa a Siri, con nome in codice AneedA. Nulla si sa sull’autonomia del dispostivo, da segnalare però l’ingresso sul palco di alcuni modelli che sfoggiavano vestiti con pacchi batteria integrati e in grado di alimentare lo smartwatch a contatto, Così facendo, Will.i.am giura due e giorni e mezzo di autonomia. Sul finale dell’evento si è parlato di Puls in oro e Puls in oro e diamanti oltre alle versioni standard in nero, bianco, rosa e blu. La disponibilità sul mercato sembrerebbe fissata per il periodo delle feste di fine anno; il prezzo, al momento, è ancora ignoto. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE MOBILE È il primo phablet Google con Android Lollipop, ha caratteristiche senza compromessi Nexus 6 è enorme, metallico e velocissimo Sarà disponibile da novembre, i prezzi sono elevati ma in linea con la qualità del prodotto D di Emanuele VILLA opo settimane di rumor imbizzarriti, Google ha deciso di togliere i veli al suo smartphone più grande di sempre: il Nexus 6. La filosofia di Google è sempre stata quella di proporre terminali allo stato dell’arte ma anche attenti all’etichetta del prezzo. Questa volta la situazione sembrerebbe un po’ diversa: Nexus 6 è un terminale “no compromise” in tutto e per tutto, con chassis in alluminio e una dotazione hardware allo stato dell’arte, per cui supponiamo che il prezzo non sia da meno. Il dispositivo sarà disponibile da novembre (preordini a partire dal 29 ottobre) a prezzi attualmente non ancora confermati: si parla di 649 e 699 euro a seconda del taglio di memoria (32/64GB), ma attendiamo conferme. Considerando vengono memorizzati sempre più video, foto e musica, e che le app sono sempre più pesanti, Google ha deciso di non proporre la versione da 16GB: si parte da 32GB e ci si dimentica dello spazio libero. È il più grande Nexus di sempre, se parliamo di smartphone, perché è un 6’’ con schermo Amoled Quad HD (2560x1440) con una densità di 493 ppi: vedremo se su un 6’’ il Quad HD ha davvero una marcia in più. Come anticipato nella recensione di Galaxy Note 4, uno schermo del genere ha bisogno di un processore potentissimo per non subire lag o rallentamenti, e per l’occasione è stato scelto lo stesso SoC del Note 4, ovvero lo snapdragon 805 quad core da 2,7 GHz con GPU Adreno 420, capace di ottimi risultati sotto il profilo grafico. Nel comunicato una cosa che ci ha colpito particolarmente riguarda la batteria da 3.220 mAh: non tanto per la supposta autonomia (anche qui, saremo sui livelli di Note 4), ma per il fatto che con la ricarica Turbo il telefono “guadagna” 7 ore di autonomia con 15 minuti di carica. Nexus 6 è ovviamente un terminale LTE, il primo smartphone basato su Android 5 Lollipop, misura 82.98 x 159,26 x 10,06 mm per 184 grammi di peso, ha una memoria RAM di 3GB e una fotocamera rinnovata, con modulo principale da 13 Mpixel f/2.0 con stabilizzatore ottico e capacità di cattura 4K a 30fps, e fotocamera frontale da 2 Mpixel per i selfie. Samsung annuncia l’Exynos 7 Octa Sulla scia degli annunci di Google, Samsung ha lanciato un nuovo processore mobile della sua gamma Exynos, l’Exynos 7 Octa. Si tratta di un otto core con architettura ARM big. LITTLE realizzato con il nuovo processo a 20 nm di Samsung. Nonostante l’azienda sul sito ufficiale non ne faccia esplicita menzione, si tratta anche del primo SoC Samsung a 64 bit, e verrà utilizzato in alcune varianti del Galaxy Note 4. Gli otto core del processore sono infatti costituiti da quattro Cortex-A57 ad alta potenza e quattro Cortex-A53 ad alta efficienza, entrambi basati su design ARMv8 a 64 bit. Il nuovo Exynos integra la GPU ARM Mali T-760 e un nuovo doppio processore di immagine in grado di elaborare simultaneamente i dati di due fotocamere a 30 fps, con sensori fino a 16 Megapixel per quella principale e 5 Megapixel per quella frontale. Il processore supporta inoltre il nuovo codec HEVC fino a risoluzione Ultra HD, ma come altri modelli della gamma Exynos non include il modem LTE. MOBILE Google e HTC hanno presentato Nexus 9, tablet con design e caratteristiche al top MAGAZINE Estratto dal quotidiano online www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago, Alessandra Lojacono, Simona Zucca Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni dday@dday.it Per la pubblicità adv@dday.it torna al sommario Nexus 9 sarà il primo 64 bit con Android Lollipop Tutto in alluminio, Nexus 9 entrerà in competizione con i big del settore, iPad Air in testa G di Emanuele VILLA oogle ha presentato anche il tablet Nexus 9, un dispositivo di alta gamma realizzato da HTC e che entra in diretta competizione con i più prestigiosi terminali del segmento, iPad Air in testa. Tutto questo a partire dal look, che si avvale di una scocca in alluminio spazzolato che ricorda da vicino lo smartphone One M8, flagship dell’offerta del produttore taiwanese. Il display è un 9’’, 8,9’’ per la precisione, con la risoluzione di 2048 x 1536 (4:3), mentre alle prestazioni ci pensa Nvidia Tegra K1, un SoC basato su architettura a 64bit (pienamente supportata da Android Lollipop). Il processore è un dual core 2,3 GHz, supportato da 2 GB di RAM DDR3 e da uno storage di 16 GB o 32 GB a seconda dei modelli. Altre caratteristiche importanti sono la doppia fotocamera da 8 (f/2.4) e 1.6 Mpixel, il doppio altoparlante frontale con HTC BoomSound, la disponibilità di versioni Wi-Fi e Wi-Fi + 4G, la connettività NFC e la batteria integrata da 6.700 mAh. Google e HTC non dichiarano una data di lancio ma annunciano l’apertura dei preordini per il 17 ottobre su Play Store: i formati disponibili saranno quello da 16GB al prezzo di 399 euro, quello da 32GB a 489 euro e, infine, quello da 32GB LTE a 569 euro. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE MOBILE HTC ha lanciato il Desire Eye, nuovo smartphone top di gamma della serie Desire HTC Desire Eye è il selfie phone definitivo È il primo smartphone con una doppia fotocamera da 13 Mpixel ed è anche splashproof H di Roberto PEZZALI TC lancia Desire Eye: mai nome avrebbe potuto essere più azzeccato per il Polifemo degli smartphone. Subito sopra il display troviamo infatti la grossa fotocamera frontale da 13 Megapixel, dotata anche di un doppio led a due toni per selfie perfetti. La stessa camera la troviamo anche sul retro, un modulo da 13 Mpixel BSI accoppiato però ad una lente diversa: la camera frontale ha un grandangolo 22 mm F2.2, quella posteriore un 28 mm F2. HTC ha rivisto anche il software aggiungendo una serie di modalità particolari che sfruttano la doppia camera, e per quella frontale c’è anche un ritocco “live” che leviga la pelle per ritratti perfetti. Desire Eye, camera a parte, è un vero top di gamma: Snapdragon 801, 2 GB di RAM e 16 GB di memoria con una scocca realizzata fondendo due tipi diversi di plastiche per un guscio stagno che rende lo smartphone IPX7, quindi splashproof. Emergono alcuni scatti del nuovo smartphone da 5” Lenovo con corpo in alluminio e spessore ridotto. È la fotocopia dell’iPhone 6, gli manca solo la fotocamera sporgente di Roberto PEZZALI HTC non rinuncia a caratteristiche come BoomSound: nascosti ai bordi dello schermo Full HD da 5.2” troviamo infatti i due speaker stereo, sottili ma decisamente efficaci. Il sistema operativo è Android con interfaccia HTC Sense 6.0, la batteria da 2.400 mAh e la connettività LTE. Il prezzo del nuovo Desire Eye è ovviamente da top di gamma: 549 euro per ognuna delle due versioni, red e blue. MOBILE Si intensificano i rumor sul nuovo Oppo, l’N3, alimentati direttamente dall’azienda Oppo N3: le prime foto ufficiali sui social Smentite le voci che erano circolate, la fotocamerà pare non potersi muovere lateralmente O di Roberto PEZZALI ppo ci ha abituati alla sua strategia di marketing: alimentare il gossip sui prodotti attesi, centellinando i particolari. Non esente da questa metodologia neppure il nuovo Oppo N3, di cui vi abbiamo già parlato: la stessa azienda asiatica ha, infatti, su Facebook la prima foto ufficiale del nuovo terminale. L’immagine postata, seppure parziale della sola parte superiore del terminale, mostra la fotocamera, che come risulta subito chiaro, non potrà muoversi lateralmente come descritto dai rumor dei giorni scorsi, ma piuttosto pare assomigliare a quella del predecessore N1, ovvero in grado di ruotare in avanti, cambiando all’occorrenza tra fotocamera principale e fotocamera frontale, permettendo autoscatti di massima qualità e con flash LED. Manca tuttavia la conferma di questa ipotesi, poiché non è stata mostrata alcuna immagine della fotocamera in fase di rotazione. Dall’immagine del retro del torna al sommario Lenovo Sisley Se esiste è una copia spudorata dell’iPhone 6 device si intravede anche la cornice, che in questo caso va a confermare le notizie precedenti, sembrando effettivamente di un materiale metallico, presumibilmente alluminio o una qualche lega simile. Curiosa anche la finitura in similpelle, di stampo tipicamente coreano (restando nel campo degli smartphone ovviamente), anche se dal poco che ci è dato vedere non ricoprirà tutta la parte posteriore, ma solo il piccolo modulo della fotocamera girevole. In attesa di conferme ufficiali (attesa per il 29 ottobre la presentazione) ricordiamo quelle che da voci di corridoio dovrebbero essere le caratteristiche principali: display da 5,9” Full HD, processore Snapdragon 805 e 3 GB di RAM. La fotocamera sopracitata è probabile che abbia un sensore da 13 Megapixel. I rumors sono sempre da prendere con le pinze, ma scatti e news arrivano da più fonti distinte: Lenovo sta per lanciare lo smartphone Sisley, scocca in alluminio da 6.9 mm di spessore e schermo da 5”. Il nuovo smartphone è la copia spudorata dell’iPhone 6, con qualche miglioria estetica: sparisce infatti l’ottica sporgente e c’è solo una banda plastica nella zona inferiore per isolare l’antenna. Disponibile in diverse colorazioni, il Sisley avrà fotocamera posteriore da 13 Mpixel e frontale da 8 Mpixel, disporrà di doppia SIM e avrà connettività LTE. Non c’è una data di introduzione, ma vista la particolare linea c’è il rischio concreto che il Sisley prima finisca sul mercato e un attimo dopo in tribunale. Lenovo non è certo l’ultimo arrivato, anzi, e difficilmente Apple resterà indifferente davanti ad un prodotto simile. Samsung, volendo fare confronti, ha perso cause per molto meno., n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE MOBILE Sul palco di Londra Lenovo ha presentato la gamma Yoga, con cui punta ad aggredire tutte le fasce di mercato Lenovo Yoga: nuova gamma, versatilità super Yoga 2 è disponibile con Windows e Android, Yoga 2 Pro ha a bordo un proiettore, Yoga 3 Pro è un PC convertibile da 13” C di Michele LEPORI on i nuovi tablet Yoga presentati a Londra, Lenovo non vuole limitarsi ad aggredire una fetta di mercato ma punta decisamente alla torta intera, grazie a una gamma articolata, dotata di alcune particolarità decisamente interessanti. Vediamo quali sono in dettaglio i modelli presentati e le le loro principali caratteristiche. Yoga Tablet 2, Windows o Android? Con Yoga Tablet 2 il colosso cinese rivede e corregge il progetto iniziale dando ai propri clienti la possibilità di scegliere sistema operativo, dimensioni del display e modalità di utilizzo. Yoga Tablet 2, infatti, è disponibile sia in versione Android che Windows, pur mantenendo un look molto simile al modello dell’anno scorso. Il primo passo in avanti riguarda la parte hardware: il cuore di Yoga Tablet 2 è il processore Intel Atom presente in tutte le versioni, messo a supporto di una sezione audio caratterizzata da doppio speaker frontale con Dolby Audio e Wolfson Master Hi-Fi. Un’attenzione al suono che sorprende e ben evidenzia l’interesse di Lenovo a focalizzarsi sull’uso multimediale del tablet. Rispetto alla precedente generazione migliora anche la fotocamera, che raggiunge ora gli 8 Mpixel, e l’autonomia della batteria in qualsiasi modalità di utilizzo. Le altre caratteristiche tecniche meritevoli di menzione sono il display Full HD IPS in tutte le versioni e l’autonomia dichiarata di 15 ore nella versione Windows e pari a 18 ore in quella Android (4.4). Dal punto di vista della fruizione dei contenuti, Lenovo ha aggiunto oltre alle modalità Libro, Tilt e Stand, ereditate dal primo Yoga Tablet, anche la modalità Hang, che permette di appendere il tablet. Dal lato software, come dicevamo, Lenovo offrirà la possibilità di acquistare lo Yoga Tablet 2 con Windows 8.1 o Android KitKat a bordo, entrambi disponibili sia sulla versione da 8” che da 10”; le versioni Windows 8.1 avranno preinstallato Office 365 con un anno di abbonamento omaggio. Le disponibilità per l’Italia sono - per entrambe le versioni - dalla fine di novembre: Yoga Tablet 2 Windows avrà un prezzo consigliato di 249 euro e 399 euro, a seconda delle dimensioni di display, mentre i modelli Android saranno in vendita a 229 euro nella versione da 8 pollici e a 299 euro per quella da 10 pollici. torna al sommario Yoga Tablet 2 Pro Ha un picoproiettore integrato Yoga 3 Pro: nuovo design e versatilità al top Yoga Tablet 2 Pro è il primo tablet con picoproiettore integrato (con tanto di stabilizzatore) per riprodurre immagini e film come su uno schermo da 50 pollici, se i 13 del tablet non dovessero bastare. Una soluzione azzardata, forse, ma sicuramente qualcosa di nuovo in un mercato che sembra avere le polveri bagnate dopo anni di fuochi d’artificio. Oltretutto, questo ben si coniuga con la destinazione business del prodotto, dove creare e riprodurre presentazioni è all’ordine del giorno. Yoga 3 Pro è un PC convertibile da 13”, con processore Intel Core M, 512 GB di archiviazione SSD, grafica Intel integrata, schermo con risoluzione QHD+ (un “mostruoso” 3.200 x 1.800 pixel) e speaker JBL con tecnologia Waves Audio. Il family feeling Yoga è riconoscibilissimo, ma qui la classica “cerniera” degli Yoga Tablet è stata riprogettata e vanta un design definito dagli ingegneri cinesi “a cinturino d’orologio”, funzionale alle modalità di uso Laptop, Stand, Tent o Tablet. Yoga 3 Pro sarà commercializzato anche nelle varianti Clementine Orange e Champagne Gold. Yoga Tablet 2 Pro ha uno spessore di 3,7 mm, pesa 950 grammi e offre fino a 15 ore di autonomia; a livello hardware c’è molto in comune col fratellino “non Pro” ma anche qualche extra molto gradito, quale memoria da 32 GB, espandibile a 64 GB via microSD, e una sezione audio ancora più prestante da 8W. Restano da valutare caratteristiche importanti quali il processore Intel Atom Z3745 (2M cache, 1,86 GHz), le quattro modalità di utilizzo (la novità è Hang, che permette all’utente di appendere il tablet in modo semplice) e l’elevatissima risoluzione del display, un 13,3’’ QHD da 2.560 x 1.440 pixel. Inoltre, troviamo una fotocamera principale da 8 Mpixel. Riguardo a disponibilità e prezzi vale anche qui la finestra di lancio a fine novembre, ma il prezzo rilasciato da Lenovo di 499 euro vale solo per la versione Wi-Fi only: il più versatile modello 4G al momento non ha ancora un cartellino del prezzo. Grande attenzione al software: Lenovo ha creato, infatti, un software denominato Harmony che impara e riconosce le preferenze d’uso del prodotto e delle app, adattandole automaticamente in base all’utilizzo in quel momento; sarà così in grado di regolare le impostazioni audio durante la visione di un film piuttosto che regolare la luminosità del monitor in fase lettura basandosi sulla reale illuminazione della stanza. Harmony avrà anche un lato social, dato che potrà consigliare app specifiche in base a preferenze e interessi appresi affiancandosi all’utente. Anche per il più importante esponente della famiglia Yoga bisognerà aspettare fine novembre e per portarlo a casa bisognerà staccare un assegno da 1.599 euro. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE PC Presentato l’iMac con Retina Display 5K da 27’’, per acquistarlo servono (almeno) 2629 euro Nuovo iMac, è un “mostro” con display 5K Non è un prodotto inaspettato, ma il display da 5120x2880 pixel è davvero sorprendente di Paolo CENTOFANTI I n molti si aspettavano un iMac con Retina display; nessuno immaginava che Apple potesse annunciare un Mac con monitor 5K. 5K veri, 5120x2880 pixel per 27 pollici di schermo. È forse questo l’annuncio più importante e interessante dell’evento Apple, perché gli ingegneri di Cupertino hanno dovuto sviluppare tanta tecnologia per realizzare lo schermo del nuovo iMac, a cominciare dal timing controller necessario per pilotare i 14,7 milioni di pixel dello schermo e non disponibile sul mercato. Sono tante le tecnologie snocciolate da Phil Schiller durante la presentazione, ma in così poco tempo che non c’è stato modo di approfondirle tutte e probabilmente dovremo tornare a parlarne con un approfondimento: oxide TFT, organic passivation derivata dall’iPad, photo alignment, una nuova retroilluminazione a LED capace di far risparmiare il 30% nel consumo energetico rispetto al display degli iMac precedenti, per 23 strati di componentistica in 1,4 mm di spessore e 5 mm di cornice. Comunque sia, il monitor del nuovo iMac è sicuramente degno di nota. Con un monitor tanto definito è evidente che il nuovo iMac da 27 pollici con Retina Display deve in qualche modo superare la linea di confine tra consumer e professionale. Sotto il guscio in alluminio (che non subisce grossi sconvolgimenti nel design rispetto la gamma attuale) ci sono componenti di tutto rispetto: processore Intel Core i5 da 3,5 GHz (con opzione per Core i7 da 4 GHz), 8 GB di RAM DDR3 di serie e soprattutto scheda grafica AMD Radeon R9 M290X con 2 GB di RAM GDDR5, l’ultima top di gamma (mobile) con una potenza di 3,5 teraflop, con opzione M295X con 4 GB di RAM. A ciò si aggiungono il fusion drive da 1 TB (ibrido Hard Disk e SSD), connnettività 802.11ac, Thunderbolt 2.0 con supporto per un secondo monitor 4K esterno, webcam FaceTime HD e, naturalmente, OS X Yosemite pre-installato con tutte le novità che questo si porta dietro.Il prezzo? Tutto sommato, meno di quello che ci si potrebbe aspettare visto il display 5K da 27 pollici: da 2629 euro. Un milione di persone sta provando Windows 10 Primi dati su Windows 10. Molti l’hanno installato per testarlo a fondo, non per curiosità di Emanuele VILLA M torna al sommario Futuremark ha aggiornato il popolare benchmark 3D Mark per includere un test specifico legato al gaming in 4K: i requisiti sono altissimi, con il PC che a 60 fps dovrà gestire quasi 70 miliardi di pixel al secondo di Roberto PEZZALI PC 200.000 sono i feedback ricevuti dall’azienda sulla cui base verranno poi corretti i bug icrosoft fornisce i primi dati sul Windows Insider Program, il programma che permette a tutti di provare in anteprima Windows 10, la prossima release del Sistema Operativo di Redmond. Il primo dato ufficiale riguarda i download: 1 milione di richieste, ovvero un buon “primo traguardo” considerando che il software è stato lanciato una settimana fa e che il software è dichiaratamente in stadio iniziale. Interessanti le cifre circa il feedback ricevuto dall’azienda: 200.000 interventi sono stati registrati da Microsoft, sulla base dei quali verranno sviluppate ulteriori funzionalità del sistema operativo e corretti i bug. Altri dati riguardano la fiducia che le persone stanno riponendo Come verificare se il PC è adatto al 4K in Windows 10: secondo l’azienda, solo il 36% delle installazioni è avvenuto all’interno di virtual machine, mentre il 64% ha usato il proprio PC, con l’evidente (secondo Microsoft) intento di tenere e usare a lungo il sistema. Inoltre, sempre il comunicato Microsoft informa che il 68% delle installazioni usa più di 7 app al giorno (ulteriore indicatore di un’installazione “durevole”), ma il 25% arrivia addirittura a 26 app al giorno e il 5% supera le 68. Arriva il benchmark per i computer che ambiscono a diventare macchine per il gaming in 4K: a proporlo è Futuremark, che ha aggiornato il suo popolare benchmark 3D Mark integrando il primo test 4K Ultra HD. L’aggiornamento, disponibile nella versione 3DMark v1.4.775, prevede l’aggiunta della versione “Ultra” ai test Fire Strike e Fire Strike Extreme, una modalità che metterà a dura prova la scheda video processando le immagini offscreen a 3840 x 2160. Non serve quindi un monitor 4K, ma serve una scheda video potente e con almeno 3 GB di memoria dedicata. 3DMark ha aperto una sezione dedicata al particolare benchmark 4K nella sua Hall of Fame: chi ritiene di aver un computer abbastanza potente da poter raggiungere i primi posti della classifica può partecipare. Al momento in testa alla classifica di coloro che hanno eseguito il test con una sola GPU (con 2, 3 e 4 è troppo facile) ci sono solo NVIDIA GTX980, che hanno raggiunto il notevole score di 3795. Ma la gara è appena iniziata. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE PC Apple rinnova il suo piccolo desktop computer, ora ha anche Wi-Fi 802.11ac e Thunderbolt 2 Mac Mini 2014 è più veloce e costa meno Il nuovo Mac Mini ha a bordo i più recenti processori Haswell e le schede grafiche Intel di Roberto PEZZALI pple aggiorna il suo Mac Mini: il piccolo desktop, probabilmente uno dei prodotti Apple meno noti al pubblico, guadagna un nuovo processore, Wi-Fi 802.11ac e Thunderbolt 2, il tutto con un prezzo che si abbassa rispetto alla generazione precedente. Mac Mini è praticamente un notebook senza schermo, e non è un caso che le configurazioni disponibili si rifacciano a quelle dei Macbook Air e MacBook Pro Retina. Il nuovo minidesktop Apple parte da 519 euro, un prezzo non certo bassissimo ma quanto basta per renderlo il Mac più accessibile di tutta la famiglia di computer Apple: la configurazione base, quella appunto più economica, prevede un processore Intel Core i5 dual core a 1,4 GHz, 4 GB di memoria, Intel HD Graphics 5000 e un disco rigido da 500 GB, praticamente il processore del Macbook Air entry level ma con un disco però tradizionale. Se si desidera un vero processore desktop (perdendo un po’ in efficienza energetica) si deve Il mini PC Asus GR8 promette prestazioni adatte ai giocatori più esigenti mantenendo l’ingombro ai minimi termini A di Michele LEPORI passare al modello con processore Intel Core i5 dual core a 2,6 GHz, 8 GB di memoria, Intel Iris Graphics e disco rigido da 1 TB, anch’esso tradizionale: costa 719 euro. Il top di gamma, fatta eccezione per configurazioni custom ordinabili online, prevede un processore Intel Core i5 dual core a 2,8 GHz, 8 GB di memoria, Intel Iris Graphics e Fusion Drive da 1 TB al prezzo consigliato di 1.019 euro, praticamente un MacBook Pro Retina con Fusion Drive, quindi SSD e disco tradizionale. Qualcuno potrebbe far notare che è più conveniente un Macbook, ma in realtà il Mac Mini è molto sfruttato anche come server, e in quest’ultimo caso la sua efficienza energetica può fare la differenza. PC È stata introdotta la possibilità di riprodurre file multimediali da chiavette e dischi USB Arriva il media player per la PS4, ma è solo audio Sony ha illustrato nuovi dettagli sull’aggiornamento 2.0 del firmware di Playstation 4 M di Paolo CENTOFANTI entre ci avviciniamo al primo compleanno dell’ultima console Sony, emergono nuovi dettagli sul prossimo aggiornamento del sistema operativo di PlayStation 4. Il firmware 2.0, nome in codice Masamune, introduce diverse novità per lo più ancora interamente focalizzate sul gaming. Cominciano a esserci delle aperture in senso multimediale per la console, ma Masamune non sarà quell’aggiornamento che qualcuno si aspettava. Se da una parte Sony parla finalmente della possibilità di leggere file multimediali da un disco torna al sommario Asus GR8 è il mini PC per giocatori esigenti USB collegato alla console, la compatibilità è limitata unicamente alla riproduzione audio. Con l’aggiornamento 2.0, la PS4 potrà leggere infatti file audio con estensione MP3, MP4 e M4A, per dare la possibilità ai giocatori di ascoltare la propria musica preferita durante una partita. Niente media player completo dunque sulla falsariga di quanto appena rilasciato da Microsoft per Xbox One e niente supporto per i video. Il resto delle novità riguardano la gestione degli amici, la possibilità di personalizzare il tema grafico del menù di sistema in modo simile a quanto era possibile fare con PS3, nuovi comandi vocali tramite PlayStation Camera e funzionalità per il live broadcasting delle partite. Dimenticatevi i grossi chassis pieni di ventole, raffreddamento a liquido e altre “diavolerie” che fanno dei PC gaming dei mostri: con i nuovi GR8 e G20, Asus preme l’acceleratore sulle prestazioni senza dimenticare il design e proponendo due soluzioni per adattarsi al meglio alle esigenze dei suoi potenziali clienti. GR8, in particolare, è il prodotto più interessante poiché nonostante le alte prestazioni, si tratta a tutti gli effetti di un Mini PC. Nel suo guscio troviamo un processore Intel Core i7 e una scheda grafica Nvidia GTX750TI in grado di supportare anche la risoluzione 4K. Il set di connessioni è completo, l’aspetto è “aggressivo” ma curato, l’accesso alle componenti hardware è facile, per poter modificare sia l’HDD da 2,5” che lo slot per la memoria SSD. Asus ha presentato anche G20, la macchina “tutta prestazioni”: dimensioni imponenti e prestazioni che vanno di pari passo, grazie al processore Intel Core i7 di 4a generazione e scheda grafica Nvidia GeForce GTX780. Potenza sì, ma anche “eco-friendly” grazie a una modalità d’uso a bassissimo consumo che non supererà mai i 20W. Lo chassis ospita anche una soluzione di raffreddamento che sfrutta il naturale tiraggio d’aria e che, secondo Asus, garantirà al massimo 25 dB in idle. GR8 e G20 saranno anche compatibili con la Steam Machine di Valve. IL PIÙ SEMPLICE IL PIÙ SMART *LG G2 vincitore del premio Best Phone 2013 di Cellulare Magazine. Now It’s All Possible Cosa c’è di meglio di LG G2, eletto migliore smartphone del 2013*? La sua sorprendente evoluzione. Nuovo LG G3. Il più semplice, il più smart. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE VIDEO CREATIVO La nuova divisione creativa di HTC sforna una personal camera particolare Bizzarra e curiosa: HTC lancia Re Camera Al posto dello scatto, la fotografia si “spara” e devi sperare di aver fatto centro senza display di Roberto PEZZALI ll’inizio eravamo scettici: perché mai HTC si è messa a fare una cosa simile? Dopo averci giocato un po’ e aver “sparato” qualche foto, ci siamo ricreduti: HTC Re è il nuovo concetto di Personal Camera di HTC. Non è un accessorio per smartphone, anche perché funziona da sola, e non è neppure una Sport Cam in stile GoPro. HTC l’ha pensata per essere impugnata, anche se all’occorrenza è possibile agganciarla a un supporto o addirittura indossarla. Difficile capire a cosa assomigli: Re è un tubetto colorato con l’estremità ricurva che contiene il sensore per video e foto. Non c’è display, c’è solo un tasto di scatto raggiungibile con il pollice che permette di scattare al volo con una sola pressio- A ne, un po’ come se stessimo spruzzando una bomboletta. Re è sempre accesa, in stand-by, e si sveglia solo quando la impugniamo: con una sola carica scatta 1.200 foto o 1 ora e 40 minuti di video, registrandoli nella memoria interna da 8 GB che può essere portata a 128 GB tramite micro SD. Impugna e spara: nessun monitor e nessuna esitazione, le foto si guardano in un secondo momento. Solo un piccolo LED ci indica se stiamo registrando video o se siamo in modalità foto, e per attivare lo slow motion a 720p si deve schiacciare l’unico bottone presente. Re è waterproof IP57, ma avvitando un tappino sul fondo per coprire la porta USB e lo slot per la card diventa IPx8, quindi più di un metro di immersione. Le caratteristiche sono “standard”: sensore da 1/2.3” stabilizzato digitalmente, ottica F2.8 e grandangolo a 146° con possibilità di riprese video a 1080p e 30 fps e di foto da 16 Megapixel. Trattandosi di un accessorio smart non manca la possibilità di pairing con lo smartphone: Re è compatibile Android e iOS e può essere controllata in remoto grazie a Bluetooth LE e Wi-Fi, usato quest’ultimo anche per trasferire all’istante le foto fatte su smartphone. Re sta in piedi da sola, ha un’ottica di qualità ed è piccola, discreta e tascabile. Alto però il prezzo di lancio, 249 euro. SCIENZA Alcuni ricercatori hanno creato una batteria al litio che si carica fino al 70% in due min La batteria per auto elettriche che si carica in 2 minuti Le nanotecnologie e il titanio sono i segreti. Probabile un futuro impiego nei veicoli elettrici di Massimiliano ZOCCHI Le batterie ricaricabili hanno un ruolo fondamentale nella tecnologia moderna, ma l’energia che possono immagazzinare non ci basta mai e si ricaricano lentamente. Alcuni ricercatori della Nanyang Technological University di Singapore promettono di ridurre drasticamente i tempi di ricarica: fino al 70% della capacità in 2 minuti. Questo risultato, in fase di sperimentazione, è stato ottenuto con normali batterie al litio, alle quali è stato sostituito l’anodo, ossia il polo negativo. Nelle attuali batterie esso è costituito da grafite, mentre il team guidato dal professor Chen Xiaodong ha utilizzato un gel di diossido di titanio. La chiave del progetto è stata la possibilità di modellare questo composto, normalmente di forma sferica, in piccolissimi nanotu- torna al sommario bi che accelerano enormemente il passaggio della carica. Gli scenari ipotizzabili sono moltissimi, a partire dagli smartphone che si potrebbero ricaricare in tempi brevissimi, passando per qualsiasi altro strumento che funziona con batterie ricaricabili, come device indossabili, droni, computer portatili e altro ancora. Ma l’attenzione degli scienziati asiatici si è subito focalizzata su un settore che soffre dei tempi di ricarica, ovvero la mobilità elettrica. Questa scoperta permetterebbe all’industria automobilistica, e in generale a chi si occupa di mobilità elettrica, di ottenere batterie ricaricabili con una velocità di 20 volte superiore all’attuale. Considerando che i mezzi dotati di sistemi di ricarica veloce possono fare il pieno di energia in tempi che vanno da 30 a 60 minuti, ciò significherebbe essere pron- ti a ripartire dopo solo 5 minuti, il tempo che si impiega per fare un normale pieno di benzina. Questo sposterebbe inoltre l’attenzione dei costruttori, che non dovrebbero più aumentare la quantità di batterie a bordo ma puntare su tempi di ricarica brevissimi, diminuendo il peso dei veicoli e anche il prezzo, notoriamente un problema di questi veicoli. Le batterie al litio con anodo in grafite vennero introdotte sul mercato circa 34 anni fa, e un inventore di questo sistema, il professor Rachid Yazami, è un collega dello stesso Chen, anche se attualmente si sta occupando di un progetto parallelo. A quanto pare alla NTU hanno le idee molto chiare: le nuove batterie sono già al vaglio dell’industria automotive e si prevede vengano concesse in licenza nei prossimi mesi. La 1000fps promette super slowmotion a basso prezzo Su Kickstarter arriva il progetto di una nuova videocamera ad altissimo framerate Ad un prezzo tutto sommato contenuto permette di arrivare a registrare video fino a 18500 fps. Pronti per slow motion super? di Roberto PEZZALI Le videocamere ad alto framerate sono costosissime: hanno sensori particolari e processori capaci di gestire l’enorme flusso di dati che viene letto dal sensore. Grazie ad un progetto creato dall’ingegnere inglese Graham Rowa è possibile finanziare, su Kickstarter, la produzione della prima videocamera hi-speed low cost. Dotata di una flangia C compatibile praticamente con tutti gli obiettivi in commercio (anche tramite adattatore), la 1000fps, questo il nome dato alla fotocamera, può catturare sequenze con framerate variabile da 75 fps a 18500 fps. Rowa propone tre diverse versioni della videocamera, la Silver, la Gold e la Platinum che differiscono esclusivamente nelle performance di cattura e nella memoria interna: la versione Silver registra 840 fps a 640 x 480 e arriva a 16500 fps a 64 x 64 pixel (un francobollo), mentre la Platinum parte da 2560 x 2048 a 75 fps per spingersi fino a 18500 fps a 64 x 64. Ecco la tabella delle risoluzioni di ripresa disponibili, con i prezzi stimati dei tre modelli. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE AUTOMOTIVE In un bagno di folla tra addetti stampa e appassionati Elon Musk ha presentato la nuova Tesla Model S-D Tesla Model S-D: velocissima e con il pilota automatico “D” come Dual Motor, 4 ruote motrici e un’incredibile accelerazione. E l’atteso “something else...” è il sistema autopilot di Massimiliano ZOCCHI D opo il Tweet rilasciato da Elon Musk, i rumor sono letteralmente impazziti: cosa sta a significare quella “D”? Qualcuno si è lanciato in teorie fantasiose (Diesel, Hydrogen...), mentre altri ci sono andati decisamente più vicini. Possiamo considerare vincitore sia chi aveva scommesso su Dual sia chi ha puntato su Drive. Già, perché la nuova Tesla Model S avrà doppio motore elettrico, uno sull’asse anteriore e uno su quello posteriore, guadagnando motori, è in grado di uno scatto da 0 a 100 km/h in 3,2 secondi, un tempo che sfida apertamente qualsiasi auto sportiva a carburante tradizionale, anche ben più costosa. L’autonomia, punto forte delle vettore di Musk, non ne risentirà, con un piccolo plus di 15 km rispetto al modello a singolo motore. Batteria quindi uguale alla classica Model S, confermando i tempi di ricarica: 30 minuti col sistema proprietario (e a ricariche gratuite a vita) Tesla SuperCharger, mentre in una più normale colonnina da circa 20 kw di potenza ci vorranno 2 ore e mezza. Tempi “Sembra di essere in una nave spaziale, quando in realtà sei dentro un veicolo, e su ruote...” così anche la All Wheel Drive, ma per una aggiunta di ulteriori 4.250 dollari potrà anche essere dotata del sistema Autopilot. Ma andiamo con ordine. Come in precedenza le versioni saranno tre, Model S 60D e 85D (i numeri stanno per i kWh delle batterie) e la più performante chiamata appunto P85D. Questo modello, grazie all’incredibile potenza e coppia generata dai due che assicurano circa 400 km di strada percorribile. C’era molta attesa per la One More Thing in tipico stile californiano, e come previsto da voci di corridoio è stato anche annunciato il nuovo sistema Autopilot. Un pizzico di delusione quindi per i proprietari di Tesla Roadster che speravano nell’upgrade delle proprie batterie. In modo simile a quanto sviluppato anche da brand concorrenti, un insieme di sensori, radar e videocamere analizza continuamente la strada e lo scenario per aiutare il guidatore. Il sistema va dalla tipica frenata di emergenza anti-collisione passando per il mantenimento di corsia, limite di velocità automatico, e lettura dei segnali stradali. Niente di nuovo, anche se, come potete vedere dal video, l’autonomia di guida e di intervento di autopilot sono già consistenti, un passo deciso verso la “guida autonoma” che Elon Musk vuole raggiungere entro pochi anni. A margine dell’evento, poi, alcuni fortunati hanno potuto testare l’accelerazione della P85D in un percorso appositamente preparato, e stando alle dichiarazioni di chi ha provato, l’accelerazione tipica dei motori elettrici e la potenza del dual motor ti tengono letteralmente incollato al sedile. Il percorso di prova è stato suddiviso in due parti, la prima con corsie luminose ai lati per provare l’accelerazione, e una seconda parte guidata con segnali stradali per evidenziare gli interventi dell’auto pilota. Model S in versione D sarà disponibile (per ora negli Stati Uniti) a dicembre per quanto riguarda la P85D, mentre i modelli 60D e 85D più tardi a febbraio 2015. Il costo della top di gamma arriverà a circa 120.000 dollari, cifra notevole, ma inferiore ad altre auto capaci delle stesse performance. AUTOMOTIVE L’ultima versione della sportiva tedesca ha un nuovo cockpit. La nuova Audi TT sarà disponibile da novembre Nella sportiva Audi TT i contenuti del cruscotto li scegli tu La tradizionale strumentazione è sostituita da un fantastico display da 12 pollici. I contenuti li sceglie il conducente A di Roberto FAGGIANO l salone dell’automobile di Parigi ha debuttato la terza generazione della sportiva di casa Audi, la TT in versione classica e spider. Un rapido sguardo all’interno della vettura rivela l’apparente mancanza del display multimediale al centro della plancia, dove troneggiano solo le tre bocchette dell’impianto di climatizzazione, con tanto di piccoli display di controllo integrato. torna al sommario Ma i progettisti di Ingolstadt non si sono dimenticati di questo fondamentale strumento di ogni auto moderna. In realtà hanno fatto molto di più, perché hanno sostituito il tradizionale quadro strumenti con un display LCD da 12 pollici. L’ampio display può visualizzare diversi tipi di contenuti, scelti dall’utente utilizzando i comandi posti sul volante e al centro della plancia. Nella configurazione normale, il display presenta una strumentazione classica con contagiri, tachimetro e i pa- rametri fondamentali della vettura. Ma basta un tocco per far spostare gli strumenti ai lati del display e con dimensioni più piccole mentre al centro si allarga la completa mappa geografica del navigatore oppure compaiono le funzioni del sistema audio, il vivavoce telefonico con la rubrica e altri parametri della vettura come la climatizzazione. Il guidatore ha quindi a disposizione uno strumento completo che si adatta alle esigenze di ogni conducente e non costringe a distrarsi dalla guida per ricevere una telefonata o per cambiare la stazione radio. Per i più esigenti in fatto di musi- ca, sulla nuova TT è possibile installare un sistema audio Bang & Olufsen con potenza di 680 watt e analizzatore del rumore di fondo per dare la giusta voce agli altoparlanti distribuiti nell’abitacolo. Per gli interessati, la nuova Audi TT sarà disponibile dal mese di novembre con motorizzazione 2.0 TFSI a benzina e 2.0TDI a gasolio. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE SMARTHOME A Milano l’azienda ameriana ha mostrato prodotti in parte attesi in parte inaspettati Novità KitchenAid: è arrivato il Multicooker L’accessorio food processor per planetaria, il Multicooker e la macchina da caffé Nespresso K di Simona ZUCCA itchenAid amplia, e non di poco, la gamma dei suoi prodotti con soluzioni attese da molti e con altre inaspettate. Dopo HOMI, KitchenAid approfitta dell’edizione meneghina di Cake Festival 2014, di cui è main sponsor, per presentare al pubblico le sue novità, tra pasta di zucchero, mattarelli, stencil e spatole. Multicooker, anche KitchenAid ha la sua cooking machine Tra i prodotti, spicca su tutti Multicooker. KitchenAid entra a pieno titolo nel mercato delle cooking machine e lo fa con la sua solita classe e originalità: ha le sembianze di una (elegante) pentola con coperchio, questo piccolo elettrodomestico che, a diverse funzioni di cottura (10 programmi tra cui Bollire/ Cuocere a vapore, Soffriggere/Saltare, Rosolare, Cuocere al forno), aggiunge anche l’accessorio opzionale per mescolare. La temperatura va dai 35 ai 220 °C, la ciotola in ceramica è capiente ben 4 litri (le dimensioni dell’oggetto non sono proprio ridotte, se lo si vuole tenere esposto in cucina occorre trovargli un certo spazio…), i comandi digitali sono sul fronte dell’apparecchio. Il costo non è irrisorio, 449 euro con accessorio per mescolare incluso: più economico di alcuni multicooker (ma ricordiamo che non ha ad esempio accessori per la preparazione come le lame per tritare) e più caro di altri recentemente proposti sul mercato, questo prodotto si distingue ovviamente per il design ed è in linea con i prezzi dell’azienda americana. Sembra, però, che le novità in questo settore non siano finite, e che KitchenAid sia pronta a lanciare un nuovo prodotto. C’è forse da aspettarsi un Multicooker più evoluto, accessoriato, con più funzioni e quindi più vicino di prezzo ad altre cooking machine? La colazione è ottima ma si paga un po’ cara Grazie alla collaborazione con Nespresso, KitchenAid entra in un altro interessante settore dei piccoli elettrodomestici, quello delle macchine per caffè espresso in capsule. Il design e la solidità dei materiali sono i soliti di KitchenAid, è possibile scegliere tra 6 lunghezze di caffè, e qui è il prezzo a fare la differenza rispetto ad esempio alle altre macchine Nespresso già in commercio, come quelle di De’ Longhi e Krups (quelle più costose rispetto a KitchenAid si contano sulle dita di una mano e hanno la possibilità di preparare la schiuma di latte). Metallo pressofuso, design e qualità Nespresso costano 399 euro. Prezzi non proprio irrisori anche per due nuovi prodotti, centrifuga ed estrattore di succo per preparare succhi di frutta e di verdura, rispettivamente venduti a 389 e 499 euro. La centrifuga, in grado di preparare fino a 1 litro di succo, ha velocità variabile da 7 a 10.000 giri; l’estrattore invece promette di erogare succhi più nutrienti e con meno scarto. Accessori per Artisan Finalmente il food processor Gli accessori standard sono un tubo alimenti 2 in 1, disco da 8 mm, disco regolabile con leva esterna, disco reversibile per grattugiare e disco reversibile per julienne. torna al sommario KitchenaAid ha pensato anche agli accessori per il suo prodotto di punta, la planetaria Artisan, e lo fa con il prodotto che molti aspettavano. Alla lunga lista di optional già disponibili, infatti, (sfogliatrice, gelatiera, passaverdure, ecc.) aggiunge il food processor, finora probabil- mente mai proposto per non sovrapporsi alla presenza sugli scaffali del Food Processor stand alone. Si aggancia all’apposito invito dove si inseriscono tutti gli altri accessori e permette di tritare, affettare, grattugiare, frullare ridurre in purea e grazie al sistema Exactslice di decidere lo spessore delle fette. Il prezzo di listino è di 229 euro, mentre è di 199 euro quello dell’estrattore di succo, altro nuovo accessorio per la planetaria. Multicooker è disponibile nei colori Rosso imperiale e Crema. Novità (e prezzi) interessanti Novità dunque interessanti per KitchenAid, a partire dal Multicooker, che sicuramente nel panorama delle cooking machine si distingue per il design originale e piacevole. Come sempre, quello che colpisce dei prodotti dell’azienda americana è l’estrema attenzione al design oramai immediatamente riconoscibile, la solidità dei materiali e delle soluzioni costruttive e, non da ultimo, i prezzi non certo alla portata di tutti. Ma la qualità si paga e se si sceglie di avere in casa un prodotto solido, dalle elevate prestazioni, che duri nel tempo e bello da vedere, allora si deve anche essere disposti a spendere qualche euro in più. Ecco il finto autovelox che ti controlla l’RCA È partita la sperimentazione in Italia dei “finti” autovelox che in realtà verificano il pagamento dell’assicurazione RCA in tempo reale: se non si è in regola, si viene fermati poche centinaia di metri dopo di Emanuele VILLA Dopo gli Autovelox e i Photored (le telecamere che rilevano il passaggio di veicoli col semaforo rosso), in Italia è partita la sperimentazione dei dispositivi in grado di verificare in tempo reale se la vettura è in regola col pagamento dell’assicurazione e con le revisioni. Al momento la sperimentazione (che pare funzionare) è attiva a Legnano, Vicenza, Ciampino e Verona, si chiama Telesystem ed è apparentemente una telecamera molto simile a quella dell’autovelox; solo che questa, una volta catturata la targa del veicolo, invia i dati a un computer centralizzato che li esamina sulla base dei dati della motorizzazione civile e del Pubblico registro automobilistico per verificare in tempo reale che il veicolo sia in regola in tutto e per tutto. Una pattuglia della polizia stradale, posta qualche centinaio di metri dopo, riceve i dati e, in caso di anomalie, ferma il malcapitato. Nella speranza che la “lag” nella comunicazione non sia eccessiva e la pattuglia non si debba appostare 2 km dopo... Nel dubbio, comunque, mettetevi in regola e, soprattutto, non rimenticatevi di rinnovare l’assicurazione. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE SMARTHOME Il termostato intelligente Tado arriva in Italia nella sua seconda generazione Il termostato Tado in Italia. Prima di Nest È dotato di schermo LED e con interfaccia in italiano. Chi vuole risparmiare sul riscaldamento? di Roberto PEZZALI T ado lancia sul mercato italiano il suo termostato intelligente: in Italia arriverà subito la seconda generazione di termostato, quello dotato di schermo tattile a matrice di LED e con una compatibilità ampliata anche ai sistemi di riscaldamento meno evoluti. Tado sostituisce il normale termostato, e l’azienda, tedesca, assicura la compatibilità con il 90% circa delle caldaie in commercio in Italia: qualcuna resta fuori, ma il servizio assistenza è pronto a controllare ogni singolo caso, raccogliendo anche informazioni preziose per la prossima generazione. Al momento i sistemi compatibili sono 5000, e grazie al kit di estensione è possibile anche collegare Tado alle caldaie che sono sprovviste di termostato. Tado, almeno secondo le ricerche fatte anche da laboratori esterni, grazie al suo particolare modo di utilizzo permette di risparmiare fino a 30% sulle spese annue per il riscaldamento, anche se ovviamente sono molti i fattori che possono andare a diminuire questa statistica. Tado funziona infatti come un normale termostato programmabile, ma grazie alla connessione al cloud e alle sue app (Android e iOS ora, Windows Phone tra una settimana) è in grado anche di gestire accensione e ri- scaldamento in base alla posizione degli abitanti del network familiare. Tado usa la geolocalizzazione per sapere quando l’ultima persona è uscita di casa e quando sta tornando, e con questi dati riesce a regolare in modo fine l’accensione e lo spegnimento. Inoltre il termostato riesce a misurare quanto tempo ci mettere a portare la casa alla temperatura prestabilita, tempo che varia a seconda della coibentazione e della classe energetica: in questo modo può risparmiare tempo prezioso; i dati infine sono integrati con le condizioni meteo fornite da diversi servizi web: se fuori fa davvero caldo, Tado lo sa e si comporta di conseguenza. La funzione di geolocalizzazione e il controllo a distanza ovviamente non sono obbligatorie: Tado funziona anche senza sfruttando gli altri dati. Ovviamente il risparmio sarà inferiore. Alle funzionalità di controllo del riscaldamento Tado aggiunge anche per alcuni impianti tutta la diagnostica: pressione dell’acqua insufficiente e problemi di vario tipo vengono segnalati all’assistenza Tado Care che può offrire un suggerimento alla soluzione. Tado costa 249 euro e al momento può essere acquistato online sul sito ufficiale: chi vuole provarlo può anche noleggiarlo, 6,99 euro al mese. Il kit di estensione, per montare Tado in un si- stema senza termostato o per spostare il termostato dalla posizione attuale costa 99 euro e può essere noleggiato a 2,99 euro al mese. Per l’assistenza e l’installazione, Tado suggerisce il fai da te, perché le istruzioni sono abbastanza chiare. Chi non se la sente può però affidarsi ad una rete di installatori professionisti che Tado ha attivato in Italia. Il costo dell’installazione è ovviamente extra. Come stiamo facendo con il kit Honeywell Evo, proveremo Tado quest’inverno, e vi faremo sapere com’è andata confrontando le spese con quelle dell’anno precedente. I video piratati hanno fruttato 1 miliardo di dollari I contenuti protetti dal diritto d’autore vengono riconosciuti automaticamente grazie a Content ID Y torna al sommario se questo contiene materiale protetto dal diritto d’autore. Quando ciò avviene, il detentore di tali diritti viene allertato e può decidere se chiedere la rimozione del video, oppure monetizzare grazie ad esso inserendo della pubblicità sul contenuto. In questo modo una grande quantità di materiale rimane su YouTube con vantaggi sia per Google che i detentori dei diritti: il catalogo di YouTube si allarga sempre di più e gli autori dei contenuti guadagnano Anche Skype si lancia nel mercato delle app di videomessaggi con il nuovo servizio Qik: clip di massimo 42 secondi per chattare con i video anziché con le parole. Ce n’era bisogno? di Paolo CENTOFANTI SOCIAL MEDIA E WEB Su YouTube i video sono caricati dagli utenti, ma gli autori non ci perdono di Paolo CENTOFANTI ouTube è ormai come un immenso jukebox in cui si trova di tutto, da video musicali, a spezzoni di film e programmi TV, passando per canzoni e tutto il resto. La stragrande maggioranza delle volte, i video sono caricati dagli utenti di YouTube e non dagli autori originali, ma ciononostante dal 2007 a oggi il servizio di streaming di Google ha staccato complessivamente un assegno di 1 miliardo di dollari ai detentori dei diritti. Tutto ciò grazie a Content ID, il sistema che YouTube ha implementato per risolvere quell’ambiguità che caratterizza la natura stessa del servizio. Quando un utente carica un video su YouTube, il sistema effettua un’analisi per capire Skype lancia Qik Videomessaggi istantanei qualcosa da quella che normalmente potrebbe essere definita pirateria. A rimetterci sono solo gli utenti, quando Content ID fa cilecca e viene chiesta la rimozione di contenuti legittimi. Skype ha annunciato il lancio di una nuova app per smartphone chiamata Qik. Si tratta di un nuovo servizio che consente di inviare filmati di massimo 42 secondi ai propri contatti. In sostanza un vero e proprio instant messenger che sostituisce la chat testuale con i video, anche se questi rimarranno in linea per un massimo di due settimane. L’app include anche una funzionalità denominata Qik Flik, che consente di creare brevissime clip di 5 secondi da salvare e da utilizzare come emoticon o GIF animate per dare risposte brevi. È possibile effettuare chat singole o di gruppo, cancellare i video e bloccare i contatti da cui non si vogliono più ricevere video. Con la nuova app, Skype sembra voler rinunciare a mettersi in competizione con servizi come WhatsApp per quanto riguarda le chat testuali e puntare a suo modo a servizi come Snapchat e Slingshot di Facebook, anche se solo il primo sembra aver raccolto un’ampia base di utenti. La nostra sensazione è che Qik non intercetti alcun bisogno particolare, ma solo il tempo ci dirà se Skype ci ha visto giusto. L’app è disponibile da oggi per Android, iOS e Windows Phone. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE SMARTHOME Whirlpool ha rinnovato la sua serie di forni a microonde Jet Chef con 2 modelli Con il microonde Whirlpool diventi uno chef I microonde costano quanto uno smartphone top di gamma ma promettono risultati da urlo di Alessandra LOJACONO W hirlpool rinnova la sua gamma di forni a microonde Jet Chef con due nuovi modelli, Jet Chef Premium JT 479 (599 euro) e Jet Chef JT 469, rispetto ai modelli precedenti sono estremamente intuitivi nell’utilizzo e dotati di nuove funzioni di cottura. Whirlpool vuole venire incontro a tutti i consumatori che hanno poco tempo da dedicare alla preparazione dei piatti realizzando dei forni che grazie alla ventilazione possono essere usati anche al posto del forno ventilato convenzionale. La nuova linea Jet Chef si distingue dalla gamma precedente per un design minimal ed elegante ricalcando l’estetica degli altri elettrodomestici Whirlpool; per facilitare l’uso è stato aggiunto un pannello con i comandi touch e un ampio display. Funzioni e performance all’avanguardia Se consideriamo il prezzo medio di un forno a microonde il nuovo Whirlpool costa parecchio, quasi tre volte tanto. Come abbiamo detto non è un microonde tradizionale, è un qualcosa di più e Whirlpool ha aggiunto una serie di funzioni uniche che non erano presenti sulla gamma precedente. Grazie a Chef Menu si possono scegliere 90 ricette preimpostate e ottenere la scelta in automatico della migliore funzione di cottura, del tempo e della potenza. Volendo si possono anche memorizzare le 10 ricette dei propri piatti preferiti. Bread Defrost è la soluzione per il pane surgelato: Whirlpool promette di scongelarlo rendendolo morbido dentro e croccante fuori, grazie anche alla presenza di una potente ventola che diffonde il calore in modo uniforme su tutto il cibo. Nella nuova gamma Jet Chef, inoltre, la capacità aumenta e passa da 31 a 33 litri e il piatto girevole da 36 cm può essere bloccato e ciò consente di cucinare porzioni più grandi e di utilizzare piatti di diverse forme e dimensioni Non mancano neppure alcune funzionalità, che erano già presenti nella gamma precedente: la funzione Crisp, esclusivo brevetto Whirlpool, che permette di arrostire, friggere quasi senza olio e lievitare per realizzare pizze, torte salate e dolci; Jet Defrost, il sistema Whirlpool di scongelamento rapido; Vapore per una torna al sommario A Firenze si cammina, a Tokyo non si dorme: lo dice Jawbone Una curiosa classifica di Jawbone svela le abitudini degli utilizzatori del braccialetto UP cucina sana e leggera, oltre alla distribuzione 3D delle microonde per ottenere cotture omogenee e uniformi. Nel modello JT 469 sono presenti le stesse funzioni del top di gamma Premium, unica differenza è che le ricette presenti nella funzione Chef Menu sono 30 anziché 90. Accessori per cotture al top Per esaltare ancora di più le performance dei microonde Jet Chef, Whirlpool ha realizzato, in collaborazione con Lékué, degli accessori in silicone di platino che possono resistere a temperature che vanno dai -60° ai 220° C: si va dalla vaporiera con griglia, al cuoci riso fino ad arrivare all’accessorio per cucinare le uova e quello per le omelette oltre a stampi per fondere e lavorare il cioccolato. Abbiamo avuto modo di provare Jet Chef Premium sfruttando le funzioni Vapore, Crisp e Microonde per cucinare uno strudel “rivisitato” con pere e cioccolato in soli 10 minuti e per la nostra breve esperienza possiamo dire che il risultato è stato ottimo. La nuova serie di microonde Whirlpool è ovviamente perfetta per chi ama la cucina come il nome Jet Chef lascia intendere. Il prezzo è l’unico boccone amaro: 600 euro per il top di gamma, probabilmente uno dei microonde più cari in commercio. La buona cucina tuttavia è la moda del momento, e forse il microonde hi-tech è molto più “cool” dell’ultimo modello di smartphone. JET CHEF PREMIUM JT 479 di Andrea ZUFFI Jawbone, nota da anni per i dispositivi audio intelligenti e più recentemente molto presente nel settore dei dispositivi indossabili con il fortunato braccialetto UP, ha monitorato alcuni atteggiamenti dei propri clienti concentrandosi sulle rilevazioni della media giornaliera del numero di passi e delle ore si sonno. La classifica dei camminatori vede al primo posto i cittadini di New York, con una media di 9.422 passi al giorno contro i 6.796 passi di San Paolo del Brasile, che occupa l’ultimo posto in classifica. Il team di Jawbone ha preso in esame anche la distribuzione per abitanti delle città italiane tra cui spiccano i fiorentini con una media di 9.053 passi al giorno. Milano è di poco sopra i 9.000, mentre Roma arriva a 8.526 passi. Sul fronte delle ore di sonno invece la distribuzione per area geografica ci racconta di un Oriente che riposa poco con la media di 5,57 ore per notte degli abitanti di Tokyo o le 6,07 ore dormite a Seoul. Agli antipodi della classifica troviamo gli australiani di Melbourne che dormono in media 7,11 ore. In Italia i meno dormiglioni sono i partenopei con 6,44 ore di sonno medio per notte mentre a Roma e Milano si dorme qualche minuto in più, con rispettivamente 6,49 e 6,52 ore. Le abitudini emerse non fanno distinzioni di genere maschile e femminile e non indicano da quanti membri è composta la base dati. Di sicuro la divulgazione di questi dati (statistici e anonimi) incuriosisce e stimola varie riflessioni sul futuro di queste tecnologie dove le opinioni sono costantemente in bilico tra le potenzialità e le nuove frontiere in questo caso offerte dai big data e la fragilità della privacy in quest’era di connected life. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE SOCIAL MEDIA E WEB Una soluzione comoda, capace di risolvere anche problemi di mobilità Compri online e ritiri dal benzinaio: si può In 15 distributori TotalErg si potranno ritirare 24 ore su 24 gli acquisti fatti su alcuni siti ecommerce A di Roberto PEZZALI cquistare online è semplice e veloce, ricevere il pacco un po’ meno: spesso gli orari di lavoro non coincidono con quelli dei corrieri, in ufficio non accettano pacchi personali e molti condomini sono sprovvisti di portineria. Una problematica questa che ha trovato soluzione in molti paesi del mondo nei Lockers, stazioni di ritiro dislocate in punti strategici dove far consegnare i pacchi per un ritiro 24 ore su 24. I Lockers non sono una novità in Italia, ma la partnership tra TotalErg e InPost potrebbe davvero dare una spinta al mercato online. Da qualche mese infatti sono state installati una serie di Locker InPost nei distributori di benzina della rete TotalErg del centro e nord Italia: al momento sono solo 15, ma entro fine anno il numero potrebbe salire a 70. L’idea di base è farsi recapitare il pacco dal distributore, area di passaggio che resta aperta sempre e che solitamente è posta in una zona strategica. Abbiamo avuto modo di sperimentare il servizio questa mattina a Milano nel punto vendita TotalErg di viale Marche, uno dei punti scelti per l’installazione del Locker. Dopo aver acquistato un oggetto su un negozio convenzionato (al momento Saldi Privati e ePrice) arriva in mail un codice QR che abilita al ritiro: basta una scansione per sbloccare lo sportello di sicurezza all’interno del quale troviamo il nostro acquisto. L’operazione è rapida, massimo un minuto, e volendo si può anche pagare sul momento sfruttando quindi il tipico pagamento in contrassegno. I responsabili del progetto, che abbiamo intervistato, ci hanno parlato di ottime performance nell’ultimo mese e soprattutto ci han confermato che non hanno avuto alcun problema legato alla sicurezza: oltre a paletti blindati per evitare l’impatto di un auto, c’è il deterrente dell’imprevedibilità: i pacchi sono disposti random e non è garantito che, scassinando uno dei cassetti, si trovi effettivamente dentro qualcosa. La partnership tra InPost e TotalErg è solo ad uno stadio preliminare, e oltre all’aumento dei punti di consegna in tutta Italia (ma niente autostrade) si stanno vaIl sensore che scansiona la mail o lo schermo dello lutando anche operaziosmartphone ni di co-marketing come torna al sommario MyStudio è la piattaforma RCS per la scuola 2.0 Il Gruppo RCS lancia MyStudio, una piattaforma integrata e gratuita dedicata alla scuola, con servizi di studio, verifica e programmazione per docenti e studenti di Emanuele VILLA la consegna di buoni sconto per il carburante in seguito agli acquisti. La soluzione dei Lockers ha un impatto positivo anche sulla mobilità, soprattutto nelle città: il corriere non deve rimbalzare tra decine di indirizzi diversi ma consegna tutto in un solo punto. “Si tratta di un’iniziativa utile e importante – ha commentato l’assessore alla Mobilità e Ambiente Pierfrancesco Maran – perché concentrando le spedizioni delle merci in singoli punti, strategici come le stazioni di servizio, si va incontro a esigenze diverse. Quelle degli utenti, prima di tutto, che possono scegliere in modo più comodo e flessibile la destinazione finale e l’orario di ritiro. Poi, quelle degli operatori e delle imprese, che così facilitano la logistica sul territorio. Infine, si va incontro soprattutto alle esigenze della città, diminuendo gli spostamenti dei veicoli e contribuendo concretamente a fluidificare la circolazione. La logistica delle merci, infatti, costituisce una componente importante della mobilità cittadina: ben vengano le iniziative che rappresentano delle valide alternative, più razionali ed efficienti, al trasporto tradizionale”. Oltre che per il ritiro, i Lockers InPost sono abilitati anche per i resi: chi deve rendere un oggetto (diritto di recesso) può lasciarlo dentro un cassetto vuoto e passerà il corriere a ritirarlo. A breve, inoltre, ci fan sapere che verranno abilitate sia le operazione di spedizione da Locker a abitazione o da Locker a Locker, queste ultime ad un prezzo davvero conveniente. Un’iniziativa lodevole questa del Gruppo RCS, che con MyStudio punta a favorire il passaggio della scuola italiana verso un modello fatto di collaborazione online, connettività web e svariati strumenti di programmazione e gestione del percorso didattico. RCS ha annunciato che MyStudio, piattaforma gratuita pensata per la scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, ha raggiunto i 22.000 utenti registrati: i docenti possono gestire il registro, i piani di studio, le classi e le attività, ma anche realizzare materiali aggiuntivi ed esercitazioni all’interno dello stesso ambiente virtuale, mentre gli studenti possono accedere ai materiali resi disponibili dagli insegnanti, collaborare ai progetti e comunicare tra loro, scambiare opinioni e partecipare a esercitazioni, tutto all’interno del medesimo ambiente integrato. Le aree di MyStudio, che rispondono alle singole esigenze della didattica, sono Digitest, Calendario, Lesson Plan, Registro, ePub Maker, Notifiche, Classbox e Blog, aree che si mantengono distinte come finalità ma sono integrate nella medesima piattaforma e ricche di sinergie. Tra i servizi RCS figura anche OpenBook, versione digitale interattiva dei libri di testo RCS Education con l’aggiunta di materiali multimediali realizzati ad hoc; inoltre, MyStudio permette l’accesso agli altri prodotti e strumenti di RCS Education e a Mosaico, il primo motore di ricerca semantica per il mondo della scuola, con cui ricercare ed aggregare contenuti multimediali interdisciplinari. MyStudio è disponibile gratuitamente ed è fruibile da PC, Mac, ma anche tablet e smartphone iOS e Android tramite le relative app. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE SCIENZA E FUTURO Un innesto che non ha gli svantaggi delle normali protesi mioelettriche È svedese il primo uomo con braccio bionico Un uomo ha ricevuto una protesi innestata su ossa, muscoli e nervi. Si controlla con la mente U di Paolo CENTOFANTI n uomo in Svezia potrebbe passare alla storia come il primo cyborg. L’uomo, che aveva perso un braccio, ha ricevuto nel 2013, come parte di un progetto di ricerca, un nuovo tipo di protesi che è stata direttamente innestata sullo scheletro e collegata a muscoli e nervi. All’uomo è stato infatti impiantato un innesto in titanio direttamente sull’osso del braccio destro che funziona da aggancio per il resto della protesi, mentre una serie di elettrodi sono stati applicati direttamente ai muscoli e alle terminazioni nervose, in modo tale da avere un’interfaccia più diretta rispetto a quelle mioelettriche transcutanee. I vantaggi di questa soluzione, rispetto alle protesi motorizzate tradizionali, sono soprattutto nella stabilità dell’interfaccia uomo-macchina e nella migliore pulizia del segnale che porta all’eliminazione di movimenti involontari. Ma ciò che sa ancora più di fantascienza sono le prospettive future di questa tecnologia. Gli elettrodi, infatti, funzionano in entrambi i sensi e secondo i ricercatori della Chalmers University of Technology consentiranno ai pazienti di ricevere stimoli sensoriali e ripristinare in parte il senso del tatto. Il paziente zero, dopo due anni di riabilitazione, è ora in grado di svolgere lavori anche pesanti, guidare mezzi ed effettuare movimenti delicati come maneggiare le uova. La protesi al braccio SCIENZA E FUTURO Probabilmente i due satelliti fuori orbita si riusciranno a recuperare Ecco perché i satelliti Galileo son finiti fuori orbita Individuate le cause del lancio errato di satelliti ad agosto il progetto può riprendere L di Roberto PEZZALI a commissione indipendente nominata da Arianespace per individuare le problematiche che hanno portato al lancio dei due satelliti Galileo fuori orbita è finalmente giunta a una conclusione: non si è trattato di errore umano ma di un problema di progettazione del vettore russo Soyuz che ha portato in orbita i satelliti. In un’analisi preliminare il razzo era stato escluso, in quanto il lancio è avvenuto perfettamente e con i parametri nella norma, ma in realtà con un esame più approfondito si è risaliti a un problema di alimentazione dell’ultimo stadio del razzo, il Fregat, l’elemento che effettua le ultime manovre necessarie per portare un satellite nella sua orbita. Il Fregat avrebbe dovuto dare due impulsi per posizionare i satelliti sull’orbita corretta, ma per problemi di alimentazione ai propulsori il vettore non ha dato la spinta finale nel modo corretto perché il carburante era congelato. Il tubo che torna al sommario portava l’idrazina necessaria per alimentare i motori era infatti fissato allo stesso supporto che tratteneva anche un tubo di elio freddissimo: il supporto ha fatto da termoconduttore gelando durante il viaggio nello spazio anche il carburante nella conduttura vicina. Purtroppo si è verificata una condizione molto particolare: in altre situazioni è stato usato lo stesso vettore senza problemi nonostante il problema di progettazione, questo perché il comportamento può variare a seconda del numero di accensioni dei razzi di spinta e della quantità di carburante utilizzato. Negli altri casi era sufficiente quello nella zona non congelata del tubo, questa volta no. Il problema è risolvibile quindi facilmente e si attende un prossimo lancio sempre con lo stesso razzo / vettore a dicembre, per raggiungere la piena operatività il prima possibile. Resta ora il problema dei satelliti posizionati male: al momento stanno viaggiando su un’orbita che li porta molto vicini a una zona di forti radiazioni, cosa che potrebbe compromettere la loro durata. Resta sempre una speranza però: un’azienda israeliana ha realizzato un piccolo “spazzino” dello spazio, un satellite capace di riportare satelliti sulla loro orbita e di togliere dall’orbita i satelliti non più funzionanti. Clicca qui per vedere il video. Samsung spinge il Wi-Fi a velocità folle: 4.6 Gbps Samsung sta lavorando al nuovo standard 802.11ad: sfrutta i 60 GHz e potrà viaggiare a una velocità teorica di trasferimento massima pari a 4.6 Gbps di Roberto PEZZALI Trasferimento wireless ad altissima velocità: Samsung sta lavorando alla sua versione dell’802.11ad, uno standard di connettività wireless che lavora a 60 GHz e può essere usato per trasferire dati con una velocità teorica massima di 575 MB al secondo o 4.6 Gbps. L’utilizzo dei 60 GHz, che non penetrano i muri ma rimbalzano di fronte a un ostacolo, è particolarmente indicato per applicazioni di trasmissione dati tra periferiche molto vicine tra loro, ad esempio da uno smartphone a un portatile: chi ha bisogno di tanta banda in una casa deve ripiegare sul sempre sicuro cavo di rete o sulla powerline. Quello che non si capisce dal comunicato di Samsung, è quale sia il legame tra l’annuncio di Samsung e l’802.11ad standardizzato dalla Wi-Fi Alliance, il WiGig. Entrambi hanno la stessa sigla e lavorano alla medesima frequenza, ma Samsung annuncia di aver raggiunto una velocità 5 volte superiore rispetto al WiGig grazie a una serie di antenne dinamiche che cambiano condizioni in meno di 0.33 secondi adattandosi alle variazioni ambientali. Le ipotesi sono due: o Samsung ha realizzato un fork della tecnologia, poco probabile, oppure Samsung ha creato un’implementazione del WiGig sui suoi semiconduttori che permetterà di avere una velocità reale vicina a quella teorica grazie alla sua particolare antenna. Il problema, infatti, del WiGig, ancora irrisolto (almeno fino ad ora), è l’abbattimento delle prestazioni dovute alle interferenze tra dispositivi vicini. Samsung dovrebbe implementare la nuova tecnologia sui suoi prodotti a partire dal prossimo anno. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST Il nostro test approfondito per valutare punti di forza e debolezze di quel “mostro” che si chiama Galaxy Note 4 Samsung Galaxy Note 4: è sempre il numero 1 Passi in avanti non trascendentali, ma è il miglior phablet sul mercato. Progresso netto anche sotto il profilo estetico di Emanuele VILLA n questi mesi si parla soprattutto di Apple e del suo ingresso, con iPhone 6 Plus, nel settore dei phablet, ma non dobbiamo dimenticare quello che ad oggi è il vero dominatore del segmento, colui che l’ha inventato e non intende abbandonare la corona: il Galaxy Note di Samsung. D’altronde, la sfida di Apple è ardua: Samsung è in questo mercato da anni e ha raffinato il proprio prodotto generazione dopo generazione ingrandendolo, migliorandone il look, le specifiche tecniche e il suo tratto distintivo, ovvero il pennino S-Pen. E a giudicare da questo Note 4, un “mostro” di potenza e di caratteristiche tecniche, è ovvio che la sfida di Apple, se non impossibile, sia quanto meno dura. Anche perché, e lo diciamo dopo ormai diverse settimane di utilizzo dell’iPhone 6 Plus, Apple non ha ancora capito come sfruttare al meglio lo schermo del suo nuovo smartphone. Iniziamo dicendo che ormai di davvero innovativo c’è ben poco, qui come altrove: Galaxy Note 4 è un’evoluzione e aggiornamento del modello dello scorso anno, integra tecnologie che all’epoca non erano disponibili (tipo il riconoscimento dell’impronta e il sensore di battito cardiaco), propone un parco hardware rinnovato dalle fondamenta e, soprattutto, un look diverso. Tutto questo gira sopra il collaudatissimo Android 4.4 KitKat, con tanto di TouchWiz Samsung e immense personalizzazioni e funzionalità dettate dalla presenza del pennino. Dobbiamo, però, anche dire che difficilmente riusciamo a immaginarci un Note 5: Samsung sembra aver dato proprio tutto per realizzare quello che è il Note perfetto, e non è un caso che l’azienda stessa stia cercando, con il Note Edge, di deviare dalla strada originale ormai giunta alla sua massima espressione. I Finalmente bello e poco “plasticoso” Samsung è stata criticata a lungo per aver voluto proporre telefoni dalle caratteristiche e dal prezzo “top” ma con look “cheap”. Sotto questo punto di vista, Note 4 inaugura un nuovo corso, e basta mettere vicino le due generazioni per rendersene conto: uno (Note 3) sarà pur sottile, leggero e curato, ma dà l’impressione di approssimativo, vuoi per qualche rifinitura assente, vuoi per la cover posteriore in finta pelle, mentre qui il passo avanti è avvertibile. Per carità, si può sempre fare di meglio, ma basta prendere in mano questo Note 4 per rendersi conto di una cura di dettaglio assente nelle generazioni precedenti. Inoltre, e lo abbiamo detto più volte, sacrificare la cover posteriore in plastica vuol dire anche sacrificare la batteria removibile e altre feature, elementi questi che su un prodotto business oriented non possono proprio mancare. Descrivere il tutto a parole non è facile: nel modello provato, quello con finitura bianca, l’accostamento tra il silver dell’alluminio e la verniciatura bianca è molto fine, ed è decisamente piacevole la smussatura degli torna al sommario video lab Samsung Galaxy Note 4 L’UNICO SMARTPHONE “BIG SCREEN” CHE HA DAVVERO UN SENSO 769,00 € Galaxy Note 4 rappresenta, al momento in cui si scrive, lo stato dell’arte nella tecnologia mobile: un SoC potentissimo, un display Amoled Quad HD, un’infinità di sensori e un design rinnovato. Il design è finalmente degno di nota, curato e basato su materiali nobili, le prestazioni sono da primo della classe e il Quad HD, pur “eccessivo” rispetto a quanto è possibile percepire, si giustifica in virtù del pennino e della sua elevata sensibilità. È un prodotto di valore, pensato per il business e per chi desidera un display molto ampio sfruttando al tempo stesso i benefici del pennino, tratto distintivo della serie. Il tutto conduce, com’è normale, a un prezzo premium, ma rispetto alle generazioni precedenti si parte da 32 GB e quindi anche il rapporto qualità/prezzo ne risente in positivo. Grazie a tutti questi elementi, Note 4 ci pare l’unico phablet (o smartphone) che ha davvero senso in un mercato dove la tendenza è ingrandire gli schermi senza dare particolare valore aggiunto. 8.7 Qualità 9 Longevità 9 Design 8 Semplicità 7 Prestazioni elevate e 32 GB di base COSA CI PIACE Design più curato dei modelli COSA NON CI PIACE precedenti Sensibilità S Pen e display incredibili angoli e dei bordi. Samsung è riuscita anche a rendere armonico il piccolo rigonfiamento che ospita il jack per le cuffie, elemento questo che un po’ stonava con il resto del design. La cover posteriore resta in plastica con look-finta-pelle ma, ripetiamo, è calata in un contesto migliore rispetto a quello dello scorso anno. Contesto che tra l’altro è lo stesso di Galaxy Alpha, giustamente ritenuto il più bel telefono Samsung di sempre. Diciamoci la verità, da un telefono da 769 euro di listino questo livello costruttivo è d’obbligo, e anche se il Note 4 non ha peso e materiali di un iPhone 6 Plus non possiamo negare un piacevole passo avanti. Il telefono non è, poi, un peso piuma e non potrebbe esserlo: alla scelta di materiali più robusti fa da inevitabile contraltare un peso discreto; d’altronde non si può avere tutto dalla vita, e se si chiede qualità costruttiva non si può pretendere la massima leggerezza. Il telefono è solido, non scricchiola (tipico problema dei telefoni “plasticosi” quando soggetti a leggere D-Factor 9 Prezzo 9 Funzione multiwindow di scarsa utilità Fotocamera sporgente L’USB 2.0 è un passo indietro e manca il waterproof Il piccolo rigonfiamento in prossimità del jack per le cuffie non è bellissimo da vedere. torsioni), non dovrebbe subire gli effetti di un uso sbadato purché non lo si butti in acqua. A differenza di Galaxy S5, Note 4 non è waterproof: da un lato ciò pare un evidente passo indietro, dall’altro non dimensegue a pagina 26 n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST Samsung Galaxy Note 4 segue Da pagina 25 tichiamo mai la destinazione business del prodotto, che difficilmente si coniuga con la visione di video sotto la doccia o corse durante un acquazzone. Poche parole sulla descrizione dell’apparecchio, poiché le foto sono di per sé esplicative: grazie al cielo le dimensioni del display sono le stesse dell’anno scorso, ovvero 5,7’’ (onestamente, sopra i 6’’ diventa davvero arduo portarselo in giro), lo spessore della cornice laterale è pressoché inesistente e anche i bordi superiore/inferiore sono giusto necessari per ospitare tasto home/pulsanti capacitivi in basso e qualche sensore/capsula auricolare in alto: sotto questo profilo non c’è spazio per finezze tecniche, abbiamo un display enorme e dobbiamo contenere il più possibile le dimensioni dell’apparecchio. Detto, fatto. Come non abbiamo ignorato il bendgate per l’iPhone, non potevamo ignorare del tutto il “gap gate”, ovvero quella segnalazione di un piccolo gap tra schermo e cornice che secondo Samsung rientra nelle tolleranze di produzione. Nel nostro esemplare il gap c’è, è nella parte alta e si vede probabilmente perché abbiamo il modello bianco: farci passare un biglietto da visita è impossibile, nel nostro caso ci entra a malapena un foglio A4. Dentro, l’apparecchio mostra una costruzione molto razionale: lo slot per la Micro SIM (niente nano SIM, a differenza di Galaxy Alpha) e per la micro SD sono discretamente separati, per cui per raggiungere il primo è necessario estrarre la batteria ma il secondo no, il pennino è logicamente occultato nel suo slot e l’imponente batteria da 3.220 mAh integra l’NFC, esattamente come Galaxy Alpha e come gli altri smartphone della serie Galaxy. Il display è il massimo su piazza Ce n’è bisogno? Qui torniamo a un discorso già fatto in occasione della prova di LG G3: ha senso una densità di 518 pixel per pollice su uno smartphone? Un display dalla risoluzione “mostruosa” di 2.560 x 1.440 pixel non andrà a condizionare negativamente le performance del sistema, risultando così un plus solo sulla carta? A prima vista potrebbe sembrare così, ma il caso del Note 4 è molto particolare e la motivazione è il pennino. Note 4 e pennino rappresentano quello che nel mondo analogico sono carta e penna: un tratto di penna su carta ha una risoluzione virtualmente infinita, e allo stesso modo maggiore è la risoluzione del display, più fedele è la resa della risoluzione della penna. Samsung ha aumentato ancora la risoluzione di S-Pen, ne parleremo dopo, e proprio grazie all’aumento di risoluzione del display si riesce a percepire la miglior accuratezza nella resa di pennellate, tratti di matita e scritte a diversi livelli di pressione. Abbiamo ingrandito una serie di tratti fatti con S-Pen per mostrarvi come la sensazione di trovarsi davanti a una vera matita in grafite sia dovuta all’elevata risoluzione dello schermo. Ma l’occhio umano riesce davvero a vedere queste differenze? Si entra nel campo dell’acutezza visiva e della visione soggettiva, ma con un semplice test abbiamo voluto verificare se le persone percepiscono i 518 dpi del Note 4. Abbiamo creato una serie di immagini completamente bianche alla risoluzione dello schermo ognuna delle quali contenente puntini di diverse dimensioni (in pixel): il risultato è che nessuno riesce a vedere a occhio nudo puntini di 1 o 2 pixel, qualcuno vede 3 pixel e altri ancora arrivano 4 pixel. Ma vedere 1 pixel è impossibile. Sulla questione risoluzione, occhio umano e distanza di visione se ne Ingrandendo dei tratti fatti con S-Pen (qui sopra) la sensazione sono dette tante, tuttavia se per è quella di un segno fatto con una vera matita in grafite, risultato interfaccia, icone, foto e video il dovuto all’elevata risoluzione dello schermo. Anche con la lente Full HD di Note 3 poteva bastare, (immagine in alto) è difficile vedere un singolo pixel tracciato sullo quando si usa la penna per la scritschermo. torna al sommario tura, l’uso di uno schermo così risoluto restituisce una maggiore sensazione di realismo, di scritta cartacea e non digitale. La cosa più interessante, inoltre, non è tanto il Quad HD, per il quale Samsung arriva con 4 mesi di ritardo su LG, ma il fatto che questo display sia AMOLED e non un classico IPS. Il primo impatto con la qualità del display è chiaramente da WOW: complice il coloratissimo sfondo scelto da Samsung, questa volta sui toni azzurro/violetti a differenza di quello di Note 3 che era sul rossiccio/giallo, l’occhio non può che notare l’incredibile finezza di dettaglio unita alla vividezza cromatica che ci ricorda da vicino quella dei Triluminos dei tablet e smartphone Sony. Cerchiamo subito delle immagini e ne troviamo di precaricate in Galleria: molte sono pensate per esaltare la profondità del nero del display, altre la vividezza cromatica, in entrambi i casi è uno spettacolo per la vista. Non troviamo video, dunque ne carichiamo uno noi in Quad HD e anche in questo caso l’impatto è davvero ottimo: molto probabilmente questa è una delle poche occasioni per “vedere i pixel” (ma non tutti, come diciamo sotto) del Quad HD. Come ripetiamo in questi casi, la naturalezza cromatica è un concetto che passa in secondo piano rispetto alla vividezza e all’impatto forte sullo spettatore, ma in uno smartphone siamo propensi a lasciare correre, molto di più di quanto facciamo con i TV. Tra l’altro le caratteristiche d’immagine sono regolabili: nelle opzioni del display troviamo, infatti, il cosiddetto Schermo Regolabile che non è altro che la traduzione approssimativa di Adaptive Display, tecnologia che Samsung ha inaugurato con i tablet della serie Tab S e che consiste in una regolazione basata su preset del gamma, della saturazione e della nitidezza e che funziona con applicazioni selezionate, tra cui Galleria, Camera, Internet, Video e altre. Questa tecnologia di Samsung lavora di concerto con l’autoregolazione della luminosità sulla base delle condizioni ambientali, una feature onnipresente e che qui funziona discretamente bene, nonostante i tempi di reazione siano ancora migliorabili. Una tecnologia simile l’adotta anche Amazon sul suo Kindle Fire RGB: se stiamo leggendo un libro, il punto di bianco dello schermo sarà regolato anche in base alle luci della stanza, che siano a LED o a incandescenza oppure neon a fluorescenza. Adaptive Display è una modalità abbastanza potente ma non assicura una perfetta fedeltà segue a pagina 27 n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST Samsung Galaxy Note 4 segue Da pagina 26 cromatica come le altre modalità disponibili. Abbiamo dunque modificato il preset dello schermo passando da Cinema AMOLED (in cui i colori sono volutamente vividi e molto brillanti) a quella di base, che di fatto ci ha presentato una schermata Home molto più piatta e meno vibrante, ma dai colori più naturali. Il nero resta eccellente, la luminosità massima molto buona (il dispositivo si usa tranquillamente in giornate soleggiate, anche se la regolazione automatica è un po’ imprecisa e spesso bisogna alzare al massimo a mano) mentre l’aspetto negativo è l’affioramento di dominanti cromatiche varie allo spostamento dal punto di visione ottimale: per fare un esempio, mettendo in modalità “di base” lo schermo, aprendo una pagina bianca e poi spostandosi verso sinistra e verso destra, il bianco assume una connotazione azzurrina. Volendo estendere un po’ il discorso a livello tecnico, lo schermo AMOLED del Note 4 è comunque un piccolo capolavoro: Samsung si appoggia ancora a una configurazione di pixel Diamond, ovvero un pattern particolare che non prevede la terna RGB ma subpixel condivisi disposti in modo particolare, ognuno dei quali dotato di una forma a rombo. La particolare disposizione permette di gestire al meglio l’efficienza degli elementi organici: il blu e il rosso che sono i due colori meno efficienti sono, infatti, più grossi del subpixel verde. La disposizione, inoltre, non crea problematiche particolari sul rendering delle diagonali e soprattutto minimizza il color shift, ovvero l’enfatizzazione di un colore al cambio di angolo di visione. Il color shift è comunque presente: come abbiamo fatto notare più sopra, inclinando lo schermo lo smartphone vira leggermente verso il blu / verde. Una volta l’AMOLED veniva giudicato poco luminoso, tuttavia questo Note ha un ottimo spunto: con un contrasto elevatissimo, può raggiungere disattivando la luminosità automatica un valore di 730 cd/m2, decisamente elevato. Per chi ama leggere a letto al buio completo senza affaticare gli occhi c’è anche una modalità che emette appena 3cd/m2 raggiungibile impostando lo slider al minimo. La misurazione in modalità Base mostra una copertura molto accurata dello spazio REC 709 e sRGB Per quanto riguarda la resa cromatica, lo schermo del Note 4 è sicuramente il miglior display mai usato su un dispositivo portatile: la modalità Foto AMOLED, ad esempio, riesce a coprire in modo abbastanza preciso lo spazio colore Adobe RGB mentre la modalità di base è calibrata per sRGB. Purtroppo Android non è in grado di gestire in modo dinamico il cambio di profili con le app e questo è il più grosso limite: abbiamo quattro profili che vanno bene per usi diversi ma non vengono richiamati direttamente dalle singole app. La stessa cosa c’è, ad esempio sul Galaxy Tab, ma in questo caso trattandosi di un tablet il fotografo può scegliere di tenere il profilo Photo sempre selezionato. Su uno smartpho- torna al sommario ne, però, questa soluzione non è consigliata: Adaptive Display con le app Samsung fa un buon lavoro, il profilo di base è ben bilanciato ma con le foto è un crimine non usare il suo profilo dedicato, tuttavia è “un lavoro” cambiare tutte le volte a mano il profilo. Prestazioni ottime Occhio al multiwindow “selvaggio” Approfondito il discorso del display, che in effetti rappresenta un plus importantissimo di questo dispositivo, concentriamoci un attimo sulle performance dell’apparecchio. Come dicevamo, un display così definito e con una densità del genere potrebbe condizionare negativamente le prestazioni: avevamo già notato in occasione della prova dell’LG G3 che, a fronte di prestazioni generali di buon livello, il dispositivo mostrava una certa lag e qualche indecisione di fronte a carichi estremamente pesanti, per cui abbiamo voluto testare in modo approfondito anche questo Note 4. In realtà, Samsung ha giocato d’anticipo dotando Note 4 di tutte le caratteristiche migliori disponibili su piazza: lo Snapdragon 805 da 2,7 GHz non è da tutti (anzi, al momento non ce l’ha nessuno), 3 GB di RAM sono una manna per il multitasking “selvaggio” di cui è capace Note 4 e la grafica Adreno 420 ottiene punteggi di benchmark elevatissimi. Tutto questo fa sì che il dispositivo sia all’altezza della situazione, in condizioni di routine e anche di forte carico. Non stiamo neanche a dire che nella routine di tutti i giorni il telefono va che è una meraviglia, che si può ascoltare musica mentre si usa un navigatore GPS o che i giochi arrivano a più di 30 fps senza problemi, perché sinceramente con uno Snapdragon 805 e 3 GB di RAM questo è scontato. Se non avete intenzione di stressarlo più di tanto o se non vi sentite Google Maps in finestra, con sopra i comandi per chiudere rimpicciolire o portare l’app a tutto schermo. veri “power user”, il rischio che incontriate il benché minimo rallentamento semplicemente non c’è. Ma noi siamo andati oltre, giusto per vedere fin dove ci si può spingere, considerando che una delle caratteristiche peculiari di questo apparecchio è il multitasking in finestra (più evoluto di quello di Note 3) e che non c’è un tetto massimo al numero di app che possono essere posizionate sullo schermo contemporaneamente. Le app devono essere compatibili con la visualizzazione in finestra, ma moltissime di quelle precaricate lo sono già (tra queste, Facebook, Chrome, Gmail ma non Instagram, per esempio). Tra l’altro una cosa che ci è piaciuta è il fatto che per accedere a questa modalità basta aprire una qualsiasi app e poi trascinare il dito in diagonale dall’alto verso il basso; se l’app è compatibile, la finestra si ridimensiona, altrimenti un messaggio ci avvisa dell’impossibilità. Siamo partiti da situazioni di forte carico ma plausibili, come prendere appunti in finestra mentre la fotocamera è sempre attiva, oppure tenere Facebook e Chrome aperti passando rapidamente da uno all’altro e non abbiamo avuto problemi, magari mentre ascoltiamo musica in streaming. Solo Facebook ci è parso un po’ lento negli scroll e va un po’ a scatti se portato in finestra con altri task attivi, ma per esempio Chrome è molto più fluido: bellissimo vedere che le lettere dei testi sono estremamente piccole in questi casi, eppure facilmente distinguibili. Poi ovviamente si può andare avanti e raggiungere livelli da autolesionismo puro, come nel caso di Spotify in ascolto da rete cellulare, fotocamera sempre attiva in finestra, Chrome, Google maps sotto che si muove con noi e S-Pen attiva per In questo esempio stiamo visualizzando contemporaneamente la fotocamera, la calcolatrice e Google Maps. segue a pagina 28 In ogni momento si può richiamare la smart bar laterale che elenca tutte le app gestibili in finestra. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST Samsung Galaxy Note 4 segue Da pagina 27 prendere appunti al volo: in una situazione così lontana dalla realtà, è ovvio che anche lo Snapdragon 805 e i 3GB di RAM entrano in sofferenza, il sistema rallenta, non si blocca mai ma ci mette un secondo a tornare alla Home (cosa che tra l’altro riduce tutte le finestre aperte ad altrettante icone, ma i programmi continuano a essere aperti), mostra qualche scatto ma nulla di più. Inutile aggiungere che in condizioni di uso intenso ma “credibile” la situazione è pressoché perfetta. Ci si può domandare, poi, se abbia senso o meno la possibilità stessa di usare i programmi in finestra, e la risposta è senza dubbio relativa: davvero difficile che gli utenti usino il phablet come un notebook, anche perché la risoluzione sarà anche eccelsa, ma lo spazio è poco per più finestre. In alcuni casi con un po’ di pratica abbiamo trovato un vantaggio nell’avere più finestre aperte, come quando abbiamo affiancato la rubrica a Chrome per consultare al volo alcuni indirizzi prima della navigazione. Ma sono casi eccezionali, non c’è dubbio. Morale: le prestazioni sono in linea con un device di alto livello e l’accoppiata processore di ultimissima generazione/RAM assicura tutta la spinta necessaria per muovere i milioni di pixel del display senza indecisioni. Nella routine quotidiana, nei momenti di relax “multimediale” e videoludico l’apparecchio va fluido senza indecisioni, mostrandosi roccioso anche in caso di multitasking avanzato. La possibilità di far girare più app in finestra, senza un limite teorico, permette all’utente più smaliziato di mettere in crisi il processore, ma quando questo accade ci si trova in condizioni di test ben lontane dall’uso reale. Buona la potenziale longevità del prodotto, che però si scalda parecchio se sottoposto a forti carichi di lavoro. Qualche numero Quanto va forte Snapdragon 805 Il Galaxy Note 4 utilizza quello che è senza dubbio il processore più potente disponibile oggi per uno smartphone Android. Se è inutile fare un paragone con l’Apple A8, anche perché sono prodotti diversi gestiti da un sistema operativo diverso, è interessante vedere come Qualcomm sia riuscita a creare un prodotto non solo più potente ma anche con consumi inferiori rispetto allo Snapdragon 800. Qualcomm forse ha sbagliato la nomenclatura, perché se pensiamo a 800, 801 e 805 si potrebbe facilmente immaginare di trovarsi di fronte a tre versioni dello stesso SoC: in realtà se Snapdragon 800 e 801 sono fratelli molto stretti, l’805 è un SoC totalmente rinnovato in tutte le sue parti dal modem alla GPU. Lo Snapdragon 805 resta un processore quad core, ma al posto dei classici core ARM Cortex utilizza le sue CPU Krait: se nell’801 venivano utilizzati dei Krait 400 a 28 nanometri, con l’805 siamo passati a nuovi Krait 450 a 20 nanometri. Ognuno di questi core raggiunge una frequenza massima di 2.65 GHz, anche se ovviamente sono ben pochi i casi in cui il processore viene spremuto così tanto. L’altro elemento di forza è la GPU Adreno 420: sup- torna al sommario porta Direct3D, OpenGL ES 3.1 e OpenCL 1.2, ma quello che è più importante è che rispetto al modello precedente, per la prima volta Qualcomm ha creato una via diretta tra la CPU e la memoria del SoC, soluzione questa adottata da Apple (con i suoi benefici) fin dall’A6. Il risultato è un aumento delle performance grafiche del 40% (circa) con una riduzione dei consumi globali del 15% (circa). Lo Snapdragon 805 è anche il primo SoC Qualcomm con decodifica hardware nativa HEVC: abbiamo caricato alcuni file MKV compressi in HEVC ma il player Samsung integrato non è in grado di mostrarci il video. Per riprodurre i file salvati in HEVC probabilmente servirà un player esterno, in ogni caso il processore è pronto. Mettiamo alla prova i sensori Anche in ospedale Nelle ultime generazioni, Samsung ha insistito molto sulla dotazione di sensori nei propri apparecchi, giungendo in Galaxy Note 4 a nuove vette. Qui c’è davvero di tutto: a partire dal classico GPS, con accelerometro, giroscopio, bussola digitale e sensore di prossimità, fino ai più evoluti sensori di battito cardiaco e sensore UV. Ma come funzionano? Reggono il passo con gli strumenti professionali? Pensiamo, ad esempio, al sensore di battito cardiaco (presente anche in Galaxy S5 e in Gear Fit): quanto è attendibile la sua misurazione? Fermo restando che questo sensore e le sue rileva- zioni non hanno nessuna valenza di tipo medico ma servono piuttosto per dare un’indicazione del livello di forma dell’utente, abbiamo deciso di mettere a confronto le rilevazioni di Galaxy Note 4 (tramite l’app S Health integrata) con quelle di uno strumento medico, quindi professionale per definizione. E con anche un po’ di stupore, dobbiamo dire che i due strumenti si avvicinano: come si nota dalla foto in basso a sinistra, che testimonia una rilevazione contemporanea dei due dispositivi, mentre la macchina professionale rileva 81 battiti al minuto, Note 4 è a 84; se invece usiamo il phablet come pulsiossimetro, il valore di saturazione che otteniamo è 98%, mentre lo strumento professionale è al 100%. Lo scarto c’è in entrambi i casi, ma considerando che il Note 4 non è di certo un dispositivo medico, pensavamo fosse nettamente più marcato. S-Pen: è come scrivere sulla carta? E poi c’è tutto il discorso della S-Pen, che abbiamo anticipato nell’area del display e su cui torniamo per esaminare le funzionalità. A fronte di un look&feel analogo alla penna dello scorso anno, Galaxy Note 4 porta con sé interessanti novità per chi intende sfruttare la penna a ogni occasione possibile. La novità a livello puramente tecnico è una maggior sensibilità alla pressione: passiamo, infatti, dal digitalizzatore attivo a 1024 livelli di Note 3 ai 2048 di Note 4, il che dà all’autore una maggior libertà di scrittura e avvicina la scrittura su smartphone a quella su carta. In effetti, la sensazione è di notevole naturalezza: la penna scrive anche se appena appoggiata sul display e anche in condizioni di angolazione “estrema”; la notevole sensibilità si nota anche nella pressione, anche se per vedere importanti differenze a livello di spessore del tratto bisogna premere in modo deciso (il che non fa emergere nessun tipo di difetto, scia o affine sul display). Ovvio che buona parte delle novità software di Note 4 ruotino attorno, appunto, a S-Pen e alle sue funzionalità: intanto è davvero carina la possibilità di usasegue a pagina 29 n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST Samsung Galaxy Note 4 segue Da pagina 28 re la penna, o meglio il pulsante della stessa, come fosse il tasto di un mouse, di modo tale da evidenziare in un attimo il testo da copiare e incollare in un secondo momento, oppure per effettuare selezioni multiple e via dicendo. È forse la funzionalità meno pubblicizzata, ma quella che dà vero valore aggiunto rispetto al tradizionale sistema di input touch. A livello di funzionalità, in S-Pen troviamo nuovi strumenti, forme e funzionalità molto articolate, al punto che (immaginiamo) per sfruttare al 100% ciò che Samsung mette a disposizione dei “pen user” ci vuole un po’. Il pennino ha il solito pulsante che, se premuto, permette l’accesso ad Air Command, la mezzaluna con 4 funzionalità specifiche per S-Pen: Memo Rapido, Selezione Intelligente, Clip Immagini e Scrittura Schermo, che ripropongono di fatto la dotazione di Note 3, ma con qualche novità. In particolare, ci ha colpito Selezione Intelligente (in basso a sinistra), con la quale è possibile evidenziare parte di ciò che è mostrato sullo schermo, tagliarlo e inserirlo negli appunti, eventualmente corredarlo con qualche nota scritta a mano e poi condividerlo nell’infinità di modi permessi da Android. Ci pare interessante soprattutto ai fini lavorativi o scolastici: vediamo qualcosa di interessante in un documento, “tagliamo” la parte che ci interessa e la mandiamo ai colleghi. Mentre se vediamo qualcosa di interessante alla lavagna, ci viene in soccorso la Nota Foto (in basso a destra): questa funzionalità rielabora la foto (con tempi di attesa discreti) e la converte in formato vettoriale, di modo tale che si possa intervenire con il pennino e gli strumenti di S-Pen; magari per correggere qualcosa, magari per prendere un appunto e via dicendo. Fotocamera stabilizzata con video in 4K La fotocamera del Samsung Galaxy Note 4 è un ulteriore miglioramento di quella usata sul Galaxy S5. Il sensore è lo stesso CMOS ISOCELL prodotto da Samsung con un obiettivo F2.2, ma il nuovo top di gamma può contare su due migliorie notevoli: la prima è lo stabilizzatore ottico, che permette di guadagnare due stop, mentre la seconda è l’engine fotografico inserito da Qualcomm nello Snapdragon 805, un Image Processor che gestisce stabilizzazione, riduzione del rolling shutter nella ripresa video, riduzione del rumore quando si scatta a ISO elevati, tone mapping e accelerazione dell’autofocus che ricordiamo è ibrido, quindi a ricerca di contrasto con un aiuto da parte di alcuni pixel a ricerca di fase. L’elevato flusso di dati che il processore riesce a gestire permette la ripresa video in 4K a 30 fps, tuttavia lo Snapdragon 805 non permette di comprimere i file in HEVC per risparmiare spazio nella memoria interna. Una cosa va detta: il sensore del Galaxy Note 4 è in formato 16:9 e scatta foto a 5312x2988, un formato poco fotografico ma perfetto per vedere le fotografie sul televisore. Se si vuole realizzare uno scatto in un formato 4:3, più convenzionale, il sensore lavora solo nella parte centrale a 12 Megapixel, quindi 3984x2988. La sensibilità del sensore si può regolare tra ISO 100 e ISO 800: noi consigliamo l’automatico. Il Galaxy Note 4 permette anche una gestione del fuoco tramite due scatti consecutivi e possiamo dire Qui sopra una Nota Foto. Abbiamo fotografato la pagina del sito web Samsung relativa alle specifiche di Note 4, convertita in vettoriale e scritto qualche appunto con l’evidenziatore. A sinistra la Selezione Intelligente. torna al sommario che la resa è notevole. La fotocamera frontale, inoltre, subisce un notevole miglioramento in chiave selfie: ottica grandangolare F1.9 con un sensore da 3.7 Megapixel. Non male. Nel complesso il comparto Camera del nuovo Note è davvero eccellente. Alla sera, resta sempre un po’ di carica A differenza del solito, valutiamo la batteria di Galaxy Note 4 non solo in termini di autonomia ma anche di rapidità di caricamento. Infatti, una delle novità più significative di questo apparecchio non è soltanto la batteria da 3.220 mAh, tra l’altro removibile per chi dovesse aver bisogno di autonomia extra, ma anche la ricarica rapida tramite la tecnologia Adaptive Fast Charging, con tanto di adattatore ad hoc fornito insieme al telefono. La promessa è notevole: parliamo del 50% di carica in 30 minuti e, soprattutto, di una velocità quasi doppia rispetto al Note dello scorso anno. Il telefono si ricarica completamente (da zero) in circa 80 minuti, mentre in effetti ci ricordiamo per quanto riguarda Note 3 tempi superiori: tra le due versioni c’è un distacco di circa 40 minuti tra le due versioni, il che è tutt’altro che trascurabile. Discorso autonomia, che nel complesso ci ha soddisfatto. In regime di test, l’utilizzo del pennino e delle app dedicate è costante, così come di tutte le funzionalità del telefono. Il multitasking multifinestra, da noi spinto al massimo è un’altra attività estremamente onerosa e rientra quasi costantemente nella routine delle giornate trascorse con Note 4. Supponendo poi un utilizzo misto 4G/Wi-Fi, due o tre partite ad Asphalt 8 e ascolto per un’ora buona al giorno di musica in streaming, a sera ci siamo sempre arrivati con il 30-35% di carica. Sono dati sommari, certo, dipende molto dall’uso che se ne fa e dall’intensità di uso delle funzioni più onerose, ma quello che è certo è che Note 4 si posiziona nella fascia alta delle classifica: supponendo un uso intenso e senza rinunce (d’altronde chi comprerebbe Note 4 per poi non usarlo?) a sera ci si arriva sempre, ma non a quella successiva. Il suo merito è quello di permettere un uso davvero “importante” senza rischi di rimanere a secco sul più bello: questo, in effetti, non è mai capitato. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST Basso costo non è sempre sinonimo di scarsa qualità, i due Fire HD non hanno proprio nulla da invidiare alla concorrenza Amazon Fire HD 6” e 7”, essenziale e semplice Amazon porta sul mercato due piccoli tablet a un prezzo davvero super. Li abbiamo provati entrambi: sorprendono di Roberto PEZZALI mazon ha un merito: è grazie al suo primo Kindle Fire se oggi esistono tablet che costano davvero poco. Quando la fascia di prezzo sembrava imposta da Apple, Amazon ha saputo lanciare un prodotto di ottima qualità a un prezzo che tutti ritenevano impossibile. Dopo qualche anno, Amazon è ancora una delle scelte preferite in USA in fatto di tablet, soprattutto da chi non guarda a processore, schermo e GB di RAM ma preferisce la sostanza, la facilità d’uso e la disponibilità di contenuti. Poco importa quindi se sul tablet di Amazon non c’è Android ma Fire OS, quello che conta è la possibilità di leggere comodamente un libro senza problemi, accedere ai migliori giochi e alle app di streaming e godersi un film con audio di tutto rispetto e uno schermo di qualità. Ora Amazon tenta un’altra “zampata”: Fire HD 6 e Fire HD 7 spostano l’asticella del prezzo ancora più in basso senza toccare quella della qualità, 99 euro e 139 euro per due tablet da 6” e 7” che non hanno nulla da invidiare a prodotti della concorrenza. Li abbiamo provati entrambi, anche se anticipiamo che siamo davanti allo stesso prodotto: fatta eccezione per peso e dimensioni, che ovviamente non coincidono, tutte le altre caratteristiche sono speculari, durata della batteria inclusa. I due tablet sono quindi gemelli: abbiamo deciso di prendere come riferimento il modello da 6” aggiungendo in qualche caso delle note relative a quello più grande. Una scelta dettata dalla particolarità del tablet: 6” sono oggi una dimensione più da phablet che da tablet, e la scelta di Amazon di realizzare un prodotto così piccolo ci ha sorpreso. Inoltre, a parità di risoluzione dello schermo, la versione da 6” ha una definizione maggiore, elemento da non trascurare. A Non è troppo piccolo un tablet da 6”? Tra 6” e 7” la differenza è minima, e probabilmente ci si chiede per quale motivo Amazon abbia realizzato due prodotti identici che sembrano pestarsi i piedi uno con l’altro. In realtà ci si rende conto subito che la versione da 6” non è proprio un tablet. A un prezzo aggressivo, 99 euro, e con uno schermo IPS di qualità, il Fire HD da video 99,00la €b Amazon Kindle Fire HD 6” OTTIMO REGALO DI NATALE (IN ANTICIPO) Amazon ha realizzato due buoni tablet, destinati a chi non può permettersi (o non vuole spendere troppo) un iPad Mini ed è rimasto scottato più volte acquistando un tablet low cost. I due Fire HD sono colorati, robusti e sufficientemente veloci per la maggior parte degli usi a cui è indirizzato un tablet. L’organizzazione di Fire OS, con il menù diviso in tipologia di contenuti (video, foto, libri, app, musica), è particolarmente adatta a chi è nuovo nel mondo tablet e cerca soprattutto semplicità. La possibilità di fruire proprio di contenuti, dai libri ai video, oltre alla navigazione web rappresentano il punto forte dei Fire, mentre l’anello debole è uno store abbastanza completo che ha però ereditato le criticità e l’approssimazione di Google Play. C’è di buono che Amazon, nel suo App-Shop, regala ogni giorno un’applicazione e periodicamente rilascia gratuitamente bundle di applicazioni di un certo livello, occasione questa da non farsi sfuggire. 7.9 Qualità 8 Longevità 7 Design 7 COSA CI PIACE Costruzione robusta Prezzo davvero abbordabile Buona autonomia 6” è, infatti, un perfetto media player, una console portatile, un gioco per bambini e un piccolo blocco note. Le dimensioni sono proprio la sua fortuna, anche se l’essere così piccolo limita un po’ le sue possibilità. Scocca robusta e colorata ma pesa troppo Realizzare un tablet da vendere a 99 euro senza rimetterci non è semplice. Amazon ha il merito di essere riuscita a trovare la giusta ricetta miscelando una serie di ingredienti che da soli non rendevano il piatto gustoso: la scocca è in plastica, ma la lavorazione superficiale non solo migliora il grip, dona anche una sensazione di robustezza notevole. Il Fire HD 6 non è sottile come altri tablet ma è incredibilmente robusto e anche con due mani facciamo fatica a fletterlo: non abbiamo provato, ma siamo certi che sia in grado di assorbire senza problema l’urto di una caduta. A questo va aggiunta anche la possibilità di dotarlo di una custodia che protegge la scocca e anche lo schermo, oltre al rivestimento in Gorilla Glass. Amazon Fire HD 6 e 7 non sono di certo i tablet più belli e eleganti sul mercato, ma sono incredibilmente solidi e massicci. La versione da 6” pesa 290 gr, che diventano 337 per la versione da 7”: entrambi hanno uno spessore di poco superiore al centimetro e se quello più piccolo misura 169x103 mm, quello da 7” Semplicità 8 D-Factor 7 Prezzo 9 COSA NON CI PIACE Peso eccessivo Display troppo sensibile alle ditate Molte funzionalità “Amazon” sono disponibili solo in USA segna sul righello 191x128 mm. Queste sono di fatto le uniche differenze di nota, perché come vedremo sia le colorazioni (nero, bianco, magenta, blu cobalto o giallo limone), sia la componentistica sono identiche. A dire il vero un’altra piccola differenza c’è: il modello da 6” ha un solo altoparlante sul retro, quello da 7” ha uno speaker stereo. In entrambi i casi la resa audio è davvero più che dignitosa. Sotto il profilo della connettività, Fire HD può contare sulla classica porta micro USB e su un jack stereo: non c’è memoria espandibile, ma si può comprare la versione da 16 GB oltre ovviamente allo spazio cloud. I due tablet sono anche dotati di doppia camera: una piccola frontale è affiancata da un’altra da 2 Megapixel sul retro, il minimo indispensabile per permettere la ripresa di video Full HD. Per chi vuole collegare il tablet al TV, Amazon ha previsto la compatibilità Slimport per la porta USB: serve comunque un adattatore esterno non in dotazione. Nella scatola troviamo, infatti, il cavo e il caricabatterie USB: per una ricarica completa servono circa cinque ore e mezza con il caricabatterie in dotazione. Dal punto di vista puramente ergonomico, l’unica nota negativa è proprio il peso: i due Fire HD sono piccoli mattoncini, e se aggiungiamo la custodia diventano ancora più pesanti. La custodia, disponibile come accessorio, è un acquisto obbligato: segue a pagina 31 torna al sommario n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST Amazon Fire HD 6 e 7 pollici segue Da pagina 30 oltre a dare un tocco di colore, funge da protezione, supporto da tavolo e lucida schermo grazie alla finitura interna in microfibra. Difficile dare di più a questo prezzo Proporre un tablet a 99 euro vuol dire scendere a parecchi compromessi. Ed è proprio per questo che abbiamo cercato di capire dove Amazon abbia risparmiato e cosa abbia fatto per scardinare il mercato dei tablet low cost. La memoria integrata è da 8 GB ed è veloce, lo schermo è un 6” IPS con filtro polarizzatore protetto da Gorilla Glass e da 1.280x800 pixel, che fa registrare 252 dpi nella versione da 6” e 216 dpi in quella da 7”: per resa cromatica, angolo di visione e livello di leggibilità anche con forte luce ambientale lo schermo del Fire HD è promosso. Certo, non è uno schermo di riferimento calibrato (il contrasto è un po’ basso) ma è un display decisamente godibile con adattamento manuale della luminosità; l’unico appunto da fare è un aumento della luminosità quando proviamo a torcere il tablet, probabilmente dovuto al polarizzatore che si flette. Purtroppo, dobbiamo ammetterlo, siamo stati contagiati dal #bendgate e proviamo a piegare ogni cosa, anche un prodotto come un tablet che non rientra nel “fenomeno” di cui sopra. Migliorabile il trattamento oleofobico superficiale: il tablet è particolarmente sensibile alle ditate e una bella pulita ogni tanto con un panno in microfibra è decisamente consigliata. Passando al processore, Amazon ha tralasciato la soluzione Qualcomm per affidarsi a Mediatek: una scelta coraggiosa, anche perché le soluzioni del costruttore americano per la fascia entry level non sono soddisfacenti. Troviamo un MT8135, un SoC Mediatek pensato per i tablet che lavora in configurazione big.LITTLE grazie a due core Cortex A7 a 1.2 GHz per le operazioni di routine e a due core Cortex A15 a 1.5 GHz per i processi che richiedono più potenza. Accompagnato da 1 GB di RAM, il SoC Mediatek può contare anche su un processore grafico PowerVR G6200 che dovrebbe dare buone performance anche in ambito gaming. Amazon non rinuncia, infine, a un reparto connettività fatto da un modulo Wi-Fi 802.11n, Bluetooth 4.0 LTE, accelerometro e giroscopio: manca il GPS, ma come per altri tablet Wi-Fi viene usata la rete wireless per una stima approssimata della posizione. Dove Amazon abbia risparmiato resta ancora un mistero. torna al sommario Fire OS Sangria È Android ma non sembra Amazon continua a sviluppare il suo sistema operativo: il termine tecnico è “fork”, ovvero una versione di Android totalmente modificata ma con alcuni elementi in comune con il sistema originale. Nella sua ultima versione, Fire OS 4.0 Sangria, Amazon ha aggiunto una serie di significative migliorie aumentando la compatibilità con le app sviluppate per Android. Questo non vuol dire che sia possibile scaricare le app di Android, ma semplicemente che uno sviluppatore può portare la sua app Android sullo store di Amazon in meno di 90 secondi, il tempo che ci impiega l’App Testing Service a verificare che tutto sia a posto. Va detto, comunque, che Fire OS Sangria, con tutte le app che arrivano preinstallate, non è propriamente un sistema compatto: occupa 3.5 GB, e questo vuol dire che sul tablet da 8 GB, solo 4,5 GB saranno disponibili per i contenuti dell’utente, che diventano 11,6 GB nella versione da 16 GB. Chi vuole usarlo come media player per caricare film e serie tv farebbe bene a scegliere la seconda opzione. Molte feature introdotte dal nuovo Fire OS sono purtroppo destinate solo al mercato americano e Amazon non ci ha saputo dire quando arriveranno anche da noi, ad esempio Family Library, per condividere gli acquisti e ASAP per il precaching dei contenuti video. A noi resta comunque tutto il resto, un’interfaccia rivista e ottimizzata, WPS Office totalmente integrato per editare e vedere documenti da Word, Excel e PowerPoint, la modalità a schermo intero e una modalità di risparmio energia che disattiva il Wi-Fi nelle ore notturne. Fire OS è migliorato un po’ ovunque: dal browser Silk che guadagna nuove feature come la modalità lettura e l’integrazione con i social network. Amazon ha rivisto anche il parental control per bloccare scaricamenti e acquisti in-app. Onesto tablet con una buona autonomia Il Fire HD è un tablet onesto: per chi vuole prestazioni elevate, schermi eccellenti e dimensioni ridotte Amazon ha preparato la serie HDX, che offre le stesse opportunità lato software ma si può contare su più memoria, processori più veloci e schermi più risoluti. Dal Fire HD 6 e 7 non dobbiamo quindi aspettarci la luna, ma da Amazon pretendiamo comunque di più di quanto pretenderemmo, ad esempio, da un produttore che compra tablet cinesi e li rimarchia. Il processore usato non è dei più veloci, sia come potenza di computazione sia sotto il profilo grafico: i benchmark ci confermano che i due tablet sono gemelli e che, a fronte di una potenza tutto sommato buona, entrambi lasciano un po’ a desiderare sotto l’aspetto grafico con un frame rate che si avvicina molto a quello del Nexus 4. Nonostante si riesca a giocare a Beach Buggy e ad altri giochi mossi da engine grafici 3D, è abbastanza evidente che questo tablet è adatto ai casual game. Utilizzando il tablet per diversi giorni, si può dire che le performance sono più che soddisfacenti: non sarà un iPad Mini ma non abbiamo notato nè scatti nè lentezza nel caricamento delle app. Purtroppo, rispetto agli altri tablet concorrenti basati su Android, nel Fire HD si sente la mancanza delle app di Google: se per YouTube e Google Maps esistono soluzioni alternative, altre app non esistono proprio. L’ecosistema è un po’ il punto debole: rispetto ai clienti americani di Amazon, che hanno a disposizione una quantità enorme di contenuti oltre le app, in Italia possiamo contare solo sui libri e le riviste e sull’app store, oltre ovviamente ai contenuti caricati dall’utente. Basta guardare una schermata del tab applicazioni per rendersi conto che c’è un po’ di disordine, alcune applicazioni con l’icona quadrata, altre stondate e altre ancora con il fondo trasparente: non è una questione di funzionalità quanto di stile, e forse Amazon dovrebbe essere un po’ più rigida nelle regole del suo store, anche a costo di scartare app indesiderate. Anche perché, è sempre bene ricordarlo, Amazon App-Shop eredita la maggior parte delle app da Google Play e su Google Play per ogni app decente e utile ce ne sono almeno 50 inutili. Buona la parte legata alla fruizione dei contenuti multimediali: la musica si può lasciare su Cloud Drive e scaricarla all’occorrenza, e la stessa cosa vale per i video. Qui il Fire riproduce senza problemi MP4 e MKV, ma bisogna fare attenzione alla dimensione dei file perché la memoria, soprattutto nella versione da 8 GB, non è molta. Discreta la fotocamera: 2 Megapixel con foto HDR e video, ma non ci sono nè flash led nè touch-to-focus. La presenza delle due fotocamere sui Fire HD è legata all’uso con applicazioni di messaggistica e di realtà aumentata, oltre ovviamente alla scansione dei codici a barre e di QR Code. Per foto scattate con i dispositivi Amazon, lo spazio su Cloud Drive è infinito e gratuito. Una nota per l’autonomia: i tablet non dispongono di un sistema automatico di regolazione della luminosità dello schermo quindi siamo portati a tenere un livello medio / alto per renderli leggibili sempre. Questo nel nostro caso ha portato, con un uso normale, a un’autonomia di più di 7 ore per un uso tipico da tablet con navigazione web, Wi-Fi e lettura di libri tramite l’app nativa, mentre si scende a poco più di 6 ore e 30 minuti se si guardano video. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST Abbiamo provato Netflix in Ultra HD con l’app per i TV 4K Sony Bravia, per valutare la qualità del servizio di streaming Netflix in 4K è davvero il futuro dell’home video? La qualità è buona ma non ancora a livello di quella che gli appassionati di home cinema si aspettano da un video in 4K N di Paolo CENTOFANTI onostante tutti i produttori di TV ormai offrano a catalogo modelli con schermo Ultra HD, il dilemma è sempre il solito: ben venga una risoluzione sempre più alta, ma i contenuti dove sono? La risposta data da quasi tutti i produttori è sempre una: Netflix. Peccato che al momento il servizio sia disponibile solo in una manciata di paesi, mentre gli operatori locali, almeno ad oggi, di Ultra HD non hanno ancora nulla. Abbiamo provato allora a metterci per una volta nei panni di un consumatore statunitense e saggiare com’è la situazione dal suo punto di vista. Per farlo abbiamo approfittato della presenza in redazione del TV 4K di Sony da noi appena testato, il 65 pollici della serie X85, e utilizzato il servizio UnoTelly per accedere a Netflix come se ci trovassimo dall’altra parte dell’oceano. video lab L’applicazione per i TV Sony Netflix in Ultra HD è disponibile unicamente sui TV Sony, LG e Samsung con l’apposita app abilitata al servizio. Oltre a ciò occorre naturalmente anche un abbonamento a Netflix, in particolare quello da 11,99 dollari al mese, che offre l’accesso al servizio da fino a 4 dispositivi contemporaneamente e appunto abilita gli stream in 4K. Configurando la propria rete per utilizzare un servizio come UnoTelly, sul TV Sony si sbloccheranno una serie di app aggiuntive, tra cui appunto Netflix. ficazione per genere. In cima invece troviamo la barra degli strumenti che offre la ricerca libera del catalogo del servizio, l’attivazione del profilo Kids e il menù delle impostazioni, che a dire il vero non offre granché. È essenzialmente possibile controllare i dati del proprio account e al massimo effettuare un test sulla connessione di rete per controllare che non ci siano problemi. viamo una serie di documentari in timelapse. Le serie TV sono sicuramente interessanti, mentre i film disponibili, a parte i Puffi, sono anche molto datati e quindi non ci aspettiamo possano molto valorizzare il formato Ultra HD. Viceversa, i timelapse sono molto scenografici, ma a livello contenutistico non stiamo parlando di veri e propri documentari. Insomma, se è vero che abbiamo tante ore di video in 4K grazie alle serie TV, d’altro canto l’offerta non è così varia come si potrebbe pensare. Qualità video buona Ma dall’Ultra HD ci si aspetta altro Una volta effettuato il login con il proprio account, possiamo accedere al menù principale che offre essenzialmente tutte le funzionalità del servizio. In evidenza troviamo soprattutto “My List”, la coda dove aggiungiamo tutti i contenuti che vogliamo visualizzare. In generale l’applicazione è abbastanza reattiva. Lo scrolling del catalogo è forse un po’ lento, ma nel complesso si tratta di un’app ben fatta e di facile utilizzo e con diverse occasioni per imbattersi in nuovi contenuti da vedere. Dall’app è possibile aggiungere film o serie TV alla propria lista e dare un voto ai vari contenuti che guardiamo, esattamente come è possibile fare dalle app per altri dispositivi. Naturalmente la coda di visione si sincronizza tra tutti i dispositivi, così come il punto in cui abbiamo interrotto la riproduzione di tutti i filmati che abbiamo iniziato a vedere. Quali sono i contenuti in Ultra HD Scorrendo verso il basso passiamo in rassegna i contenuti raccomandati dal servizio in base ai nostri gusti (una delle migliori funzionalità del servizio) e la classi- Al momento Netflix offre una delle più ampie offerte di contenuti in Ultra HD, almeno in termini di ore. I titoli più interessanti disponibili in streaming sono la seconda stagione di House of Cards, la serie completa di Breaking Bad (5 stagioni) e la prima stagione di Blacklist. A ciò si aggiunge una manciata di film, come I Puffi 2, Hitch, Jerry Maguire e Philadelfia. Infine tro- Netflix utilizza un sistema di trasmissione e codifica scalabile sia a livello di bitrate che di risoluzione. La qualità di immagine viene così regolata in modo automatico e completamente trasparente per l’utente, in funzione della banda disponibile e non è possibile selezionare a priori il formato di riproduzione. All’avvio di un filmato, l’immagine sarà a una risoluzione intermedia e in pochi secondi, se la connessione lo permette, ci ritroveremo alla massima qualità disponibile. Abbiamo effettuato i nostri test con una connessione in fibra a 100 Mbit/s e per l’Ultra HD Netflix raccomanda una linea almeno a 25 Mbit/s, non esattamente alla portata di tutti in Italia. Nelle nostre prove siamo sempre partiti da una base di 1080p come qualità, per arrivare in pochi secondi ad avere i sospirati 2160p. Già a 1080p dobbiamo dire che la qualità video di Netflix non è affatto male, anche se il livello di dettaglio è visibilmente inferiore a quello di un Blu-ray Disc, ma anche di servizi di video on demand come iTunes. Il passaggio all’Ultra HD non è così netto come ci si aspetterebbe. Tralasciando i film attualmente disponibili, presenti con master non all’altezza per il 4K, le tre serie TV sono quelle che offrono il miglior campo di prova. Con nessuna di queste però abbiamo sperimentato segue a pagina 33 torna al sommario n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE ENTERTAINMENT Record di download per Songs of Innocence degli U2, regalato da Apple Apple regala U2 e 81 milioni di persone accettano TV E VIDEO di Massimiliano ZOCCHI Technicolor trasmette l’UHD sul DTT uanto può essere remunerativo per una band come gli U2 distribuire gratuitamente il proprio album a 500 milioni di clienti sparsi nel mondo? È quello che si chiedono tutti dopo la mossa a sorpresa di Apple di qualche settimana fa. A quanto pare, però, la strategia sta pagando, e Eddie Cue e gli stessi U2 hanno spiegato a Billboard come stanno andando le cose. Innanzitutto prendendo in considerazione sia iTunes, iTunes Radio, e Beats Music circa 81 milioni di clienti hanno ascoltato almeno una canzone dal nuovo album Songs of Innocence. Numero elevatissimo se si considera che prima d’ora solo 14 milioni di ascoltatori avevano acquistato brani degli U2 su iTunes Store. Di tutti questi fan, veri o presunti, sono 26 milioni quelli che hanno accettato in toto il regalo di Apple e hanno scaricato l’intero album in tempo. La parte interessante della vicenda è però un’altra: quali ripercussioni può avere una mossa del genere, in un mercato come quello musicale, a volte imprevedibile? Il pensiero della band è piuttosto filosofico: “Apple è una tech company che combatte per il giusto compenso ai musici- Technicolor, in collaborazione con Sinclair Broadcast, ha realizzato il primo test di trasmissione TV in Ultra HD negli Stati Uniti, utilizzando il nuovo standard ATSC 3.0 (l’analogo del nostro DVB-T2). Si è trattato di un test su normali frequenze TV terrestri e soprattutto il primo impiego al mondo del nuovo formato di codifica Scalable HEVC. Per scalabile si intende la possibilità di inviare un unico flusso video che in ricezione può essere decodificato a diverse risoluzioni, a seconda della qualità del segnale. Ciò permetterà, tra le altre cose, di trasmettere un contenuto in Ultra HD, mantenendo la piena compatibilità con schermi Full HD, senza bisogno di avere canali TV separati (con evidente risparmio di banda). La piattaforma Technicolor impiega inoltre il nuovo formato di compressione audio MPEG-H e consente, forte della scalabilità, anche la ricezione in mobilità delle trasmissioni. Le specifiche ATSC 3.0 sono ancora in fase di finalizzazione e quello appena effettuato è stato solo uno showcase della nuova piattaforma, al fine di attirare l’interesse dei broadcaster verso l’Ultra HD. Intanto le vendite del disco sono partite alla grande. È nato un nuovo modello di business? Q sti. L’idea che voglia fare un regalo alle persone che realmente acquistano musica è bello e poetico, e ne siamo molto grati” - Comunicato ufficiale degli U2 Sviolinate ai fans e ad Apple a parte, la mossa di marketing è stata studiata con attenzione. Infatti la copia fisica del nuovo album arriverà nei negozi il 14 ottobre, e sarà ben diversa da quella offerta da Cupertino. Nella Deluxe Edition ci saranno dieci tracce aggiuntive, non presenti nella versione iTunes, con versioni acustiche dei brani e 4 nuovi pezzi. Solamente basandosi sui preordini effettuati finora, questa Deluxe Edition è già richiesta per 70.000 copie solo negli Stati Uniti. Ma non solo vendite. Secondo Billboard, l’operazione senza precedenti ha assicurato agli U2 e alla loro etichetta una pubblicità equivalente a una campagna da 100 milioni di dollari, oltre a un incasso per Universal Music di altri 52 milioni; quest’ultima è una stima di Billboard sui proventi medi di vendita di 26 milioni di album, stima che la casa discografica non ha comunque confermato. Ma se così fosse, possiamo dire di essere di fronte all’ennesima rivoluzione del mercato musicale ad opera di Apple? TEST Netflix in 4K è il futuro dell’home video? segue Da pagina 32 il tanto sperato effetto wow. La qualità è sì buona, meglio del 1080p di base, ma il livello di dettaglio raramente è così incisivo quanto ci si aspetterebbe. Inoltre nelle scene più concitate la compressione diventa immediatamente visibile con blocking e altri torna al sommario artefatti. Nei momenti migliori possiamo dire che la qualità si avvicina a quella di un buon Blu-ray, con un filo di dettaglio in più su alcuni particolari, ma senza mai arrivare a farci gridare al miracolo e certamente senza quel salto qualitativo che uno si aspetterebbe passando da 5 a 25 Mbit/s. Per il resto il servizio proposto da Netflix è ineccepibile. Tutti i contenuti sono offerti con audio multicanale in Dolby Digital Plus 5.1 in Inglese e Spagnolo e con sottotitoli selezionabili al volo. Per House of Cards c’è pure la traccia audio di commento del regista per alcuni episodi, proprio come sui DVD. Il punto di forza di Netflix, oltre al prezzo naturalmente, è soprattutto la praticità di avere un ampio catalogo unita alla possibilità di passare con disinvoltura da un dispositivo all’altro. Lo streaming è il futuro Ma la qualità deve crescere Se Netflix così come è oggi fosse disponibile anche in Italia, vi diremmo che l’abbonamento da 11,99 dollari converrebbe più per la possibilità di utilizzarlo su più dispositivi contemporaneamente, che per l’Ultra HD, che di ultra ha solo il nome e il requisito di banda, almeno per ora. La qualità è sicuramente buona, non c’è dubbio, ma non offre quel salto qualitativo che giustificherebbe il costo di un TV 4K, senza parlare dell’offerta del catalogo, con due ottime serie TV ma solo quelle. Di certo servizi come Netflix rappresentato il futuro dell’home entertainment, su questo non abbiamo più dubbi. Per praticità d’uso e funzionalità offerte, oltre che il costo tutto sommato irrisorio a fronte di un buon catalogo di film, telefilm e documentari, Netflix è il sostituto ideale del videonoleggio, ma anche di certa pay TV. Solo con il diffondersi della banda ultra larga - sempre quella parola, ultra - allora forse potrà esserci quel salto anche a livello di qualità di immagine che invece gli appassionati di home cinema chiedono prima di abbandonare i benamati dischi Blu-ray. Sempre che per allora esistano ancora. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST L’ammiraglia della gamma OM-D di Olympus è più piccola ed economica della E-M5 ma con tratti in comune con la E-M1 Olympus OM-D E-M10, divertente e scattante Abbiamo provato la nuova mirrorless compatta di Olympus che sembra quasi troppo bella per essere vera. E invece... di Paolo CENTOFANTI on la gamma OM-D Olympus ha riportato in auge l’amata linea di reflex quattro terzi OM, lasciandosi alle spalle lo specchio ma mantenendo intatta la filosofia di fondo di macchine ben costruite e con in mente gli appassionati di fotografia, un tratto ben incarnato dal primo modello di questa linea, quella E-M5 che ha riscosso un buon successo. L’anno scorso è arrivata la E-M1, ammiraglia che si sta ricavando un suo spazio non solo tra gli appassionati evoluti, ma anche in campo professionale, complice un parco ottiche in continua espansione. A inizio anno, Olympus ha dunque annunciato la E-M10, terzo modello in ordine tempo della gamma OM-D, che nasce con l’intenzione di capitalizzare la nuova giovinezza del marchio Olympus e allo stesso tempo di aggiornare la E-M5. Anche se tecnicamente la E-M10 si presenta come la OM-D più piccola ed economica, in realtà sotto molti aspetti costituisce un’evoluzione della E-M5, tanto che se non di modello superiore, si potrebbe parlare di alternativa a pari merito. Perché anche se il corpo non è più impermeabile come sulla E-M5 e il sensore quattro terzi da 16 Megapixel è lo stesso, la E-M10 ha anche qualcosa in comune con la E-M1, a cominciare dallo stesso processore di immagine TruePic VII e dall’aggiunta della connettività Wi-Fi. Il tutto con un prezzo per il solo corpo macchina molto interessante, 650 euro di listino. C Più piccola, ma il DNA è quello della OM-D E-M5 Il corpo macchina della E-M10 è a prima vista molto simile a quello della E-M5. Certo la fotocamera sulla video 649,90l€ ab Olympus OM-D E-M10 PICCOLA SOLO NEL PREZZO L’ultima nata della gamma OM-D di Olympus non è la mirrorless più economica sul mercato, è vero, ma porta su una fascia di prezzo molto più abbordabile la stessa qualità costruttiva e l’impostazione “pro” dei modelli E-M1 e E-M5. La qualità delle fotografie, già in JPEG con impostazioni di default, è ottima e i controlli a disposizione - che possono intimorire inizialmente un utente che fa il grosso passo da una normale compatta - sono perfetti per l’utilizzo in manuale della fotocamera. A ciò si aggiungono molte funzionalità “divertenti” come il Live Composite e un’implementazione pratica e veloce della connettività Wi-Fi per l’abbinamento a uno smartphone. La E-M10, pur con un paio di mancanze quali l’impermeabilizzazione e lo stabilizzatore a 5 assi, sembra più un aggiornamento della E-M5 a un prezzo decisamente più conveniente. Il parco ottiche micro quattro terzi è uno dei più ampi e variegati del momento, il che aggiunge punti alla longevità e valore di questa piccola grande mirrorless. 8.5 Qualità 9 Longevità 9 Design 9 Semplicità 7 COSA CI PIACE Ottima qualità immagine, COSA NON CI PIACE anche in JPEG Stabilizzatore su sensore molto efficace Ottima costruzione e controlli completi carta è più piccola, ma neanche così tanto: 119x82x46 mm contro i 122x89x43 mm. E infatti ritroviamo praticamente tutti i controlli manuali, il display da 3 pollici, il mirino elettronico e c’è stato anche posto per un flash integrato, assente nella E-M5. La qualità della costruzione è impeccabile con un corpo in lega di magnesio che restituisce un grande senso di solidità, anche se rispetto al modello superiore si perde l’impermeabilizzazione. Nonostante ciò, è difficile impugnare la E-M10 e pensare a un vero e proprio downgrade rispetto alla E-M5, il che considerando la differenza di prezzo, è il miglior complimento che si possa fare all’ultima proposta Olympus. I controlli, come dicevamo, sono completi e permettono - anzi invogliano - l’utilizzo manuale della macchina con il sistema a doppia ghiera per la regolazione dell’esposizione. A ciò si aggiungono altri due tasti funzione, la ghiera per selezionare la modalità di scatto, tasto di registrazione video, comandi direzionali a croce. Tutti questi comandi possono essere personalizzati su misura nel menù della macchina per assegnare le regolazioni che usiamo più frequentemente. In basso a destra sul retro si trova, quasi nascosto, il selettore per l’accensione della fotocamera. Sul mirino troviamo inoltre un tasto che permette di passare agevolmente alla modalità live view sul display. Il miri- D-Factor 8 Prezzo 8 Con ottiche ingombranti è meglio usare il grip opzionale Qualità video molto deludente Slitta compatibile solo con flash e assenza di ingresso microfono no elettronico è lo stesso della E-M5, di tipo LCD con risoluzione di 800x600 pixel, sensore di prossimità e regolazione automatica della luminosità in funzione della luce ambientale. Il display è sempre da 3 pollici, ma è stato sensibilmente migliorato: ora il pannello è LCD anziché OLED, ma con una risoluzione di 720 x 480 pixel ed è orientabile di 80° verso l’alto e 50° verso il basso. Sulla sinistra, sopra al display, troviamo la rotella per la regolazione delle diottrie per il mirino e il tasto per aprire il flash. Viste le ridotte dimensioni del corpo macchina in rapporto ad alcuni obiettivi, Olympus ha realizzato anche un grip opzionale, che migliora l’impugnatura della macchina e ne aumenta l’altezza per rendere più agevole l’uso di un treppiede quando si montano obiettivi di grandi dimensioni. Cuore professionale con qualche rinuncia La più grossa semplificazione rispetto alla E-M5 non è estetica ma funzionale, visto che la stabilizzazione di immagine sul sensore passa dal sistema a 5 assi a 3 assi. La E-M10 integra però lo stesso processore della E-M1, il TruePic VII, apprezzato sulla top di gamma per la velocità e per la qualità dell’engine JPEG, tra i mi- segue a pagina 36 torna al sommario n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST Olympus OM-D E-M10 segue Da pagina 35 gliori sulla piazza. La funzione più importante introdotta sul nuovo processore è la correzione automatica delle aberrazioni cromatiche come parte dell’algoritmo proprietario Fine Detail II di Olympus, che applica anche correzione della nitidezza, riduzione di falsi colori e demosaic in modo ottimizzato a seconda dell’obiettivo montato sulla macchina. Rispetto alla E-M1 viene meno il sistema di autofocus Dual FAST, che faceva uso anche della tecnologia a rilevamento di fase su sensore. Qui troviamo, invece, lo stesso sensore Live MOS della E-M5 per cui viene implementato il solo rilevamento a contrasto che comunque garantisce prestazioni di tutto rispetto, come abbiamo toccato con mano. L’autofocus lavora su 81 aree e la macchina è in grado di scattare a raffica fino a 8 fps (3,5 fps in modalità “lenta”) con un numero massimo di 20 fotogrammi in formato RAW. Il sensore Live MOS da 4/3 pollici ha una risoluzione di Il “super menù”, sempre visibile sul display, permette di accedere in un colpo solo praticamente a tutte le impostazioni di scatto di uso più frequente 16,1 Megapixel effettivi (17,2 Megapixel in totale con filtro RGB), per una dimensione di immagine di 4.608x3.456 pixel (17 MB per foto in formato RAW a 12 bit) e possibilità di ripresa video a 1.920x1.080 in 30p. Il range ISO va da 200 a 25.200 con modalità estesa ISO Low. La velocità massima dell’otturatore è, infine, la stessa della E-M5, 1/4000 secondi, forse unico vero punto debole, e rispetto ad altre concorrenti non è disponibile una modalità di scatto silenziosa. La E-M10 non è dotata né di uscita per le cuffie né di ingresso per microfono. Gli unici connettori sono la slitta per i flash opzionali, l’uscita USB/Audio Video e la micro HDMI. Sotto il profilo della connettività l’aspetto più interessante è il Wi-Fi con visualizzazione di un QR Code sul display per la connettività veloce da Android o iOS con l’apposita app Olympus OI.Share. Effettuata la prima connessione lo smartphone ricorderà poi la rete e si collegherà automaticamente. L’app, davvero ben fatta, consente di importare le fotografie sullo smartphone, controllare senza fili la fotocamera e di aggiungere geotag alle fotografie sulla fotocamera utilizzando il GPS dello smartphone. Per far questo basta, prima di una sessione fotografica, attivare il GPS tracking sull’app. Parametri di scatto sempre sotto controllo La OM-D E-M10 offre un sistema di controllo 2x2 basato sulle due ghiere principali. Essenzialmente alle due manopole possono essere assegnate in tempo reale, oltre alla funzione primaria (diaframma e/o esposizione a seconda del programma utilizzato), ulteriori parametri tramite un tasto multi-funzione che di default è impostato su Fn1. In pratica, premendo una volta Fn1 si può passare dalla funzione principale delle due ghiere a quella secondaria. Questa può essere impostata tenendo, invece, premuto Fn1 e ruotando una delle due ghiere. Le opzioni disponibili sono: ISO/bilanciamento del bianco, regolazione alte luci/ ombre, color creator, rapporto d’aspetto, ingrandimento. Detto così può suonare macchinoso, Esempio di fotografia ottenibile con la funzione Live Composite ma in realtà nell’utilizzo pratico si tratta di una soluzione che permette di accedere rapidamente a un gran numero di parametri con un solo tasto e le due ghiere. L’altro pilastro del sistema di controllo della fotocamera Olympus è costituito dal “pannello di controllo super” come viene chiamato in italiano. Si tratta di un menù che visualizza in una sola schermata sul display della fotocamera praticamente tutte le impostazioni e funzionalità più importanti. Il menù è visibile chiaramente solo quando non si utilizza la modalità di ripresa live view e può essere controllato o tramite touchscreen, oppure utilizzando le frecce direzionali (soluzione a nostro avviso molto Esempio di esposizione multipla ottenuta direttamente in camera più comoda e precisa). Tramite il a partire da due scatti memorizzati sulla scheda pannello di controllo è possibile intervenire su: ISO, bilanciamento del bianco, preset le frecce destra e sinistra, oltre a un eventuale tasto Fn di immagine, nitidezza, contrasto, saturazione, gamma presente su alcuni obiettivi. Tra le funzioni assegnabili dinamica, flash, modalità messa a fuoco, riconoscimenvale la pena segnalare fuoco manuale, focus peaking, AEL/AFL, braketing e HDR. Il menù di configurazione è to dei volti, area messa a fuoco automatica, modalità molto articolato, ma una volta presa familiarità con la esposimetro, modalità di scatto (singolo, raffica, ecc), E-M10 e configurati i parametri principali, ci affideremo spazio colore, funzione tasto registrazione video, moquasi sempre al super menù. dalità stabilizzatore, rapporto d’aspetto, formato di file e compressione. Le stesse opzioni sono disponibili, premendo il tasto “OK”, a mirino con il classico menù a colonna. A prima vista può sembrare esagerato un La fotocamera Olympus è dotata, oltre che di 24 modamenù solo con tutti questi parametri, ma in realtà nellità scena pre-impostate, di una lunga serie di filtri artistici e modalità di immagine speciali. Tra queste vale la l’utilizzo pratico si scopre ben presto quanto sia davvepena segnalare almeno il Color Creator e la modalità ro comodo avere tutto a portata di mano, senza dover richiamare altre schermate. In più, premendo direttaMonotone. La prima funzionalità consente di dare alle immagini una colorimetria completamente personalizmente le frecce direzionali, si regola la posizione del crocini dell’area di messa a fuoco e sempre da qui paszata utilizzando le due ghiere per modificare tinta e sare in rassegna i vari tipi di area: 81 punti su tutto il frasaturazione in tempo reale. Monotone, come il nome me, gruppo di 9 aree, area singola e microaree. A tutto lascia intendere, è dedicato alla fotografia in bianco e ciò si aggiunge la possibilità di personalizzare i due nero. L’utente può impostare oltre contrasto e nitidezza, tasti funzione Fn, il pulsante di registrazione video e Tante funzionalità speciali segue a pagina 37 torna al sommario n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST Olympus OM-D E-M10 segue Da pagina 36 anche il filtro colore (rosso, arancione, giallo e verde), gamma dinamica e un “tono” (seppia, blu, ecc). A ciò si aggiungono altre funzionalità, la più interessante è sicuramente il Live Composite. In pratica consiste nella possibilità di creare una fotografia composita unendo tra loro fino a tre ore di scatti con esposizione minima di 1 secondo, mantenendo costante la luminosità di fondo. Si tratta di una modalità studiata appositamente per fotografare stelle, fuochi artificiali oppure ancora le luci del traffico. La cosa interessante è che la macchina permette di vedere sul display la fotografia comporsi in tempo reale. La stessa funzionalità è disponibile anche per la modalità Bulb (otturatore aperto fino a quando non si preme nuovamente il pulsante di scatto): anche così è possibile vedere l’immagine a lunga esposizione prendere forma in tempo reale. Non manca la funzione Time Lapse che consente di scattare fotografie con gli stessi parametri a intervalli regolari. L’utente può selezionare il numero di scatti da realizzare, il tempo di inizio scatto dalla pressione del tasto e l’intervallo di tempo tra una foto e l’altra. Funzione interessante è la creazione in macchina di un filmato in MJPEG a 720p. Infine, troviamo la funzione di esposizione multipla che può essere fatta live (due esposizioni in sequenza) oppure su foto già scattate (in questo caso se ne possono unire fino a tre), modalità che può essere utilizzata per realizzare scatti artistici o effetti particolari. Bella, veloce e divertente La nostra prova si è basata sul kit che include l’obiettivo motorizzato M.Zuiko Digital ED 14‑42mm 1:3.5‑5.6 EZ. Si tratta di un’ottica zoom collassabile molto compatta e che dona alla fotcamera anche una bella linea. L’ottica è ben costruita e soprattutto utilizza una ghiera per il controllo dello zoom davvero molto pratica. Si tratta di un buon obiettivo che copre un intervallo di focale equivalente da 28 a 84 mm, molto versatile quindi e che offre un buon livello di dettaglio su quasi tutto il frame anche al massimo ingrandimento. Manca forse un po’ di micro-contrasto, ma la resa è senza dubbio buona e costituisce un ottimo punto di partenza per chi si avvicina al sistema micro quattro terzi. La OM-D E-M10 stupisce subito per due caratteristiche: la velocità e la resa cromatica. La messa a fuoco è straordinariamente veloce in tutte le situazioni di scatto. Abbiamo testato la macchina sia con l’obiettivo in dotazione, che con lo zoom M.Zuiko Digital ED 40-150mm R e il Panasonic Leica DG SUMMILUX 25mm F1.4 ottenendo sempre un’ottima reattività, senza praticamente mai perdere uno scatto; ci è successo solo utilizzando tutte le 81 aree di messa a fuoco su tutto il frame su soggetti ravvicinati con obiettivo molto aperto: in queste situazioni è capitato che venisse selezionata erroneamente un’area sullo sfondo o alla periferia dell’inquadratura. Molto buona anche la risposta dell’autofocus in condizioni di scarsa luminosità e tutto sommato discreto il tracking in modalità continua per gli scatti a raffica, specie per essere un autofocus a contrasto. Davvero ottima la pasta dei colori, saturi e brillanti ma anche molto naturali. In JPEG è possibile impostare anche una modalità di immagine “vivida” che spinge un po’ di torna al sommario più la saturazione, ma non ce n’è davvero bisogno vista la resa cromatica che è possibile ottenere di default dalla fotocamera. Molto convincente la gamma dinamica del sensore, che a livello di ISO “normali” offre sempre un ottimo livello di dettaglio e immagini molto pulite. In JPEG viene applicata una leggera maschera di contrasto che però non porta in evidenza alcun tipo di alone, al massimo visibile solo visualizzando l’immagine a monitor al 100%. I controlli, una volta presa familiarità, ci sono parsi ottimi e nonostante le dimensioni un po’ ridotte del corpo macchina, abbiamo trovato i tasti poi non così piccoli o troppo ravvicinati come potrebbero sembrare a prima vista. Complessivamente la Olympus è dunque una macchina veloce e puntuale nella messa a fuoco, versatile, bella da usare in modalità manuale e che possiamo definire divertente. Il sensore Live MOS offre prestazioni molto buone ad alti ISO fino a 3200 ISO, dove il rumore non intacca comunque il livello di dettaglio (sia in RAW che in minima parte in JPEG). A 6400 ISO invece comincia a venire meno leggermente anche il livello del dettaglio anche se ce ne si accorge soprattutto visualizzando le immagini a monitor al 100%. Il risultato sono comunque immagini perfettamente utilizzabili per la maggior parte degli scopi. A ISO più alti il rumore continua ovviamente a crescere a danno dei dettagli più fini, ma scattando in RAW il risultato rimane entro i limiti dell’accettabile se non dobbiamo effettuare stampe giganti. In JPEG le immagini si fanno invece più impastate con la tendenza ad appiattire i particolari. La cosa interessante è che grazie all’eccellente sistema di stabilizzazione, il più delle volte potremo scattare comunque a ISO non molto alti con tempi insospettabilmente alti. Olympus dichiara un guadagno di 3,5 EV per il suo stabilizzatore, che in molte situazioni può fare M.Zuiko Digital ED 40-150mm R la differenza. Tutto ciò considerato, fotocamere con sensore più grande possono anche offrire un maggiore contenimento del rumore a ISO elevati, ma a nostro avviso il gap tra mirroroless APS-C e macchine come questa E-M10 o la Panasonic GX7 provata lo scorso anno si è ridotto abbastanza da non rendere più questo singolo aspetto una discriminante fondamentale. Dove la Olympus non ci ha convinto affatto è la resa video (clicca qui). L’azienda giapponese non ha mai fatto mistero del suo focus attuale esclusivamente sulla componente fotografica dei suoi prodotti, e il risultato è che sulla E-M10 la registrazione video c’è giusto perché sarebbe impensabile escluderla. Non che le immagini siano terribili, ma le impostazioni sono poche (non è possibile riprendere a 24 o 25 Hz ad esempio, solo 30) e nonostante la resa cromatica sia vicina a quella della foto, le immagini sembrano sempre impastate e prive di dettaglio. A ciò si aggiunge una compressione non eccezionale nemmeno al massimo bitrate. Unica nota positiva lo stabilizzatore, che funziona abbastanza bene anche sul video. Segnaliamo tra l’altro quello che sembra essere un bug: la funzione touch to focus c’è, ma a volte funziona e altre no, senza un motivo apparente. Leica SUMMILUX 25mm F1.4 Leica SUMMILUX 25mm F1.4 Think soundbar Think Yamaha YSP-2500 10th Anniversary Model YSP-2500 di Yamaha è dotato di funzioni avanzate incluse pass-through di segnali video 4K via HDMI, streaming via Bluetooth e la nota tecnologia Intellibeam di Yamaha. Sempre pronto per dare il migliore audio, in ogni situazione. E’ in grado di apprendere le funzioni del telecomando della TV e, grazie all’app dedicata, è possibile regolare le impostazioni dei raggi sonori direttamente da smartphone o tablet. Il suono è chiaro e naturale ed il noto surround reale creato dalla tecnologia YSP è estremamente coinvolgente. Questa è la soundbar che stavate aspettando. Per maggiori informazioni visita it.yamaha.com Yamaha App Navi n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST Le sue dimensioni la rendono ideale come base per molti televisori: spessore ridotto ma ampia superficie d’appoggio LG LAB540: soundbar e Blu-ray tutto in uno Un lettore Blu-ray e un diffusore, uniti per dare sorgente e voce a ogni televisore. È la soundplate LAB540 di LG Ha Wi-Fi, Bluetooth, DLNA, funzioni Smart TV, Dolby Digital e dts, subwoofer senza fili separato e un design curato D di Roberto FAGGIANO opo che soundbar e soundbase hanno invaso il mercato, LG ha avuto l’idea interessante di creare la soundplate, un diffusore estremamente sottile (solo 39 mm) ma molto largo, in modo da poter facilmente diventare la superficie sulla quale poggiare un televisore. L’ultima evoluzione di questa gamma è la soundplate LAB540 (549 euro) che integra il lettore Blu-ray, è compatibile con segnali Dolby Digital e dts e ha un subwoofer esterno separato. Sul prezzo di listino bisogna subito precisare che è un dato puramente teorico, per fortuna la LAB540 si trova in vendita facilmente attorno ai 400 euro, una quotazione già rischiosa per questo tipo di diffusori, anche considerando la presenza del lettore Blu-ray. Ecco, quindi, un apparecchio dalla doppia funzione che risolve i problemi di spazio tipici di ogni casa moderna, un oggetto anche piuttosto elegante con la sua finitura metallizzata e il caricamento motorizzato dei dischi. Più ingombrante il subwoofer, ma comunque entro limiti accettabili ed è ben rifinito. Questo diffusore può sopportare fino a 38 kg e l’ampia superficie di appoggio (70 x 32 cm) dovrebbe semplificare la collocazione di TV con supporto standard rettangolare oppure dei modelli con supporti laterali, più complesso invece il caso di supporti più fantasiosi o curvi, come alcuni modelli proprio di LG per esempio. La collocazione di un diffusore come questo è quasi obbligata, su un ripiano come supporto al TV oppure al di sotto di uno schermo più grande fissato a parete. Per il subwoofer invece bisogna tenere conto che l’altoparlante diffonde lateralmente, precisamente dal fianco sinistro, e quindi bisognerà evitare di posizionarlo troppo vicino alla parete laterale sinistra, meglio se nei pressi della soundplate. L’accordo reflex è, invece, inferiore e non crea nessun problema. video LG LAB540 UNA COMBINAZIONE POSITIVA E UN BUON PASSO AVANTI 549,00 € lab L’ultima creazione di LG in tema di diffusori sonori ci è piaciuta molto, un balzo in avanti notevole rispetto ai vecchi modelli. L’audio del televisore subisce un effettivo miglioramento e riesce a diventare coinvolgente con i migliori film trasmessi in TV. L’aggiunta del lettore Blu-ray è un plus molto interessante che apre le porte alla riproduzione di file multimediali archiviati nella propria rete domestica. Il collegamento Bluetooth e la possibilità di riprodurre i CD audio si sposa con prestazioni musicali finalmente all’altezza e aggiunge valore a un oggetto che è anche curato e bello da vedere. Il prezzo di listino troppo elevato può essere un problema, ma cercando attentamente in rete si può strappare un prezzo molto più interessante. 7.6 Qualità COSA CI PIACE 8 Longevità 7 Versatilità funzioni Linea ultra sottile curata Lettore Blu-ray integrato Controlli nel complesso semplici e mirati Design 8 Semplicità 7 D-Factor 8 Prezzo 7 COSA NON CI PIACE Prezzo di listino elevato Funzione ARC non disponibile Per rendere più coinvolgente l’ascolto si possono selezionare le modalità Cinema e Musica che aggiungono una curva specifica di equalizzazione sul diffusore. Inoltre è possibile variare il volume del subwoofer in modo indipendente. Le impostazioni audio si eseguono da un semplice menù a schermo e vengono confermate anche dal display dell’apparecchio. Lo stesso menù comprende tutte le impostazioni del lettore Bluray integrato. Dal punto di vista tecnico la soundplate vera e propria impiega due altoparlanti frontali e altri due denominati Surround con potenza complessiva di 160 watt (10% THD), mentre il subwoofer utilizza un altoparlante con potenza di 160 watt (10% THD); in pratica un sistema in grado di sonorizzare anche ambienti di cubatura medio-alta con una pressione sonora più che sufficiente. Versatilità di buon livello La combinazione di un diffusore e di un lettore Blu-ray riesce a sommare le funzioni di entrambi gli apparecchi, tra cui quelle di lettore multimediale per un server casalingo e una manciata di applicazioni per Smart TV. I collegamenti disponibili sono più che sufficienti per l’utente medio: tra le connessioni senza fili c’è il Bluetooth per smartphone e tablet, oltre al Wi-Fi per la rete domestica e il Wi-Fi direct per il mirroring da dispositivi portatili Android. Tra i collegamenti via cavo troviamo due prese HDMI, un ingresso digitale ottico, la presa di rete Ethernet e un ingresso USB. Le prese sono piuttosto incassate e poco accessibili quando si posiziona il TV sopra il diffusore. Il subwoofer attivo si collega automaticamente senza fili al diffusore principale. A molti sembrerà logico usare il cavo HDMI verso il TV con la funzione del canale audio di ritorno, ma sul nostro esemplare non siamo riusciti a usarla, provando su tre diversi televisori. Il manuale in effetti consiglia sempre di usare il cavo ottico (non in dotazione) per l’audio del TV. Per il controllo a distanza si può usare un’applicazione LG ma ci è sembrato più semplice usare il telecomando in dotazione, già predisposto anche per TV LG, Samsung e Sony. segue a pagina 40 torna al sommario n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE HI-FI Rispetto alla gamma precedente, di 3 anni fa, rimangono inalterate linea e cura nelle finiture Parrot Zik 2.0 disegnate da Starck, non male Zik 2.0 si rinnovano con una batteria più potente e funzioni di controllo della resa sonora di Roberto FAGGIANO l suo debutto la cuffia Zik di Parrot stupì per la cura nelle finiture e per la completa applicazione, capace di gestire molti parametri della cuffia per personalizzare la resa sonora. Dopo circa tre anni dal debutto arriva sul mercato la Zik 2.0 (350 euro) che lascia inalterata la linea disegnata da Philippe Starck ma migliora alcuni parametri molto importanti. Il peso scende da 325 a 270 g, l’autonomia compie un bel balzo dalle precedenti 7 ore alle 18 ore del nuovo modello. Migliorato anche il circuito di riduzione del rumore, che ora può contare su 8 microfoni contro i 5 della prima versione. Il circuito di equalizzazione controllabile dall’app - anch’essa rinnovata - può contare su nuove curve di risposta personalizzate da musicisti e tecnici delle sale di registrazione e sulla funzione “strada” per A adattare la resa sonora ai rumori stradali ma al tempo stesso non isolare eccessivamente durante le conversazioni telefoniche. Per il migliore funzionamento durante le telefonate c’è anche un sensore a conduzione ossea che fornisce ulteriori elementi ai circuiti che regolano l’audio. Rimane poi la possibilità di crearsi una risposta in frequenza su misura dei propri gusti personali e i comodi comandi touch sul padiglione. La connessione senza fili è tramite Bluetooth con abbinamento NFC. Zik 2.0 sarà disponibile da novembre in molti colori - bianco, azzurro, nero, moka, arancio e giallo - tutti rifiniti in pelle con grande cura dei dettagli. GADGET Ecco l’ombrello ad aria Su Kickstarter è apparso il progetto (già finanziato) di Air Umbrella, il primo ombrello ad aria. Una batteria al litio nel manico alimenta un potente motore sulla sommità, che aspira l’aria dal fondo, la spara a 360° da piccole feritoie e crea una lama d’aria invisibile che devia la pioggia. Verrà realizzato in tre versioni con autonomia dai 15’ di quello piccolo ai 30’ dei modelli più grandi. Sarebbe in grado di proteggere una persona da piogge di moderata intensità. Una versione allungabile porta questo spara-aria a 40 cm sopra la nostra testa per creare una grossa cappa di protezione. TEST LG soundplate LAB540 segue Da pagina 39 Prestazioni video nella media Il lettore Blu-ray inserito in questa soundplate è di classe media, con funzioni Smart TV e lettore multimediale dei contenuti da USB o dal server casalingo. Si possono vedere praticamente tutti i maggiori codec di file foto e video ma nessun contenuto 4K. Il collegamento alla rete può essere via cavo oppure in Wi-Fi mentre l’app è disponibile come sostitutivo del telecomando e nulla di più. Le prestazioni dell’upscaler 4K hanno avuto la sfortuna di confrontarsi con quelle del TV Sony Ultra HD della serie 850: il circuito dell’LG ne è uscito sconfitto ma è probabile che utilizzando un TV 4K di costo minore anche questo circuito possa dire la sua. Continuando nella prova pratica risulta molto scomodo dover sempre ricorrere al menù per cambiare sorgente, dei tasti diretti sul telecomando sarebbero stati più semplici. torna al sommario Audio migliorato rispetto al passato Ricordando le modeste prestazioni sonore della prima soundplate di LG (la 340, senza subwoofer esterno) temevamo una replica, ma per fortuna ci sbagliavamo. L’aggiunta del subwoofer attivo e una revisione del progetto hanno portato a prestazioni sonore nettamente migliori. Al subwoofer separato è stata affidata una gamma bassa e medio-bassa che ha liberato il diffusore principale da un compito troppo gravoso, il risultato è un netto miglioramento sulle voci e sui dettagli in gamma acuta, risultati positivi che si apprezzano finalmente anche con la musica. Non è la resa di un vero sistema stereo, però si avvicina molto. Qualche cosa da migliorare ancora c’è nel taglio di frequenze tra diffusore e subwoofer, probabilmente quest’ultimo riproduce anche frequenze udibili, dato che risulta spesso ben individuabile all’ascolto, ma basta posizionarlo correttamente nei pressi del televisore per minimizzare il problema. Con gli effetti più potenti e spettacolari dei film forse la gamma più profonda è ancora troppo protagonista, ma ci sono i controlli di tono per mitigarne la foga nei momenti più esplosivi. La resa con i migliori film in Blu-ray è di ottimo livello, molto coinvolgente e precisa nel collocare gli effetti sul fronte anteriore; molto poco, invece, come effetti Surround avvolgenti, anche se inserendo l’effetto Cinema qualcosa migliora, comunque nulla a che spartire con un vero sistema Surround con diffusori posteriori. L’effetto Musica è, invece, trascurabile, anche ascoltando brani MP3; da non sottovalutare la possibilità di riprodurre i CD senza dover usare un altro apparecchio. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE TEST UnoTelly è un provider smart DNS che permette di accedere senza restrizioni a servizi in genere bloccati in Italia Internet è davvero senza confini, con UnoTelly Con UnoTelly è possibile accedere a contenuti online senza restrizioni geografiche, senza VPN, a meno di 4 euro al mese A di Paolo CENTOFANTI tutti prima o poi navigando in rete sarà capitato di cercare di riprodurre un trailer, un videoclip o un altro filmato e di ritrovarsi invece di fronte a una schermata in cui ci viene annunciato che il video non è disponibile nel nostro Paese. Nonostante i confini geografici in Internet non abbiano molto senso, purtroppo nel mondo dei diritti d’autore le cose sono molto diverse e così capita che certi contenuti siano dati in licenza, con clausole che impongono ai siti web che li ospitano di limitare l’accesso ai soli PC che si collegano dall’interno dei confini nazionali. Internet, però, è appunto privo di veri confini ed esistono diversi modi per far apparire il nostro PC come connesso da un’altra parte del mondo. Il sistema più classico è quello di utilizzare una VPN (Virtual Private Network), una sorta di tunnel in cui da una parte c’è il nostro dispositivo e dall’altra un server localizzato nel Paese in cui vogliamo “comparire” e attraverso cui passa tutto il traffico. Con una VPN tipicamente il nostro traffico viene anche criptato e le nostre comunicazioni rese anonime, ma ha lo svantaggio di essere poco indicato per lo streaming e il download di grossi quantitativi di dati, anche perché i servizi che garantiscono una buona larghezza di banda hanno anche costi relativamente elevati. Un’altra classe di servizi che ha sempre il beneficio di poter mascherare in qualche modo la nazionalità del nostro indirizzo IP è quella degli Smart DNS, o meglio ancora Smart DNS Proxy Server, come UnoTelly, servizio che abbiamo testato. video lab Prima di illustrare nel dettaglio l’offerta di UnoTelly, vediamo in cosa si differenzia rispetto a una normale VPN uno Smart DNS. Un server proxy in linea di principio può sembrare simile a una VPN: un server che si frappone tra noi e il resto di Internet e attraverso cui facciamo passare tutto il traffico. Rispetto a una VPN non è generalmente criptato end-to-end e in più ha gli stessi svantaggi per quanto riguarda la banda garantita. Gli Smart DNS come UnoTelly svolgono una funzione simile, ma in modo più intelligente, in modo da garantire la velocità della connessione che normalmente avremmo e allo stesso tempo cambiare la geolocalizzazione del nostro PC. In pratica il “trucco” consiste nel configurare nelle impostazioni di rete un DNS speciale al posto di quelli forniti dal nostro provider o altri DNS pubblici, in grado di indirizzare su un apposito proxy solo le comunicazioni rivolte verso un particolare servizio con blocco regionale e solo per quei dati che rivelano l’origine della nostra “chiamata”: il vero e proprio scaricamento del video avviene direttamente. I vantaggi di questa soluzione sono molteplici: non occorre installare alcun software ad hoc, i DNS speciali possono essere configurati su qualsiasi dispositivo, non ci sono limiti sulla nostra banda e, se i DNS sono configurati sul router di casa, tutti i dispositivi sulla stessa rete potranno accedere a Internet senza restrizioni regionali. I contro sono, invece, soprattutto due: il traffico non è criptato come in una VPN e i siti “sbloccati” sono solo quelli supportati dal fornitore del servizio di smart DNS. Questa è la schermata che più spesso incontriamo quando navighiamo sui siti dei broadcaster USA. Uno smart DNS proxy, reindirizza automaticamente i pacchetti che individuano la nostra posizione. Un proxy intelligente torna al sommario L’offerta UnoTelly UnoTelly è un provider smart DNS che offre l’accesso senza restrizioni a un gran numero di servizi usualmente bloccati in Italia. La lista completa è lunghissima, ma troviamo alcuni servizi molto chiacchierati come Netflix, Hulu, Pandora, Vevo, Beats Music, BBC iPlayer, Cracker, HBO Go e tanti altri ancora (l’elenco completo è disponibile qui). Tra i servizi supportati c’è anche Sky Go, opzione molto interessante per gli italiani con un abbonamento a Sky e che si trovano spesso all’estero per lavoro. UnoTelly offre due piani di abbonamento, uno base da 4,95 dollari al mese che sblocca l’accesso a tutti i servizi supportati e una versione Gold che include anche una vera e propria VPN per 7,95 dollari al mese. Il funzionamento del servizio è molto semplice: basta inserire nelle impostazioni Internet del nostro dispositivo i DNS forniti da UnoTelly e il gioco è fatto. Se il nostro ISP fornisce un IP fisso, dopo un primo login segue a pagina 42 Il pannello di controllo di UnoTelly, con tutte le informazioni per configurare il servizio. n.98 / 14 20 OTTOBRE 2014 MAGAZINE FOTOGRAFIA Durante Adobe Max, la convention annuale, presentate nuove funzionalità. Tra l’altro via anche la foschia dalle foto Miracoli di Photoshop: a breve cambierà l’ora alle foto Tra le funzioni sperimentali un innovativo slider per cambiare l’ora alle foto: dal giorno alla notte e dalla notte al giorno A di Roberto PEZZALI dobe è pronta ad aggiungere a Photoshop una serie di nuove funzionalità rivoluzionarie: la possibilità di rimuovere dalle foto la foschia e soprattutto una funzione di editing che permette di cambiare dinamicamente l’ora del giorno in cui la foto è stata scattata gestendo contemporaneamente tutte le luci dello scatto. Adobe le ha mostrate all’Adobe Max, la convention annuale di Adobe per i partner, ed è soprattutto la seconda novità che ha strabiliato la platea, ovvero la possibilità di variare facilmente l’ora dello scatto per trasformare una foto scattata di giorno in una foto notturna e viceversa. Adobe ha analizzato nel dettaglio oltre 400 timelapse scaricati da Internet analizzando come cambiano le luci nel corso della giornata e cercando di ricostruire un modello matematico che si potesse adattare alla maggior parte delle foto. Il cambio, ovviamente, non è solo legato alla luminosità ma anche ai colori, alla temperatura colore e a molti altri elementi, e come si può capire non è affatto facile. Soprattutto perché Adobe non vuole realizzare un semplice effetto giorno / notte, ma inserire una sorta di orologio che ci permette di spostare proprio il tempo su ogni singola foto. L’effetto è visibile in questo video. La seconda funzione interessante è il “defog”, ovvero la rimozione della foschia delle foto. Secondo Adobe un nuovo algoritmo realizzato analizzando l’impatto della nebbia e della foschia su un migliaio di foto ha permesso di ottenere risultati decisamente migliori rispetto alle classiche tecniche di ritocco che contemplano la regolazione di curve e contrasto. Ecco un video. A destra in alto, la funzione per cambiare il momento in cui la foto è stata scattata. Qui a fianco, la funzione defog, per rimuovere la foschia. TEST UnoTelly segue Da pagina 41 su UnoTelly il servizio è configurato, altrimenti, periodicamente, potrebbe essere necessario tornare sulla pagina web per aggiornare il nostro indirizzo, ma basta anche impostare un particolare bookmark che rende l’operazione immediata. Lo stesso discorso vale se utilizziamo il servizio da più connessioni (ad esempio, casa e ufficio, oppure se ci troviamo all’estero). La cosa interessante è che UnoTelly offre una funzionalità chiamata Dynamo che permette di scegliere, per alcuni servizi, in quale Paese comparire. Ad esempio, per Netflix è possibile esplorare il catalogo del servizio nei diversi Paesi in cui è disponibile e non solo negli Stati Uniti, cambiando la nazionalità da utilizzare dal pannello di controllo di UnoTelly. Chiaramente UnoTelly sblocca solo le restrizioni geografiche: poi occorre comunque un abbonamento ai singoli servizi a cui si vuole accedere, e spesso ci sono limiti di altro tipo, come il fatto che le carte di credito non rilasciate negli Stati Uniti non sono accettate. Funziona come promesso Abbiamo testato in diverse situazioni il servizio (non ultima per la prova di Netflix in 4K) e dobbiamo dire che UnoTelly mantiene tutto quanto promette o quasi. A parte i video del sito AMC (volevamo tanto vedere torna al sommario i teaser della nuova serie Better Call Saul, ma non ci siamo riusciti!), abbiamo utilizzato con successo diversi servizi come Netflix, Hulu, Pandora e i siti web di molti network USA (ABC, CBS, NBC, ecc.), che danno la possibilità di guardare gratuitamente con pubblicità gli ultimi episodi delle serie TV trasmesse negli Stati Uniti. Abbiamo effettuato la prova anche su smartphone, tablet, Apple TV, console, Smart TV e provato a impostare i DNS anche sul router domestico, ottenendo sempre un funzionamento perfetto dei servizi normalmente bloccati. Ogni tanto è capitato di dover ricaricare una pagina che al primo tentativo non funzionava, ma si è trattato di casi isolati. Nessun problema per quanto riguarda la banda a disposizione che, come promesso, è quella della nostra connessione senza limiti di sorta, come abbiamo ampiamente sperimentato per la nostra prova di Netflix in Ultra HD. Una pratica sul filo della legalità? UnoTelly funziona benissimo, ma sarebbe scorretto pensare di essersi messi a posto del tutto con la coscienza, utilizzando un servizio come questo per sopperire alla mancanza di offerta nel nostro Paese come alternativa alla pirateria. Anche se è vero che non stiamo scaricando illegalmente contenuti da una rete p2p e magari stiamo effettivamente pagando per quello che stiamo guardando su servizi come Netflix o Vudu, è probabile che scavalcando le restrizioni geografiche si stanno comunque violando i termini di servizio dei siti a cui si accede. Inoltre, non è da escludere la violazione del copyright delle aziende che hanno acquistato i diritti di sfruttamento dei contenuti in Italia: The Walking Dead ad esempio in Italia è stato pagato profumatamente da Sky per l’esclusiva sul nostro territorio, e l’emittente giustamente spera di avere un ritorno dall’investimento nella forma di nuovi abbonati ai suoi servizi. D’altro canto, l’utilizzo di servizi come UnoTelly dubitiamo possa mai diventare “di massa”: occorre comunque una certa dimestichezza tecnica e soprattutto i contenuti sono disponibili solo in lingua originale o comunque mai in italiano. Si tratta di una materia molto complessa e sulla quale puntiamo di tornare prossimamente con un apposito approfondimento.
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