MAGAZINE - DDay.it

n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
iWatch e le
Crepa nel monopolio Passaporto elettronico Compri online e
speranze delle SIAE: il tribunale dà Per richiederlo ci vuole ritiri nelle stazioni
22
startup italiane ragione a Soundreef 02 ancora troppa carta 04 TotalErg
A nulla è servito regalare a pioggia smartwatch
a tutti i giornalisti alla conferenza stampa del
CES di Las Vegas. E a nulla è servita l’enfasi di
Ennio Doris con gli intervenuti alla conferenza
stampa milanese: “Voi direte ai vostri figli e ai
vostri nipoti che quel giorno, al lancio di I’m
Watch, c’eravate”. Sì, perché alla fine Ennio
Doris nel cassetto il “piano B” non ce l’aveva
e ha scelto di mettere la parola fine a I’m
Watch, la sua startup tutta “made in Vicenza”
che avrebbe dovuto rivoluzionare il mondo
dell’elettronica con i propri smartwatch. Un’iniziativa evidentemente nata con il piede sbagliato: basi tecnologiche fragilissime, impossibilità
di proporre autonomamente un ecosistema
di app, ritardi produttivi cronici e promesse di
vendita regolarmente mancate. Ma soprattutto
mancanza di un vero progetto a medio termine: c’era solo il tentativo di cavalcare per primi
la moda dei “wearable”, un interesse che, tra le
altre cose, non ha ancora dato vere conferme
di sé al registratore di cassa.
Come avevamo previsto e come era facilmente
prevedibile, sugli smartwatch sono arrivati i
colossi: Apple, Google, Samsung, LG, Sony,
Microsoft; e nessuna ha trovato una buona idea
comperare la startup vicentina, evidentemente
evanescente. La responsabilità non è tanto dei
due giovani e sprovveduti fondatori, quanto
dello stesso Doris e del suo braccio destro
Edoardo Lombardi, entrambi manager di lungo
corso e quindi “indifendibili”: da noi messi
sull’avviso, hanno tirato diritto.
Eppure, quando queste cose che ci sembravano evidenti e le scrivevamo, più volte siamo
stati tacciati di “esterofilia”, siamo passati
per polemici detrattori dei giovani talenti, per
“sfascisti” a tutti i costi. E invece era già tutto
scritto. Proprio come accadde per Volunia, il
motore di ricerca “visuale” made in Italy inspiegabilmente celebrato da molta stampa prima
del lancio e miseramente tornato nell’oblio un
minuto dopo. Anche in questo caso, si capiva
bene sin da prima che Volunia non sarebbe
andato da nessuna parte. Ma anche in quel
caso si alzò il grido dei “patrioti a prescindere”
che volevano che un’idea debole, eseguita tra
le altre cose molto male, dovesse essere un
successo solo perché nata sotto il tricolore.
Non basta essere una startup per essere innovativi. Le startup in Italia sono troppe e il rischio
è che quelle davvero buone si confondano nel
rumore di quelle “tanto fumo”. ci sono anche
tanti fanatici delle startup “a prescindere” (per
credo o per interesse), che santificano gli uffici
condivisi, la nuova rivoluzione industriale che
parte dal basso, gli incubatori. In realtà ci sono
buone idee e buone “execution”, e le due
cose devono andare di pari passo, altrimenti
finisce male. Negli States, là dove alcune
startup diventano aziende vere, la selezione
è massacrante, bisogna avere idee chiare,
visione interdisciplinare e molto talento. Da
noi queste sono qualità che si richiedono più
agli aspiranti concorrenti di XFactor che agli
startupper. Resta il sospetto che qualcuno
abbia pensato che le startup possano essere
un sistema per fare soldi facili (come le vecchie
net company), vendendo il “paccotto” appena
avviato a un finanziatore che vuole sentirsi
alla moda. È un peccato: per ogni startup
all’italiana che scoppia (anche malamente), il
conto lo paga la credibilità del sistema della
giovane imprenditoria nei settori innovativi.
Senza metodo e rigore, ci sarà spazio solo per
un’altra “bolla”.
Gianfranco GIARDINA
Svelati iPad Air 2 e iMac 5K
iPad Air 2 è ancora più sottile e potente
Il nuovo iMac sfoggia un display 5K da urlo
Il Mac Mini 2014 è più veloce e costa meno
IN PROVA
25
Samsung Galaxy
Note 4: sempre al top
30
09
Arriva il lecca lecca di Google
Presentato Android 5.0 “Lollipop”, tutte
le novità del sistema operativo mobile che
farà il debutto sui nuovi Nexus 6 e Nexus 9
Amazon Fire HD 6 e 7
Tablet a prezzo super
33
10
Google lancia
Nexus Player
È il primo Android TV
07
Netflix 4K è il futuro
dell’home video?
35
Funziona come centro
multimediale e come
console giochi. Per ora è
in pre-order solo in USA Olympus OM-D E-M10
Bella e compatta
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
MERCATO I Giudici di Milano danno ragione alla startup italiana per la raccolta dei diritti d’autore negli esercizi commerciali
SIAE meno monopolista, il tribunale dà ragione a Soundreef
Riaffermato il principio del libero mercato e della libera concorrenza per l’intermediazione nel settore dei diritti d’autore
di Paolo CENTOFANTI
S
oundreef, piccola startup londinese
fondata da un gruppo di giovani
italiani, ha ottenuto ragione dal tribunale di Milano, in una vertenza che la
vedeva indirettamente contrapposta a
SIAE. Il principio che passa dal dispositivo dei giudici di Milano è che il diritto europeo in termini di libera concorrenza e
libera circolazione dei servizi nell’Unione
prevale su quel che resta del monopolio
di SIAE in Italia. Soundreef è una società
che si occupa di dare in licenza musica
per la riproduzione in ambienti come centri commerciali, eventi e concerti live e di
distribuire i proventi agli autori dei brani
che vengono così sfruttati. Ma una cantautrice italiana, non meglio precisata, e la
radio in store Ros & Ros, hanno chiesto ai
giudici di bloccare l’attività di Soundreef,
sostenendo che il mandato secondo la
legge italiana spetti esclusivamente a
SIAE . Il tribunale però ha risposto picche,
sostenendo che: “non sembra infatti potersi affermare che la musica (...) gestita
da Soundreef e da questa diffusa in Italia
in centri commerciali GDO e simili, debba
obbligatoriamente essere affidata all’intermediazione di SIAE. Una simile pretesa entrerebbe in conflitto con i principi
del libero mercato in ambito comunitario
e con i fondamentali principi della libera
concorrenza.”
Se è vero che l’articolo 180 della legge
sul diritto d’autore dà un mandato di
esclusiva a SIAE, dicono i giudici, questo non può scontrarsi con il Trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea in
materia di libera circolazione dei servizi.
Un mandato di esclusiva oltretutto che
il parlamento europeo ha già votato per
eliminare all’interno della riforma per la
creazione di un mercato unico della mu-
sica all’interno dell’Unione Europea. La
direttiva europea, approvata lo scorso
febbraio, e che i paesi dell’Unione dovranno recepire nel proprio ordinamento
entro aprile 2016, prevede infatti per tutti
gli autori la facoltà di scegliere autonomamente la società di collecting per ciascuna classe di diritto di sfruttamento. In
questa sorta di limbo legislativo, da qui
al recepimento della direttiva europea,
i giudici di Milano hanno dato dunque
ragion d’essere al ruolo di Soundreef,
escludendo che il suo operato possa
ritenersi scorretto. Comprensibile la soddisfazione di Francesco Danieli, CEO di
Soundreef: “siamo sempre stati convinti
MERCATO Dal 2015 l’Irlanda non sarà più la meta preferita delle multinazionali dell’hi-tech
L’Irlanda non è più il paradiso delle multinazionali
Le aziende dovranno pagare tasse irlandesi in ogni caso. La pacchia è finita, addio Cayman
di Emanuele VILLA
ono anni che le multinazionali (soprattutto quelle hi-tech) vengono
accusate di ogni genere di stratagemma volto ad abbattere le tasse
sui profitti. Apple, Google, Facebook e
Amazon sono nel centro del mirino, ma
il fenomeno non è limitato alle aziende
di tecnologia bensì a tutte le multinazionali; parliamo di miliardi di dollari e
di euro che ogni anno vengono sottratti
alle casse statunitensi ed europee. Gli
schemi adottati dalle aziende per pagare
il meno possibile sono variegati, ma una
costante c’è sempre: l’Irlanda. E questo
per due motivi: intanto è lo stato europeo
con la Corporate Tax più bassa in assoluto (12,5%, in Italia superiamo il 30%, negli USA è 35%), ma soprattutto è l’unico
che permette a un’azienda di non essere
considerata fiscalmente residente se
controllata e gestita altrove, anche se
la sede è in Irlanda. Da qui il complesso
schema del Double Irish (con l’ulteriore
“variante olandese”) che consiste nella
creazione, da parte della Casa madre
statunitense, di due sussidiarie in Irlanda
(da cui “double”) una fiscalmente resi-

S
torna al sommario
dente, l’altra controllata
e gestita in un paradiso
fiscale come le Cayman
(o affini). Mediante un
complicato schema di
cessione dei diritti sulle royalties dalla Casa
madre alla controllata
offshore (che non paga
tasse sulle stesse o paga
una percentuale irrisoria
essendo in un paradiso
fiscale), gli utili delle vendite di prodotti e servizi
generati dall’azienda residente in Irlanda vengono Lo schema Double Irish per punti (Visualeconomics).
“assorbiti” dal pagamento delle royalties alla società offshore, 2020 per adeguarsi. Ci si interroga sulle
ridudendo in modo netto le tasse sui possibili conseguenze per l’economia
profitti, irlandesi o statunitensi che siano. dell’isola, non dimenticando che proprio
Il ministro delle finanze Michael Noonan schemi come il Double Irish hanno porha deciso di cambiare rotta: incalzato tato sull’isola un’infinità di multinazionali,
dalle pressioni di USA e UE, il ministro generando reddito e dando lavoro agli
ha dichiarato che a partire dal 2015 le irlandesi. Ma Noonan è certo: con nuovi
aziende registrate nello Stato saranno incentivi che verranno posti in essere e
anche fiscalmente residenti nello stesso. con una corporate tax al 12,5% (questa
Questo vale per le nuove imprese: quel- non è a rischio), chi potrà mai abbandole già presenti sul territorio hanno fino al nare l’Irlanda?
che la concorrenza – anche nel mercato
dell’intermediazione dei diritti d’autore
– sia legittima ed auspicabile perché
produce effetti positivi soprattutto per i
titolari dei diritti, spingendo le collecting
society ad operare meglio ed in condizioni di maggiore efficienza”
E forse proprio l’efficienza di Soundreef
è ciò che preoccupa maggiormente SIAE
in vista dell’apertura del mercato del diritto d’autore in Europa. Soundreef, infatti,
offre prezzi bassi a chi chiede musica in
licenza e un meccanismo trasparente di
rendicontazione per gli autori, con dettaglio delle proprie royalty in 7 giorni e pagamenti dei diritti entro i 90 giorni.
MERCATO
Finlandia in
crisi, ma è
colpa di Apple
Standard & Poor’s ha declassato
la Finlandia, passata da un rating
AAA ad un più basso AA+. Le cause
sono diverse, tra cui le sanzioni
nei confronti della vicina Russia
e l’innalzamento dell’età media,
ma anche la perdita d’appeal del
comparto industriale ha contribuito.
All’inizio del secolo, infatti, Nokia e
l’industria di produzione della carta
erano i due gioielli dell’industria
manufatturiera finlandese, ora invece Nokia e le aziende nordiche che
esportavano carta in tutta Europa
sono in fortissima crisi. La colpa,
quindi, secondo il Primo Ministro
finlandese Alexander Stubb, ricade
su Apple, che con iPhone e iPad ha
annientato in un sol colpo l’intero
reparto industriale. Se l’iPhone
ha infatti fatto fuori Nokia, l’iPad
ha ridotto l’uso della carta per la
stampa dei giornali. La sfida, ora, è
rivitalizzare il comparto puntando
sulle biotecnologie per l’industria
forestale e su reti di telecomunicazioni per Nokia. Sempre che Apple,
o magari questa volta Google, non
decidano di mettersi di mezzo.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
MERCATO Jiffy è un nuovo sistema di pagamento peer-to-peer facile da utilizzare per il trasferimento diretto di somme di denaro
Parte dall’Italia Jiffy, il bonifico istantaneo via smartphone
Il sistema offre un’elevata sicurezza e si utilizza mediante lo smartphone. Sarà adottato da 9 grandi gruppi bancari italiani
di Paolo CENTOFANTI
ffettuare un qualsiasi trasferimento di denaro diventa facile come
inviare un SMS o un messaggio su
WhatsApp, un’operazione istantanea,
ma con la stessa sicurezza di un bonifico bancario tradizionale. Sono queste
le caratteristiche essenziali di Jiffy, un
servizio di pagamento peer-to-peer realizzato da SIA e in via di lancio in Italia
con il supporto di 9 dei più grossi gruppi bancari italiani, tra cui UBI Banca e
Intesa San Paolo, con una copertura di
quasi il 60% dei conti correnti italiani.
Per pagamento peer-to-peer (o meglio
person to person) si intende la possibilità
di trasferimento diretto di denaro tra due
persone e Jiffy è una soluzione che intende rendere l’operazione il più sempli-
E
video
lab
Jiffy
Pagamenti p2p su smartphone
Pace fatta
in tribunale
tra Beats e Bose

Dopo l’annuncio dell’acquisizione
di Beats da parte di Apple, Bose
aveva intentato una causa contro
l’azienda di Dr. Dre, sostenendo la
violazione di ben 5 dei suoi brevetti
su una tecnologia che, di fatto, è uno
dei marchi di fabbrica di Bose degli
ultimi anni. La causa legale è giunta
a conclusione con un accordo tra le
due parti, il cui contenuto non è noto.
Ultimamente Bose e Beats sono
state protagoniste anche di un’aspra
battaglia a distanza a livello di
comunicazione. L’NFL, sponsorizzata
da Bose, ha imposto ai giocatori di
football di non comparire in interviste
ufficiali indossando cuffie Beats,
mentre secondo indiscrezioni, Apple
si starebbe preparando a rimuovere i
prodotti Bose dai suoi Apple Store in
seguito all’acquisizione di Beats.
torna al sommario
ce e immediata possibile e, a differenza
di un normale bonifico, anche istantanea,
il tutto comodamente dallo smartphone.
Il servizio sarà integrato direttamente
nelle app di home banking delle banche che decidono di supportarlo e per
utilizzarlo serve solo un’informazione:
il numero di telefono del destinatario.
All’attivazione di Jiffy, infatti, viene associato il numero di telefono all’IBAN del
conto corrente o della carta conto prepagata di appoggio; in questo modo, un
po’ come WhatsApp, all’interno dell’app
della banca avremo automaticamente
una rubrica con tutti i contatti che hanno
già attivato il servizio e a cui potremo inviare del denaro con un semplice gesto:
si seleziona il contatto, si digita l’importo
e il gioco è fatto. Se il contatto a cui si
vuole mandare il denaro non ha ancora aderito al servizio, si può comunque
procedere inviando una richiesta di invito a iscriversi. Poiché Jiffy è accessibile
direttamente dall’interno dell’app della
banca, il livello di sicurezza è quello del
relativo servizio di home banking, mentre la transazione è affidata alla collaudata infrastruttura di SIA. Un’azienda di
cui magari non avete mai sentito parlare,
ma di cui utilizzate i servizi ogni volta che
pagate con una carta di credito o prelevate da un bancomat. SIA fornisce, infatti, le infrastrutture di comunicazione e sicurezza per i pagamenti e i trasferimenti
di denaro elettronici per banche, istituzioni, pubblica amministrazione e imprese di ogni livello, fino alla Banca d’Italia.
SIA nel 2013 ha gestito 2,7 miliardi di
operazioni con carte di credito o debito, 2,2 miliardi di bonifici, per un totale
di 4,9 miliardi di pagamenti elettronici.
Jiffy è stato implementato sulla base
dell’area unica di pagamenti europea
(SEPA), piattaforma che permetterà così
di utilizzare il servizio con qualsiasi conto corrente delle banche europee e SIA
punta molto sulla possibile adozione del
servizio anche da parte delle realtà di altri paesi europei. Un punto chiave per il
successo dell’iniziativa rimane a nostro
avviso la modalità con cui le singole
banche comunicheranno il servizio ai
propri clienti e soprattutto quali saranno
le procedure per la sua attivazione. Un
conto è trovare l’opzione per attivare
Jiffy direttamente all’interno dell’app di
home banking per smartphone o tablet,
un altro è doversi recare in filiale e firmare nuove carte. SIA si occupa infatti solo
di fornire la piattaforma alle banche, che
sceglieranno le modalità con cui proporlo ai clienti. Il servizio è davvero semplice e potrebbe tranquillamente sostituire
in molti contesti la necessità di utilizzare
un POS o il bonifico tradizionale.
MERCATO Nokia ha pubblicato un video in cui mostra la potenzialità della piattaforma Here Auto
La navigazione ora è “connessa”, con Here Auto
Grazie al cloud, la navigazione è totale: parte da casa, prosegue in macchina e finisce a piedi
di Emanuele VILLA
ei giorni del salone di Parigi abbiamo dedicato un servizio completo a Here Auto, la piattaforma
di navigazione servizi connessi di casa
Nokia. Successivamente, l’azienda ha
poi pubblicato un video che illustra in
modo pratico i punti di forza del sistema,
riportamo di seguito. L’idea è notevole:
Here Auto non è un “navigatore da auto”
ma una piattaforma integrata che, grazie
all’impiego pervasivo del cloud, segue
l’utente lungo tutto il viaggio, dalla sua
pianificazione in casa al tragitto in auto,
ma senza dimenticare i momenti di avvicinamento alla meta a piedi. Il sistema
è collaborativo, il che significa che i passeggeri possono, tramite i display posteriori, impostare delle tappe lungo il tragitto e proporre fermate al conducente, che
N
deciderà se accettarle o
meno. Nel primo caso, il
sistema si aggiorna per
tenerne conto; inoltre,
come
destinazione
possono essere anche
punti d’interesse, il calcolo del traffico è costante e, come anticipato, nel momento in cui
il conducente scende
dall’auto lo smartphone si aggiorna automaticamente e prosegue l’esperienza
“connessa”, ovviamente tenendo traccia
di dov’è stata parcheggiata l’auto. La
cosa interessante è che il sistema Here
Auto è aperto e personalizzabile dalle
singole aziende automobilistiche per
l’integrazione “seamless” con i propri
sistemi di infotainment:
Nokia HERE Auto
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
MERCATO Il processo per fare il passaporto elettronico è stato migrato in larga parte al digitale, ma non tutto fila liscio
Passaporto elettronico sì, ma molto poco digitale
Purtroppo la coabitazione con le pratiche cartacee fa sì che la maggior parte dei vantaggi per i cittadini vada perso
I
di Gianfranco GIARDINA
l nome “Passaporto Elettronico” farebbe ben sperare: finalmente - viene da credere - la Pubblica
Amministrazione ha imboccato la strada della
digitalizzazione. Chi invece si è trovato a rinnovare il passaporto in questi mesi ha sperimentato una
digitalizzazione a metà, che non semplifica più di tanto
le cose al cittadino e che non cambia le (cattive) abitudini della Pubblica Amministrazione. Anzi, per mancanza di coraggio, di visione o di capacità gestionali,
si inseriscono le rigidità e i costi dei sistemi digitali,
senza modificare di fatto il processo, che resta ancora
molto “cartaceo”. Ma andiamo per gradi.
Un inizio promettente
si fissa l’appuntamento con un sito
Va detto innanzitutto che il “passaporto elettronico” si
chiama così non tanto perché sia immateriale o realizzato per via digitale, ma perché integra nella copertina un microchip che aumenta il livello di sicurezza
e automatizza alcune operazioni di riconoscimento.
Ma per certi versi, il passaporto elettronico - a partire dal nome - poteva anche essere l’occasione per la
Pubblica Amministrazione per dimostrare la propria
propensione verso la semplificazione e digitalizzazione dei processi. E proprio questo sembra essere stato
l’intento: la Polizia di Stato ha aperto da qualche tempo
un sito che permette di preparare la propria domanda
di emissione di un nuovo passaporto e di prenotare
un appuntamento presso l’ufficio della questura preferito, per perfezionare il deposito della domanda stessa. Qui l’operazione va via veloce: si inseriscono tutti i
dati personali e familiari, si sceglie l’ufficio e quindi lo
slot orario disponibile. A breve giro di posta arriva via
mail la conferma dell’appuntamento fissato e il modulo della domanda precompilato in formato PDF. Il problema, almeno nel nostro caso, è che l’appuntamento
non è affatto tale: una volta arrivati al posto di Polizia
abbiamo scoperto che non c’è alcuna gestione degli
appuntamenti e ci è stato chiesto di fare una comune
fila allo sportello, attendendo il nostro turno: perché
allora richiedere di fissare un appuntamento?
La domanda (compilata online)
va consegnata in carta
A questo punto, bisogna radunare la documentazione per l’emissione del nuovo passaporto, da portare
in questura. E qui arriva il primo paradosso, derivante
evidentemente dalla ritrosia dell’apparato pubblico di
abbandonare le vecchie abitudini: la prima cosa che il
cittadino deve portare con sé è la stampa (!) del modulo
precompliato presente nel PDF ricevuto. In pratica, il
cittadino inserisce tutti i dati nel sistema telematico per
utilizzarlo come banale macchina da scrivere: infatti poi
deve presentarsi con il modulo su carta. Si tratta di una
cosa totalmente senza senso: se i dati sono già sul server della Polizia di Stato che ha ricevuto la domanda,
che motivo c’è di portare la stampata? L’ufficio che la
riceve, infatti, dispone di un terminale e recupera tutti i
dati della richiesta effettuata. Questo, tra l’altro, mette
in difficoltà, e del tutto inutilmente, i tanti utenti che non
dispongono di una stampante, come spesso accade a
coloro che operano solo da tablet. Perché non dematerializzare del tutto la domanda?
Le fotografie: l’assurda conversione
digitale-analogico-digitale
Insieme alla richiesta vanno consegnate due foto tessera rispondenti alle specifiche richieste per i passaporti esemplificati sullo stesso sito della Polizia di Stato.
Sarebbe molto facile consentire, in fase di caricamento
online della domanda, l’upload diretto di un’immagine
digitale, ovviamente da verificare in presenza del diretto interessato in questura.
La richiesta invece prevede due copie fisiche della fotografia, in dimensione 4 x 4 cm. Ed ecco un nuovo paradosso: quando si arriva allo sportello con le fotografie, quello che accade è che una di queste finisce per
essere pinzata sulla domanda cartacea; l’altra viene
ritagliata e applicata su un cartoncino premarcato che
poi viene inserito nello scanner per la digitalizzazione.
In pratica la foto, che in origine era digitale (ce la siamo
scattata da soli) deve essere stampata, con i costi ma
soprattutto con le complicazioni connesse, per poi essere ridigitalizzata pochi minuti dopo. Per farla ancora
più semplice basterebbe dotare gli uffici della questura
di una banalissima webcam (come accade un po’ dappertutto al mondo) per la cattura del viso dell’interessato direttamente al momento della presentazione della
domanda. Peraltro la presenza dell’interessato è obbligatoria dato che vengono catturate anche le impronte
digitali (che poi vengono memorizzate nel microchip):
tanto vale catturare anche il viso. A meno che non si
voglia difendere il business dei chioschi fotografici.
Addirittura, nel nostro caso, la prima foto consegnata
è stata “scartata” perché, a detta dell’impiegata che
ha ricevuto la domanda, “lo sfondo non è bianco” (era
semplicemente grigio chiaro). Avevamo seguito pedissequamente le istruzioni, anche molto visuali, presenti
sul sito della Polizia di Stato al capitolo “Esempio foto
per passaporto”: tutti gli esempi dati per corretti sono
su un prevalente sfondo blu e non bianco (come invece indicato nella lista dei documenti da presentare).
Siamo quindi stati costretti a fare una nuova fotografia
e farla ristampare di nuovo, con la conseguente perdita di tempo e denaro. Tutto si sarebbe risolto istanta-

segue a pagina 06 
torna al sommario
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
MERCATO È finita l’avventura dello smartwatch italiano finanziato da Ennio Doris attraverso un fondo d’investimento
Chiude i’m Watch: lo smartwatch italiano al capolinea
L’azienda incolpa Samsung, Google e Apple, colossi con i quali è impossibile competere. Ma la motivazione è traballante
L’
di Roberto PEZZALI
avventura di I’m Watch è arrivata
al capolinea: lo smartwatch italiano, il pioniere degli orologi intelligenti, resterà solo un ricordo, neppure
troppo piacevole per alcuni clienti. Nel
momento in cui smartwatch e tecnologia wearable sono i trend in crescita, i’m
Spa, l’azienda di Manual Zanella e Massimiliano Bertolini, ha annunciato di voler
uscire dal mercato dei wearable. Non
solo i’m Watch non sarà più prodotto, ma
viene sospeso anche il progetto i’mTracer presentato al Mobile World Congress
di Barcellona. L’azienda, che ricordiamo
è stata finanziata nel progetto da Ennio
Doris tramite un fondo di investimento,
ha annunciato ufficialmente la fine del
progetto sul suo sito.
“Autentica pioniera in questo settore,
l’azienda ha preso questa decisione
per via dell’accesa concorrenza che si
è creata sul mercato degli smartwatch
con la presenza di grandi aziende multinazionali che possono contare su una
straordinaria potenza finanziaria e tecnologica. Uno scenario competitivo che
di fatto ha confermato una volta di più
come il “first mover” di un settore difficilmente riesca poi a conquistare il mercato di riferimento.”
Una scusa questa però traballante: la
storia di i’m Watch è paragonabile infatti a quella dello smartwatch americano
Pebble, un prodotto nato e sovvenzionato dagli utenti tramite Kickstarter che
è riuscito a dimostrare che non esistono
solo Apple e Google. I’m Watch
è stata affossata da un supporto non all’altezza, da una durata
della batteria ridicola, da tempi
di consegna annunciati ma mai
rispettati e da un prodotto troppo complesso e macchinoso,
anche se diverse iterazioni software lo avevano piano piano
portato ad un livello discreto.
Neppure per il nuovo progetto i’mTracer
Zanella e Bertolini fanno il mea culpa.
“Per quanto riguarda i’mTracer, le cui
performance devono rispondere a livelli di elevata affidabilità, il prolungato perdurante ritardo nel suo sviluppo
tecnologico, affidato ad una società di
progettazione esterna, ha portato ad un
impegno finanziario molto più elevato
di quello inizialmente previsto, costringendo così l’azienda alla sospensione
del progetto, nonostante che gli aspetti
commerciali e quelli di marketing fossero già ampiamente definiti e pronti per
il lancio.”Chi ha comprato lo smartwatch potrà avvalersi dei diritti di garanzia e assistenza come previsto dalla legge.
MERCATO
Passaporto elettronico, ma poco digitale
segue Da pagina 05 
quanto faceva ai tempi delle foto solo analogiche con
l’aggravio anche della scansione e della gestione del
file. Il peggio di entrambi i mondi.
Passaporto elettronico, pratica online
ma pagamento solo in posta

neamente con una banale webcam. Alla fine, quando
si ritira il passaporto, si scopre che la foto è appunto
digitale ed è stampata e non applicata sul documento.
Ma la conversione digitale-analogico-digitale della foto
non può che averne compromesso la qualità: l’immagine è brutta, addirittura attraversata da un difetto di
scansione o di stampa. Se la foto fosse stata caricata
direttamente online da cittadino inviando il file originale sarebbe stata sicuramente qualitativamente migliore
e, quindi, con una maggiore riconoscibilità, elemento
che dovrebbe ispirare le scelte relative ai passaporti. E
anche con un buon risparmio di tempo per l’operatore:
invece così chi processa la pratica si trova a fare tutto
torna al sommario
E poi arriviamo ai pagamenti da effettuare prima di poter presentare la domanda. Si tratta in buona sostanza
di una marca da bollo da 73,50 € e di un versamento di
42,50 € sul conto corrente postale del Ministero delle
Finanze. Già il cittadino fatica a capire perché sia necessario fare due pagamenti disgiunti che - alla fine - vanno
entrambi per canali diversi nelle casse dello Stato: e infatti un motivo vero non c’è, salvo la lentezza della burocrazia che sarebbe molto inefficiente nel ridistribuire
questi fondi ai due uffici pubblici che li devono ricevere.
La marca da bollo, seppur “elettronica”, va comperata in
un tabaccaio o in una delle rivendite autorizzate. Ma il
maggior paradosso è il versamento sul conto corrente
postale. Le istruzioni del sito della Polizia di Stato sono
chiare: il versamento va effettuato “esclusivamente” attraverso un particolare bollettino postale precompliato
che si trova presso gli uffici postali, che sempre presso
gli uffici postali va pagato. Noi, increduli, per evitare il
viaggio all’ufficio postale e la lunga fila per il pagamen-
to, abbiamo prima provato in tutti i modi il pagamento
online. I nostri tentativi di pagare online, sia sui siti degli
istituti bancari che sul sito stesso delle Poste Italiane
non sono andati a buon fine: il pagamento su quello
specifico conto corrente postale viene sempre rifiutato
e quindi è obbligatorio recarsi presso un ufficio postale
e sperare che il bollettino prestampato sia effettivamente disponibile. Ovviamente tutto ciò poteva (o meglio
dovrebbe) essere evitato con un semplice pagamento
online sul sito sul quale si compila la domanda, con
carta di credito o PayPal: lo fanno ogni giorno milioni
di siti privati nel mondo, possibile che non possa farlo
uno Stato come l’Italia? E se proprio non si poteva fare
online, sarebbe stato sicuramente meglio richiedere
un’unica marca da bollo della somma delle due cifre.
Ma forse a chi ha pensato il processo non stanno molto
a cuore il tempo e le tribolazioni dei cittadini.
La notifica funziona
ma l’intero processo va rivisto
Dopo qualche giorno dalla consegna della domanda,
arriva in maniera tempestiva, e questa volta ben funzionante, una notifica via mail che il documento è pronto
presso l’ufficio della questura dove abbiamo presentato la domanda. E in effetti il documento è lì che ci
aspetta. Insomma, un processo che inizia bene e finisce bene, ma che in mezzo è ancora tutto da mettere
a posto, con tutti i difetti della gestione cartacea tradizionale che si sommano alle rigidità di quella digitale.
Una questione da poco - sia chiaro - visto che alla fine
il Passaporto lo si ottiene in molti meno giorni di quanto
non accadeva qualche decennio fa. Ma si tratta di un
esempio lampante di come l’applicazione dell’Agenda
Digitale richieda nel nostro Paese persone molto competenti e un impegno a riprogettare i processi, non solo
a rivederli in chiave (apparentemente) “moderna”.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
MERCATO Anche il terzo trimestre di Samsung vede una sensibile contrazione dei profitti
Samsung: profitti giù del 60% in un anno
Sulla divisione smartphone pesano la concorrenza sempre più forte e il calo dei prezzi
di Paolo CENTOFANTI
amsung avvisa gli investitori,
prima del rilascio dei dati ufficiali, che l’ultimo trimestre fiscale
vede ancora un calo dei profitti, con
prestazioni peggiori del previsto. Il terzo quarto fiscale dell’anno si chiuderà
infatti con un margine operativo di 4,1
trilioni di Won, pari a circa 3 miliardi di
euro, con un calo del 60% rispetto allo
stesso periodo di un anno fa e in calo
di oltre il 40% rispetto allo scorso trimestre. A pesare sul bilancio di Samsung
è ancora una volta l’erosione dei profitti per quanto riguarda gli smartphone e i tablet, mercato in cui è in corso
una sensibile contrazione dei prezzi a
fronte della concorrenza che arriva dai
produttori cinesi di terminali Android di
fascia bassa e media. Sulla fascia alta,
invece, nell’ultimo mese si è aggiunta
la concorrenza di Apple che soprattut-
S
MERCATO
DTS su tutti
i prodotti LG
TV compresi

DTS e LG hanno firmato un accordo
strategico globale che consentirà
al marchio coreano di integrare
un decoder DTS, e in particolare
DTS-HD, all’interno di tutta la propria offerta. Escludendo i prodotti
per i quali non avrebbe senso, possiamo dunque supporre l’integrazione della tecnologia DTS nei TV,
nelle soundbar, nei sistemi home
theater e prodotti analoghi di home
entertainment. Più nel dettaglio, LG
ha ora la possibilità di integrare nei
propri prodotti il decoder DTS-HD,
che di fatto rende compatibile il
prodotto con le codifiche DTS, DTS
Coreless Lossless, DTS Express e
DTS-HD Master Audio, quest’ultima
inaugurata con i Blu-ray Disc una decina d’anni fa e attualmente sinonimo di altissima qualità d’ascolto. E’
previsto il supporto fino a 11.1 canali,
mentre la compatibilità con il DTS
Surround (il DTS “classico”, tanto
per intenderci) è una fondamentale
apertura verso formati magari non
più allo “stato dell’arte” (come il
DVD) ma pur sempre diffusissimi.
torna al sommario
Swisscom sta
valutando se
vendere Fastweb
a Vodafone
Acquistando Fastweb
Vodafone entrerebbe
in diretta competizione
con Telecom Italia
nella comunicazione
su fibra ottica
di Emanuele VILLA
to con i nuovi iPhone 6 Plus ha preso
di mira una nicchia in cui prima Samsung dominava quasi incontrastata,
mentre aziende come Huawei e Xiomi
cominciano offrire alternative di qualità
a prezzi sensibilmente più bassi.
L’andamento del titolo degli ultimi anni
mostra come Samsung, dopo una note-
vole crescita a partire dal 2011, si trovi
ora ai minimi dal 2012 e tendenzialmente in calo da ormai più di un anno.
Più volte negli ultimi mesi gli analisti
avevano sottolineato come l’eccessivo
sbilanciamento di Samsung sulla telefonia avrebbe potuto creare problemi
sull’andamento generale dell’azienda.
MERCATO Il canale TV dedicato allo shopping va a gonfie vele
In forte crescita il canale HSE24
Nuova sede e 30 assunzioni
U
di Emanuele VILLAI
na notizia piacevole per chi ama fare
shopping e, magari, segue con costanza gli
show di HSE24, il canale
di shopping e informazione accessibile al 37
del digitale terrestre e
870 di Sky. In un momento di crisi economica come questo, HSE24
diffonde segnali e dati
incoraggianti che dimostrano lo stato di salute di un’attività che può ancora garantire
prospettive di crescita. L’azienda, che com’è noto propone show di vendita per 17 ore
al giorno, delle quali 15 in diretta, ha recentemente inaugurato la propria nuova sede
a Fiumicino, con completo rinnovamento dei set televisivi in cui avviene la ripresa e la
trasmissione dei programmi. Con la nuova sede, dice l’AD del gruppo Nicola Gasperini, si realizza un vero e proprio Villaggio HSE24, con l’accorpamento di uffici e studi
in una sede da 7.000 metri quadri. L’inaugurazione della nuova sede è stata inoltre
l’occasione per fare il punto sul progetto HSE24 e valutare alcuni numeri forniti dall’azienda, che nonostante il periodo globalmente non favorevole, mostra prospettive
di crescita; colpisce l’aumento dell’organico di 30 unità entro la fine dell’anno, unità
che si sommeranno ai 180 dipendenti attuali e a un investimento in comunicazione
di 2 milioni di euro, a sua volta diretta conseguenza del raddoppio del fatturato del
2014 rispetto al 2013.
Secondo Reuters, Swisscom starebbe vagliando l’ipotesi di vendere Fastweb a Vodafone per una
cifra tra i 4 e i 5 miliardi di euro.
Secondo le stesse fonti, la trattativa non sarebbe ancora avviata
ma Vodafone avrebbe manifestato chiaramente l’intenzione di
sedersi a un tavolo con Swisscom
per discutere una possibile acquisizione e dal canto suo, l’azienda
svizzera sarebbe possibilista in
merito. Contattate da Reuters,
nessuna delle aziende interessate
ha rilasciato dichiarazioni in merito. Swisscom acquistò Fastweb
nel 2007 per 4,2 miliardi di euro
e finora non ha mostrato alcun
desiderio di disfarsene, ma la sua
acquisizione da parte di Vodafone
darebbe a quest’ultima un vantaggio competitivo enorme nella
battaglia sulla fibra ottica, che
al momento vede contrapposte
Fastweb e Telecom Italia. Sempre secondo Reuters, anche altre
aziende sarebbero interessate a
rilevare Fastweb, ma la presenza
importante nel mercato italiano
e l’interesse più volte mostrato
in merito darebbero a Vodafone
una posizione di forza all’interno
di un’eventuale trattativa. L’acquisizione di un operatore di banda
ultralarga si inserirebbe perfettamente nella strategia globale
dell’azienda, poichè Vodafone sta
cercando di affiancare al proprio
core business di connettività mobile anche la fornitura di contenuti
e servizi annessi.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TV E VIDEO Google lancia un set top box che funge da centro multimediale e da console giochi
Google Nexus Player è il primo Android TV
Nexus Player per ora arriverà solo in USA, è già disponibile in preorder al prezzo di 99$
O
di Emanuele VILLA
ltre alla release definitiva del sistema operativo e ai due nuovi
Nexus, Google ha anche annunciato un set top box con funzionalità
di streaming e di console da gaming:
Nexus Player, il primo dispositivo basato
su Android TV. Nexus Player, realizzato
da Asus e basato su uno chassis circolare molto curato e rifinito, si pone come
punto di riferimento dell’intrattenimento
domestico nell’era “connessa”: grazie ai
servizi di Google, che spaziano in ogni
settore dell’entertainment, Nexus Player
non solo offrirà streaming audio e video,
ma anche un’infinità di altri servizi di fornitori terzi, multimediali e d’informazione.
Parlando di mercato statunitense (Nexus
Player è previsto al momento per i soli
USA), non possiamo non citare Netflix,
Hulu, TuneIn, YouTube, Pandora, Plex e
Songza, che si sommano ai servizi di casa
Google quali Music, Games e Movies &
TV. Senz’altro streaming, senz’altro compatibilità con Google Cast (Chromecast,
tanto per intenderci) e integrazione perfetta con gli altri dispositivi Android di
casa, ma con una particolare predilezione per i giochi: d’altronde su Play Store
Pratico costa 18 euro
ed è il telecomando
due in uno pensato
appositamente
per Mediaset Premium
e compatibile con tutte
le TV e tutti i decoder
della pay TV
ce n’è un’infinità e sarebbe uno spreco
non poterne usare almeno una selezione in salotto. Ed è questo il motivo per
cui tra gli accessori di Nexus Player è già
previsto il gamepad, che secondo le dichiarazioni dell’azienda è stato realizzato
per permettere il controllo preciso dei
migliori Android. Insieme alla console,
che sotto il profilo tecnico è basata su
un processore Intel Atom quad core da
1.8 GHz e dispone di Wi-Fi ac integrato
(oltre ovviamete a una presa HDMI per il
collegamento al TV), Google fornisce anche un piccolo telecomando abilitato ai
controlli vocali e pensato per le funziona-
lità multimediali dell’apparecchio, mentre
- come detto - chi volesse lanciarsi nel
gaming dovrebbe acquistare a parte il
joypad. Sempre sotto il profilo hardware, segnaliamo gli 8GB di storage, 1 GB
di RAM e la GPU Imagination PowerVR
Serie 6. Nexus Player è già disponibile
in preorder (USA) su Play Store, al prezzo
di 99 dollari.
ENTERTAINMENT Il servizio di streaming ha aggiornato il catalogo con il codec AAC a 320 kbp
Per gli abbonati la musica di Rdio si sente meglio
L’opzione è attiva su ogni tipo di dispositivo, ma solo per chi ha un abbonamento unlimited
di Massimiliano ZOCCHI
roliferano da tempo i servizi per
ascoltare musica in streaming e la
concorrenza è spietata. Come spingere gli utenti a scegliere la propria proposta anziché una dei concorrenti?
Rdio, uno dei principali attori del settore, prova a giocare la carta della qualità
d’ascolto. L’intero catalogo del servizio
fondato nel 2010 e presente in 60 paesi
è stato aggiornato utilizzando il codec
AAC a 320 kbps. I vantaggi di questa
codifica, specialmente a questi livelli di
banda, sono noti, e rappresentano un
netto salto in avanti. La codifica è proposta in tutte le versioni di Rdio, sia per PC
che per le app sui device portatili, ma potrà essere utilizzata solo dagli abbonati
al servizio unlimited, disponibile in Italia
a 9,99 euro al mese. Chi vorrà usufruire

P
torna al sommario
Meliconi ritorna
con Pratico
Un telecomando
per Mediaset
Premium
della versione gratuita si dovrà accontentare della scelta tra 64, 96 e 192 kbps.
Anche chi utilizzerà la sottoscrizione top
potrà comunque scegliere il livello di
qualità per ogni dispositivo, per ottimizzare la banda disponibile, specialmente
in mancanza di rete WiFi. La scelta del
bitrate è utile, inoltre, per chi decide di
scaricare i brani sul proprio dispositivo
per l’ascolto offline, così da ottimizzare
lo storage. Per avere a disposizione la
nuova opzione sarà sufficiente effettuare il login oppure aggiornare l’app iOS
o Android. Ricordiamo che il servizio è
disponibile anche in diversi sistemi multiroom come Roku e Sonos.
di Roberto PEZZALI
Meliconi torna sul mercato con
un nuovo modello di telecomando universale: Pratico è il nuovo
telecomando dedicato espressamente a Mediaset Premium
che può comandare direttamente una TV e un decoder esterno.
A meno di 20 euro il nuovo Pratico dispone di codici per più di
30 modelli di decoder in circolazione e per quasi tutte le TV sul
mercato, da quelle più piccole ai
grossi TV per il salotto. La differenza tra i classici telecomandi
e il nuovo Pratico di Meliconi è
l’inserimento di una serie di tasti
dedicati a Premium e ai servizi
interattivi, con un bel bottone
azzurro nella zona centrale. Purtroppo non è retroilluminato e i
materiali non sembrano troppo
pregiati, ma a questa cifra non
si può chiedere neppure
troppo. Nel
caso in cui
si rompa un
telecomando,
soprattutto
quello del decoder, la soluzione Pratico
è sicuramente da considerare anche
solo per la
comodità di
avere
due
prodotti
in
uno. Il prezzo di listino
è fissato a
17,90 euro.
Nuovo Loewe Connect.
Una sorprendente gamma di TV Ultra HD.
Loewe Connect. Immagini nitide e ultra-definite unite ad una eccezionale qualità audio
grazie all’avanzata tecnologia degli altoparlanti SOEN©. Un vero talento multimediale, con
hard disk integrato da 1 TB e tutta la comodità di programmare le registrazioni anche da
remoto. Disponibile in vari colori, nei formati 40‘‘ e 55‘‘. Rigorosamente Made in Germany.
www.loewe.it
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE Apple ha presentato iPad Air 2, con soli soli 6,1 mm di spessore è il più sottile di tutti
iPad Air 2: sottile, potente e fa foto più belle
Prezzi da 499 euro (16 GB Wi-Fi) fino a 819 euro (128 GB cellular), è già possibile ordinarlo
di Roberto Pezzali
I
l nuovo iPad Air è finalmente arrivato,
e si chiama come previsto iPad Air 2.
Apple fa contenti tutti: per chi voleva
un tablet più sottile ha ridotto ancora lo
spessore portandolo a 6.1 mm, per chi
fotografa con il tablet ha aggiunto una
fotocamera più potente e, a condire il
tutto, ha pure inserito la versione oro,
che a qualcuno piace sempre. Tolta la
finitura Gold, indirizzata inevitabilmente
ad altri mercati, ma comunque disponibile anche da noi, l’iPad Air 2 è un notevole passo avanti per coloro che hanno
uno dei primi 4 modelli di iPad
Gli elementi di forza del nuovo iPad sono
principalmente il nuovo schermo, il processore, la fotocamera e la sezione di
rete. Il processore è il nuovo A8X, versione con GPU potenziata dell’A8, sempre
64 bit ma una potenza di calcolo grafico
del 40% superiore a quella del vecchio:
rispetto al primo iPad l’aumento di prestazioni è enorme, ma questo lo davamo
anche per scontato.
L’elemento forse più interessante per
molti utenti è la nuova camera iSight
da 8 Megapixel con pixel da 1.12micron, ottica F2.4 e possibilità di ripresa
video 1080p: la camera non è la stessa
dell’iPhone 6, ma probabilmente si avvicina molto come prestazioni a quella
dell’iPhone 5S. Ovviamente, grazie a
iOS 8 e all’engine fotografico integrato
nel nuovo SoC A8X, la camera è in grado
di registrare video Full HD, time-lapse,
slowmotion e di scattare foto panorama
a 43 Megapixel. Nonostante la riduzione
delle dimensioni l’iPad mantiene un’ottima autonomia, 10 ore, e può contare
anche su un nuovo tipo di schermo con
pannello, vetro e touch uniti in un unico
elemento (gap-less) rivestiti da un nuovo
trattamento antiriflesso.
I prezzi partono da 499 euro per la versione da 16 GB Wi-Fi passando a 599
per la 64 GB e 699 per la 128 GB. Per
le versioni cellular si parte da 619 euro
per la 16 GB, 719 euro per la 64 GB e
819 euro per la 128 GB. iPad Air 2 si può
già preordinare.
iPad Mini Retina 3: in più ha solo il Touch ID
Il Touch ID fa salire i prezzi, chi non è interessato alla funzione può scegliere l’iPad 2 Mini

A
torna al sommario
Nei nuovi iPad disponibili
sul mercato Usa e UK ci
sarà Apple SIM: una SIM
riprogrammabile creata
da Apple che permetterà
all’utente di scegliere
l’operatore post vendita
di Roberto PEZZALI
MOBILE Apple rivede anche l’iPad in versione Mini, che arriva così alla terza generazione
di Roberto Pezzali
pple ha presentato anche
l’iPad Mini 3 e qui è il caso di andare
subito al sodo: rispetto al modello
precedente le novità sono il Touch ID e
il colore Gold. Nel corso della presentazione il capitolo iPad Mini è passato mol-
Apple vuole
eliminare
la SIM card
to veloce, una sola pagina, forse perché
davvero non c’era molto da raccontare:
anche controllando la tabella di confronto sul sito si capisce che iPad Mini 2 e
iPad Mini 3 sono identici, stesso schermo, stesse dimensioni e peso e stesso
processore A7. Cambia, come abbiamo
detto, il Touch ID, e probabilmente è un
elemento costoso se l’iPad Mini 3 da
16 GB costa di più del vecchio modello
Retina da 32 GB, comunque acquistabile. Invariati anche tutti gli altri elementi,
dalla rete alla fotocamera: come per il
modello maggiore arriva la finitura Gold
e sparisce la versione da 32 GB: il Mini 3
da 16 GB costa 399 euro, il Mini 2, invece, ha un prezzo di 299 euro. A questo
punto, per chi vuole prendere il piccolo iPad e non è interessato al Touch ID
conviene davvero il vecchio modello da
32 GB, ha più memoria e costa meno. Le
altre configurazioni prevedono l’esborso di 499 euro per il 64 GB e di 599 per
il 128 GB, mentre i modelli LTE sono posizionati a 519 euro, 619 euro e 719 euro
rispettivamente per 16, 64 e 128 GB.
Apple si prepara ad un’altra svolta:
vuole mandare in pensione la vecchia SIM. Una mossa che è stata
già tentata in passato e che è stata arrestata dai paletti messi dagli
operatori telefonici. Questa volta,
però, Apple dev’essere stata molto persuasiva, perché i nuovi iPad
Air 2 e iPad Mini 3 saranno i primi
tablet con Apple SIM. I clienti di un
iPad in versione Wi-Fi + Cellular troveranno nello slot della SIM una
sim Apple universale e programmabile, da usare per accedere
a piani dati temporanei a breve
termine. Questo vuol dire che
chi viaggia, ad esempio, potrà
continuare a saltare di operatore
in operatore scegliendo sempre
l’opzione più conveniente, con addebito su carta di credito associata all’account AppleID. Apple SIM
al momento funziona solo in UK e
USA e ovviamente può essere rimossa per far spazio ad una SIM
tradizionale. Apple ha comunque
messo le basi per quello che è il
vero spauracchio degli operatori
di telefonia, un prodotto privo di
SIM che in due passaggi permette
di sganciarsi da un operatore per
passare alla concorrenza. La facilità del passaggio con Apple Pay è
inotevole se paragonata alla fatica
necessaria per dotarsi di un piano
dati, con limitazioni e vincoli. Resta
da chiedersi se mai gli operatori
accetteranno una cosa simile anche su uno smartphone: sarebbe
la fine della SIM.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE Google ha ufficializzato il nome e diffuso i dettagli del nuovo sistema operativo mobile
Android 5.0 Lollipop, ecco tutte le novità
Il sistema operativo di Google farà il suo debutto sugli attesissimi Nexus 6 e Nexus 9
G
di Paolo CENTOFANTI

oogle ha ufficialmente dato un
nome ad Android L e illustrato i
dettagli della nuova versione del
sistema operativo mobile. Android giunge così alla versione 5.0 e proseguendo
la tradizione dei “dolcetti” prende il nome
di Android Lollipop, leccalecca. Android
Lollipop arriva con un tema grafico completamente rinnovato all’insegna del
nuovo “material design”: animazioni fluide e naturali, luci ed ombre realistiche e
una tipografia più leggera e ariosa. Sotto
il nuovo “vestito” ci sono anche importanti cambiamenti a livello più profondo
del sistema operativo. Innanzitutto Android supporta ora i processori a 64 bit
con architetture x86, ARM e MIPS e tutte
le principali Google apps saranno già ottimizzate a 64 bit. Tutte le app di terze
parti scritte in Java saranno, inoltre, già
in grado di sfruttare l’architettura a 64 bit
del sistema operativo. Ma Google ha anche rivisto l’ambiente runtime di Android
con l’introduzione di ART, che promette
a parità di processore prestazioni fino a
quattro volte superiori rispetto a Dalvick, una maggiore fluidità dell’interfaccia
grafica e una migliore gestione del multi-tasking. ART era già stato introdotto in
via sperimentale in KitKat, ma in Lollipop
diventa il nuovo runtime di riferimento
per gli sviluppatori. Altre novità relative
alla fondamenta del sistema operativo
riguardano una maggiore efficienza
energetica, un migliore supporto per i dispositivi Bluetooth Smart e LE, supporto
per le librerie grafiche OpenGL ES 3.1 e
soprattutto una completa revisione del-
torna al sommario
Will.i.am ha
presentato Puls
Lo smartwatch
indipendente
Il cantante
dei Black Eyed Peas
ha lanciato Puls
È uno smartwatch di
lusso che può fare a
meno dello smartphone
di Roberto PEZZALI
l’engine audio. Android Lollipop promette supporto per audio a bassa latenza
per le app di produzione musicale (uno
dei talloni di Achille di Android finora)
e introduce il supporto per gli accesori
audio USB (microfoni, cuffie, mixer, ecc.).
Confermati il supporto nativo per il nuovo codec HEVC fino a risoluzioni Ultra
HD e la possibilità di salvare fotografie
in formato RAW. A livello di funzionalità,
con Android Lollipop arriva una gestione più flessibile delle notifiche. L’utente
può personalizzare le informazioni che
verranno visualizzate sulle notifiche per
ogni app, per una maggiore privacy,
e viene introdotta una nuova
modalità Priority che, quando attivata,
permette di ricevere notifiche solo da
determinati contatti e servizi. Inoltre è
ora possibile interagire con le notifiche
anche direttamente dalla lockscreen.
L’altra grossa novità è il supporto multiutente anche per gli smartphone. Ciò
consente di accedere ai propri dati sul
telefono di un amico, semplicemente
loggandosi con il proprio account, oppure ancora prestare il proprio smartphone
in modalità guest bloccando l’accesso
ai propri dati personali. Parlando di sicurezza dei dati, con Android Lollipop
la crittografia sul telefono è attiva di default, in modo da proteggere il contenuto in caso di furto. La lista completa delle
novità è disponibile sulla pagina ufficiale
dedicata ad Android 5.0.
Due anni abbondanti dopo i primi
annunci di sviluppo, arriva Puls, lo
smartwatch “non watch” che andrà all’attacco del mercato.Cosa
lo differenzia dal resto dei contendenti al trono? La possibilità
di effettuare e ricevere chiamate,
oltre all’accesso alla rete grazie a
un’antenna 3G integrata. Niente
smartphone da portarsi appresso,
quindi, e la possibilità di ascoltare musica, connettersi e tenere
traccia dell’attività fisica saranno
demandate in toto al Puls stesso,.
Pochi i dettagli tecnici rivelati, il
dispositivo ha Wi-Fi, Bluetooth,
16 GB di storage, è già predisposto per i social network e sarà
anche disponibile un’alternativa
a Siri, con nome in codice AneedA. Nulla si sa sull’autonomia del
dispostivo, da segnalare però l’ingresso sul palco di alcuni modelli
che sfoggiavano vestiti con pacchi
batteria integrati e in grado di alimentare lo smartwatch a contatto,
Così facendo, Will.i.am giura due
e giorni e mezzo di autonomia.
Sul finale dell’evento si è parlato
di Puls in oro e Puls in oro e diamanti oltre alle versioni standard
in nero, bianco, rosa e blu. La disponibilità sul mercato sembrerebbe fissata per il periodo delle
feste di fine anno; il prezzo, al momento, è ancora ignoto.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE È il primo phablet Google con Android Lollipop, ha caratteristiche senza compromessi
Nexus 6 è enorme, metallico e velocissimo
Sarà disponibile da novembre, i prezzi sono elevati ma in linea con la qualità del prodotto
D
di Emanuele VILLA
opo settimane di rumor imbizzarriti, Google ha deciso di togliere i
veli al suo smartphone più grande di sempre: il Nexus 6. La filosofia di
Google è sempre stata quella di proporre terminali allo stato dell’arte ma
anche attenti all’etichetta del prezzo.
Questa volta la situazione sembrerebbe
un po’ diversa: Nexus 6 è un terminale
“no compromise” in tutto e per tutto,
con chassis in alluminio e una dotazione hardware allo stato dell’arte, per cui
supponiamo che il prezzo non sia da
meno. Il dispositivo sarà disponibile da
novembre (preordini a partire dal 29
ottobre) a prezzi attualmente non ancora confermati: si parla di 649 e 699
euro a seconda del taglio di memoria
(32/64GB), ma attendiamo conferme.
Considerando vengono memorizzati
sempre più video, foto e musica, e che
le app sono sempre più pesanti, Google
ha deciso di non proporre la versione da
16GB: si parte da 32GB e ci si dimentica
dello spazio libero. È il più grande Nexus
di sempre, se parliamo di smartphone,
perché è un 6’’ con schermo Amoled
Quad HD (2560x1440) con una densità
di 493 ppi: vedremo se su un 6’’ il Quad
HD ha davvero una marcia in più. Come
anticipato nella recensione di Galaxy
Note 4, uno schermo del genere ha bisogno di un processore potentissimo
per non subire lag o rallentamenti, e per
l’occasione è stato scelto lo stesso SoC
del Note 4, ovvero lo snapdragon 805
quad core da 2,7 GHz con GPU Adreno 420, capace di ottimi risultati sotto
il profilo grafico. Nel comunicato una
cosa che ci ha colpito particolarmente
riguarda la batteria da 3.220 mAh: non
tanto per la supposta autonomia (anche
qui, saremo sui livelli di Note 4), ma per il
fatto che con la ricarica Turbo il telefono
“guadagna” 7 ore di autonomia con 15
minuti di carica. Nexus 6 è ovviamente
un terminale LTE, il primo smartphone
basato su Android 5 Lollipop, misura 82.98 x 159,26 x 10,06 mm per 184
grammi di peso, ha una memoria RAM
di 3GB e una fotocamera rinnovata, con
modulo principale da 13 Mpixel f/2.0 con
stabilizzatore ottico e capacità di cattura
4K a 30fps, e fotocamera frontale da 2
Mpixel per i selfie.
Samsung
annuncia
l’Exynos 7 Octa
Sulla scia degli annunci di Google,
Samsung ha lanciato un nuovo
processore mobile della sua gamma
Exynos, l’Exynos 7 Octa. Si tratta di un
otto core con architettura ARM big.
LITTLE realizzato con il nuovo processo a 20 nm di Samsung. Nonostante
l’azienda sul sito ufficiale non ne
faccia esplicita menzione, si tratta anche del primo SoC Samsung a 64 bit,
e verrà utilizzato in alcune varianti
del Galaxy Note 4. Gli otto core del
processore sono infatti costituiti da
quattro Cortex-A57 ad alta potenza e
quattro Cortex-A53 ad alta efficienza,
entrambi basati su design ARMv8 a
64 bit. Il nuovo Exynos integra la GPU
ARM Mali T-760 e un nuovo doppio
processore di immagine in grado di
elaborare simultaneamente i dati di
due fotocamere a 30 fps, con sensori
fino a 16 Megapixel per quella principale e 5 Megapixel per quella frontale. Il processore supporta inoltre il
nuovo codec HEVC fino a risoluzione
Ultra HD, ma
come altri
modelli della
gamma Exynos
non include il
modem LTE.
MOBILE Google e HTC hanno presentato Nexus 9, tablet con design e caratteristiche al top
MAGAZINE
Estratto dal quotidiano online
www.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milano
n. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabile
Gianfranco Giardina
editing
Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago,
Alessandra Lojacono, Simona Zucca
Editore
Scripta Manent Servizi Editoriali srl
via Gallarate, 76 - 20151 Milano
P.I. 11967100154
Per informazioni
dday@dday.it

Per la pubblicità
adv@dday.it
torna al sommario
Nexus 9 sarà il primo 64 bit con Android Lollipop
Tutto in alluminio, Nexus 9 entrerà in competizione con i big del settore, iPad Air in testa
G
di Emanuele VILLA
oogle ha presentato anche il tablet Nexus 9, un dispositivo di
alta gamma realizzato da HTC e
che entra in diretta competizione con i
più prestigiosi terminali del segmento,
iPad Air in testa. Tutto questo a partire
dal look, che si avvale di una scocca
in alluminio spazzolato che ricorda da
vicino lo smartphone One M8, flagship
dell’offerta del produttore taiwanese. Il
display è un 9’’, 8,9’’ per la precisione,
con la risoluzione di 2048 x 1536 (4:3),
mentre alle prestazioni ci pensa Nvidia
Tegra K1, un SoC basato su architettura a 64bit (pienamente supportata da
Android Lollipop). Il processore è un
dual core 2,3 GHz, supportato da 2 GB
di RAM DDR3 e da
uno storage di 16
GB o 32 GB a seconda dei modelli.
Altre caratteristiche
importanti
sono
la doppia fotocamera da 8 (f/2.4) e
1.6 Mpixel, il doppio
altoparlante frontale con HTC BoomSound, la disponibilità di versioni Wi-Fi
e Wi-Fi + 4G, la connettività NFC e la batteria integrata da
6.700 mAh. Google e HTC non dichiarano una data di lancio ma annunciano
l’apertura dei preordini per il 17 ottobre
su Play Store: i formati disponibili saranno quello da 16GB al prezzo di 399
euro, quello da 32GB a 489 euro e, infine, quello da 32GB LTE a 569 euro.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE HTC ha lanciato il Desire Eye, nuovo smartphone top di gamma della serie Desire
HTC Desire Eye è il selfie phone definitivo
È il primo smartphone con una doppia fotocamera da 13 Mpixel ed è anche splashproof
H
di Roberto PEZZALI
TC lancia Desire Eye: mai nome
avrebbe potuto essere più azzeccato per il Polifemo degli smartphone. Subito sopra il display troviamo
infatti la grossa fotocamera frontale da
13 Megapixel, dotata anche di un doppio
led a due toni per selfie perfetti.
La stessa camera la troviamo anche sul
retro, un modulo da 13 Mpixel BSI accoppiato però ad una lente diversa: la camera
frontale ha un grandangolo 22 mm F2.2,
quella posteriore un 28 mm F2. HTC
ha rivisto anche il software aggiungendo una serie di modalità particolari che
sfruttano la doppia camera, e per quella
frontale c’è anche un ritocco “live” che
leviga la pelle per ritratti perfetti. Desire
Eye, camera a parte, è un vero top di
gamma: Snapdragon 801, 2 GB di RAM
e 16 GB di memoria con una scocca realizzata fondendo due tipi diversi di plastiche per un guscio stagno che rende lo
smartphone IPX7, quindi splashproof.
Emergono alcuni scatti
del nuovo smartphone
da 5” Lenovo con corpo
in alluminio e spessore
ridotto. È la fotocopia
dell’iPhone 6, gli manca
solo la fotocamera
sporgente
di Roberto PEZZALI
HTC non rinuncia a caratteristiche come
BoomSound: nascosti ai bordi dello
schermo Full HD da 5.2” troviamo infatti
i due speaker stereo, sottili ma decisamente efficaci. Il sistema operativo è Android con interfaccia HTC Sense 6.0, la
batteria da 2.400 mAh e la connettività
LTE. Il prezzo del nuovo Desire Eye è ovviamente da top di gamma: 549 euro per
ognuna delle due versioni, red e blue.
MOBILE Si intensificano i rumor sul nuovo Oppo, l’N3, alimentati direttamente dall’azienda
Oppo
N3:
le
prime
foto
ufficiali
sui
social
Smentite le voci che erano circolate, la fotocamerà pare non potersi muovere lateralmente
O
di Roberto PEZZALI

ppo ci ha abituati alla sua strategia
di marketing: alimentare il gossip
sui prodotti attesi, centellinando
i particolari. Non esente da questa metodologia neppure il nuovo Oppo N3,
di cui vi abbiamo già parlato: la stessa
azienda asiatica ha, infatti, su Facebook
la prima foto ufficiale del nuovo terminale. L’immagine postata, seppure parziale
della sola parte superiore del terminale,
mostra la fotocamera, che come risulta
subito chiaro, non potrà muoversi lateralmente come descritto dai rumor dei giorni scorsi, ma piuttosto pare assomigliare
a quella del predecessore N1, ovvero in
grado di ruotare in avanti, cambiando all’occorrenza tra fotocamera principale e
fotocamera frontale, permettendo autoscatti di massima qualità e con flash LED.
Manca tuttavia la conferma di questa
ipotesi, poiché non è stata mostrata alcuna immagine della fotocamera in fase
di rotazione. Dall’immagine del retro del
torna al sommario
Lenovo Sisley
Se esiste è una
copia spudorata
dell’iPhone 6
device si intravede
anche la cornice,
che in questo caso
va a confermare le
notizie precedenti,
sembrando effettivamente di un materiale metallico, presumibilmente alluminio
o una qualche lega
simile. Curiosa anche la finitura in similpelle, di stampo tipicamente coreano (restando nel campo
degli smartphone ovviamente), anche se
dal poco che ci è dato vedere non ricoprirà tutta la parte posteriore, ma solo il
piccolo modulo della fotocamera girevole. In attesa di conferme ufficiali (attesa
per il 29 ottobre la presentazione) ricordiamo quelle che da voci di corridoio dovrebbero essere le caratteristiche principali: display da 5,9” Full HD, processore
Snapdragon 805 e 3 GB di RAM. La fotocamera sopracitata è probabile che
abbia un sensore da 13 Megapixel.
I rumors sono sempre da prendere con le pinze, ma scatti e news
arrivano da più fonti distinte: Lenovo sta per lanciare lo smartphone
Sisley, scocca in alluminio da 6.9
mm di spessore e schermo da
5”. Il nuovo smartphone è la copia spudorata dell’iPhone 6, con
qualche miglioria estetica: sparisce infatti l’ottica sporgente e
c’è solo una banda plastica nella
zona inferiore per isolare l’antenna. Disponibile in diverse colorazioni, il Sisley avrà fotocamera posteriore da 13 Mpixel e frontale da
8 Mpixel, disporrà di doppia SIM e
avrà connettività LTE.
Non c’è una data di introduzione,
ma vista la particolare linea c’è il
rischio concreto che il Sisley prima finisca sul mercato e un attimo
dopo in tribunale. Lenovo non è
certo l’ultimo arrivato, anzi, e difficilmente Apple resterà indifferente davanti ad un prodotto simile.
Samsung, volendo fare confronti,
ha perso cause per molto meno.,
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE Sul palco di Londra Lenovo ha presentato la gamma Yoga, con cui punta ad aggredire tutte le fasce di mercato
Lenovo Yoga: nuova gamma, versatilità super
Yoga 2 è disponibile con Windows e Android, Yoga 2 Pro ha a bordo un proiettore, Yoga 3 Pro è un PC convertibile da 13”
C
di Michele LEPORI
on i nuovi tablet Yoga presentati a Londra,
Lenovo non vuole limitarsi ad aggredire una fetta
di mercato ma punta decisamente alla torta intera, grazie a una gamma articolata, dotata di alcune
particolarità decisamente interessanti. Vediamo quali
sono in dettaglio i modelli presentati e le le loro principali caratteristiche.
Yoga Tablet 2,
Windows o Android?
Con Yoga Tablet 2 il colosso cinese rivede e corregge
il progetto iniziale dando ai propri clienti la possibilità
di scegliere sistema operativo, dimensioni del display e
modalità di utilizzo. Yoga Tablet 2, infatti, è disponibile
sia in versione Android che Windows, pur mantenendo
un look molto simile al modello dell’anno scorso.
Il primo passo in avanti riguarda la parte hardware: il
cuore di Yoga Tablet 2 è il processore Intel Atom presente in tutte le versioni, messo a supporto di una sezione audio caratterizzata da doppio speaker frontale
con Dolby Audio e Wolfson Master Hi-Fi. Un’attenzione
al suono che sorprende e ben evidenzia l’interesse di
Lenovo a focalizzarsi sull’uso multimediale del tablet.
Rispetto alla precedente generazione migliora anche
la fotocamera, che raggiunge ora gli 8 Mpixel, e l’autonomia della batteria in qualsiasi modalità di utilizzo.
Le altre caratteristiche tecniche meritevoli di menzione
sono il display Full HD IPS in tutte le versioni e l’autonomia dichiarata di 15 ore nella versione Windows e pari
a 18 ore in quella Android (4.4). Dal punto di vista della
fruizione dei contenuti, Lenovo ha aggiunto oltre alle
modalità Libro, Tilt e Stand, ereditate dal primo Yoga
Tablet, anche la modalità Hang, che permette di appendere il tablet. Dal lato software, come dicevamo, Lenovo offrirà la possibilità di acquistare lo Yoga Tablet 2
con Windows 8.1 o Android KitKat a bordo, entrambi
disponibili sia sulla versione da 8” che da 10”; le versioni Windows 8.1 avranno preinstallato Office 365 con un
anno di abbonamento omaggio.

Le disponibilità per l’Italia sono - per entrambe le versioni - dalla fine di novembre: Yoga Tablet 2 Windows
avrà un prezzo consigliato di 249 euro e 399 euro, a
seconda delle dimensioni di display, mentre i modelli
Android saranno in vendita a 229 euro nella versione
da 8 pollici e a 299 euro per quella da 10 pollici.
torna al sommario
Yoga Tablet 2 Pro
Ha un picoproiettore integrato
Yoga 3 Pro:
nuovo design e versatilità al top
Yoga Tablet 2 Pro è il primo tablet con picoproiettore
integrato (con tanto di stabilizzatore) per riprodurre
immagini e film come su uno schermo da 50 pollici,
se i 13 del tablet non dovessero bastare.
Una soluzione azzardata, forse, ma sicuramente qualcosa di nuovo in un mercato che sembra avere le polveri bagnate dopo anni di fuochi d’artificio. Oltretutto,
questo ben si coniuga con la destinazione business
del prodotto, dove creare e riprodurre presentazioni
è all’ordine del giorno.
Yoga 3 Pro è un PC convertibile da 13”, con processore Intel Core M, 512 GB di archiviazione SSD, grafica Intel integrata, schermo con risoluzione QHD+
(un “mostruoso” 3.200 x 1.800 pixel) e speaker JBL
con tecnologia Waves Audio. Il family feeling Yoga è
riconoscibilissimo, ma qui la classica “cerniera” degli
Yoga Tablet è stata riprogettata e vanta un design
definito dagli ingegneri cinesi “a cinturino d’orologio”,
funzionale alle modalità di uso Laptop, Stand, Tent o
Tablet. Yoga 3 Pro sarà commercializzato anche nelle
varianti Clementine Orange e Champagne Gold.
Yoga Tablet 2 Pro ha uno spessore di 3,7 mm, pesa
950 grammi e offre fino a 15 ore di autonomia; a livello
hardware c’è molto in comune col fratellino “non Pro”
ma anche qualche extra molto gradito, quale memoria
da 32 GB, espandibile a 64 GB via microSD, e una sezione audio ancora più prestante da 8W. Restano da
valutare caratteristiche importanti quali il processore
Intel Atom Z3745 (2M cache, 1,86 GHz), le quattro
modalità di utilizzo (la novità è Hang, che permette
all’utente di appendere il tablet in modo semplice) e
l’elevatissima risoluzione del display, un 13,3’’ QHD da
2.560 x 1.440 pixel. Inoltre, troviamo una fotocamera
principale da 8 Mpixel.
Riguardo a disponibilità e prezzi vale anche qui la finestra di lancio a fine novembre, ma il prezzo rilasciato da Lenovo di 499 euro vale solo per la versione
Wi-Fi only: il più versatile modello 4G al momento non
ha ancora un cartellino del prezzo.
Grande attenzione al software: Lenovo ha creato, infatti, un software denominato Harmony che impara
e riconosce le preferenze d’uso del prodotto e delle
app, adattandole automaticamente in base all’utilizzo
in quel momento; sarà così in grado di regolare le impostazioni audio durante la visione di un film piuttosto
che regolare la luminosità del monitor in fase lettura
basandosi sulla reale illuminazione della stanza.
Harmony avrà anche un lato social, dato che potrà
consigliare app specifiche in base a preferenze e interessi appresi affiancandosi all’utente. Anche per il più
importante esponente della famiglia Yoga bisognerà
aspettare fine novembre e per portarlo a casa bisognerà staccare un assegno da 1.599 euro.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
PC Presentato l’iMac con Retina Display 5K da 27’’, per acquistarlo servono (almeno) 2629 euro
Nuovo iMac, è un “mostro” con display 5K
Non è un prodotto inaspettato, ma il display da 5120x2880 pixel è davvero sorprendente
di Paolo CENTOFANTI
I
n molti si aspettavano un iMac con
Retina display; nessuno immaginava
che Apple potesse annunciare un
Mac con monitor 5K. 5K veri, 5120x2880
pixel per 27 pollici di schermo. È forse
questo l’annuncio più importante e interessante dell’evento Apple, perché
gli ingegneri di Cupertino hanno dovuto
sviluppare tanta tecnologia per realizzare lo schermo del nuovo iMac, a cominciare dal timing controller necessario
per pilotare i 14,7 milioni di pixel dello
schermo e non disponibile sul mercato.
Sono tante le tecnologie snocciolate
da Phil Schiller durante la presentazione, ma in così poco tempo che non c’è
stato modo di approfondirle tutte e probabilmente dovremo tornare a parlarne
con un approfondimento: oxide TFT,
organic passivation derivata dall’iPad,
photo alignment, una nuova retroilluminazione a LED capace di far risparmiare
il 30% nel consumo energetico rispetto
al display degli iMac precedenti, per 23
strati di componentistica in 1,4 mm di
spessore e 5 mm di cornice. Comunque
sia, il monitor del nuovo iMac è sicuramente degno di nota. Con un monitor
tanto definito è evidente che il nuovo
iMac da 27 pollici con Retina Display
deve in qualche modo superare la linea
di confine tra consumer e professionale.
Sotto il guscio in alluminio (che non subisce grossi sconvolgimenti nel design
rispetto la gamma attuale) ci sono componenti di tutto rispetto: processore Intel Core i5 da 3,5 GHz (con opzione per
Core i7 da 4 GHz), 8 GB di RAM DDR3 di
serie e soprattutto scheda grafica AMD
Radeon R9 M290X con 2 GB di RAM
GDDR5, l’ultima top di gamma (mobile)
con una potenza di 3,5 teraflop, con opzione M295X con 4 GB di RAM. A ciò
si aggiungono il fusion drive da 1 TB
(ibrido Hard Disk e SSD), connnettività
802.11ac, Thunderbolt 2.0 con supporto per un secondo monitor 4K esterno,
webcam FaceTime HD e, naturalmente,
OS X Yosemite pre-installato con tutte
le novità che questo si porta dietro.Il
prezzo? Tutto sommato, meno di quello
che ci si potrebbe aspettare visto il display 5K da 27 pollici: da 2629 euro.
Un milione di persone sta provando Windows 10
Primi dati su Windows 10. Molti l’hanno installato per testarlo a fondo, non per curiosità
di Emanuele VILLA
M

torna al sommario
Futuremark ha
aggiornato il popolare
benchmark 3D Mark
per includere un test
specifico legato al
gaming in 4K: i requisiti
sono altissimi, con il
PC che a 60 fps dovrà
gestire quasi 70 miliardi
di pixel al secondo
di Roberto PEZZALI
PC 200.000 sono i feedback ricevuti dall’azienda sulla cui base verranno poi corretti i bug
icrosoft fornisce i primi dati sul
Windows Insider Program, il
programma che permette a tutti
di provare in anteprima Windows 10, la
prossima release del Sistema Operativo di Redmond. Il primo dato ufficiale
riguarda i download: 1 milione di richieste, ovvero un buon “primo traguardo”
considerando che il software è stato lanciato una settimana fa e che il software
è dichiaratamente in stadio iniziale.
Interessanti le cifre circa il feedback ricevuto dall’azienda: 200.000 interventi
sono stati registrati da Microsoft, sulla
base dei quali verranno sviluppate ulteriori funzionalità del sistema operativo
e corretti i bug. Altri dati riguardano la
fiducia che le persone stanno riponendo
Come verificare
se il PC è adatto
al 4K
in Windows 10: secondo l’azienda, solo il
36% delle installazioni è avvenuto all’interno di virtual machine, mentre il 64%
ha usato il proprio PC, con l’evidente
(secondo Microsoft) intento di tenere e
usare a lungo il sistema. Inoltre, sempre
il comunicato Microsoft informa che il
68% delle installazioni usa più di 7 app
al giorno (ulteriore indicatore di un’installazione “durevole”), ma il 25% arrivia
addirittura a 26 app al giorno e il 5% supera le 68.
Arriva il benchmark per i
computer che ambiscono a diventare macchine per il gaming
in 4K: a proporlo è Futuremark,
che ha aggiornato il suo popolare benchmark 3D Mark integrando il primo test 4K Ultra HD. L’aggiornamento, disponibile nella
versione 3DMark v1.4.775, prevede l’aggiunta della versione
“Ultra” ai test Fire Strike e Fire
Strike Extreme, una modalità che
metterà a dura prova la scheda
video processando le immagini
offscreen a 3840 x 2160. Non
serve quindi un monitor 4K, ma
serve una scheda video potente
e con almeno 3 GB di memoria
dedicata.
3DMark ha aperto una sezione dedicata al particolare
benchmark 4K nella sua Hall of
Fame: chi ritiene di aver un computer abbastanza potente da
poter raggiungere i primi posti
della classifica può partecipare.
Al momento in testa alla classifica di coloro che hanno eseguito
il test con una sola GPU (con 2, 3
e 4 è troppo facile) ci sono solo
NVIDIA GTX980, che hanno raggiunto il notevole score di 3795.
Ma la gara è appena iniziata.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
PC Apple rinnova il suo piccolo desktop computer, ora ha anche Wi-Fi 802.11ac e Thunderbolt 2
Mac Mini 2014 è più veloce e costa meno
Il nuovo Mac Mini ha a bordo i più recenti processori Haswell e le schede grafiche Intel
di Roberto PEZZALI
pple aggiorna il suo Mac Mini: il
piccolo desktop, probabilmente
uno dei prodotti Apple meno noti al
pubblico, guadagna un nuovo processore, Wi-Fi 802.11ac e Thunderbolt 2, il tutto
con un prezzo che si abbassa rispetto alla
generazione precedente. Mac Mini è praticamente un notebook senza schermo, e
non è un caso che le configurazioni disponibili si rifacciano a quelle dei Macbook
Air e MacBook Pro Retina. Il nuovo minidesktop Apple parte da 519 euro, un
prezzo non certo bassissimo ma quanto
basta per renderlo il Mac più accessibile
di tutta la famiglia di computer Apple: la
configurazione base, quella appunto più
economica, prevede un processore Intel
Core i5 dual core a 1,4 GHz, 4 GB di memoria, Intel HD Graphics 5000 e un disco
rigido da 500 GB, praticamente il processore del Macbook Air entry level ma con
un disco però tradizionale. Se si desidera
un vero processore desktop (perdendo
un po’ in efficienza energetica) si deve
Il mini PC Asus GR8
promette prestazioni
adatte ai giocatori più
esigenti mantenendo
l’ingombro ai minimi
termini
A
di Michele LEPORI
passare al modello con processore Intel Core i5 dual core a 2,6 GHz, 8 GB di
memoria, Intel Iris Graphics e disco rigido
da 1 TB, anch’esso tradizionale: costa 719
euro. Il top di gamma, fatta eccezione per
configurazioni custom ordinabili online,
prevede un processore Intel Core i5 dual
core a 2,8 GHz, 8 GB di memoria, Intel Iris
Graphics e Fusion Drive da 1 TB al prezzo
consigliato di 1.019 euro, praticamente un
MacBook Pro Retina con Fusion Drive,
quindi SSD e disco tradizionale. Qualcuno potrebbe far notare che è più conveniente un Macbook, ma in realtà il Mac
Mini è molto sfruttato anche come server,
e in quest’ultimo caso la sua efficienza
energetica può fare la differenza.
PC È stata introdotta la possibilità di riprodurre file multimediali da chiavette e dischi USB
Arriva il media player per la PS4, ma è solo audio
Sony ha illustrato nuovi dettagli sull’aggiornamento 2.0 del firmware di Playstation 4
M
di Paolo CENTOFANTI

entre ci avviciniamo al primo
compleanno dell’ultima console
Sony, emergono nuovi dettagli
sul prossimo aggiornamento del sistema operativo di PlayStation 4. Il firmware
2.0, nome in codice Masamune, introduce diverse novità per lo più ancora interamente focalizzate sul gaming. Cominciano a esserci delle aperture in senso
multimediale per la console, ma Masamune non sarà quell’aggiornamento che
qualcuno si aspettava. Se da una parte
Sony parla finalmente della possibilità
di leggere file multimediali da un disco
torna al sommario
Asus GR8
è il mini PC
per giocatori
esigenti
USB collegato alla console, la compatibilità è limitata unicamente alla riproduzione audio. Con l’aggiornamento 2.0, la
PS4 potrà leggere infatti file audio con
estensione MP3, MP4 e M4A, per dare
la possibilità ai giocatori di ascoltare la
propria musica preferita durante una
partita. Niente media player completo
dunque sulla falsariga di quanto appena
rilasciato da Microsoft per Xbox One e
niente supporto per i video. Il resto delle
novità riguardano la gestione degli amici, la possibilità di personalizzare il tema
grafico del menù di sistema in modo
simile a quanto era possibile fare con
PS3, nuovi comandi vocali tramite PlayStation Camera e funzionalità per il live
broadcasting delle partite.
Dimenticatevi i grossi chassis pieni
di ventole, raffreddamento a liquido e altre “diavolerie” che fanno
dei PC gaming dei mostri: con i
nuovi GR8 e G20, Asus preme l’acceleratore sulle prestazioni senza
dimenticare il design e proponendo due soluzioni per adattarsi
al meglio alle esigenze dei suoi
potenziali clienti. GR8, in particolare, è il prodotto più interessante
poiché nonostante le alte prestazioni, si tratta a tutti gli effetti di un
Mini PC. Nel suo guscio troviamo
un processore Intel Core i7 e una
scheda grafica Nvidia GTX750TI in
grado di supportare anche la risoluzione 4K. Il set di connessioni è
completo, l’aspetto è “aggressivo”
ma curato, l’accesso alle componenti hardware è facile, per poter
modificare sia l’HDD da 2,5” che lo
slot per la memoria SSD. Asus ha
presentato anche G20, la macchina “tutta prestazioni”: dimensioni
imponenti e prestazioni che vanno
di pari passo, grazie al processore Intel Core i7 di 4a generazione
e scheda grafica Nvidia GeForce
GTX780. Potenza sì, ma anche
“eco-friendly” grazie a una modalità d’uso a bassissimo consumo
che non supererà mai i 20W. Lo
chassis ospita anche una soluzione di raffreddamento che sfrutta il
naturale tiraggio d’aria e che, secondo Asus, garantirà al massimo
25 dB in idle. GR8 e G20 saranno
anche compatibili con la Steam
Machine di Valve.
IL PIÙ SEMPLICE
IL PIÙ SMART
*LG G2 vincitore del premio Best Phone 2013 di Cellulare Magazine.
Now It’s All Possible
Cosa c’è di meglio di LG G2, eletto migliore smartphone del 2013*?
La sua sorprendente evoluzione.
Nuovo LG G3. Il più semplice, il più smart.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
VIDEO CREATIVO La nuova divisione creativa di HTC sforna una personal camera particolare
Bizzarra e curiosa: HTC lancia Re Camera
Al posto dello scatto, la fotografia si “spara” e devi sperare di aver fatto centro senza display
di Roberto PEZZALI
ll’inizio eravamo scettici: perché
mai HTC si è messa a fare una cosa
simile? Dopo averci giocato un po’
e aver “sparato” qualche foto, ci siamo
ricreduti: HTC Re è il nuovo concetto di
Personal Camera di HTC. Non è un accessorio per smartphone, anche perché
funziona da sola, e non è neppure una
Sport Cam in stile GoPro. HTC l’ha pensata per essere impugnata, anche se all’occorrenza è possibile agganciarla a un
supporto o addirittura indossarla.
Difficile capire a cosa assomigli: Re è un
tubetto colorato con l’estremità ricurva
che contiene il sensore per video e foto.
Non c’è display, c’è solo un tasto di scatto
raggiungibile con il pollice che permette
di scattare al volo con una sola pressio-
A
ne, un po’ come se stessimo spruzzando
una bomboletta. Re è sempre accesa, in
stand-by, e si sveglia solo quando la impugniamo: con una sola carica scatta 1.200
foto o 1 ora e 40 minuti di video, registrandoli nella memoria interna da 8 GB che
può essere portata a 128 GB tramite micro SD. Impugna e spara: nessun monitor
e nessuna esitazione, le foto si guardano
in un secondo momento. Solo un piccolo
LED ci indica se stiamo registrando video
o se siamo in modalità foto, e per attivare
lo slow motion a 720p si deve schiacciare
l’unico bottone presente. Re è waterproof
IP57, ma avvitando un tappino sul fondo
per coprire la porta USB e lo slot per la
card diventa IPx8, quindi più di un metro
di immersione. Le caratteristiche sono
“standard”: sensore da 1/2.3” stabilizzato
digitalmente, ottica F2.8 e grandangolo a 146° con possibilità di riprese video
a 1080p e 30 fps e di foto da 16 Megapixel. Trattandosi di un accessorio smart
non manca la possibilità di pairing con lo
smartphone: Re è compatibile Android e
iOS e può essere controllata in remoto
grazie a Bluetooth LE e Wi-Fi, usato quest’ultimo anche per trasferire all’istante le
foto fatte su smartphone. Re sta in piedi
da sola, ha un’ottica di qualità ed è piccola, discreta e tascabile. Alto però il prezzo
di lancio, 249 euro.
SCIENZA Alcuni ricercatori hanno creato una batteria al litio che si carica fino al 70% in due min
La batteria per auto elettriche che si carica in 2 minuti
Le nanotecnologie e il titanio sono i segreti. Probabile un futuro impiego nei veicoli elettrici
di Massimiliano ZOCCHI

Le batterie ricaricabili hanno un ruolo
fondamentale nella tecnologia moderna,
ma l’energia che possono immagazzinare non ci basta mai e si ricaricano lentamente. Alcuni ricercatori della Nanyang
Technological University di Singapore
promettono di ridurre drasticamente i
tempi di ricarica: fino al 70% della capacità in 2 minuti.
Questo risultato, in fase di sperimentazione, è stato ottenuto con normali batterie
al litio, alle quali è stato sostituito l’anodo,
ossia il polo negativo. Nelle attuali batterie
esso è costituito da grafite, mentre il team
guidato dal professor Chen Xiaodong ha
utilizzato un gel di diossido di titanio. La
chiave del progetto è stata la possibilità di
modellare questo composto, normalmente di forma sferica, in piccolissimi nanotu-
torna al sommario
bi che accelerano enormemente il passaggio della carica. Gli scenari ipotizzabili
sono moltissimi, a partire dagli smartphone che si potrebbero ricaricare in tempi
brevissimi, passando per qualsiasi altro
strumento che funziona con batterie ricaricabili, come device indossabili, droni,
computer portatili e altro ancora. Ma l’attenzione degli scienziati asiatici si è subito focalizzata su un settore che soffre
dei tempi di ricarica, ovvero la mobilità
elettrica. Questa scoperta permetterebbe all’industria automobilistica, e in generale a chi si occupa di mobilità elettrica,
di ottenere batterie ricaricabili con una
velocità di 20 volte superiore all’attuale.
Considerando che i mezzi dotati di sistemi di ricarica veloce possono fare il pieno
di energia in tempi che vanno da 30 a 60
minuti, ciò significherebbe essere pron-
ti a ripartire dopo solo 5 minuti, il tempo
che si impiega per fare un normale pieno
di benzina. Questo sposterebbe inoltre
l’attenzione dei costruttori, che non dovrebbero più aumentare la quantità di
batterie a bordo ma puntare su tempi di
ricarica brevissimi, diminuendo il peso dei
veicoli e anche il prezzo, notoriamente un
problema di questi veicoli.
Le batterie al litio con anodo in grafite
vennero introdotte sul mercato circa 34
anni fa, e un inventore di questo sistema,
il professor Rachid Yazami, è un collega
dello stesso Chen, anche se attualmente
si sta occupando di un progetto parallelo. A quanto pare alla NTU hanno le idee
molto chiare: le nuove batterie sono già al
vaglio dell’industria automotive e si prevede vengano concesse in licenza nei
prossimi mesi.
La 1000fps
promette super
slowmotion
a basso prezzo
Su Kickstarter arriva
il progetto di una
nuova videocamera ad
altissimo framerate
Ad un prezzo tutto
sommato contenuto
permette di arrivare a
registrare video fino a
18500 fps. Pronti per
slow motion super?
di Roberto PEZZALI
Le videocamere ad alto framerate sono costosissime: hanno
sensori particolari e processori
capaci di gestire l’enorme flusso
di dati che viene letto dal sensore. Grazie ad un progetto creato
dall’ingegnere inglese Graham
Rowa è possibile finanziare, su
Kickstarter, la produzione della
prima videocamera hi-speed low
cost. Dotata di una flangia C compatibile praticamente con tutti gli
obiettivi in commercio (anche
tramite adattatore), la 1000fps,
questo il nome dato alla fotocamera, può catturare sequenze
con framerate variabile da 75 fps
a 18500 fps.
Rowa propone tre diverse versioni della videocamera, la Silver, la
Gold e la Platinum che differiscono esclusivamente nelle performance di cattura e nella memoria
interna: la versione Silver registra
840 fps a 640 x 480 e arriva a
16500 fps a 64 x 64 pixel (un francobollo), mentre la Platinum parte da 2560 x 2048 a 75 fps per
spingersi fino a 18500 fps a 64 x
64. Ecco la tabella delle risoluzioni di ripresa disponibili, con i
prezzi stimati dei tre modelli.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
AUTOMOTIVE In un bagno di folla tra addetti stampa e appassionati Elon Musk ha presentato la nuova Tesla Model S-D
Tesla
Model
S-D:
velocissima
e
con
il
pilota
automatico
“D” come Dual Motor, 4 ruote motrici e un’incredibile accelerazione. E l’atteso “something else...” è il sistema autopilot
di Massimiliano ZOCCHI
D
opo il Tweet rilasciato da Elon
Musk, i rumor sono letteralmente
impazziti: cosa sta a significare
quella “D”? Qualcuno si è lanciato in
teorie fantasiose (Diesel, Hydrogen...),
mentre altri ci sono andati decisamente
più vicini. Possiamo considerare vincitore sia chi aveva scommesso su Dual sia
chi ha puntato su Drive. Già, perché la
nuova Tesla Model S avrà doppio motore elettrico, uno sull’asse anteriore e
uno su quello posteriore, guadagnando
motori, è in grado di uno scatto
da 0 a 100 km/h in 3,2 secondi,
un tempo che sfida apertamente
qualsiasi auto sportiva a carburante tradizionale, anche ben più
costosa. L’autonomia, punto forte delle
vettore di Musk, non ne risentirà, con un
piccolo plus di 15 km rispetto al modello
a singolo motore. Batteria quindi uguale alla classica Model S, confermando i
tempi di ricarica: 30 minuti col sistema
proprietario (e a ricariche gratuite a vita)
Tesla SuperCharger, mentre in una più
normale colonnina da circa 20 kw di potenza ci vorranno 2 ore e mezza. Tempi
“Sembra di essere in una nave spaziale,
quando in realtà sei dentro un veicolo,
e su ruote...”
così anche la All Wheel Drive, ma per
una aggiunta di ulteriori 4.250 dollari
potrà anche essere dotata del sistema Autopilot. Ma andiamo con ordine.
Come in precedenza le versioni saranno tre, Model S 60D e 85D (i numeri
stanno per i kWh delle batterie) e la più
performante chiamata appunto P85D.
Questo modello, grazie all’incredibile potenza e coppia generata dai due
che assicurano circa 400 km di strada
percorribile. C’era molta attesa per la
One More Thing in tipico stile californiano, e come previsto da voci di corridoio
è stato anche annunciato il nuovo sistema Autopilot. Un pizzico di delusione
quindi per i proprietari di Tesla Roadster
che speravano nell’upgrade delle proprie batterie. In modo simile a quanto
sviluppato anche da brand concorrenti,
un insieme di sensori, radar e videocamere analizza continuamente la strada
e lo scenario per aiutare il guidatore. Il
sistema va dalla tipica frenata di emergenza anti-collisione passando per il
mantenimento di corsia, limite di velocità automatico, e lettura dei segnali stradali. Niente di nuovo, anche se, come
potete vedere dal video, l’autonomia di
guida e di intervento di autopilot sono
già consistenti, un passo deciso verso
la “guida autonoma” che Elon Musk
vuole raggiungere entro pochi anni. A
margine dell’evento, poi, alcuni fortunati hanno potuto testare l’accelerazione
della P85D in un percorso appositamente preparato, e stando alle dichiarazioni di chi ha provato, l’accelerazione
tipica dei motori elettrici e la potenza
del dual motor ti tengono letteralmente
incollato al sedile. Il percorso di prova
è stato suddiviso in due parti, la prima
con corsie luminose ai lati per provare
l’accelerazione, e una seconda parte
guidata con segnali stradali per evidenziare gli interventi dell’auto pilota.
Model S in versione D sarà disponibile
(per ora negli Stati Uniti) a dicembre
per quanto riguarda la P85D, mentre i
modelli 60D e 85D più tardi a febbraio
2015. Il costo della top di gamma arriverà a circa 120.000 dollari, cifra notevole,
ma inferiore ad altre auto capaci delle
stesse performance.
AUTOMOTIVE L’ultima versione della sportiva tedesca ha un nuovo cockpit. La nuova Audi TT sarà disponibile da novembre
Nella sportiva Audi TT i contenuti del cruscotto li scegli tu
La tradizionale strumentazione è sostituita da un fantastico display da 12 pollici. I contenuti li sceglie il conducente
A
di Roberto FAGGIANO

l salone dell’automobile di Parigi
ha debuttato la terza generazione
della sportiva di casa Audi, la TT
in versione classica e spider. Un rapido
sguardo all’interno della vettura rivela
l’apparente mancanza del display multimediale al centro della plancia, dove
troneggiano solo le tre bocchette dell’impianto di climatizzazione, con tanto
di piccoli display di controllo integrato.
torna al sommario
Ma i progettisti di Ingolstadt non si sono
dimenticati di questo fondamentale strumento di ogni auto moderna. In realtà
hanno fatto molto di più, perché hanno
sostituito il tradizionale quadro strumenti
con un display LCD da 12 pollici. L’ampio
display può visualizzare diversi tipi di
contenuti, scelti dall’utente utilizzando i
comandi posti sul volante e al centro della plancia. Nella configurazione normale,
il display presenta una strumentazione
classica con contagiri, tachimetro e i pa-
rametri fondamentali
della vettura. Ma basta un tocco per far
spostare gli strumenti ai lati del display
e con dimensioni
più piccole mentre
al centro si allarga
la completa mappa
geografica del navigatore oppure compaiono le funzioni del
sistema audio, il vivavoce telefonico con
la rubrica e altri parametri della vettura
come la climatizzazione. Il guidatore ha
quindi a disposizione uno strumento
completo che si adatta alle esigenze
di ogni conducente e non costringe a
distrarsi dalla guida per ricevere una
telefonata o per cambiare la stazione
radio. Per i più esigenti in fatto di musi-
ca, sulla nuova TT è possibile installare
un sistema audio Bang & Olufsen con
potenza di 680 watt e analizzatore del
rumore di fondo per dare la giusta voce
agli altoparlanti distribuiti nell’abitacolo. Per gli interessati, la nuova Audi TT
sarà disponibile dal mese di novembre
con motorizzazione 2.0 TFSI a benzina e
2.0TDI a gasolio.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
SMARTHOME A Milano l’azienda ameriana ha mostrato prodotti in parte attesi in parte inaspettati
Novità KitchenAid: è arrivato il Multicooker
L’accessorio food processor per planetaria, il Multicooker e la macchina da caffé Nespresso
K
di Simona ZUCCA
itchenAid amplia, e non di poco,
la gamma dei suoi prodotti con
soluzioni attese da molti e con altre inaspettate. Dopo HOMI, KitchenAid
approfitta dell’edizione meneghina di
Cake Festival 2014, di cui è main sponsor, per presentare al pubblico le sue
novità, tra pasta di zucchero, mattarelli,
stencil e spatole.
Multicooker, anche KitchenAid
ha la sua cooking machine
Tra i prodotti, spicca su tutti Multicooker. KitchenAid entra a pieno titolo nel
mercato delle cooking machine e lo fa
con la sua solita classe e originalità: ha
le sembianze di una (elegante) pentola
con coperchio, questo piccolo elettrodomestico che, a diverse funzioni di
cottura (10 programmi tra cui Bollire/
Cuocere a vapore, Soffriggere/Saltare,
Rosolare, Cuocere al forno), aggiunge
anche l’accessorio opzionale per mescolare. La temperatura va dai 35 ai 220
°C, la ciotola in ceramica è capiente ben
4 litri (le dimensioni dell’oggetto non
sono proprio ridotte, se lo si vuole tenere esposto in cucina occorre trovargli un
certo spazio…), i comandi digitali sono
sul fronte dell’apparecchio. Il costo non
è irrisorio, 449 euro con accessorio
per mescolare incluso: più economico
di alcuni multicooker (ma ricordiamo
che non ha ad esempio accessori per
la preparazione come le lame per tritare) e più caro di altri recentemente
proposti sul mercato, questo prodotto
si distingue ovviamente per il design
ed è in linea con i prezzi dell’azienda
americana. Sembra, però, che le novità
in questo settore non siano finite, e che
KitchenAid sia pronta a lanciare un nuovo prodotto. C’è forse da aspettarsi un
Multicooker più evoluto, accessoriato,
con più funzioni e quindi più vicino di
prezzo ad altre cooking machine?
La colazione è ottima
ma si paga un po’ cara
Grazie alla collaborazione con Nespresso, KitchenAid entra in un altro
interessante settore dei piccoli elettrodomestici, quello delle macchine per
caffè espresso in capsule. Il design e
la solidità dei materiali sono i soliti di
KitchenAid, è possibile scegliere tra 6
lunghezze di caffè, e qui è il prezzo a
fare la differenza rispetto ad esempio
alle altre macchine Nespresso già in
commercio, come quelle di De’ Longhi
e Krups (quelle più costose rispetto a
KitchenAid si contano sulle dita di una
mano e hanno la possibilità di preparare la schiuma di latte). Metallo pressofuso, design e qualità Nespresso costano
399 euro. Prezzi non proprio irrisori anche per due nuovi prodotti, centrifuga
ed estrattore di succo per preparare
succhi di frutta e di verdura, rispettivamente venduti a 389 e 499 euro. La
centrifuga, in grado di preparare fino a 1
litro di succo, ha velocità variabile da 7
a 10.000 giri; l’estrattore invece promette di erogare succhi più nutrienti e con
meno scarto.
Accessori per Artisan
Finalmente il food processor

Gli accessori standard sono un tubo
alimenti 2 in 1, disco da 8 mm, disco
regolabile con leva esterna, disco
reversibile per grattugiare e disco
reversibile per julienne.
torna al sommario
KitchenaAid ha pensato anche agli accessori per il suo prodotto di punta, la
planetaria Artisan, e lo fa con il prodotto
che molti aspettavano. Alla lunga lista di
optional già disponibili, infatti, (sfogliatrice, gelatiera, passaverdure, ecc.) aggiunge il food processor, finora probabil-
mente mai proposto per non sovrapporsi
alla presenza sugli scaffali del Food Processor stand alone. Si aggancia all’apposito invito dove si inseriscono tutti gli altri
accessori e permette di tritare, affettare,
grattugiare, frullare ridurre in purea e
grazie al sistema Exactslice di decidere
lo spessore delle fette. Il prezzo di listino
è di 229 euro, mentre è di 199 euro quello dell’estrattore di succo, altro nuovo
accessorio per la planetaria.
Multicooker è disponibile nei colori Rosso imperiale e Crema.
Novità (e prezzi) interessanti
Novità dunque interessanti per KitchenAid, a partire dal Multicooker, che sicuramente nel panorama delle cooking
machine si distingue per il design originale e piacevole. Come sempre, quello
che colpisce dei prodotti dell’azienda
americana è l’estrema attenzione al
design oramai immediatamente riconoscibile, la solidità dei materiali e delle
soluzioni costruttive e, non da ultimo,
i prezzi non certo alla portata di tutti.
Ma la qualità si paga e se si sceglie di
avere in casa un prodotto solido, dalle
elevate prestazioni, che duri nel tempo
e bello da vedere, allora si deve anche
essere disposti a spendere qualche
euro in più.
Ecco il finto
autovelox che ti
controlla l’RCA
È partita la sperimentazione in
Italia dei “finti” autovelox che in
realtà verificano il pagamento
dell’assicurazione RCA in tempo
reale: se non si è in regola, si
viene fermati poche centinaia di
metri dopo
di Emanuele VILLA
Dopo gli Autovelox e i Photored
(le telecamere che rilevano il
passaggio di veicoli col semaforo rosso), in Italia è partita la
sperimentazione dei dispositivi
in grado di verificare in tempo
reale se la vettura è in regola col
pagamento dell’assicurazione e
con le revisioni.
Al momento la sperimentazione
(che pare funzionare) è attiva a
Legnano, Vicenza, Ciampino e
Verona, si chiama Telesystem ed
è apparentemente una telecamera molto simile a quella dell’autovelox; solo che questa, una
volta catturata la targa del veicolo, invia i dati a un computer
centralizzato che li esamina sulla
base dei dati della motorizzazione civile e del Pubblico registro
automobilistico per verificare in
tempo reale che il veicolo sia in
regola in tutto e per tutto.
Una pattuglia della polizia stradale, posta qualche centinaio
di metri dopo, riceve i dati e, in
caso di anomalie, ferma il malcapitato. Nella speranza che la
“lag” nella comunicazione non
sia eccessiva e la pattuglia non
si debba appostare 2 km dopo...
Nel dubbio, comunque, mettetevi in regola e, soprattutto, non
rimenticatevi di rinnovare l’assicurazione.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
SMARTHOME Il termostato intelligente Tado arriva in Italia nella sua seconda generazione
Il termostato Tado in Italia. Prima di Nest
È dotato di schermo LED e con interfaccia in italiano. Chi vuole risparmiare sul riscaldamento?
di Roberto PEZZALI
T
ado lancia sul mercato italiano il suo
termostato intelligente: in Italia arriverà subito la seconda generazione
di termostato, quello dotato di schermo
tattile a matrice di LED e con una compatibilità ampliata anche ai sistemi di riscaldamento meno evoluti. Tado sostituisce il
normale termostato, e l’azienda, tedesca,
assicura la compatibilità con il 90% circa
delle caldaie in commercio in Italia: qualcuna resta fuori, ma il servizio assistenza
è pronto a controllare ogni singolo caso,
raccogliendo anche informazioni preziose per la prossima generazione. Al momento i sistemi compatibili sono 5000, e
grazie al kit di estensione è possibile anche collegare Tado alle caldaie che sono
sprovviste di termostato.
Tado, almeno secondo le ricerche fatte
anche da laboratori esterni, grazie al suo
particolare modo di utilizzo permette di
risparmiare fino a 30% sulle spese annue
per il riscaldamento, anche se ovviamente
sono molti i fattori che possono andare a
diminuire questa statistica. Tado funziona
infatti come un normale termostato programmabile, ma grazie alla connessione
al cloud e alle sue app (Android e iOS
ora, Windows Phone tra una settimana) è
in grado anche di gestire accensione e ri-
scaldamento in base alla posizione degli
abitanti del network familiare. Tado usa
la geolocalizzazione per sapere quando
l’ultima persona è uscita di casa e quando sta tornando, e con questi dati riesce
a regolare in modo fine l’accensione e lo
spegnimento. Inoltre il termostato riesce
a misurare quanto tempo ci mettere a
portare la casa alla temperatura prestabilita, tempo che varia a seconda della
coibentazione e della classe energetica:
in questo modo può risparmiare tempo
prezioso; i dati infine sono integrati con le
condizioni meteo fornite da diversi servizi
web: se fuori fa davvero caldo, Tado lo sa
e si comporta di conseguenza.
La funzione di geolocalizzazione e il controllo a distanza ovviamente non sono
obbligatorie: Tado funziona anche senza sfruttando gli altri dati. Ovviamente il
risparmio sarà inferiore. Alle funzionalità
di controllo del riscaldamento Tado aggiunge anche per alcuni impianti tutta la
diagnostica: pressione dell’acqua insufficiente e problemi di vario tipo vengono
segnalati all’assistenza Tado Care che
può offrire un suggerimento alla soluzione. Tado costa 249 euro e al momento
può essere acquistato online sul sito
ufficiale: chi vuole provarlo può anche
noleggiarlo, 6,99 euro al mese. Il kit di
estensione, per montare Tado in un si-
stema senza termostato o per spostare
il termostato dalla posizione attuale costa 99 euro e può essere noleggiato
a 2,99 euro al mese. Per l’assistenza e
l’installazione, Tado suggerisce il fai da
te, perché le istruzioni sono abbastanza chiare. Chi non se la sente può però
affidarsi ad una rete di installatori professionisti che Tado ha attivato in Italia.
Il costo dell’installazione è ovviamente
extra. Come stiamo facendo con il kit
Honeywell Evo, proveremo Tado quest’inverno, e vi faremo sapere com’è andata confrontando le spese con quelle
dell’anno precedente.
I video piratati hanno fruttato 1 miliardo di dollari
I contenuti protetti dal diritto d’autore vengono riconosciuti automaticamente grazie a Content ID

Y
torna al sommario
se questo contiene
materiale
protetto
dal diritto d’autore.
Quando ciò avviene,
il detentore di tali
diritti viene allertato
e può decidere se
chiedere la rimozione del video, oppure
monetizzare grazie
ad esso inserendo
della pubblicità sul
contenuto. In questo
modo una grande quantità di materiale
rimane su YouTube con vantaggi sia per
Google che i detentori dei diritti: il catalogo di YouTube si allarga sempre di più
e gli autori dei contenuti guadagnano
Anche Skype si lancia
nel mercato delle app
di videomessaggi con il
nuovo servizio Qik: clip
di massimo 42 secondi
per chattare con i video
anziché con le parole.
Ce n’era bisogno?
di Paolo CENTOFANTI
SOCIAL MEDIA E WEB Su YouTube i video sono caricati dagli utenti, ma gli autori non ci perdono
di Paolo CENTOFANTI
ouTube è ormai come un immenso
jukebox in cui si trova di tutto, da
video musicali, a spezzoni di film e
programmi TV, passando per canzoni e
tutto il resto. La stragrande maggioranza delle volte, i video sono caricati dagli
utenti di YouTube e non dagli autori originali, ma ciononostante dal 2007 a oggi il
servizio di streaming di Google ha staccato complessivamente un assegno di 1
miliardo di dollari ai detentori dei diritti.
Tutto ciò grazie a Content ID, il sistema
che YouTube ha implementato per risolvere quell’ambiguità che caratterizza
la natura stessa del servizio. Quando
un utente carica un video su YouTube,
il sistema effettua un’analisi per capire
Skype lancia Qik
Videomessaggi
istantanei
qualcosa da quella che normalmente potrebbe essere definita pirateria.
A rimetterci sono solo gli utenti, quando
Content ID fa cilecca e viene chiesta la
rimozione di contenuti legittimi.
Skype ha annunciato il lancio di
una nuova app per smartphone
chiamata Qik. Si tratta di un nuovo servizio che consente di inviare
filmati di massimo 42 secondi ai
propri contatti. In sostanza un vero
e proprio instant messenger che
sostituisce la chat testuale con i
video, anche se questi rimarranno
in linea per un massimo di due settimane. L’app include anche una
funzionalità denominata Qik Flik,
che consente di creare brevissime
clip di 5 secondi da salvare e da
utilizzare come emoticon o GIF
animate per dare risposte brevi.
È possibile effettuare chat singole o di gruppo, cancellare i video
e bloccare i contatti da cui non si
vogliono più ricevere video. Con la
nuova app, Skype sembra voler rinunciare a mettersi in competizione con servizi come WhatsApp per
quanto riguarda le chat testuali e
puntare a suo modo a servizi come
Snapchat e Slingshot di Facebook,
anche se solo il primo sembra aver
raccolto un’ampia base di utenti.
La nostra sensazione è che Qik
non intercetti alcun bisogno particolare, ma solo il tempo ci dirà se
Skype ci ha visto giusto. L’app è disponibile da oggi per Android, iOS
e Windows Phone.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
SMARTHOME Whirlpool ha rinnovato la sua serie di forni a microonde Jet Chef con 2 modelli
Con il microonde Whirlpool diventi uno chef
I microonde costano quanto uno smartphone top di gamma ma promettono risultati da urlo
di Alessandra LOJACONO
W
hirlpool rinnova la sua gamma
di forni a microonde Jet Chef
con due nuovi modelli, Jet Chef
Premium JT 479 (599 euro) e Jet Chef
JT 469, rispetto ai modelli precedenti
sono estremamente intuitivi nell’utilizzo
e dotati di nuove funzioni di cottura.
Whirlpool vuole venire incontro a tutti
i consumatori che hanno poco tempo
da dedicare alla preparazione dei piatti
realizzando dei forni che grazie alla ventilazione possono essere usati anche al
posto del forno ventilato convenzionale. La nuova linea Jet Chef si distingue
dalla gamma precedente per un design
minimal ed elegante ricalcando l’estetica degli altri elettrodomestici Whirlpool;
per facilitare l’uso è stato aggiunto un
pannello con i comandi touch e un ampio display.
Funzioni e performance
all’avanguardia

Se consideriamo il prezzo medio di un
forno a microonde il nuovo Whirlpool
costa parecchio, quasi tre volte tanto. Come abbiamo detto non è un microonde tradizionale, è un qualcosa di
più e Whirlpool ha aggiunto una serie
di funzioni uniche che non erano presenti sulla gamma precedente. Grazie
a Chef Menu si possono scegliere 90
ricette preimpostate e ottenere la scelta
in automatico della migliore funzione di
cottura, del tempo e della potenza. Volendo si possono anche memorizzare le
10 ricette dei propri piatti preferiti. Bread
Defrost è la soluzione per il pane surgelato: Whirlpool promette di scongelarlo
rendendolo morbido dentro e croccante
fuori, grazie anche alla presenza di una
potente ventola che diffonde il calore in
modo uniforme su tutto il cibo.
Nella nuova gamma Jet Chef, inoltre, la
capacità aumenta e passa da 31 a 33 litri
e il piatto girevole da 36 cm può essere bloccato e ciò consente di cucinare
porzioni più grandi e di utilizzare piatti
di diverse forme e dimensioni
Non mancano neppure alcune funzionalità, che erano già presenti nella gamma
precedente: la funzione Crisp, esclusivo
brevetto Whirlpool, che permette di arrostire, friggere quasi senza olio e lievitare per realizzare pizze, torte salate e
dolci; Jet Defrost, il sistema Whirlpool di
scongelamento rapido; Vapore per una
torna al sommario
A Firenze
si cammina,
a Tokyo non si
dorme: lo dice
Jawbone
Una curiosa classifica di Jawbone
svela le abitudini degli utilizzatori
del braccialetto UP
cucina sana e leggera, oltre alla distribuzione 3D delle microonde per ottenere cotture omogenee e uniformi.
Nel modello JT 469 sono presenti le
stesse funzioni del top di gamma Premium, unica differenza è che le ricette
presenti nella funzione Chef Menu sono
30 anziché 90.
Accessori per
cotture al top
Per esaltare ancora di più
le performance dei microonde Jet Chef, Whirlpool ha realizzato, in collaborazione con Lékué,
degli accessori in silicone
di platino che possono resistere a temperature che
vanno dai -60° ai 220° C:
si va dalla vaporiera con
griglia, al cuoci riso fino ad
arrivare all’accessorio per
cucinare le uova e quello per le omelette oltre a
stampi per fondere e lavorare il cioccolato.
Abbiamo avuto modo di
provare Jet Chef Premium
sfruttando le funzioni Vapore, Crisp e Microonde
per cucinare uno strudel
“rivisitato” con pere e
cioccolato in soli 10 minuti e per la nostra breve
esperienza possiamo dire
che il risultato è stato ottimo. La nuova serie di
microonde Whirlpool è
ovviamente perfetta per
chi ama la cucina come
il nome Jet Chef lascia
intendere. Il prezzo è l’unico boccone
amaro: 600 euro per il top di gamma,
probabilmente uno dei microonde più
cari in commercio. La buona cucina tuttavia è la moda del momento, e forse
il microonde hi-tech è molto più “cool”
dell’ultimo modello di smartphone.
JET CHEF PREMIUM JT 479
di Andrea ZUFFI
Jawbone, nota da anni per i dispositivi audio intelligenti e più recentemente molto presente nel settore dei dispositivi indossabili con il
fortunato braccialetto UP, ha monitorato alcuni atteggiamenti dei
propri clienti concentrandosi sulle
rilevazioni della media giornaliera
del numero di passi e delle ore si
sonno.
La classifica dei camminatori vede
al primo posto i cittadini di New
York, con una media di 9.422 passi al giorno contro i 6.796 passi di
San Paolo del Brasile, che occupa
l’ultimo posto in classifica. Il team
di Jawbone ha preso in esame
anche la distribuzione per abitanti
delle città italiane tra cui spiccano
i fiorentini con una media di 9.053
passi al giorno. Milano è di poco
sopra i 9.000, mentre Roma arriva
a 8.526 passi.
Sul fronte delle ore di sonno invece
la distribuzione per area geografica ci racconta di un Oriente che riposa poco con la media di 5,57 ore
per notte degli abitanti di Tokyo o
le 6,07 ore dormite a Seoul. Agli
antipodi della classifica troviamo
gli australiani di Melbourne che
dormono in media 7,11 ore. In Italia
i meno dormiglioni sono i partenopei con 6,44 ore di sonno medio
per notte mentre a Roma e Milano
si dorme qualche minuto in più,
con rispettivamente 6,49 e 6,52
ore. Le abitudini emerse non fanno distinzioni di genere maschile e
femminile e non indicano da quanti
membri è composta la base dati. Di
sicuro la divulgazione di questi dati
(statistici e anonimi) incuriosisce e
stimola varie riflessioni sul futuro di
queste tecnologie dove le opinioni
sono costantemente in bilico tra le
potenzialità e le nuove frontiere in
questo caso offerte dai big data e
la fragilità della privacy in quest’era
di connected life.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
SOCIAL MEDIA E WEB Una soluzione comoda, capace di risolvere anche problemi di mobilità
Compri online e ritiri dal benzinaio: si può
In 15 distributori TotalErg si potranno ritirare 24 ore su 24 gli acquisti fatti su alcuni siti ecommerce
A
di Roberto PEZZALI
cquistare online è semplice e
veloce, ricevere il pacco un po’
meno: spesso gli orari di lavoro
non coincidono con quelli dei corrieri,
in ufficio non accettano pacchi personali e molti condomini sono sprovvisti
di portineria. Una problematica questa che ha trovato soluzione in molti
paesi del mondo nei Lockers, stazioni
di ritiro dislocate in punti strategici
dove far consegnare i pacchi per un
ritiro 24 ore su 24.
I Lockers non sono una novità in Italia,
ma la partnership tra TotalErg e InPost
potrebbe davvero dare una spinta al
mercato online. Da qualche mese infatti sono state installati una serie di
Locker InPost nei distributori di benzina della rete TotalErg del centro e
nord Italia: al momento sono solo 15,
ma entro fine anno il numero potrebbe
salire a 70. L’idea di base è farsi recapitare il pacco dal distributore, area di
passaggio che resta aperta sempre e
che solitamente è posta in una zona
strategica. Abbiamo avuto modo di

sperimentare il servizio questa mattina
a Milano nel punto vendita TotalErg di
viale Marche, uno dei punti scelti per
l’installazione del Locker. Dopo aver
acquistato un oggetto su un negozio
convenzionato (al momento Saldi Privati e ePrice) arriva in mail un codice
QR che abilita al ritiro: basta una scansione per sbloccare lo sportello di sicurezza all’interno del quale troviamo
il nostro acquisto.
L’operazione è rapida,
massimo un minuto, e volendo si può anche pagare sul momento sfruttando
quindi il tipico pagamento
in contrassegno. I responsabili del progetto, che
abbiamo intervistato, ci
hanno parlato di ottime
performance nell’ultimo
mese e soprattutto ci han
confermato che non hanno avuto alcun problema
legato alla sicurezza: oltre
a paletti blindati per evitare l’impatto di un auto, c’è
il deterrente dell’imprevedibilità: i pacchi sono
disposti random e non è
garantito che, scassinando uno dei cassetti, si trovi effettivamente dentro
qualcosa. La partnership
tra InPost e TotalErg è
solo ad uno stadio preliminare, e oltre all’aumento dei punti di consegna
in tutta Italia (ma niente
autostrade) si stanno vaIl sensore che scansiona la mail o lo schermo dello
lutando anche operaziosmartphone
ni di co-marketing come
torna al sommario
MyStudio è la
piattaforma RCS
per la scuola 2.0
Il Gruppo RCS lancia MyStudio,
una piattaforma integrata e
gratuita dedicata alla scuola,
con servizi di studio, verifica
e programmazione per docenti
e studenti
di Emanuele VILLA
la consegna di buoni sconto per il carburante in seguito agli acquisti.
La soluzione dei Lockers ha un impatto
positivo anche sulla mobilità, soprattutto nelle città: il corriere non deve
rimbalzare tra decine di indirizzi diversi
ma consegna tutto in un solo punto.
“Si tratta di un’iniziativa utile e importante – ha commentato l’assessore
alla Mobilità e Ambiente Pierfrancesco Maran – perché concentrando le
spedizioni delle merci in singoli punti,
strategici come le stazioni di servizio,
si va incontro a esigenze diverse.
Quelle degli utenti, prima di tutto, che
possono scegliere in modo più comodo e flessibile la destinazione finale e
l’orario di ritiro. Poi, quelle degli operatori e delle imprese, che così facilitano la logistica sul territorio. Infine, si
va incontro soprattutto alle esigenze
della città, diminuendo gli spostamenti dei veicoli e contribuendo concretamente a fluidificare la circolazione. La
logistica delle merci, infatti, costituisce una componente importante della
mobilità cittadina: ben vengano le iniziative che rappresentano delle valide
alternative, più razionali ed efficienti,
al trasporto tradizionale”.
Oltre che per il ritiro, i Lockers InPost
sono abilitati anche per i resi: chi deve
rendere un oggetto (diritto di recesso)
può lasciarlo dentro un cassetto vuoto
e passerà il corriere a ritirarlo.
A breve, inoltre, ci fan sapere che
verranno abilitate sia le operazione di
spedizione da Locker a abitazione o
da Locker a Locker, queste ultime ad
un prezzo davvero conveniente.
Un’iniziativa lodevole questa del
Gruppo RCS, che con MyStudio
punta a favorire il passaggio della
scuola italiana verso un modello
fatto di collaborazione online, connettività web e svariati strumenti
di programmazione e gestione
del percorso didattico. RCS ha annunciato che MyStudio, piattaforma gratuita pensata per la scuola
primaria e secondaria di primo
e secondo grado, ha raggiunto i
22.000 utenti registrati: i docenti
possono gestire il registro, i piani
di studio, le classi e le attività, ma
anche realizzare materiali aggiuntivi ed esercitazioni all’interno dello
stesso ambiente virtuale, mentre
gli studenti possono accedere ai
materiali resi disponibili dagli insegnanti, collaborare ai progetti
e comunicare tra loro, scambiare
opinioni e partecipare a esercitazioni, tutto all’interno del medesimo ambiente integrato. Le aree
di MyStudio, che rispondono alle
singole esigenze della didattica,
sono Digitest, Calendario, Lesson Plan, Registro, ePub Maker,
Notifiche, Classbox e Blog, aree
che si mantengono distinte come
finalità ma sono integrate nella
medesima piattaforma e ricche di
sinergie. Tra i servizi RCS figura
anche OpenBook, versione digitale interattiva dei libri di testo RCS
Education con l’aggiunta di materiali multimediali realizzati ad hoc;
inoltre, MyStudio permette l’accesso agli altri prodotti e strumenti
di RCS Education e a Mosaico, il
primo motore di ricerca semantica
per il mondo della scuola, con cui
ricercare ed aggregare contenuti
multimediali interdisciplinari.
MyStudio è disponibile gratuitamente ed è fruibile da PC, Mac, ma
anche tablet e smartphone iOS e
Android tramite le relative app.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
SCIENZA E FUTURO Un innesto che non ha gli svantaggi delle normali protesi mioelettriche
È svedese il primo uomo con braccio bionico
Un uomo ha ricevuto una protesi innestata su ossa, muscoli e nervi. Si controlla con la mente
U
di Paolo CENTOFANTI
n uomo in Svezia potrebbe passare alla storia come il primo
cyborg. L’uomo, che aveva perso
un braccio, ha ricevuto nel 2013, come
parte di un progetto di ricerca, un nuovo
tipo di protesi che è stata direttamente
innestata sullo scheletro e collegata a
muscoli e nervi. All’uomo è stato infatti
impiantato un innesto in titanio direttamente sull’osso del braccio destro che
funziona da aggancio per il resto della
protesi, mentre una serie di elettrodi sono stati applicati direttamente ai
muscoli e alle terminazioni nervose, in
modo tale da avere un’interfaccia più
diretta rispetto a quelle mioelettriche
transcutanee.
I vantaggi di questa soluzione, rispetto alle protesi motorizzate tradizionali,
sono soprattutto nella stabilità dell’interfaccia uomo-macchina e nella
migliore pulizia del segnale che porta
all’eliminazione di movimenti involontari. Ma ciò che sa ancora più di fantascienza sono le prospettive future di
questa tecnologia. Gli elettrodi, infatti,
funzionano in entrambi i sensi e secondo i ricercatori della Chalmers University of Technology consentiranno ai
pazienti di ricevere stimoli sensoriali e
ripristinare in parte il senso del tatto.
Il paziente zero, dopo due anni di riabilitazione, è ora in grado di svolgere
lavori anche pesanti, guidare mezzi ed
effettuare movimenti delicati come maneggiare le uova.
La protesi al braccio
SCIENZA E FUTURO Probabilmente i due satelliti fuori orbita si riusciranno a recuperare
Ecco perché i satelliti Galileo son finiti fuori orbita
Individuate le cause del lancio errato di satelliti ad agosto il progetto può riprendere
L
di Roberto PEZZALI

a commissione indipendente nominata da Arianespace per individuare le problematiche che hanno portato al lancio dei due satelliti
Galileo fuori orbita è finalmente giunta
a una conclusione: non si è trattato di
errore umano ma di un problema di
progettazione del vettore russo Soyuz
che ha portato in orbita i satelliti. In
un’analisi preliminare il razzo era stato
escluso, in quanto il lancio è avvenuto
perfettamente e con i parametri nella
norma, ma in realtà con un esame più
approfondito si è risaliti a un problema
di alimentazione dell’ultimo stadio del
razzo, il Fregat, l’elemento che effettua
le ultime manovre necessarie per portare un satellite nella sua orbita.
Il Fregat avrebbe dovuto dare due impulsi per posizionare i satelliti sull’orbita
corretta, ma per problemi di alimentazione ai propulsori il vettore non ha dato la
spinta finale nel modo corretto perché
il carburante era congelato. Il tubo che
torna al sommario
portava l’idrazina
necessaria per alimentare i motori
era infatti fissato
allo stesso supporto che tratteneva
anche un tubo di
elio freddissimo: il
supporto ha fatto
da termoconduttore gelando durante
il viaggio nello spazio anche il carburante nella conduttura vicina. Purtroppo si è verificata una
condizione molto particolare: in altre situazioni è stato usato lo stesso vettore
senza problemi nonostante il problema
di progettazione, questo perché il comportamento può variare a seconda del
numero di accensioni dei razzi di spinta
e della quantità di carburante utilizzato.
Negli altri casi era sufficiente quello nella zona non congelata del tubo, questa
volta no. Il problema è risolvibile quindi
facilmente e si attende un prossimo lancio sempre con lo stesso razzo / vettore
a dicembre, per raggiungere la piena
operatività il prima possibile. Resta
ora il problema dei satelliti posizionati
male: al momento stanno viaggiando su
un’orbita che li porta molto vicini a una
zona di forti radiazioni, cosa che potrebbe compromettere la loro durata.
Resta sempre una speranza però:
un’azienda israeliana ha realizzato un
piccolo “spazzino” dello spazio, un satellite capace di riportare satelliti sulla
loro orbita e di togliere dall’orbita i satelliti non più funzionanti. Clicca qui per
vedere il video.
Samsung spinge
il Wi-Fi a velocità
folle: 4.6 Gbps
Samsung sta lavorando
al nuovo standard
802.11ad: sfrutta i
60 GHz e potrà
viaggiare a una velocità
teorica di trasferimento
massima pari a 4.6 Gbps
di Roberto PEZZALI
Trasferimento wireless ad altissima velocità: Samsung sta lavorando alla sua versione dell’802.11ad,
uno standard di connettività wireless che lavora a 60 GHz e può
essere usato per trasferire dati
con una velocità teorica massima
di 575 MB al secondo o 4.6 Gbps.
L’utilizzo dei 60 GHz, che non
penetrano i muri ma rimbalzano
di fronte a un ostacolo, è particolarmente indicato per applicazioni
di trasmissione dati tra periferiche
molto vicine tra loro, ad esempio
da uno smartphone a un portatile: chi ha bisogno di tanta banda
in una casa deve ripiegare sul
sempre sicuro cavo di rete o sulla
powerline. Quello che non si capisce dal comunicato di Samsung,
è quale sia il legame tra l’annuncio di Samsung e l’802.11ad standardizzato dalla Wi-Fi Alliance, il
WiGig. Entrambi hanno la stessa
sigla e lavorano alla medesima
frequenza, ma Samsung annuncia
di aver raggiunto una velocità 5
volte superiore rispetto al WiGig
grazie a una serie di antenne dinamiche che cambiano condizioni
in meno di 0.33 secondi adattandosi alle variazioni ambientali. Le
ipotesi sono due: o Samsung ha
realizzato un fork della tecnologia,
poco probabile, oppure Samsung
ha creato un’implementazione del
WiGig sui suoi semiconduttori che
permetterà di avere una velocità
reale vicina a quella teorica grazie alla sua particolare antenna.
Il problema, infatti, del WiGig, ancora irrisolto (almeno fino ad ora),
è l’abbattimento delle prestazioni
dovute alle interferenze tra dispositivi vicini. Samsung dovrebbe
implementare la nuova tecnologia
sui suoi prodotti a partire dal prossimo anno.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST Il nostro test approfondito per valutare punti di forza e debolezze di quel “mostro” che si chiama Galaxy Note 4
Samsung Galaxy Note 4: è sempre il numero 1
Passi in avanti non trascendentali, ma è il miglior phablet sul mercato. Progresso netto anche sotto il profilo estetico
di Emanuele VILLA
n questi mesi si parla soprattutto di Apple e del suo
ingresso, con iPhone 6 Plus, nel settore dei phablet,
ma non dobbiamo dimenticare quello che ad oggi è
il vero dominatore del segmento, colui che l’ha inventato e non intende abbandonare la corona: il Galaxy
Note di Samsung. D’altronde, la sfida di Apple è ardua:
Samsung è in questo mercato da anni e ha raffinato
il proprio prodotto generazione dopo generazione ingrandendolo, migliorandone il look, le specifiche tecniche e il suo tratto distintivo, ovvero il pennino S-Pen. E
a giudicare da questo Note 4, un “mostro” di potenza e
di caratteristiche tecniche, è ovvio che la sfida di Apple,
se non impossibile, sia quanto meno dura. Anche perché, e lo diciamo dopo ormai diverse settimane di utilizzo dell’iPhone 6 Plus, Apple non ha ancora capito
come sfruttare al meglio lo schermo del suo nuovo
smartphone.
Iniziamo dicendo che ormai di davvero innovativo c’è
ben poco, qui come altrove: Galaxy Note 4 è un’evoluzione e aggiornamento del modello dello scorso
anno, integra tecnologie che all’epoca non erano disponibili (tipo il riconoscimento dell’impronta e il sensore di battito cardiaco), propone un parco hardware
rinnovato dalle fondamenta e, soprattutto, un look
diverso. Tutto questo gira sopra il collaudatissimo
Android 4.4 KitKat, con tanto di TouchWiz Samsung e
immense personalizzazioni e funzionalità dettate dalla presenza del pennino. Dobbiamo, però, anche dire
che difficilmente riusciamo a immaginarci un Note 5:
Samsung sembra aver dato proprio tutto per realizzare quello che è il Note perfetto, e non è un caso
che l’azienda stessa stia cercando, con il Note Edge,
di deviare dalla strada originale ormai giunta alla sua
massima espressione.
I
Finalmente bello e poco “plasticoso”

Samsung è stata criticata a lungo per aver voluto
proporre telefoni dalle caratteristiche e dal prezzo
“top” ma con look “cheap”. Sotto questo punto di
vista, Note 4 inaugura un nuovo corso, e basta mettere vicino le due generazioni per rendersene conto:
uno (Note 3) sarà pur sottile, leggero e curato, ma dà
l’impressione di approssimativo, vuoi per qualche rifinitura assente, vuoi per la cover posteriore in finta
pelle, mentre qui il passo avanti è avvertibile. Per carità, si può sempre fare di meglio, ma basta prendere
in mano questo Note 4 per rendersi conto di una cura
di dettaglio assente nelle generazioni precedenti.
Inoltre, e lo abbiamo detto più volte, sacrificare la cover posteriore in plastica vuol dire anche sacrificare
la batteria removibile e altre feature, elementi questi
che su un prodotto business oriented non possono
proprio mancare.
Descrivere il tutto a parole non è facile: nel modello
provato, quello con finitura bianca, l’accostamento tra
il silver dell’alluminio e la verniciatura bianca è molto
fine, ed è decisamente piacevole la smussatura degli
torna al sommario
video
lab
Samsung Galaxy Note 4
L’UNICO SMARTPHONE “BIG SCREEN” CHE HA DAVVERO UN SENSO
769,00 €
Galaxy Note 4 rappresenta, al momento in cui si scrive, lo stato dell’arte nella tecnologia mobile: un SoC potentissimo, un display Amoled
Quad HD, un’infinità di sensori e un design rinnovato. Il design è finalmente degno di nota, curato e basato su materiali nobili, le prestazioni
sono da primo della classe e il Quad HD, pur “eccessivo” rispetto a quanto è possibile percepire, si giustifica in virtù del pennino e della sua
elevata sensibilità. È un prodotto di valore, pensato per il business e per chi desidera un display molto ampio sfruttando al tempo stesso i benefici del pennino, tratto distintivo della serie. Il tutto conduce, com’è normale, a un prezzo premium, ma rispetto alle generazioni precedenti
si parte da 32 GB e quindi anche il rapporto qualità/prezzo ne risente in positivo. Grazie a tutti questi elementi, Note 4 ci pare l’unico phablet
(o smartphone) che ha davvero senso in un mercato dove la tendenza è ingrandire gli schermi senza dare particolare valore aggiunto.
8.7
Qualità
9
Longevità
9
Design
8
Semplicità
7
Prestazioni elevate e 32 GB di base
COSA CI PIACE Design più curato dei modelli
COSA NON CI PIACE
precedenti
Sensibilità S Pen e display incredibili
angoli e dei bordi. Samsung è riuscita anche a rendere armonico il piccolo rigonfiamento che ospita il jack
per le cuffie, elemento questo che un po’ stonava con
il resto del design. La cover posteriore resta in plastica con look-finta-pelle ma, ripetiamo, è calata in un
contesto migliore rispetto a quello dello scorso anno.
Contesto che tra l’altro è lo stesso di Galaxy Alpha,
giustamente ritenuto il più bel telefono Samsung di
sempre.
Diciamoci la verità, da un telefono da 769 euro di listino questo livello costruttivo è d’obbligo, e anche se
il Note 4 non ha peso e materiali di un iPhone 6 Plus
non possiamo negare un piacevole passo avanti. Il telefono non è, poi, un peso piuma e non potrebbe esserlo: alla scelta di materiali più robusti fa da inevitabile contraltare un peso discreto; d’altronde non si può
avere tutto dalla vita, e se si chiede qualità costruttiva
non si può pretendere la massima leggerezza.
Il telefono è solido, non scricchiola (tipico problema
dei telefoni “plasticosi” quando soggetti a leggere
D-Factor
9
Prezzo
9
Funzione multiwindow di scarsa utilità
Fotocamera sporgente
L’USB 2.0 è un passo indietro
e manca il waterproof
Il piccolo rigonfiamento in prossimità del jack per
le cuffie non è bellissimo da vedere.
torsioni), non dovrebbe subire gli effetti di un uso sbadato purché non lo si butti in acqua. A differenza di
Galaxy S5, Note 4 non è waterproof: da un lato ciò
pare un evidente passo indietro, dall’altro non dimensegue a pagina 26 
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST
Samsung Galaxy Note 4
segue Da pagina 25 
tichiamo mai la destinazione business del prodotto,
che difficilmente si coniuga con la visione di video
sotto la doccia o corse durante un acquazzone.
Poche parole sulla descrizione dell’apparecchio, poiché le foto sono di per sé esplicative: grazie al cielo le
dimensioni del display sono le stesse dell’anno scorso, ovvero 5,7’’ (onestamente, sopra i 6’’ diventa davvero arduo portarselo in giro), lo spessore della cornice laterale è pressoché inesistente e anche i bordi
superiore/inferiore sono giusto necessari per ospitare
tasto home/pulsanti capacitivi in basso e qualche
sensore/capsula auricolare in alto: sotto questo profilo non c’è spazio per finezze tecniche, abbiamo un
display enorme e dobbiamo contenere il più possibile
le dimensioni dell’apparecchio. Detto, fatto.
Come non abbiamo ignorato il bendgate per l’iPhone,
non potevamo ignorare del tutto il “gap gate”, ovvero
quella segnalazione di un piccolo gap tra schermo e
cornice che secondo Samsung rientra nelle tolleranze
di produzione. Nel nostro esemplare il gap c’è, è nella
parte alta e si vede probabilmente perché abbiamo il
modello bianco: farci passare un biglietto da visita è
impossibile, nel nostro caso ci entra a malapena un
foglio A4.
Dentro, l’apparecchio mostra una costruzione molto
razionale: lo slot per la Micro SIM (niente nano SIM, a
differenza di Galaxy Alpha) e per la micro SD sono discretamente separati, per cui per raggiungere il primo
è necessario estrarre la batteria ma il secondo no, il
pennino è logicamente occultato nel suo slot e l’imponente batteria da 3.220 mAh integra l’NFC, esattamente come Galaxy Alpha e come gli altri smartphone
della serie Galaxy.
Il display è il massimo su piazza
Ce n’è bisogno?

Qui torniamo a un discorso già fatto in occasione della prova di LG G3: ha senso una densità di 518 pixel
per pollice su uno smartphone? Un display dalla risoluzione “mostruosa” di 2.560 x 1.440 pixel non andrà
a condizionare negativamente le performance del sistema, risultando così un plus solo sulla carta?
A prima vista potrebbe sembrare così, ma il caso
del Note 4 è molto particolare e la motivazione è il
pennino. Note 4 e pennino rappresentano quello che
nel mondo analogico sono carta e penna: un tratto
di penna su carta ha una risoluzione virtualmente infinita, e allo stesso modo maggiore è la risoluzione
del display, più fedele è la resa della risoluzione della
penna. Samsung ha aumentato ancora la risoluzione
di S-Pen, ne parleremo dopo, e proprio grazie all’aumento di risoluzione del display si riesce a percepire
la miglior accuratezza nella resa di pennellate, tratti di
matita e scritte a diversi livelli di pressione. Abbiamo
ingrandito una serie di tratti fatti con S-Pen per mostrarvi come la sensazione di trovarsi davanti a una
vera matita in grafite sia dovuta all’elevata risoluzione
dello schermo. Ma l’occhio umano riesce davvero a
vedere queste differenze? Si entra
nel campo dell’acutezza visiva e
della visione soggettiva, ma con un
semplice test abbiamo voluto verificare se le persone percepiscono i
518 dpi del Note 4. Abbiamo creato una serie di immagini completamente bianche alla risoluzione dello
schermo ognuna delle quali contenente puntini di diverse dimensioni
(in pixel): il risultato è che nessuno
riesce a vedere a occhio nudo puntini di 1 o 2 pixel, qualcuno vede 3
pixel e altri ancora arrivano 4 pixel.
Ma vedere 1 pixel è impossibile.
Sulla questione risoluzione, occhio
umano e distanza di visione se ne
Ingrandendo dei tratti fatti con S-Pen (qui sopra) la sensazione
sono dette tante, tuttavia se per
è quella di un segno fatto con una vera matita in grafite, risultato
interfaccia, icone, foto e video il
dovuto all’elevata risoluzione dello schermo. Anche con la lente
Full HD di Note 3 poteva bastare,
(immagine in alto) è difficile vedere un singolo pixel tracciato sullo
quando si usa la penna per la scritschermo.
torna al sommario
tura, l’uso di uno schermo così risoluto restituisce una
maggiore sensazione di realismo, di scritta cartacea
e non digitale.
La cosa più interessante, inoltre, non è tanto il Quad
HD, per il quale Samsung arriva con 4 mesi di ritardo
su LG, ma il fatto che questo display sia AMOLED e
non un classico IPS.
Il primo impatto con la qualità del display è chiaramente da WOW: complice il coloratissimo sfondo
scelto da Samsung, questa volta sui toni azzurro/violetti a differenza di quello di Note 3 che era sul rossiccio/giallo, l’occhio non può che notare l’incredibile
finezza di dettaglio unita alla vividezza cromatica che
ci ricorda da vicino quella dei Triluminos dei tablet e
smartphone Sony.
Cerchiamo subito delle immagini e ne troviamo di precaricate in Galleria: molte sono pensate per esaltare
la profondità del nero del display, altre la vividezza
cromatica, in entrambi i casi è uno spettacolo per la
vista. Non troviamo video, dunque ne carichiamo uno
noi in Quad HD e anche in questo caso l’impatto è
davvero ottimo: molto probabilmente questa è una
delle poche occasioni per “vedere i pixel” (ma non
tutti, come diciamo sotto) del Quad HD. Come ripetiamo in questi casi, la naturalezza cromatica è un
concetto che passa in secondo piano rispetto alla vividezza e all’impatto forte sullo spettatore, ma in uno
smartphone siamo propensi a lasciare correre, molto
di più di quanto facciamo con i TV.
Tra l’altro le caratteristiche d’immagine sono regolabili:
nelle opzioni del display troviamo, infatti, il cosiddetto
Schermo Regolabile che non è altro che la traduzione
approssimativa di Adaptive Display, tecnologia che
Samsung ha inaugurato con i tablet della serie Tab
S e che consiste in una regolazione basata su preset
del gamma, della saturazione e della nitidezza e che
funziona con applicazioni selezionate, tra cui Galleria,
Camera, Internet, Video e altre. Questa tecnologia di
Samsung lavora di concerto con l’autoregolazione
della luminosità sulla base delle condizioni ambientali, una feature onnipresente e che qui funziona discretamente bene, nonostante i tempi di reazione siano
ancora migliorabili. Una tecnologia simile l’adotta anche Amazon sul
suo Kindle Fire
RGB: se stiamo
leggendo
un
libro, il punto
di bianco dello
schermo
sarà
regolato anche
in base alle luci
della stanza, che
siano a LED o a
incandescenza
oppure neon a
fluorescenza.
Adaptive Display
è una modalità
abbastanza potente ma non
assicura
una
perfetta fedeltà
segue a pagina 27 
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST
Samsung Galaxy Note 4
segue Da pagina 26 

cromatica come le altre modalità disponibili.
Abbiamo dunque modificato il preset dello schermo
passando da Cinema AMOLED (in cui i colori sono
volutamente vividi e molto brillanti) a quella di base,
che di fatto ci ha presentato una schermata Home
molto più piatta e meno vibrante, ma dai colori più
naturali.
Il nero resta eccellente, la luminosità massima molto
buona (il dispositivo si usa tranquillamente in giornate soleggiate, anche se la regolazione automatica è
un po’ imprecisa e spesso bisogna alzare al massimo
a mano) mentre l’aspetto negativo è l’affioramento
di dominanti cromatiche varie allo spostamento dal
punto di visione ottimale: per fare un esempio, mettendo in modalità “di base” lo schermo, aprendo
una pagina bianca e poi spostandosi verso sinistra
e verso destra, il bianco assume una connotazione
azzurrina.
Volendo estendere un po’ il discorso a livello tecnico, lo schermo AMOLED del Note 4 è comunque
un piccolo capolavoro: Samsung si appoggia ancora
a una configurazione di pixel Diamond, ovvero un
pattern particolare che non prevede la terna RGB
ma subpixel condivisi disposti in modo particolare,
ognuno dei quali dotato di una forma a rombo. La
particolare disposizione permette di gestire al meglio l’efficienza degli elementi organici: il blu e il rosso che sono i due colori meno efficienti sono, infatti,
più grossi del subpixel verde.
La disposizione, inoltre, non crea problematiche particolari sul rendering delle diagonali e soprattutto
minimizza il color shift, ovvero l’enfatizzazione di un
colore al cambio di angolo di visione. Il color shift
è comunque presente: come abbiamo fatto notare
più sopra, inclinando lo schermo lo smartphone vira
leggermente verso il blu / verde.
Una volta l’AMOLED veniva giudicato poco luminoso, tuttavia questo Note ha un ottimo spunto: con un
contrasto elevatissimo, può raggiungere disattivando la luminosità automatica un valore di 730 cd/m2,
decisamente elevato. Per chi ama leggere a letto al
buio completo senza affaticare gli occhi c’è anche
una modalità che emette appena 3cd/m2 raggiungibile impostando lo slider al minimo.
La misurazione in modalità Base mostra una copertura molto accurata dello spazio REC 709 e sRGB
Per quanto riguarda la resa cromatica, lo schermo
del Note 4 è sicuramente il miglior display mai usato
su un dispositivo portatile: la modalità Foto AMOLED, ad esempio, riesce a coprire in modo abbastanza preciso lo spazio colore Adobe RGB mentre la
modalità di base è calibrata per sRGB.
Purtroppo Android non è in grado di gestire in modo
dinamico il cambio di profili con le app e questo è il
più grosso limite: abbiamo quattro profili che vanno
bene per usi diversi ma non vengono richiamati direttamente dalle singole app. La stessa cosa c’è, ad
esempio sul Galaxy Tab, ma in questo caso trattandosi di un tablet il fotografo può scegliere di tenere il
profilo Photo sempre selezionato. Su uno smartpho-
torna al sommario
ne, però, questa soluzione non è consigliata: Adaptive Display con le app Samsung fa un buon lavoro,
il profilo di base è ben bilanciato ma con le foto è un
crimine non usare il suo profilo dedicato, tuttavia è
“un lavoro” cambiare tutte le volte a mano il profilo.
Prestazioni ottime
Occhio al multiwindow “selvaggio”
Approfondito il discorso del display, che in effetti
rappresenta un plus importantissimo di questo dispositivo, concentriamoci un attimo sulle performance dell’apparecchio. Come dicevamo, un display
così definito e con una densità del genere potrebbe
condizionare negativamente le prestazioni: avevamo già notato in occasione della prova dell’LG G3
che, a fronte di prestazioni generali di buon livello,
il dispositivo mostrava una certa lag e qualche indecisione di fronte a carichi estremamente pesanti,
per cui abbiamo voluto testare in modo approfondito
anche questo Note 4.
In realtà, Samsung ha giocato d’anticipo dotando
Note 4 di tutte le caratteristiche migliori disponibili
su piazza: lo Snapdragon 805 da 2,7 GHz non è da
tutti (anzi, al momento non ce l’ha nessuno), 3 GB di
RAM sono una manna per il multitasking “selvaggio”
di cui è capace Note 4 e la grafica Adreno 420 ottiene punteggi di benchmark elevatissimi. Tutto questo
fa sì che il dispositivo sia all’altezza della situazione, in condizioni di routine e anche di forte carico.
Non stiamo neanche a dire che nella routine di tutti i
giorni il telefono va che è una meraviglia, che si può
ascoltare musica mentre si usa un navigatore GPS o
che i giochi arrivano a più di 30 fps senza problemi,
perché sinceramente con uno Snapdragon 805 e 3
GB di RAM questo è scontato. Se non avete intenzione di stressarlo più di tanto o se non vi sentite
Google Maps in finestra, con
sopra i comandi per chiudere
rimpicciolire o portare l’app a
tutto schermo.
veri “power user”, il rischio che incontriate il benché
minimo rallentamento semplicemente non c’è.
Ma noi siamo andati oltre, giusto per vedere fin
dove ci si può spingere, considerando che una delle caratteristiche peculiari di questo apparecchio
è il multitasking in finestra (più evoluto di quello di
Note 3) e che non c’è un tetto massimo al numero di
app che possono essere posizionate sullo schermo
contemporaneamente. Le app devono essere compatibili con la visualizzazione in finestra, ma moltissime di quelle precaricate lo sono già (tra queste,
Facebook, Chrome, Gmail ma non Instagram, per
esempio). Tra l’altro una cosa che ci è piaciuta è il
fatto che per accedere a questa modalità basta aprire una qualsiasi app e poi trascinare il dito in diagonale dall’alto verso il basso; se l’app è compatibile,
la finestra si ridimensiona, altrimenti un messaggio ci
avvisa dell’impossibilità.
Siamo partiti da situazioni di forte carico ma plausibili, come prendere appunti in finestra mentre la fotocamera è sempre attiva, oppure tenere Facebook
e Chrome aperti passando rapidamente da uno all’altro e non abbiamo avuto problemi, magari mentre
ascoltiamo musica in streaming.
Solo Facebook ci è parso un po’ lento negli scroll e
va un po’ a scatti se portato in finestra con altri task
attivi, ma per esempio Chrome è molto più fluido:
bellissimo vedere che le lettere dei testi sono estremamente piccole in questi casi, eppure facilmente
distinguibili. Poi ovviamente si può andare avanti e
raggiungere livelli da autolesionismo puro, come
nel caso di Spotify in ascolto da rete cellulare, fotocamera sempre attiva in finestra, Chrome, Google
maps sotto che si muove con noi e S-Pen attiva per
In questo esempio stiamo visualizzando contemporaneamente
la fotocamera, la calcolatrice e
Google Maps.
segue a pagina 28 
In ogni momento si può richiamare la smart bar laterale che
elenca tutte le app gestibili in
finestra.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST
Samsung Galaxy Note 4
segue Da pagina 27 
prendere appunti al volo: in una situazione così lontana dalla realtà, è ovvio che anche lo Snapdragon
805 e i 3GB di RAM entrano in sofferenza, il sistema
rallenta, non si blocca mai ma ci mette un secondo a
tornare alla Home (cosa che tra l’altro riduce tutte le
finestre aperte ad altrettante icone, ma i programmi
continuano a essere aperti), mostra qualche scatto
ma nulla di più. Inutile aggiungere che in condizioni
di uso intenso ma “credibile” la situazione è pressoché perfetta.
Ci si può domandare, poi, se abbia senso o meno la
possibilità stessa di usare i programmi in finestra, e
la risposta è senza dubbio relativa: davvero difficile che gli utenti usino il phablet come un notebook,
anche perché la risoluzione sarà anche eccelsa, ma
lo spazio è poco per più finestre. In alcuni casi con
un po’ di pratica abbiamo trovato un vantaggio nell’avere più finestre aperte, come quando abbiamo
affiancato la rubrica a Chrome per consultare al volo
alcuni indirizzi prima della navigazione. Ma sono casi
eccezionali, non c’è dubbio.
Morale: le prestazioni sono in linea con un device di
alto livello e l’accoppiata processore di ultimissima
generazione/RAM assicura tutta la spinta necessaria per muovere i milioni di pixel del display senza
indecisioni. Nella routine quotidiana, nei momenti di
relax “multimediale” e videoludico l’apparecchio va
fluido senza indecisioni, mostrandosi roccioso anche
in caso di multitasking avanzato. La possibilità di far
girare più app in finestra, senza un limite teorico,
permette all’utente più smaliziato di mettere in crisi il
processore, ma quando questo accade ci si trova in
condizioni di test ben lontane dall’uso reale. Buona
la potenziale longevità del prodotto, che però si scalda parecchio se sottoposto a forti carichi di lavoro.
Qualche numero
Quanto va forte Snapdragon 805

Il Galaxy Note 4 utilizza quello che è senza dubbio
il processore più potente disponibile oggi per uno
smartphone Android. Se è inutile fare un paragone
con l’Apple A8, anche perché sono prodotti diversi
gestiti da un sistema operativo diverso, è interessante vedere come Qualcomm sia riuscita a creare un
prodotto non solo più potente ma anche con consumi inferiori rispetto allo Snapdragon 800.
Qualcomm forse ha sbagliato la nomenclatura, perché se pensiamo a 800, 801 e 805 si potrebbe facilmente immaginare di trovarsi di fronte a tre versioni
dello stesso SoC: in realtà se Snapdragon 800 e 801
sono fratelli molto stretti, l’805 è un SoC totalmente
rinnovato in tutte le sue parti dal modem alla GPU.
Lo Snapdragon 805 resta un processore quad core,
ma al posto dei classici core ARM Cortex utilizza le
sue CPU Krait: se nell’801 venivano utilizzati dei Krait
400 a 28 nanometri, con l’805 siamo passati a nuovi
Krait 450 a 20 nanometri. Ognuno di questi core raggiunge una frequenza massima di 2.65 GHz, anche
se ovviamente sono ben pochi i casi in cui il processore viene spremuto così tanto.
L’altro elemento di forza è la GPU Adreno 420: sup-
torna al sommario
porta Direct3D, OpenGL ES 3.1 e OpenCL 1.2, ma
quello che è più importante è che rispetto al modello
precedente, per la prima volta Qualcomm ha creato
una via diretta tra la CPU e la memoria del SoC, soluzione questa adottata da Apple (con i suoi benefici)
fin dall’A6. Il risultato è un aumento delle performance grafiche del 40% (circa) con una riduzione dei
consumi globali del 15% (circa).
Lo Snapdragon 805 è anche il primo SoC Qualcomm
con decodifica hardware nativa HEVC: abbiamo caricato alcuni file MKV compressi in HEVC ma il player
Samsung integrato non è in grado di mostrarci il
video. Per riprodurre i file salvati in HEVC probabilmente servirà un player esterno, in ogni caso il processore è pronto.
Mettiamo alla prova i sensori
Anche in ospedale
Nelle ultime generazioni, Samsung ha insistito molto sulla dotazione di sensori nei propri apparecchi,
giungendo in Galaxy Note 4 a nuove vette. Qui c’è
davvero di tutto: a partire dal classico GPS, con accelerometro, giroscopio, bussola digitale e sensore
di prossimità, fino ai più evoluti sensori di battito cardiaco e sensore UV. Ma come funzionano? Reggono
il passo con gli strumenti professionali? Pensiamo,
ad esempio, al sensore di battito cardiaco (presente
anche in Galaxy S5 e in Gear Fit): quanto è attendibile la sua misurazione?
Fermo restando che questo sensore e le sue rileva-
zioni non hanno nessuna valenza di tipo medico ma
servono piuttosto per dare un’indicazione del livello di forma dell’utente, abbiamo deciso di mettere
a confronto le rilevazioni di Galaxy Note 4 (tramite
l’app S Health integrata) con quelle di uno strumento
medico, quindi professionale per definizione.
E con anche un po’ di stupore, dobbiamo dire che i
due strumenti si avvicinano: come si nota dalla foto in
basso a sinistra, che testimonia una rilevazione contemporanea dei due dispositivi, mentre la macchina
professionale rileva 81 battiti al minuto, Note 4 è a
84; se invece usiamo il phablet come pulsiossimetro,
il valore di saturazione che otteniamo è 98%, mentre
lo strumento professionale è al 100%. Lo scarto c’è
in entrambi i casi, ma considerando che il Note 4 non
è di certo un dispositivo medico, pensavamo fosse
nettamente più marcato.
S-Pen: è come scrivere sulla carta?
E poi c’è tutto il discorso della S-Pen, che abbiamo
anticipato nell’area del display e su cui torniamo per
esaminare le funzionalità. A fronte di un look&feel
analogo alla penna dello scorso anno, Galaxy Note 4
porta con sé interessanti novità per chi intende sfruttare la penna a ogni occasione possibile.
La novità a livello puramente tecnico è una maggior
sensibilità alla pressione: passiamo, infatti, dal digitalizzatore attivo a 1024 livelli di Note 3 ai 2048 di
Note 4, il che dà all’autore una maggior libertà di
scrittura e avvicina la scrittura su smartphone a quella su carta. In effetti, la sensazione è di notevole naturalezza: la penna scrive anche se appena appoggiata sul display e anche in condizioni di angolazione
“estrema”; la notevole sensibilità si nota anche nella
pressione, anche se per vedere importanti differenze a livello di spessore del tratto bisogna premere in
modo deciso (il che non fa emergere nessun tipo di
difetto, scia o affine sul display).
Ovvio che buona parte delle novità software di Note
4 ruotino attorno, appunto, a S-Pen e alle sue funzionalità: intanto è davvero carina la possibilità di usasegue a pagina 29 
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST
Samsung Galaxy Note 4
segue Da pagina 28 
re la penna, o meglio il pulsante della stessa, come
fosse il tasto di un mouse, di modo tale da evidenziare in un attimo il testo da copiare e incollare in un
secondo momento, oppure per effettuare selezioni
multiple e via dicendo. È forse la funzionalità meno
pubblicizzata, ma quella che dà vero valore aggiunto
rispetto al tradizionale sistema di input touch.
A livello di funzionalità, in S-Pen troviamo nuovi
strumenti, forme e funzionalità molto articolate, al
punto che (immaginiamo) per sfruttare al 100% ciò
che Samsung mette a disposizione dei “pen user”
ci vuole un po’. Il pennino ha il solito pulsante che,
se premuto, permette l’accesso ad Air Command, la
mezzaluna con 4 funzionalità specifiche per S-Pen:
Memo Rapido, Selezione Intelligente, Clip Immagini
e Scrittura Schermo, che ripropongono di fatto la dotazione di Note 3, ma con qualche novità.
In particolare, ci ha colpito Selezione Intelligente (in
basso a sinistra), con la quale è possibile evidenziare
parte di ciò che è mostrato sullo schermo, tagliarlo
e inserirlo negli appunti, eventualmente corredarlo
con qualche nota scritta a mano e poi condividerlo nell’infinità di modi permessi da Android. Ci pare
interessante soprattutto ai fini lavorativi o scolastici:
vediamo qualcosa di interessante in un documento,
“tagliamo” la parte che ci interessa e la mandiamo ai
colleghi. Mentre se vediamo qualcosa di interessante alla lavagna, ci viene in soccorso la Nota Foto (in
basso a destra): questa funzionalità rielabora la foto
(con tempi di attesa discreti) e la converte in formato
vettoriale, di modo tale che si possa intervenire con
il pennino e gli strumenti di S-Pen; magari per correggere qualcosa, magari per prendere un appunto
e via dicendo.
Fotocamera stabilizzata con video in 4K
La fotocamera del Samsung Galaxy Note 4 è un
ulteriore miglioramento di quella usata sul Galaxy
S5. Il sensore è lo stesso CMOS ISOCELL prodotto
da Samsung con un obiettivo F2.2, ma il nuovo top
di gamma può contare su due migliorie notevoli:
la prima è lo stabilizzatore ottico, che permette di
guadagnare due stop, mentre la seconda è l’engine
fotografico inserito da Qualcomm nello Snapdragon
805, un Image Processor che gestisce stabilizzazione, riduzione del rolling shutter nella ripresa video,
riduzione del rumore quando si scatta a ISO elevati,
tone mapping e accelerazione dell’autofocus che ricordiamo è ibrido, quindi a ricerca di contrasto con
un aiuto da parte di alcuni pixel a ricerca di fase.
L’elevato flusso di dati che il processore riesce a gestire permette la ripresa video in 4K a 30 fps, tuttavia
lo Snapdragon 805 non permette di comprimere i
file in HEVC per risparmiare spazio nella memoria interna. Una cosa va detta: il sensore del Galaxy Note
4 è in formato 16:9 e scatta foto a 5312x2988, un
formato poco fotografico ma perfetto per vedere le
fotografie sul televisore. Se si vuole realizzare uno
scatto in un formato 4:3, più convenzionale, il sensore lavora solo nella parte centrale a 12 Megapixel,
quindi 3984x2988. La sensibilità del sensore si può
regolare tra ISO 100 e ISO 800: noi consigliamo l’automatico.
Il Galaxy Note 4 permette anche una gestione del
fuoco tramite due scatti consecutivi e possiamo dire

Qui sopra una Nota Foto. Abbiamo fotografato la pagina del sito web
Samsung relativa alle specifiche di Note 4, convertita in vettoriale e
scritto qualche appunto con l’evidenziatore. A sinistra la Selezione
Intelligente.
torna al sommario
che la resa è notevole.
La fotocamera frontale, inoltre, subisce un notevole
miglioramento in chiave selfie: ottica grandangolare F1.9 con un sensore da 3.7 Megapixel. Non male.
Nel complesso il comparto Camera del nuovo Note
è davvero eccellente.
Alla sera, resta sempre un po’ di carica
A differenza del solito, valutiamo la batteria di Galaxy
Note 4 non solo in termini di autonomia ma anche di
rapidità di caricamento. Infatti, una delle novità più
significative di questo apparecchio non è soltanto la
batteria da 3.220 mAh, tra l’altro removibile per chi
dovesse aver bisogno di autonomia extra, ma anche
la ricarica rapida tramite la tecnologia Adaptive Fast
Charging, con tanto di adattatore ad hoc fornito insieme al telefono. La promessa è notevole: parliamo del
50% di carica in 30 minuti e, soprattutto, di una velocità quasi doppia rispetto al Note dello scorso anno.
Il telefono si ricarica completamente (da zero) in circa
80 minuti, mentre in effetti ci ricordiamo per quanto
riguarda Note 3 tempi superiori: tra le due versioni c’è
un distacco di circa 40 minuti tra le due versioni, il che
è tutt’altro che trascurabile.
Discorso autonomia, che nel complesso ci ha soddisfatto. In regime di test, l’utilizzo del pennino e delle
app dedicate è costante, così come di tutte le funzionalità del telefono. Il multitasking multifinestra, da noi
spinto al massimo è un’altra attività estremamente
onerosa e rientra quasi costantemente nella routine
delle giornate trascorse con Note 4. Supponendo
poi un utilizzo misto 4G/Wi-Fi, due o tre partite ad
Asphalt 8 e ascolto per un’ora buona al giorno di musica in streaming, a sera ci siamo sempre arrivati con
il 30-35% di carica. Sono dati sommari, certo, dipende
molto dall’uso che se ne fa e dall’intensità di uso delle funzioni più onerose, ma quello che è certo è che
Note 4 si posiziona nella fascia alta delle classifica:
supponendo un uso intenso e senza rinunce (d’altronde chi comprerebbe Note 4 per poi non usarlo?) a
sera ci si arriva sempre, ma non a quella successiva.
Il suo merito è quello di permettere un uso davvero
“importante” senza rischi di rimanere a secco sul più
bello: questo, in effetti, non è mai capitato.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST Basso costo non è sempre sinonimo di scarsa qualità, i due Fire HD non hanno proprio nulla da invidiare alla concorrenza
Amazon Fire HD 6” e 7”, essenziale e semplice
Amazon porta sul mercato due piccoli tablet a un prezzo davvero super. Li abbiamo provati entrambi: sorprendono
di Roberto PEZZALI
mazon ha un merito: è grazie al suo primo Kindle
Fire se oggi esistono tablet che costano davvero
poco. Quando la fascia di prezzo sembrava imposta da Apple, Amazon ha saputo lanciare un prodotto di
ottima qualità a un prezzo che tutti ritenevano impossibile. Dopo qualche anno, Amazon è ancora una delle
scelte preferite in USA in fatto di tablet, soprattutto da
chi non guarda a processore, schermo e GB di RAM ma
preferisce la sostanza, la facilità d’uso e la disponibilità
di contenuti. Poco importa quindi se sul tablet di Amazon non c’è Android ma Fire OS, quello che conta è
la possibilità di leggere comodamente un libro senza
problemi, accedere ai migliori giochi e alle app di streaming e godersi un film con audio di tutto rispetto e uno
schermo di qualità. Ora Amazon tenta un’altra “zampata”: Fire HD 6 e Fire HD 7 spostano l’asticella del prezzo
ancora più in basso senza toccare quella della qualità,
99 euro e 139 euro per due tablet da 6” e 7” che non
hanno nulla da invidiare a prodotti della concorrenza.
Li abbiamo provati entrambi, anche se anticipiamo che
siamo davanti allo stesso prodotto: fatta eccezione per
peso e dimensioni, che ovviamente non coincidono,
tutte le altre caratteristiche sono speculari, durata della
batteria inclusa. I due tablet sono quindi gemelli: abbiamo deciso di prendere come riferimento il modello da
6” aggiungendo in qualche caso delle note relative a
quello più grande. Una scelta dettata dalla particolarità
del tablet: 6” sono oggi una dimensione più da phablet
che da tablet, e la scelta di Amazon di realizzare un
prodotto così piccolo ci ha sorpreso. Inoltre, a parità di
risoluzione dello schermo, la versione da 6” ha una definizione maggiore, elemento da non trascurare.
A
Non è troppo piccolo un tablet da 6”?
Tra 6” e 7” la differenza è minima, e probabilmente ci si
chiede per quale motivo Amazon abbia realizzato due
prodotti identici che sembrano pestarsi i piedi uno con
l’altro. In realtà ci si rende conto subito che la versione
da 6” non è proprio un tablet. A un prezzo aggressivo,
99 euro, e con uno schermo IPS di qualità, il Fire HD da
video
99,00la
€b
Amazon Kindle Fire HD 6”
OTTIMO REGALO DI NATALE (IN ANTICIPO)
Amazon ha realizzato due buoni tablet, destinati a chi non può permettersi (o non vuole spendere troppo) un iPad Mini ed è rimasto scottato
più volte acquistando un tablet low cost. I due Fire HD sono colorati, robusti e sufficientemente veloci per la maggior parte degli usi a cui è
indirizzato un tablet. L’organizzazione di Fire OS, con il menù diviso in tipologia di contenuti (video, foto, libri, app, musica), è particolarmente
adatta a chi è nuovo nel mondo tablet e cerca soprattutto semplicità. La possibilità di fruire proprio di contenuti, dai libri ai video, oltre alla
navigazione web rappresentano il punto forte dei Fire, mentre l’anello debole è uno store abbastanza completo che ha però ereditato le
criticità e l’approssimazione di Google Play. C’è di buono che Amazon, nel suo App-Shop, regala ogni giorno un’applicazione e periodicamente
rilascia gratuitamente bundle di applicazioni di un certo livello, occasione questa da non farsi sfuggire.
7.9
Qualità
8
Longevità
7
Design
7
COSA CI PIACE Costruzione robusta
Prezzo davvero abbordabile
Buona autonomia
6” è, infatti, un perfetto media player, una console portatile, un gioco per bambini e un piccolo blocco note. Le
dimensioni sono proprio la sua fortuna, anche se l’essere così piccolo limita un po’ le sue possibilità.
Scocca robusta e colorata
ma pesa troppo
Realizzare un tablet da vendere a 99 euro senza rimetterci non è semplice. Amazon ha il merito di essere riuscita a trovare la giusta ricetta miscelando una serie di
ingredienti che da soli non rendevano il piatto gustoso:
la scocca è in plastica, ma la lavorazione superficiale
non solo migliora il grip, dona anche una sensazione di
robustezza notevole. Il Fire HD 6 non è sottile come altri
tablet ma è incredibilmente robusto e anche con due
mani facciamo fatica a fletterlo: non abbiamo provato,
ma siamo certi che sia in grado di assorbire senza problema l’urto di una caduta. A questo va aggiunta anche
la possibilità di dotarlo di una custodia che protegge
la scocca e anche lo schermo, oltre al rivestimento in
Gorilla Glass. Amazon Fire HD 6 e 7 non sono di certo i
tablet più belli e eleganti sul mercato, ma sono incredibilmente solidi e massicci. La versione da 6” pesa 290
gr, che diventano 337 per la versione da 7”: entrambi
hanno uno spessore di poco superiore al centimetro e
se quello più piccolo misura 169x103 mm, quello da 7”
Semplicità
8
D-Factor
7
Prezzo
9
COSA NON CI PIACE Peso eccessivo
Display troppo sensibile alle ditate
Molte funzionalità “Amazon”
sono disponibili solo in USA
segna sul righello 191x128 mm. Queste sono di fatto le
uniche differenze di nota, perché come vedremo sia le
colorazioni (nero, bianco, magenta, blu cobalto o giallo
limone), sia la componentistica sono identiche. A dire
il vero un’altra piccola differenza c’è: il modello da 6”
ha un solo altoparlante sul retro, quello da 7” ha uno
speaker stereo. In entrambi i casi la resa audio è davvero più che dignitosa. Sotto il profilo della connettività,
Fire HD può contare sulla classica porta micro USB e su
un jack stereo: non c’è memoria espandibile, ma si può
comprare la versione da 16 GB oltre ovviamente allo
spazio cloud. I due tablet sono anche dotati di doppia
camera: una piccola frontale è affiancata da un’altra da
2 Megapixel sul retro, il minimo indispensabile per permettere la ripresa di video Full HD. Per chi vuole collegare il tablet al TV, Amazon ha previsto la compatibilità
Slimport per la porta USB: serve comunque un adattatore esterno non in dotazione. Nella scatola troviamo,
infatti, il cavo e il caricabatterie USB: per una ricarica
completa servono circa cinque ore e mezza con il caricabatterie in dotazione. Dal punto di vista puramente
ergonomico, l’unica nota negativa è proprio il peso: i
due Fire HD sono piccoli mattoncini, e se aggiungiamo
la custodia diventano ancora più pesanti. La custodia,
disponibile come accessorio, è un acquisto obbligato:

segue a pagina 31 
torna al sommario
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST
Amazon Fire HD 6 e 7 pollici
segue Da pagina 30 
oltre a dare un tocco di colore, funge da protezione,
supporto da tavolo e lucida schermo grazie alla finitura
interna in microfibra.
Difficile dare di più a questo prezzo

Proporre un tablet a 99 euro vuol dire scendere a parecchi compromessi. Ed è proprio per questo che abbiamo cercato di capire dove Amazon abbia risparmiato e cosa abbia fatto per scardinare il mercato dei tablet
low cost. La memoria integrata è da 8 GB ed è veloce, lo
schermo è un 6” IPS con filtro polarizzatore protetto da
Gorilla Glass e da 1.280x800 pixel, che fa registrare 252
dpi nella versione da 6” e 216 dpi in quella da 7”: per
resa cromatica, angolo di visione e livello di leggibilità
anche con forte luce ambientale lo schermo del Fire HD
è promosso. Certo, non è uno schermo di riferimento
calibrato (il contrasto è un po’ basso) ma è un display
decisamente godibile con adattamento manuale della
luminosità; l’unico appunto da fare è un aumento della
luminosità quando proviamo a torcere il tablet, probabilmente dovuto al polarizzatore che si flette. Purtroppo,
dobbiamo ammetterlo, siamo stati contagiati dal #bendgate e proviamo a piegare ogni cosa, anche un prodotto come un tablet che non rientra nel “fenomeno” di
cui sopra. Migliorabile il trattamento oleofobico superficiale: il tablet è particolarmente sensibile alle ditate e
una bella pulita ogni tanto con un panno in microfibra è
decisamente consigliata. Passando al processore, Amazon ha tralasciato la soluzione Qualcomm per affidarsi a
Mediatek: una scelta coraggiosa, anche perché le soluzioni del costruttore americano per la fascia entry level
non sono soddisfacenti. Troviamo un MT8135, un SoC
Mediatek pensato per i tablet che lavora in configurazione big.LITTLE grazie a due core Cortex A7 a 1.2 GHz
per le operazioni di routine e a due core Cortex A15 a
1.5 GHz per i processi che richiedono più potenza. Accompagnato da 1 GB di RAM, il SoC Mediatek può contare anche su un processore grafico PowerVR G6200
che dovrebbe dare buone performance anche in ambito gaming. Amazon non rinuncia, infine, a un reparto
connettività fatto da un modulo Wi-Fi 802.11n, Bluetooth
4.0 LTE, accelerometro e giroscopio: manca il GPS, ma
come per altri tablet Wi-Fi viene usata la rete wireless
per una stima approssimata della posizione. Dove Amazon abbia risparmiato resta ancora un mistero.
torna al sommario
Fire OS Sangria
È Android ma non sembra
Amazon continua a sviluppare il suo sistema operativo: il termine tecnico è “fork”,
ovvero una versione di Android totalmente
modificata ma con alcuni elementi in comune con il sistema originale. Nella sua ultima
versione, Fire OS 4.0 Sangria, Amazon ha
aggiunto una serie di significative migliorie
aumentando la compatibilità con le app sviluppate per Android. Questo non vuol dire
che sia possibile scaricare le app di Android, ma semplicemente che uno sviluppatore può portare la sua app Android sullo
store di Amazon in meno di 90 secondi, il tempo che ci
impiega l’App Testing Service a verificare che tutto sia
a posto. Va detto, comunque, che Fire OS Sangria, con
tutte le app che arrivano preinstallate, non è propriamente un sistema compatto: occupa 3.5 GB, e questo
vuol dire che sul tablet da 8 GB, solo 4,5 GB saranno
disponibili per i contenuti dell’utente, che diventano
11,6 GB nella versione da 16 GB. Chi vuole usarlo come
media player per caricare film e serie tv farebbe bene
a scegliere la seconda opzione. Molte feature introdotte dal nuovo Fire OS sono purtroppo destinate solo al
mercato americano e Amazon non ci ha saputo dire
quando arriveranno anche da noi, ad esempio Family
Library, per condividere gli acquisti e ASAP per il precaching dei contenuti video. A noi resta comunque tutto
il resto, un’interfaccia rivista e ottimizzata, WPS Office
totalmente integrato per editare e vedere documenti da
Word, Excel e PowerPoint, la modalità a schermo intero
e una modalità di risparmio energia che disattiva il Wi-Fi
nelle ore notturne. Fire OS è migliorato un po’ ovunque:
dal browser Silk che guadagna nuove feature come la
modalità lettura e l’integrazione con i social network.
Amazon ha rivisto anche il parental control per bloccare
scaricamenti e acquisti in-app.
Onesto tablet con una buona autonomia
Il Fire HD è un tablet onesto: per chi vuole prestazioni elevate, schermi eccellenti e dimensioni ridotte
Amazon ha preparato la serie HDX, che offre le stesse
opportunità lato software ma si può contare su più memoria, processori più veloci e schermi più risoluti. Dal
Fire HD 6 e 7 non dobbiamo quindi aspettarci la luna,
ma da Amazon pretendiamo comunque di più di quanto pretenderemmo,
ad esempio, da
un produttore che
compra tablet cinesi e li rimarchia. Il
processore usato
non è dei più veloci,
sia come potenza di
computazione sia
sotto il profilo grafico: i benchmark ci
confermano che i
due tablet sono gemelli e che, a fronte
di una potenza tutto
sommato
buona,
entrambi lasciano un po’ a desiderare sotto l’aspetto
grafico con un frame rate che si avvicina molto a quello
del Nexus 4. Nonostante si riesca a giocare a Beach
Buggy e ad altri giochi mossi da engine grafici 3D, è abbastanza evidente che questo tablet è adatto ai casual
game. Utilizzando il tablet per diversi giorni, si può dire
che le performance sono più che soddisfacenti: non
sarà un iPad Mini ma non abbiamo notato nè scatti nè
lentezza nel caricamento delle app. Purtroppo, rispetto
agli altri tablet concorrenti basati su Android, nel Fire
HD si sente la mancanza delle app di Google: se per
YouTube e Google Maps esistono soluzioni alternative,
altre app non esistono proprio. L’ecosistema è un po’ il
punto debole: rispetto ai clienti americani di Amazon,
che hanno a disposizione una quantità enorme di contenuti oltre le app, in Italia possiamo contare solo sui libri e le riviste e sull’app store, oltre ovviamente ai contenuti caricati dall’utente. Basta guardare una schermata
del tab applicazioni per rendersi conto che c’è un po’ di
disordine, alcune applicazioni con l’icona quadrata, altre stondate e altre ancora con il fondo trasparente: non
è una questione di funzionalità quanto di stile, e forse
Amazon dovrebbe essere un po’ più rigida nelle regole
del suo store, anche a costo di scartare app indesiderate. Anche perché, è sempre bene ricordarlo, Amazon
App-Shop eredita la maggior parte delle app da Google
Play e su Google Play per ogni app decente e utile ce
ne sono almeno 50 inutili. Buona la parte legata alla
fruizione dei contenuti multimediali: la musica si può
lasciare su Cloud Drive e scaricarla all’occorrenza, e la
stessa cosa vale per i video. Qui il Fire riproduce senza
problemi MP4 e MKV, ma bisogna fare attenzione alla
dimensione dei file perché la memoria, soprattutto nella
versione da 8 GB, non è molta. Discreta la fotocamera:
2 Megapixel con foto HDR e video, ma non ci sono nè
flash led nè touch-to-focus. La presenza delle due fotocamere sui Fire HD è legata all’uso con applicazioni di
messaggistica e di realtà aumentata, oltre ovviamente
alla scansione dei codici a barre e di QR Code. Per foto
scattate con i dispositivi Amazon, lo spazio su Cloud
Drive è infinito e gratuito. Una nota per l’autonomia: i
tablet non dispongono di un sistema automatico di regolazione della luminosità dello schermo quindi siamo
portati a tenere un livello medio / alto per renderli leggibili sempre. Questo nel nostro caso ha portato, con un
uso normale, a un’autonomia di più di 7 ore per un uso
tipico da tablet con navigazione web, Wi-Fi e lettura di
libri tramite l’app nativa, mentre si scende a poco più di
6 ore e 30 minuti se si guardano video.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST Abbiamo provato Netflix in Ultra HD con l’app per i TV 4K Sony Bravia, per valutare la qualità del servizio di streaming
Netflix in 4K è davvero il futuro dell’home video?
La qualità è buona ma non ancora a livello di quella che gli appassionati di home cinema si aspettano da un video in 4K
N
di Paolo CENTOFANTI
onostante tutti i produttori di TV ormai offrano a
catalogo modelli con schermo Ultra HD, il dilemma è sempre il solito: ben venga una risoluzione
sempre più alta, ma i contenuti dove sono? La risposta
data da quasi tutti i produttori è sempre una: Netflix.
Peccato che al momento il servizio sia disponibile solo
in una manciata di paesi, mentre gli operatori locali,
almeno ad oggi, di Ultra HD non hanno ancora nulla.
Abbiamo provato allora a metterci per una volta nei
panni di un consumatore statunitense e saggiare com’è la situazione dal suo punto di vista. Per farlo abbiamo approfittato della presenza in redazione del TV 4K
di Sony da noi appena testato, il 65 pollici della serie
X85, e utilizzato il servizio UnoTelly per accedere a Netflix come se ci trovassimo dall’altra parte dell’oceano.
video
lab
L’applicazione per i TV Sony
Netflix in Ultra HD è disponibile unicamente sui TV
Sony, LG e Samsung con l’apposita app abilitata al
servizio. Oltre a ciò occorre naturalmente anche un
abbonamento a Netflix, in particolare quello da 11,99
dollari al mese, che offre l’accesso al servizio da fino
a 4 dispositivi contemporaneamente e appunto abilita gli stream in 4K. Configurando la propria rete per
utilizzare un servizio come UnoTelly, sul TV Sony si
sbloccheranno una serie di app aggiuntive, tra cui appunto Netflix.
ficazione per genere.
In cima invece troviamo la barra degli strumenti che
offre la ricerca libera del catalogo del servizio, l’attivazione del profilo Kids e il menù delle impostazioni,
che a dire il vero non offre granché. È essenzialmente possibile controllare i dati del proprio account e al
massimo effettuare un test sulla connessione di rete
per controllare che non ci siano problemi.
viamo una serie di documentari in timelapse.
Le serie TV sono sicuramente interessanti, mentre i
film disponibili, a parte i Puffi, sono anche molto datati
e quindi non ci aspettiamo possano molto valorizzare
il formato Ultra HD. Viceversa, i timelapse sono molto
scenografici, ma a livello contenutistico non stiamo
parlando di veri e propri documentari. Insomma, se è
vero che abbiamo tante ore di video in 4K grazie alle
serie TV, d’altro canto l’offerta non è così varia come
si potrebbe pensare.
Qualità video buona
Ma dall’Ultra HD ci si aspetta altro
Una volta effettuato il login con il proprio account,
possiamo accedere al menù principale che offre essenzialmente tutte le funzionalità del servizio. In evidenza troviamo soprattutto “My List”, la coda dove aggiungiamo tutti i contenuti che vogliamo visualizzare.
In generale l’applicazione è abbastanza reattiva. Lo
scrolling del catalogo è forse un po’ lento, ma nel
complesso si tratta di un’app ben fatta e di facile utilizzo e con diverse occasioni per imbattersi in nuovi
contenuti da vedere. Dall’app è possibile aggiungere
film o serie TV alla propria lista e dare un voto ai vari
contenuti che guardiamo, esattamente come è possibile fare dalle app per altri dispositivi. Naturalmente la
coda di visione si sincronizza tra tutti i dispositivi, così
come il punto in cui abbiamo interrotto la riproduzione di tutti i filmati che abbiamo iniziato a vedere.
Quali sono i contenuti in Ultra HD
Scorrendo verso il basso passiamo in rassegna i contenuti raccomandati dal servizio in base ai nostri gusti
(una delle migliori funzionalità del servizio) e la classi-
Al momento Netflix offre una delle più ampie offerte di contenuti in Ultra HD, almeno in termini di ore.
I titoli più interessanti disponibili in streaming sono la
seconda stagione di House of Cards, la serie completa di Breaking Bad (5 stagioni) e la prima stagione di
Blacklist. A ciò si aggiunge una manciata di film, come
I Puffi 2, Hitch, Jerry Maguire e Philadelfia. Infine tro-
Netflix utilizza un sistema di trasmissione e codifica
scalabile sia a livello di bitrate che di risoluzione. La
qualità di immagine viene così regolata in modo automatico e completamente trasparente per l’utente,
in funzione della banda disponibile e non è possibile
selezionare a priori il formato di riproduzione. All’avvio di un filmato, l’immagine sarà a una risoluzione
intermedia e in pochi secondi, se la connessione lo
permette, ci ritroveremo alla massima qualità disponibile.
Abbiamo effettuato i nostri test con una connessione
in fibra a 100 Mbit/s e per l’Ultra HD Netflix raccomanda una linea almeno a 25 Mbit/s, non esattamente
alla portata di tutti in Italia. Nelle nostre prove siamo
sempre partiti da una base di 1080p come qualità,
per arrivare in pochi secondi ad avere i sospirati
2160p. Già a 1080p dobbiamo dire che la qualità video di Netflix non è affatto male, anche se il livello
di dettaglio è visibilmente inferiore a quello di un
Blu-ray Disc, ma anche di servizi di video on demand
come iTunes. Il passaggio all’Ultra HD non è così netto come ci si aspetterebbe.
Tralasciando i film attualmente disponibili, presenti
con master non all’altezza per il 4K, le tre serie TV
sono quelle che offrono il miglior campo di prova.
Con nessuna di queste però abbiamo sperimentato

segue a pagina 33 
torna al sommario
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Record di download per Songs of Innocence degli U2, regalato da Apple
Apple regala U2 e 81 milioni di persone accettano
TV E VIDEO
di Massimiliano ZOCCHI
Technicolor
trasmette
l’UHD sul DTT
uanto può essere remunerativo
per una band come gli U2 distribuire gratuitamente il proprio album
a 500 milioni di clienti sparsi nel mondo? È quello che si chiedono tutti dopo
la mossa a sorpresa di Apple di qualche
settimana fa. A quanto pare, però, la
strategia sta pagando, e Eddie Cue e
gli stessi U2 hanno spiegato a Billboard
come stanno andando le cose. Innanzitutto prendendo in considerazione
sia iTunes, iTunes Radio, e Beats Music
circa 81 milioni di clienti hanno ascoltato
almeno una canzone dal nuovo album
Songs of Innocence. Numero elevatissimo se si considera che prima d’ora solo
14 milioni di ascoltatori avevano acquistato brani degli U2 su iTunes Store.
Di tutti questi fan, veri o presunti, sono
26 milioni quelli che hanno accettato in
toto il regalo di Apple e hanno scaricato
l’intero album in tempo. La parte interessante della vicenda è però un’altra: quali
ripercussioni può avere una mossa del
genere, in un mercato come quello musicale, a volte imprevedibile? Il pensiero
della band è piuttosto filosofico:
“Apple è una tech company che combatte per il giusto compenso ai musici-
Technicolor, in collaborazione con
Sinclair Broadcast, ha realizzato il
primo test di trasmissione TV in
Ultra HD negli Stati Uniti, utilizzando il nuovo standard ATSC 3.0
(l’analogo del nostro DVB-T2). Si
è trattato di un test su normali
frequenze TV terrestri e soprattutto il primo impiego al mondo del
nuovo formato di codifica Scalable
HEVC. Per scalabile si intende la
possibilità di inviare un unico flusso
video che in ricezione può essere
decodificato a diverse risoluzioni, a
seconda della qualità del segnale.
Ciò permetterà, tra le altre cose, di
trasmettere un contenuto in Ultra
HD, mantenendo la piena compatibilità con schermi Full HD, senza
bisogno di avere canali TV separati
(con evidente risparmio di banda).
La piattaforma Technicolor impiega
inoltre il nuovo formato di compressione audio MPEG-H e consente,
forte della scalabilità, anche la ricezione in mobilità delle trasmissioni.
Le specifiche ATSC 3.0 sono ancora
in fase di finalizzazione e quello
appena effettuato è stato solo uno
showcase della nuova piattaforma,
al fine di attirare l’interesse dei
broadcaster verso l’Ultra HD.
Intanto le vendite del disco sono partite alla grande. È nato un nuovo modello di business?
Q
sti. L’idea che voglia fare un regalo alle
persone che realmente acquistano musica è bello e poetico, e ne siamo molto
grati” - Comunicato ufficiale degli U2
Sviolinate ai fans e ad Apple a parte,
la mossa di marketing è stata studiata
con attenzione. Infatti la copia fisica del
nuovo album arriverà nei negozi il 14
ottobre, e sarà ben diversa da quella offerta da Cupertino. Nella Deluxe Edition
ci saranno dieci tracce aggiuntive, non
presenti nella versione iTunes, con versioni acustiche dei brani e 4 nuovi pezzi. Solamente basandosi sui preordini
effettuati finora, questa Deluxe Edition
è già richiesta per 70.000 copie solo
negli Stati Uniti. Ma non solo vendite.
Secondo Billboard, l’operazione senza
precedenti ha assicurato agli U2 e alla
loro etichetta una pubblicità equivalente a una campagna da 100 milioni di
dollari, oltre a un incasso per Universal
Music di altri 52 milioni; quest’ultima è
una stima di Billboard sui proventi medi
di vendita di 26 milioni di album, stima
che la casa discografica non ha comunque confermato. Ma se così fosse, possiamo dire di essere di fronte all’ennesima rivoluzione del mercato musicale ad
opera di Apple?
TEST
Netflix in 4K è il futuro dell’home video?
segue Da pagina 32 

il tanto sperato effetto wow. La qualità è sì buona,
meglio del 1080p di base, ma il livello di dettaglio
raramente è così incisivo quanto ci si aspetterebbe.
Inoltre nelle scene più concitate la compressione
diventa immediatamente visibile con blocking e altri
torna al sommario
artefatti. Nei momenti migliori possiamo dire che la
qualità si avvicina a quella di un buon Blu-ray, con un
filo di dettaglio in più su alcuni particolari, ma senza
mai arrivare a farci gridare al miracolo e certamente
senza quel salto qualitativo che uno si aspetterebbe
passando da 5 a 25 Mbit/s. Per il resto il servizio proposto da Netflix è ineccepibile. Tutti i contenuti sono
offerti con audio multicanale in Dolby Digital Plus 5.1
in Inglese e Spagnolo e
con sottotitoli selezionabili al volo. Per House of Cards c’è pure la
traccia audio di commento del regista per
alcuni episodi, proprio
come sui DVD. Il punto
di forza di Netflix, oltre
al prezzo naturalmente, è soprattutto la praticità di avere un ampio catalogo unita alla
possibilità di passare
con disinvoltura da un
dispositivo all’altro.
Lo streaming è il futuro
Ma la qualità deve crescere
Se Netflix così come è oggi fosse disponibile anche
in Italia, vi diremmo che l’abbonamento da 11,99 dollari converrebbe più per la possibilità di utilizzarlo su
più dispositivi contemporaneamente, che per l’Ultra
HD, che di ultra ha solo il nome e il requisito di banda,
almeno per ora. La qualità è sicuramente buona, non
c’è dubbio, ma non offre quel salto qualitativo che
giustificherebbe il costo di un TV 4K, senza parlare
dell’offerta del catalogo, con due ottime serie TV ma
solo quelle. Di certo servizi come Netflix rappresentato il futuro dell’home entertainment, su questo non
abbiamo più dubbi. Per praticità d’uso e funzionalità
offerte, oltre che il costo tutto sommato irrisorio a
fronte di un buon catalogo di film, telefilm e documentari, Netflix è il sostituto ideale del videonoleggio, ma anche di certa pay TV. Solo con il diffondersi
della banda ultra larga - sempre quella parola, ultra
- allora forse potrà esserci quel salto anche a livello
di qualità di immagine che invece gli appassionati
di home cinema chiedono prima di abbandonare i
benamati dischi Blu-ray. Sempre che per allora esistano ancora.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST L’ammiraglia della gamma OM-D di Olympus è più piccola ed economica della E-M5 ma con tratti in comune con la E-M1
Olympus OM-D E-M10, divertente e scattante
Abbiamo provato la nuova mirrorless compatta di Olympus che sembra quasi troppo bella per essere vera. E invece...
di Paolo CENTOFANTI
on la gamma OM-D Olympus ha riportato in auge
l’amata linea di reflex quattro terzi OM, lasciandosi alle spalle lo specchio ma mantenendo
intatta la filosofia di fondo di macchine ben costruite
e con in mente gli appassionati di fotografia, un tratto
ben incarnato dal primo modello di questa linea, quella
E-M5 che ha riscosso un buon successo. L’anno scorso
è arrivata la E-M1, ammiraglia che si sta ricavando un
suo spazio non solo tra gli appassionati evoluti, ma anche in campo professionale, complice un parco ottiche
in continua espansione. A inizio anno, Olympus ha dunque annunciato la E-M10, terzo modello in ordine tempo della gamma OM-D, che nasce con l’intenzione di
capitalizzare la nuova giovinezza del marchio Olympus
e allo stesso tempo di aggiornare la E-M5. Anche se
tecnicamente la E-M10 si presenta come la OM-D più
piccola ed economica, in realtà sotto molti aspetti costituisce un’evoluzione della E-M5, tanto che se non di
modello superiore, si potrebbe parlare di alternativa a
pari merito. Perché anche se il corpo non è più impermeabile come sulla E-M5 e il sensore quattro terzi da
16 Megapixel è lo stesso, la E-M10 ha anche qualcosa
in comune con la E-M1, a cominciare dallo stesso processore di immagine TruePic VII e dall’aggiunta della
connettività Wi-Fi. Il tutto con un prezzo per il solo corpo macchina molto interessante, 650 euro di listino.
C
Più piccola, ma il DNA è quello
della OM-D E-M5
Il corpo macchina della E-M10 è a prima vista molto
simile a quello della E-M5. Certo la fotocamera sulla
video
649,90l€
ab
Olympus OM-D E-M10
PICCOLA SOLO NEL PREZZO
L’ultima nata della gamma OM-D di Olympus non è la mirrorless più economica sul mercato, è vero, ma porta su una fascia di prezzo molto più abbordabile la stessa qualità costruttiva e l’impostazione “pro” dei modelli E-M1 e E-M5. La qualità delle fotografie, già in JPEG con impostazioni di
default, è ottima e i controlli a disposizione - che possono intimorire inizialmente un utente che fa il grosso passo da una normale compatta - sono
perfetti per l’utilizzo in manuale della fotocamera. A ciò si aggiungono molte funzionalità “divertenti” come il Live Composite e un’implementazione pratica e veloce della connettività Wi-Fi per l’abbinamento a uno smartphone. La E-M10, pur con un paio di mancanze quali l’impermeabilizzazione e lo stabilizzatore a 5 assi, sembra più un aggiornamento della E-M5 a un prezzo decisamente più conveniente. Il parco ottiche micro
quattro terzi è uno dei più ampi e variegati del momento, il che aggiunge punti alla longevità e valore di questa piccola grande mirrorless.
8.5
Qualità
9
Longevità
9
Design
9
Semplicità
7
COSA CI PIACE Ottima qualità immagine,
COSA NON CI PIACE
anche in JPEG
Stabilizzatore su sensore
molto efficace
Ottima costruzione e controlli completi
carta è più piccola, ma neanche così tanto: 119x82x46
mm contro i 122x89x43 mm. E infatti ritroviamo praticamente tutti i controlli manuali, il display da 3 pollici, il
mirino elettronico e c’è stato anche posto per un flash
integrato, assente nella E-M5. La qualità della costruzione è impeccabile con un corpo in lega di magnesio
che restituisce un grande senso di solidità, anche se
rispetto al modello superiore si perde l’impermeabilizzazione. Nonostante ciò, è difficile impugnare la E-M10
e pensare a un vero e proprio downgrade rispetto alla
E-M5, il che considerando la differenza di prezzo, è il
miglior complimento che si possa fare all’ultima proposta Olympus. I controlli, come dicevamo, sono completi
e permettono - anzi invogliano - l’utilizzo manuale della
macchina con il sistema a doppia ghiera per la regolazione dell’esposizione. A ciò si aggiungono altri due
tasti funzione, la ghiera per selezionare la modalità di
scatto, tasto di registrazione video, comandi direzionali
a croce. Tutti questi comandi possono essere personalizzati su misura nel menù della macchina per assegnare le regolazioni che usiamo più frequentemente.
In basso a destra sul retro si trova, quasi nascosto, il
selettore per l’accensione della fotocamera. Sul mirino troviamo inoltre un tasto che permette di passare
agevolmente alla modalità live view sul display. Il miri-
D-Factor
8
Prezzo
8
Con ottiche ingombranti è meglio
usare il grip opzionale
Qualità video molto deludente
Slitta compatibile solo con flash e
assenza di ingresso microfono
no elettronico è lo stesso della E-M5, di tipo LCD con
risoluzione di 800x600 pixel, sensore di prossimità e
regolazione automatica della luminosità in funzione
della luce ambientale. Il display è sempre da 3 pollici,
ma è stato sensibilmente migliorato: ora il pannello è
LCD anziché OLED, ma con una risoluzione di 720 x
480 pixel ed è orientabile di 80° verso l’alto e 50° verso il basso. Sulla sinistra, sopra al display, troviamo la
rotella per la regolazione delle diottrie per il mirino e il
tasto per aprire il flash. Viste le ridotte dimensioni del
corpo macchina in rapporto ad alcuni obiettivi, Olympus ha realizzato anche un grip opzionale, che migliora
l’impugnatura della macchina e ne aumenta l’altezza
per rendere più agevole l’uso di un treppiede quando
si montano obiettivi di grandi dimensioni.
Cuore professionale
con qualche rinuncia
La più grossa semplificazione rispetto alla E-M5 non è
estetica ma funzionale, visto che la stabilizzazione di
immagine sul sensore passa dal sistema a 5 assi a 3
assi. La E-M10 integra però lo stesso processore della
E-M1, il TruePic VII, apprezzato sulla top di gamma per
la velocità e per la qualità dell’engine JPEG, tra i mi-

segue a pagina 36 
torna al sommario
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST
Olympus OM-D E-M10
segue Da pagina 35 
gliori sulla piazza. La funzione più importante introdotta
sul nuovo processore è la correzione automatica delle
aberrazioni cromatiche come parte dell’algoritmo proprietario Fine Detail II di Olympus, che applica anche
correzione della nitidezza, riduzione di falsi colori e
demosaic in modo ottimizzato a seconda dell’obiettivo
montato sulla macchina. Rispetto alla E-M1 viene meno
il sistema di autofocus Dual FAST, che faceva uso anche della tecnologia a rilevamento di fase su sensore.
Qui troviamo, invece, lo stesso sensore Live MOS della
E-M5 per cui viene implementato il solo rilevamento a
contrasto che comunque garantisce prestazioni di tutto
rispetto, come abbiamo toccato con mano. L’autofocus
lavora su 81 aree e la macchina è in grado di scattare
a raffica fino a 8 fps (3,5 fps in modalità “lenta”) con un
numero massimo di 20 fotogrammi in formato RAW. Il
sensore Live MOS da 4/3 pollici ha una risoluzione di
Il “super menù”, sempre visibile sul display, permette di accedere in un colpo solo praticamente a
tutte le impostazioni di scatto di uso più frequente
16,1 Megapixel effettivi (17,2 Megapixel in totale con filtro
RGB), per una dimensione di immagine di 4.608x3.456
pixel (17 MB per foto in formato RAW a 12 bit) e possibilità di ripresa video a 1.920x1.080 in 30p. Il range ISO va
da 200 a 25.200 con modalità estesa ISO Low. La velocità massima dell’otturatore è, infine, la stessa della
E-M5, 1/4000 secondi, forse unico vero punto debole,
e rispetto ad altre concorrenti non è disponibile una
modalità di scatto silenziosa. La E-M10 non è dotata
né di uscita per le cuffie né di ingresso per microfono.
Gli unici connettori sono la slitta per i flash opzionali, l’uscita USB/Audio Video e la micro HDMI. Sotto il
profilo della connettività l’aspetto più interessante è il
Wi-Fi con visualizzazione di un QR Code sul display per
la connettività veloce da Android o iOS con l’apposita
app Olympus OI.Share. Effettuata la prima connessione lo smartphone ricorderà poi la rete e si collegherà
automaticamente. L’app, davvero ben fatta, consente
di importare le fotografie sullo smartphone, controllare
senza fili la fotocamera e di aggiungere geotag alle fotografie sulla fotocamera utilizzando il GPS dello smartphone. Per far questo basta, prima di una sessione
fotografica, attivare il GPS tracking sull’app.
Parametri di scatto sempre
sotto controllo
La OM-D E-M10 offre un sistema di controllo 2x2 basato sulle due ghiere principali. Essenzialmente alle
due manopole possono essere
assegnate in tempo reale, oltre
alla funzione primaria (diaframma e/o esposizione a seconda
del programma utilizzato), ulteriori parametri tramite un tasto
multi-funzione che di default
è impostato su Fn1. In pratica,
premendo una volta Fn1 si può
passare dalla funzione principale delle due ghiere a quella
secondaria. Questa può essere
impostata tenendo, invece, premuto Fn1 e ruotando una delle
due ghiere. Le opzioni disponibili sono: ISO/bilanciamento del
bianco, regolazione alte luci/
ombre, color creator, rapporto
d’aspetto, ingrandimento. Detto
così può suonare macchinoso, Esempio di fotografia ottenibile con la funzione Live Composite
ma in realtà nell’utilizzo pratico si
tratta di una soluzione che permette di accedere rapidamente
a un gran numero di parametri
con un solo tasto e le due ghiere. L’altro pilastro del sistema di
controllo della fotocamera Olympus è costituito dal “pannello di
controllo super” come viene
chiamato in italiano. Si tratta di
un menù che visualizza in una
sola schermata sul display della
fotocamera praticamente tutte
le impostazioni e funzionalità
più importanti. Il menù è visibile
chiaramente solo quando non si
utilizza la modalità di ripresa live
view e può essere controllato
o tramite touchscreen, oppure
utilizzando le frecce direzionali
(soluzione a nostro avviso molto Esempio di esposizione multipla ottenuta direttamente in camera
più comoda e precisa). Tramite il a partire da due scatti memorizzati sulla scheda
pannello di controllo è possibile
intervenire su: ISO, bilanciamento del bianco, preset
le frecce destra e sinistra, oltre a un eventuale tasto Fn
di immagine, nitidezza, contrasto, saturazione, gamma
presente su alcuni obiettivi. Tra le funzioni assegnabili
dinamica, flash, modalità messa a fuoco, riconoscimenvale la pena segnalare fuoco manuale, focus peaking,
AEL/AFL, braketing e HDR. Il menù di configurazione è
to dei volti, area messa a fuoco automatica, modalità
molto articolato, ma una volta presa familiarità con la
esposimetro, modalità di scatto (singolo, raffica, ecc),
E-M10 e configurati i parametri principali, ci affideremo
spazio colore, funzione tasto registrazione video, moquasi sempre al super menù.
dalità stabilizzatore, rapporto d’aspetto, formato di file
e compressione. Le stesse opzioni sono disponibili,
premendo il tasto “OK”, a mirino con il classico menù
a colonna. A prima vista può sembrare esagerato un
La fotocamera Olympus è dotata, oltre che di 24 modamenù solo con tutti questi parametri, ma in realtà nellità scena pre-impostate, di una lunga serie di filtri artistici e modalità di immagine speciali. Tra queste vale la
l’utilizzo pratico si scopre ben presto quanto sia davvepena segnalare almeno il Color Creator e la modalità
ro comodo avere tutto a portata di mano, senza dover
richiamare altre schermate. In più, premendo direttaMonotone. La prima funzionalità consente di dare alle
immagini una colorimetria completamente personalizmente le frecce direzionali, si regola la posizione del
crocini dell’area di messa a fuoco e sempre da qui paszata utilizzando le due ghiere per modificare tinta e
sare in rassegna i vari tipi di area: 81 punti su tutto il frasaturazione in tempo reale. Monotone, come il nome
me, gruppo di 9 aree, area singola e microaree. A tutto
lascia intendere, è dedicato alla fotografia in bianco e
ciò si aggiunge la possibilità di personalizzare i due
nero. L’utente può impostare oltre contrasto e nitidezza,
tasti funzione Fn, il pulsante di registrazione video e
Tante funzionalità speciali

segue a pagina 37 
torna al sommario
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST
Olympus OM-D E-M10
segue Da pagina 36 
anche il filtro colore (rosso, arancione, giallo e verde),
gamma dinamica e un “tono” (seppia, blu, ecc). A ciò
si aggiungono altre funzionalità, la più interessante è
sicuramente il Live Composite. In pratica consiste nella
possibilità di creare una fotografia composita unendo
tra loro fino a tre ore di scatti con esposizione minima
di 1 secondo, mantenendo costante la luminosità di
fondo. Si tratta di una modalità studiata appositamente
per fotografare stelle, fuochi artificiali oppure ancora le
luci del traffico. La cosa interessante è che la macchina
permette di vedere sul display la fotografia comporsi in
tempo reale. La stessa funzionalità è disponibile anche
per la modalità Bulb (otturatore aperto fino a quando
non si preme nuovamente il pulsante di scatto): anche
così è possibile vedere l’immagine a lunga esposizione
prendere forma in tempo reale. Non manca la funzione
Time Lapse che consente di scattare fotografie con gli
stessi parametri a intervalli regolari. L’utente può selezionare il numero di scatti da realizzare, il tempo di
inizio scatto dalla pressione del tasto e l’intervallo di
tempo tra una foto e l’altra. Funzione interessante è la
creazione in macchina di un filmato in MJPEG a 720p.
Infine, troviamo la funzione di esposizione multipla che
può essere fatta live (due esposizioni in sequenza) oppure su foto già scattate (in questo caso se ne possono
unire fino a tre), modalità che può essere utilizzata per
realizzare scatti artistici o effetti particolari.
Bella, veloce e divertente

La nostra prova si è basata sul kit che include l’obiettivo
motorizzato M.Zuiko Digital ED 14‑42mm 1:3.5‑5.6 EZ.
Si tratta di un’ottica zoom collassabile molto compatta
e che dona alla fotcamera anche una bella linea. L’ottica è ben costruita e soprattutto utilizza una ghiera per
il controllo dello zoom davvero molto pratica. Si tratta
di un buon obiettivo che copre un intervallo di focale
equivalente da 28 a 84 mm, molto versatile quindi e
che offre un buon livello di dettaglio su quasi tutto il
frame anche al massimo ingrandimento. Manca forse
un po’ di micro-contrasto, ma la resa è senza dubbio
buona e costituisce un ottimo punto di partenza per
chi si avvicina al sistema micro quattro terzi. La OM-D
E-M10 stupisce subito per due caratteristiche: la velocità e la resa cromatica. La messa a fuoco è straordinariamente veloce in tutte le situazioni di scatto. Abbiamo
testato la macchina sia con l’obiettivo in dotazione, che
con lo zoom M.Zuiko Digital ED 40-150mm R e il Panasonic Leica DG SUMMILUX 25mm F1.4 ottenendo
sempre un’ottima reattività, senza praticamente mai
perdere uno scatto; ci è successo solo utilizzando tutte
le 81 aree di messa a fuoco su tutto il frame su soggetti
ravvicinati con obiettivo molto aperto: in queste situazioni è capitato che venisse selezionata erroneamente
un’area sullo sfondo o alla periferia dell’inquadratura.
Molto buona anche la risposta dell’autofocus in condizioni di scarsa luminosità e tutto sommato discreto
il tracking in modalità continua per gli scatti a raffica,
specie per essere un autofocus a contrasto. Davvero
ottima la pasta dei colori, saturi e brillanti ma anche
molto naturali. In JPEG è possibile impostare anche
una modalità di immagine “vivida” che spinge un po’ di
torna al sommario
più la saturazione, ma non ce
n’è davvero bisogno vista la
resa cromatica che è possibile
ottenere di default dalla fotocamera. Molto convincente la
gamma dinamica del sensore,
che a livello di ISO “normali”
offre sempre un ottimo livello
di dettaglio e immagini molto
pulite. In JPEG viene applicata
una leggera maschera di contrasto che però non porta in
evidenza alcun tipo di alone,
al massimo visibile solo visualizzando l’immagine a monitor
al 100%. I controlli, una volta
presa familiarità, ci sono parsi
ottimi e nonostante le dimensioni un po’ ridotte del corpo
macchina, abbiamo trovato i
tasti poi non così piccoli o troppo ravvicinati come potrebbero sembrare a prima vista. Complessivamente la
Olympus è dunque una macchina veloce e puntuale
nella messa a fuoco, versatile, bella da usare in modalità manuale e che possiamo definire divertente.
Il sensore Live MOS offre prestazioni molto buone ad
alti ISO fino a 3200 ISO, dove il rumore non intacca
comunque il livello di dettaglio (sia in RAW che in minima parte in JPEG). A 6400 ISO invece comincia a
venire meno leggermente anche il livello del dettaglio
anche se ce ne si accorge soprattutto visualizzando le
immagini a monitor al 100%. Il risultato sono comunque
immagini perfettamente utilizzabili per la maggior parte
degli scopi. A ISO più alti il rumore continua ovviamente a crescere a danno dei dettagli più fini, ma scattando
in RAW il risultato rimane entro i limiti dell’accettabile
se non dobbiamo effettuare stampe giganti. In JPEG le
immagini si fanno invece più impastate con la tendenza
ad appiattire i particolari.
La cosa interessante è che grazie all’eccellente sistema di stabilizzazione, il più delle volte potremo scattare
comunque a ISO non molto alti con tempi insospettabilmente alti. Olympus dichiara un guadagno di 3,5 EV
per il suo stabilizzatore, che in molte situazioni può fare
M.Zuiko Digital ED 40-150mm R
la differenza. Tutto ciò considerato, fotocamere con
sensore più grande possono anche offrire un maggiore contenimento del rumore a ISO elevati, ma a nostro
avviso il gap tra mirroroless APS-C e macchine come
questa E-M10 o la Panasonic GX7 provata lo scorso
anno si è ridotto abbastanza da non rendere più questo singolo aspetto una discriminante fondamentale.
Dove la Olympus non ci ha convinto affatto è la resa video (clicca qui). L’azienda giapponese non ha mai fatto mistero del suo focus attuale esclusivamente sulla
componente fotografica dei suoi prodotti, e il risultato
è che sulla E-M10 la registrazione video c’è giusto perché sarebbe impensabile escluderla. Non che le immagini siano terribili, ma le impostazioni sono poche (non
è possibile riprendere a 24 o 25 Hz ad esempio, solo
30) e nonostante la resa cromatica sia vicina a quella
della foto, le immagini sembrano sempre impastate e
prive di dettaglio. A ciò si aggiunge una compressione
non eccezionale nemmeno al massimo bitrate. Unica
nota positiva lo stabilizzatore, che funziona abbastanza bene anche sul video. Segnaliamo tra l’altro quello
che sembra essere un bug: la funzione touch to focus
c’è, ma a volte funziona e altre no, senza un motivo
apparente.
Leica SUMMILUX 25mm F1.4
Leica SUMMILUX 25mm F1.4
Think soundbar
Think Yamaha
YSP-2500
10th Anniversary Model
YSP-2500 di Yamaha è dotato di funzioni avanzate incluse pass-through di segnali video
4K via HDMI, streaming via Bluetooth e la nota tecnologia Intellibeam di Yamaha. Sempre
pronto per dare il migliore audio, in ogni situazione. E’ in grado di apprendere le funzioni
del telecomando della TV e, grazie all’app dedicata, è possibile regolare le impostazioni dei
raggi sonori direttamente da smartphone o tablet. Il suono è chiaro e naturale ed il noto
surround reale creato dalla tecnologia YSP è estremamente coinvolgente.
Questa è la soundbar che stavate aspettando.
Per maggiori informazioni visita it.yamaha.com
Yamaha App Navi
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST Le sue dimensioni la rendono ideale come base per molti televisori: spessore ridotto ma ampia superficie d’appoggio
LG LAB540: soundbar e Blu-ray tutto in uno
Un lettore Blu-ray e un diffusore, uniti per dare sorgente e voce a ogni televisore. È la soundplate LAB540 di LG
Ha Wi-Fi, Bluetooth, DLNA, funzioni Smart TV, Dolby Digital e dts, subwoofer senza fili separato e un design curato
D
di Roberto FAGGIANO
opo che soundbar e soundbase hanno invaso il
mercato, LG ha avuto l’idea interessante di creare la soundplate, un diffusore estremamente
sottile (solo 39 mm) ma molto largo, in modo da poter
facilmente diventare la superficie sulla quale poggiare
un televisore. L’ultima evoluzione di questa gamma è
la soundplate LAB540 (549 euro) che integra il lettore
Blu-ray, è compatibile con segnali Dolby Digital e dts e
ha un subwoofer esterno separato.
Sul prezzo di listino bisogna subito precisare che è
un dato puramente teorico, per fortuna la LAB540 si
trova in vendita facilmente attorno ai 400 euro, una
quotazione già rischiosa per questo tipo di diffusori,
anche considerando la presenza del lettore Blu-ray.
Ecco, quindi, un apparecchio dalla doppia funzione
che risolve i problemi di spazio tipici di ogni casa
moderna, un oggetto anche piuttosto elegante con la
sua finitura metallizzata e il caricamento motorizzato
dei dischi. Più ingombrante il subwoofer, ma comunque entro limiti accettabili ed è ben rifinito.
Questo diffusore può sopportare fino a 38 kg e l’ampia
superficie di appoggio (70 x 32 cm) dovrebbe semplificare la collocazione di TV con supporto standard rettangolare oppure dei modelli con supporti laterali, più
complesso invece il caso di supporti più fantasiosi o
curvi, come alcuni modelli proprio di LG per esempio.
La collocazione di un diffusore come questo è quasi
obbligata, su un ripiano come supporto al TV oppure
al di sotto di uno schermo più grande fissato a parete. Per il subwoofer invece bisogna tenere conto che
l’altoparlante diffonde lateralmente, precisamente dal
fianco sinistro, e quindi bisognerà evitare di posizionarlo troppo vicino alla parete laterale sinistra, meglio
se nei pressi della soundplate. L’accordo reflex è, invece, inferiore e non crea nessun problema.
video
LG LAB540
UNA COMBINAZIONE POSITIVA E UN BUON PASSO AVANTI
549,00 €
lab
L’ultima creazione di LG in tema di diffusori sonori ci è piaciuta molto, un balzo in avanti notevole rispetto ai vecchi modelli. L’audio del
televisore subisce un effettivo miglioramento e riesce a diventare coinvolgente con i migliori film trasmessi in TV. L’aggiunta del lettore Blu-ray
è un plus molto interessante che apre le porte alla riproduzione di file multimediali archiviati nella propria rete domestica. Il collegamento
Bluetooth e la possibilità di riprodurre i CD audio si sposa con prestazioni musicali finalmente all’altezza e aggiunge valore a un oggetto che è
anche curato e bello da vedere. Il prezzo di listino troppo elevato può essere un problema, ma cercando attentamente in rete si può strappare
un prezzo molto più interessante.
7.6
Qualità
COSA CI PIACE
8
Longevità
7
Versatilità funzioni
Linea ultra sottile curata
Lettore Blu-ray integrato
Controlli nel complesso
semplici e mirati
Design
8
Semplicità
7
D-Factor
8
Prezzo
7
COSA NON CI PIACE Prezzo di listino elevato
Funzione ARC non disponibile
Per rendere più coinvolgente l’ascolto si possono selezionare le modalità Cinema e Musica che aggiungono una curva specifica di equalizzazione sul diffusore.
Inoltre è possibile variare il volume del subwoofer in
modo indipendente. Le impostazioni audio si eseguono da un semplice menù a schermo e vengono confermate anche dal display dell’apparecchio. Lo stesso
menù comprende tutte le impostazioni del lettore Bluray integrato. Dal punto di vista tecnico la soundplate
vera e propria impiega due altoparlanti frontali e altri
due denominati Surround con potenza complessiva
di 160 watt (10% THD), mentre il subwoofer utilizza
un altoparlante con potenza di 160 watt (10% THD);
in pratica un sistema in grado di sonorizzare anche
ambienti di cubatura medio-alta con una pressione
sonora più che sufficiente.
Versatilità di buon livello
La combinazione di un diffusore e di un lettore Blu-ray
riesce a sommare le funzioni di entrambi gli apparecchi, tra cui quelle di lettore multimediale per un server
casalingo e una manciata di applicazioni per Smart
TV. I collegamenti disponibili sono più che sufficienti
per l’utente medio: tra le connessioni senza fili c’è il
Bluetooth per smartphone e tablet, oltre al Wi-Fi per
la rete domestica e il Wi-Fi direct per il mirroring da dispositivi portatili Android. Tra i collegamenti via cavo
troviamo due prese HDMI, un ingresso digitale ottico,
la presa di rete Ethernet e un ingresso USB. Le prese
sono piuttosto incassate e poco accessibili quando si
posiziona il TV sopra il diffusore. Il subwoofer attivo si
collega automaticamente senza fili al diffusore principale. A molti sembrerà logico usare il cavo HDMI verso
il TV con la funzione del canale audio di ritorno, ma sul
nostro esemplare non siamo riusciti a usarla, provando
su tre diversi televisori. Il manuale in effetti consiglia
sempre di usare il cavo ottico (non in dotazione) per
l’audio del TV. Per il controllo a distanza si può usare
un’applicazione LG ma ci è sembrato più semplice usare il telecomando in dotazione, già predisposto anche
per TV LG, Samsung e Sony.

segue a pagina 40 
torna al sommario
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
HI-FI Rispetto alla gamma precedente, di 3 anni fa, rimangono inalterate linea e cura nelle finiture
Parrot Zik 2.0 disegnate da Starck, non male
Zik 2.0 si rinnovano con una batteria più potente e funzioni di controllo della resa sonora
di Roberto FAGGIANO
l suo debutto la cuffia Zik di Parrot
stupì per la cura nelle finiture e per
la completa applicazione, capace
di gestire molti parametri della cuffia per
personalizzare la resa sonora. Dopo circa
tre anni dal debutto arriva sul mercato la
Zik 2.0 (350 euro) che lascia inalterata la
linea disegnata da Philippe Starck ma migliora alcuni parametri molto importanti. Il
peso scende da 325 a 270 g, l’autonomia
compie un bel balzo dalle precedenti 7
ore alle 18 ore del nuovo modello. Migliorato anche il circuito di riduzione del rumore, che ora può contare su 8 microfoni
contro i 5 della prima versione. Il circuito
di equalizzazione controllabile dall’app
- anch’essa rinnovata - può contare su
nuove curve di risposta personalizzate
da musicisti e tecnici delle sale di registrazione e sulla funzione “strada” per
A
adattare la resa sonora
ai rumori stradali ma al
tempo stesso non isolare eccessivamente
durante le conversazioni telefoniche. Per il
migliore funzionamento durante le telefonate c’è anche un sensore a conduzione ossea
che fornisce ulteriori
elementi ai circuiti che regolano l’audio.
Rimane poi la possibilità di crearsi una
risposta in frequenza su misura dei propri
gusti personali e i comodi comandi touch
sul padiglione. La connessione senza fili
è tramite Bluetooth con abbinamento
NFC. Zik 2.0 sarà disponibile da novembre in molti colori - bianco, azzurro, nero,
moka, arancio e giallo - tutti rifiniti in pelle
con grande cura dei dettagli.
GADGET
Ecco
l’ombrello
ad aria
Su Kickstarter è apparso il progetto (già finanziato) di Air Umbrella,
il primo ombrello ad aria. Una
batteria al litio nel manico alimenta
un potente motore sulla sommità,
che aspira l’aria dal fondo, la spara
a 360° da piccole feritoie e crea una
lama d’aria invisibile che devia la
pioggia. Verrà realizzato in tre versioni con autonomia dai 15’ di quello
piccolo ai 30’ dei modelli più grandi.
Sarebbe in grado di proteggere una
persona da piogge di moderata
intensità. Una versione allungabile
porta questo spara-aria a 40 cm
sopra la nostra testa per creare una
grossa cappa di protezione.
TEST
LG soundplate LAB540
segue Da pagina 39 
Prestazioni video nella media

Il lettore Blu-ray inserito in questa soundplate è di classe media, con funzioni Smart TV e lettore multimediale
dei contenuti da USB o dal server casalingo. Si possono vedere praticamente tutti i maggiori codec di file
foto e video ma nessun contenuto 4K. Il collegamento
alla rete può essere via cavo oppure in Wi-Fi mentre
l’app è disponibile come sostitutivo del telecomando
e nulla di più.
Le prestazioni dell’upscaler 4K hanno avuto la sfortuna di confrontarsi con quelle del TV Sony Ultra HD
della serie 850: il circuito dell’LG ne è uscito sconfitto ma è probabile che utilizzando un TV 4K di costo minore anche questo circuito possa dire la sua.
Continuando nella prova pratica risulta molto scomodo dover sempre ricorrere al menù per cambiare
sorgente, dei tasti diretti sul telecomando sarebbero
stati più semplici.
torna al sommario
Audio migliorato rispetto al passato
Ricordando le modeste prestazioni sonore della prima
soundplate di LG (la 340, senza subwoofer esterno) temevamo una replica, ma per fortuna ci sbagliavamo.
L’aggiunta del subwoofer attivo e una revisione del
progetto hanno portato a prestazioni sonore nettamente migliori. Al subwoofer separato è stata affidata una
gamma bassa e medio-bassa che ha liberato il diffusore principale da un compito troppo gravoso, il risultato
è un netto miglioramento sulle voci e sui dettagli in
gamma acuta, risultati positivi che si apprezzano finalmente anche con la musica. Non è la resa di un vero sistema stereo, però si avvicina molto. Qualche cosa da
migliorare ancora c’è nel taglio di frequenze tra diffusore e subwoofer, probabilmente quest’ultimo riproduce
anche frequenze udibili, dato che risulta spesso ben
individuabile all’ascolto, ma basta posizionarlo correttamente nei pressi del televisore per minimizzare il problema. Con gli effetti più potenti e spettacolari dei film
forse la gamma più profonda è ancora troppo protagonista, ma ci sono i controlli di tono per mitigarne la foga
nei momenti più esplosivi. La resa con i migliori film in
Blu-ray è di ottimo livello, molto coinvolgente e precisa
nel collocare gli effetti sul fronte anteriore; molto poco,
invece, come effetti Surround avvolgenti, anche se inserendo l’effetto Cinema qualcosa migliora, comunque
nulla a che spartire con un vero sistema Surround con
diffusori posteriori. L’effetto Musica è, invece, trascurabile, anche ascoltando brani MP3; da non sottovalutare
la possibilità di riprodurre i CD senza dover usare un
altro apparecchio.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
TEST UnoTelly è un provider smart DNS che permette di accedere senza restrizioni a servizi in genere bloccati in Italia
Internet è davvero senza confini, con UnoTelly
Con UnoTelly è possibile accedere a contenuti online senza restrizioni geografiche, senza VPN, a meno di 4 euro al mese
A
di Paolo CENTOFANTI
tutti prima o poi navigando in rete sarà capitato
di cercare di riprodurre un trailer, un videoclip o
un altro filmato e di ritrovarsi invece di fronte a
una schermata in cui ci viene annunciato che il video
non è disponibile nel nostro Paese. Nonostante i confini geografici in Internet non abbiano molto senso,
purtroppo nel mondo dei diritti d’autore le cose sono
molto diverse e così capita che certi contenuti siano
dati in licenza, con clausole che impongono ai siti web
che li ospitano di limitare l’accesso ai soli PC che si collegano dall’interno dei confini nazionali. Internet, però,
è appunto privo di veri confini ed esistono diversi modi
per far apparire il nostro PC come connesso da un’altra
parte del mondo.
Il sistema più classico è quello di utilizzare una VPN
(Virtual Private Network), una sorta di tunnel in cui da
una parte c’è il nostro dispositivo e dall’altra un server
localizzato nel Paese in cui vogliamo “comparire” e attraverso cui passa tutto il traffico. Con una VPN tipicamente il nostro traffico viene anche criptato e le nostre
comunicazioni rese anonime, ma ha lo svantaggio di
essere poco indicato per lo streaming e il download di
grossi quantitativi di dati, anche perché i servizi che garantiscono una buona larghezza di banda hanno anche
costi relativamente elevati. Un’altra classe di servizi
che ha sempre il beneficio di poter mascherare in qualche modo la nazionalità del nostro indirizzo IP è quella
degli Smart DNS, o meglio ancora Smart DNS Proxy
Server, come UnoTelly, servizio che abbiamo testato.
video
lab
Prima di illustrare nel dettaglio l’offerta di UnoTelly, vediamo in cosa si differenzia rispetto a una normale VPN
uno Smart DNS. Un server proxy in linea di principio
può sembrare simile a una VPN: un server che si frappone tra noi e il resto di Internet e attraverso cui facciamo passare tutto il traffico. Rispetto a una VPN non è
generalmente criptato end-to-end e in più ha gli stessi
svantaggi per quanto riguarda la banda garantita. Gli
Smart DNS come UnoTelly svolgono una funzione simile, ma in modo più intelligente, in modo da garantire la
velocità della connessione che normalmente avremmo
e allo stesso tempo cambiare la geolocalizzazione del
nostro PC. In pratica il “trucco” consiste nel configurare
nelle impostazioni di rete un DNS speciale al posto di
quelli forniti dal nostro provider o altri DNS pubblici, in
grado di indirizzare su un apposito proxy solo le comunicazioni rivolte verso un particolare servizio con blocco regionale e solo per quei dati che rivelano l’origine
della nostra “chiamata”: il vero e proprio scaricamento
del video avviene direttamente. I vantaggi di questa
soluzione sono molteplici: non occorre installare alcun
software ad hoc, i DNS speciali possono essere configurati su qualsiasi dispositivo, non ci sono limiti sulla
nostra banda e, se i DNS sono configurati sul router
di casa, tutti i dispositivi sulla stessa rete potranno accedere a Internet senza restrizioni regionali. I contro
sono, invece, soprattutto due: il traffico non è criptato
come in una VPN e i siti “sbloccati” sono solo quelli
supportati dal fornitore del servizio di smart DNS.
Questa è la schermata che più spesso incontriamo
quando navighiamo sui siti dei broadcaster USA.
Uno smart DNS proxy, reindirizza automaticamente
i pacchetti che individuano la nostra posizione.

Un proxy intelligente
torna al sommario
L’offerta UnoTelly
UnoTelly è un provider smart DNS che offre l’accesso
senza restrizioni a un gran numero di servizi usualmente bloccati in Italia. La lista completa è lunghissima,
ma troviamo alcuni servizi molto chiacchierati come
Netflix, Hulu, Pandora, Vevo, Beats Music, BBC iPlayer,
Cracker, HBO Go e tanti altri ancora (l’elenco completo
è disponibile qui). Tra i servizi supportati c’è anche Sky
Go, opzione molto interessante per gli italiani con un
abbonamento a Sky e che si trovano spesso all’estero
per lavoro. UnoTelly offre due piani di abbonamento,
uno base da 4,95 dollari al mese che sblocca l’accesso a tutti i servizi supportati e una versione Gold che
include anche una vera e propria VPN per 7,95 dollari
al mese.
Il funzionamento del servizio è molto semplice: basta
inserire nelle impostazioni Internet del nostro dispositivo i DNS forniti da UnoTelly e il gioco è fatto. Se il
nostro ISP fornisce un IP fisso, dopo un primo login
segue a pagina 42 
Il pannello di controllo di UnoTelly, con tutte le
informazioni per configurare il servizio.
n.98 / 14
20 OTTOBRE 2014
MAGAZINE
FOTOGRAFIA Durante Adobe Max, la convention annuale, presentate nuove funzionalità. Tra l’altro via anche la foschia dalle foto
Miracoli di Photoshop: a breve cambierà l’ora alle foto
Tra le funzioni sperimentali un innovativo slider per cambiare l’ora alle foto: dal giorno alla notte e dalla notte al giorno
A
di Roberto PEZZALI
dobe è pronta ad aggiungere a
Photoshop una serie di nuove funzionalità rivoluzionarie: la possibilità di rimuovere dalle foto la foschia e
soprattutto una funzione di editing che
permette di cambiare dinamicamente
l’ora del giorno in cui la foto è stata scattata gestendo contemporaneamente
tutte le luci dello scatto. Adobe le ha mostrate all’Adobe Max, la convention annuale di Adobe per i partner, ed è soprattutto la seconda novità che ha strabiliato
la platea, ovvero la possibilità di variare
facilmente l’ora dello scatto per trasformare una foto scattata di giorno in una
foto notturna e viceversa. Adobe ha analizzato nel dettaglio oltre 400 timelapse
scaricati da Internet analizzando come
cambiano le luci nel corso della giornata e cercando di ricostruire un modello
matematico che si potesse adattare alla
maggior parte delle foto.
Il cambio, ovviamente, non è solo legato alla luminosità ma anche ai colori,
alla temperatura colore e a molti altri
elementi, e come si può capire non è
affatto facile. Soprattutto perché Adobe
non vuole realizzare un semplice effetto giorno / notte, ma inserire una sorta
di orologio che ci permette di spostare
proprio il tempo su ogni singola foto.
L’effetto è visibile in questo video.
La seconda funzione interessante è il
“defog”, ovvero la rimozione della foschia delle foto. Secondo Adobe un
nuovo algoritmo realizzato analizzando
l’impatto della nebbia e della foschia
su un migliaio di foto ha permesso di
ottenere risultati decisamente migliori
rispetto alle classiche tecniche di ritocco che contemplano la regolazione di
curve e contrasto. Ecco un video.
A destra in alto, la funzione per cambiare il momento in cui la foto è stata
scattata. Qui a fianco, la funzione
defog, per rimuovere la foschia.
TEST
UnoTelly
segue Da pagina 41 
su UnoTelly il servizio è configurato, altrimenti, periodicamente, potrebbe essere necessario tornare sulla
pagina web per aggiornare il nostro indirizzo, ma basta
anche impostare un particolare bookmark che rende
l’operazione immediata. Lo stesso discorso vale se
utilizziamo il servizio da più connessioni (ad esempio,
casa e ufficio, oppure se ci troviamo all’estero). La cosa
interessante è che UnoTelly offre una funzionalità chiamata Dynamo che permette di scegliere, per alcuni
servizi, in quale Paese comparire.
Ad esempio, per Netflix è possibile esplorare il catalogo del servizio nei diversi Paesi in cui è disponibile
e non solo negli Stati Uniti, cambiando la nazionalità
da utilizzare dal pannello di controllo di UnoTelly. Chiaramente UnoTelly sblocca solo le restrizioni geografiche: poi occorre comunque un abbonamento ai singoli
servizi a cui si vuole accedere, e spesso ci sono limiti
di altro tipo, come il fatto che le carte di credito non
rilasciate negli Stati Uniti non sono accettate.
Funziona come promesso

Abbiamo testato in diverse situazioni il servizio (non
ultima per la prova di Netflix in 4K) e dobbiamo dire
che UnoTelly mantiene tutto quanto promette o quasi.
A parte i video del sito AMC (volevamo tanto vedere
torna al sommario
i teaser della nuova serie Better Call Saul, ma non ci
siamo riusciti!), abbiamo utilizzato con successo diversi
servizi come Netflix, Hulu, Pandora e i siti web di molti
network USA (ABC, CBS, NBC, ecc.), che danno la possibilità di guardare gratuitamente con pubblicità gli ultimi episodi delle serie TV trasmesse negli Stati Uniti.
Abbiamo effettuato la prova anche su smartphone, tablet, Apple TV, console, Smart TV e provato a impostare i DNS anche sul router domestico, ottenendo sempre un funzionamento perfetto dei servizi normalmente
bloccati. Ogni tanto è capitato di dover ricaricare una
pagina che al primo tentativo non funzionava, ma si è
trattato di casi isolati. Nessun problema per quanto riguarda la banda a disposizione che, come promesso,
è quella della nostra connessione senza limiti di sorta,
come abbiamo ampiamente sperimentato per la nostra
prova di Netflix in Ultra HD.
Una pratica sul filo della legalità?
UnoTelly funziona benissimo, ma sarebbe scorretto
pensare di essersi messi a posto del tutto con la coscienza, utilizzando un servizio come questo per sopperire alla mancanza di offerta nel nostro Paese come
alternativa alla pirateria. Anche se è vero che non stiamo scaricando illegalmente contenuti da una rete p2p
e magari stiamo effettivamente pagando per quello
che stiamo guardando su servizi come Netflix o Vudu,
è probabile che scavalcando le restrizioni geografiche
si stanno comunque violando i termini di servizio dei
siti a cui si accede. Inoltre, non è da escludere la violazione del copyright delle aziende che hanno acquistato i diritti di sfruttamento dei contenuti in Italia: The
Walking Dead ad esempio in Italia è stato pagato profumatamente da Sky per l’esclusiva sul nostro territorio, e l’emittente giustamente spera di avere un ritorno
dall’investimento nella forma di nuovi abbonati ai suoi
servizi. D’altro canto, l’utilizzo di servizi come UnoTelly
dubitiamo possa mai diventare “di massa”: occorre comunque una certa dimestichezza tecnica e soprattutto
i contenuti sono disponibili solo in lingua originale o
comunque mai in italiano. Si tratta di una materia molto
complessa e sulla quale puntiamo di tornare prossimamente con un apposito approfondimento.