n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE 100 n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE 100 numeri non Il canone Rai si LG a tutto OLED TV avvolgibili bastano, DDay.it pagherà con la bolletta della luce 02 nel 2017 07 serve ancora Non amiamo le auto-celebrazioni. Ma 100 fascicoli di DDAY.it Magazine sono un traguardo importante: qualcosa come 4500 pagine fitte fitte di “enciclopedia” del mercato dell’elettronica di consumo. Un mercato che sembra cambiare continuamente, insieme alle tecnologie, ma che ha dei difettacci che non perde mai. Basta tornare indietro di 50 anni, agli albori dell’elettronica: un cinegiornale del 20 settembre 1963 fa la cronaca di quanto emerge dalla mostra della Radio e della Televisione alla Fiera di Milano. Il servizio si intitola “Prezzi fissi”. Il cronista d’epoca commenta così: “In cerca di novità tecnologiche, ci imbattiamo nella novità più inattesa, con questi chiari di luna: ribassano, e notevolmente, i prezzi. Le industrie più note e qualificate si sono messe d’accordo per stabilire prezzi fissi. Com’è stato possibile un ribasso, mentre in tutti i settori aumentano i costi?” E ancora: “È possibile grazie all’aggiornamento degli impianti e al rinnovamento dei sistemi distributivi. Ora il pubblico non sarà più disorientato come prima”. Parlano anche i clienti: “I prezzi non erano reali, visto che a seconda dei luoghi e delle circostanze si potevano avere gli sconti più diversi e impensati”. Un altro: “Io pensavo di aver fatto un affare quando mi hanno valutato il mio vecchio TV 60mila lire: alla fine ho speso di più di quello che avrei speso oggi, pur tenendomi il mio vecchio televisore”. E infine interviene anche un rivenditore: “Non si poteva andare più avanti in questa maniera. Sono convinto che con la nuova politica di prezzi bassi e fissi il pubblico si convincerà ad acquistare prodotti di qualità al gusto prezzo di listino senza ottenere sconti”. Insomma, 50 anni sono passati invano: ancora oggi i prezzi sono tutt’altro che fissi; e al lancio sono tutt’altro che bassi. E questo a svantaggio degli utenti e - oramai è dimostrato - non certo a favore di rivenditori e industria. Forse questo mercato non riuscirà mai a guarire da questa malattia per la quale tutti gli attori in gioco si fanno male da soli: i clienti comprano a prezzi spesso pompati oppure devono aspettare gli “scontacci” che dopo mesi riportano il prodotto più vicino al vero valore; il prezzo e l’affare viene prima di tutto, anche della qualità dell’aderenza alle proprie necessità. L’unico antidoto che conosciamo è la buona informazione, a favore dei consumatori finali, che possono così scegliere meglio, e a favore dei rivenditori, che possono mitigare gli eccessi di marketing dei produttori che troppe volte tendono a esaltare l’ultima (spesso falsa) innovazione. Di buona informazione nel nostro settore se ne fa e se ne è fatta troppo poca: noi crediamo di dare il nostro contributo a costruire un mercato più consapevole e quindi più sano, a favore di tutti. E allora, mi sia permesso un augurio: lunga vita a DDAY.it Magazine, cento e cento e ancora cento di questi numeri! Gianfranco GIARDINA Microsoft Office gratis su iPhone iPad e Android 09 Obbligo DVB-T2 per i TV: si rinvia a metà 2016 ma con il codec HEVC Allo studio la possibilità di inserire il rinvio nel “Milleproroghe” I termini slittano di 18 mesi, in sincrono con i lanci delle gamme 02 Music Key sarà il servizio a pagamento di YouTube Offrirà video musicali senza pubblicità anche offline. L’Italia per una volta è tra i Paesi pilota, saremo tra i primi a poter usufruire di questo servizio IN PROVA 32 Galaxy Alpha, il più bello della famiglia 34 06 iMac con display Retina 5K Difficile non innamorarsi Abbiamo provato l’iMac con display retina Ha uno schermo dall’incredibile risoluzione di 14,7 Megapixel: è un vero sogno Asus Zenfone 6 Ok il prezzo è giusto 40 21 Honeywell Evohome Comfort multiroom n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MERCATO In extremis il legislatore cerca di rimediare al pasticcio creato dalla legge del 2012 DVB-T2: l’obbligo salta a metà 2016 con HEVC Il Governo medita di introdurre un rinvio di 18 mesi nel decreto Milleproroghe in arrivo di Gianfranco GIARDINA N Non tutti sanno che è in vigore in Italia una legge che prevede che, a partire dal prossimo 1 gennaio 2015, i rivenditori non possano più assortire i TV privi di sintonizzatore DVBT2 e che da fine giugno tali TV non possano proprio più essere venduti. Una disposizione pensata male e mai revocata, malgrado le prese di posizione dell’industria, dei consumatori e di autorevoli osservatori di mercato, oltre che di DDAY.it. Secondo indiscrezioni che abbiamo raccolto, quest’obbligo, che come vedremo non ha senso di esistere almeno nella formulazione attuale, dovrebbe essere rinviato e perfezionato con un inserimento dell’ultim’ora nel decreto “Milleproroghe” tipico dell’attività di Governo delle ultime settimane dell’anno. Il rinvio previsto dovrebbe spostare di 18 mesi in avanti, a luglio 2016, l’obbligo per i rivenditori di non assortire nuovi prodotti senza DVB-T2, aggiungendo però anche l’obbligatorietà del codec HEVC a bordo; di conseguenza le vendite dei prodotti in magazzino senza queste ca- ratteristiche dovrebbero continuare per ulteriori 6 mesi, fino a fine 2016. La legge attuale è stata introdotta circa due anni e mezzo fa, quando ancora ben poco si sapeva sulla destinazione delle frequenze terrestri (che stanno via via passando al traffico dati cellulare) e sull’esistenza di codec più evoluti dell’MPEG4. Da allora da più parti è arrivato l’appello a una revisione di questa norma: infatti un obbligo di questo tipo, senza ulteriori indicazioni, non ha alcun senso. Oramai è noto che, se mai ci saranno trasmissioni DVB-T2 in Italia, saranno fatte utilizzando il codec HEVC, molto più efficiente e in grado di contribuire a giustificare un doloroso nuovo switch-off. Adeguarsi all’obbligo di legge attuale non è difficile: basta commercializzare in Italia gli stessi TV che sono distribuiti sul mercato inglese, dove ci sono le prime trasmissioni DVB-T2 ma senza HEVC. Questo vuol dire che questi apparecchi, con grande dispiacere di chi li ha comperati, non saranno mai compatibili con le eventuali trasmissioni italiane in DVB-T2. Questo obbligo, pensato inizialmente per evitare la commercializzazione di prodotti obsoleti, se resta così com’è finirà invece per premiare prodotti superati e del tutto inutili in un eventuale scenario di nuovo switch-off italiano. Se – come auspichiamo – verrà posto in essere il sensato rinvio emerso dalle indiscrezioni, si saranno risolti due problemi in un colpo solo: innanzitutto, sarà davvero ragionevole contare per la seconda metà del 2016 di avere gamme interamente compatibili con HEVC (anche gli entry level), caratteristica che – siamo pronti a scommettere – si rivelerà ben più decisiva per i servizi di streaming che per il digitale terrestre; e poi, spostando a luglio l’inizio dell’obbligo, si potrà finalmente gestire questa migrazione in sincrono con l’introduzione delle nuove gamme TV che, dopo la presentazione rituale a gennaio al CES di Las Vegas, arrivano sugli scaffali italiani proprio tra aprile e giugno. MERCATO Il canone Rai costerà meno, ma lo dovrà pagare anche chi non possiede un TV Il canone Rai si pagherà con la bolletta Basta avere uno smartphone, un tablet o un PC per essere tenuti al pagamento del canone di Roberto PEZZALI econdo Il Messaggero Renzi avrebbe dato il via libera alla riforma che cambierà il modo di pagare la tassa più odiata e più evasa d’Italia. Il canone Rai si pagherà con la bolletta elettrica e questo vuol dire che la dovranno pagare tutti, ma si pagherà anche di meno, una cifra stimata che va dai 35 euro agli 80 euro, a seconda degli indicatori Isee. La riforma garantirà alla Rai un gettito di 1.8 miliardi, più o meno quanto incassa oggi. Resta da capire anche se una percentuale delle vendite dei biglietti della lotteria Italia contribuirà al canone, come si era pensato in un primo momento, oppure se sarà tutto a carico dei contribuenti. L’altra novità è che il canone lo dovranno pagare non solo chi possiede un TV, ma anche chi ha un tablet, uno smartphone o un PC: anche i mezzi moderni diventano S torna al sommario quindi a tutti gli effetti prodotti in grado di ricevere e visualizzare immagini televisive. Un altro elemento che rende la tassa globale: trovare una persona che non ha uno smartphone, un PC o un televisore oggi è davvero difficile. Il Ministero del Tesoro ora deve capire con che strumento normativo applicare il decreto, se presentare un emendamento alla Legge di Stabilità oppure varare un decreto ad hoc. L’Authority per l’Energia ha già sollevato dei dubbi, definendo improprio l’uso della bolletta elettrica per pagare il canone. Noi stessi solleviamo altri dubbi: come si segnalerà l’indicatore ISEE? Come si riuscirà ad applicare la cosa in modo semplice? Pensiamo ad esempio a chi ha case al mare o in montagna, quindi con più allacciamenti magari gestiti da enti diversi: come si farà a dimostrare di dover pagare una sola volta? Per non parlare di aziende e uffici, tutti dotati di computer che al momento non pagano ma rischiano così di vedersi addebitato in bolletta un canone magari già pagato. Spetta ovviamente all’utente dimostrare di aver già pagato e qui si solleva un altro enorme dubbio: quando una persona riceve un bollettino della luce per una utenza secondaria con inserito un ulteriore canone (già pagato) e non paga rischierà l’interruzione della fornitura? Compri su Amazon e ritiri in posta Per semplificare gli acquisti, Amazon.it rende disponibile una nuova modalità per la consegna. II servizio di recapito presso gli uffici postali interessa oltre 10.000 sportelli sparsi sul territorio italiano di Andrea ZUFFI Amazon annuncia un’importate novità nel servizio di consegna dei prodotti ordinati sul proprio portale. Si tratta di una nuova opzione tra le modalità di consegna che prevede la possibilità di far recapitare la merce acquistata presso un Pick-Up Point, cioè un punto di ritiro presente presso più di 10.000 uffici postali italiani. Completando l’acquisto il cliente potrà selezionare direttamente da Amazon il Pick-Up Point che, per ubicazione e orario d’apertura, risulta essere più comodo per il ritiro. Il servizio è disponibile per la modalità di consegna 3-5 giorni e non prevede costi aggiuntivi rispetto a quelli già previsti per la spedizione. Ci sono alcune limitazioni per gli imballi di grandi dimensioni che sono però chiaramente indicate all’atto dell’acquisto. Se è vero che la principale ritrosia nei confronti degli acquisiti online è oggi rappresentata dal timore nell’utilizzare la carta di credito sul web, questa novità sarà accolta con favore dal pubblico perché permette di rimuovere un altro dei fattori che ostacola l’e-commerce e cioè il timore di non essere a casa nel corso della giornata per ritirare quanto consegnato dal corriere. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MERCATO Maurizio Costa, presidente di FIEG, attacca Google e chiede un contributo per l’utilizzo dei contenuti in Google News FIEG chiede soldi a Google, ma non trasparenza Google risponde che dà 9 miliardi di dollari all’anno agli editori. E, parlando di soldi, si perde il vero pallino: la trasparenza G di Gianfranco GIARDINA oogle croce e delizia. E, come spesso accade, sapori contrastanti, soprattutto se masticati assieme, a molti non vanno giù. È il caso di Maurizio Costa, presidente della FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) e di Audipress (la società che rileva le tirature della stampa cartacea), che in un’intervista rilasciata a Repubblica attacca frontalmente Google e l’accusa di non pagare l’utilizzo di contenuti di altri, cioè degli editori (posizione già sostenuta precedentemente in un convegno). Il riferimento è alle notizie che compaiono in Google News (che è comunque solo un aggregatore e neppure dei più voraci di contenuti) che – a dire di Maurizio Costa – Google utilizza senza “pagare”. Il presidente di FIEG chiede quindi che Google riconosca agli editori un contributo per questo utilizzo. Una posizione bizzarra arrivata nella stessa settimana in è stata messa la parola fine a un lungo braccio di ferro tra il grande editore tedesco Axel Springer e Google: da qualche mese Axel Springer aveva vincolato la presenza dei link ai propri articoli su Google News al pagamento da parte di Google di una royalty, senza ottenere una risposta positiva. Il conseguente “delisting” da Google News aveva causato in pochi mesi una contrazione del traffico dei siti coinvolti di oltre il 40%. L’editore è quindi tornato sui propri passi, conscio che restare fuori da Google oggi significa restare fuori da una porzione rilevante di Internet. Google, con una nota di risposta alla posizione di FIEG, sostiene di svolgere un servizio agli editori: 10 miliardi di clic a favore degli editori di tutto il mondo e 9 miliardi di dollari erogati a livello globale alle testate aderenti al circuito pubblicitario AdSense. Come dire: se volete metterla sul piano dei quattrini, ve ne diamo già abbastanza. E cara grazia che non vi chiediamo di pagare l’inclusione delle vostre notizie in Google News. Non possiamo credere che Maurizio Costa, persona preparata e competente, ignori questa dinamica e non sappia che l’inclusione in Google News non è obbligatoria ma anzi va richiesta dall’editore; ed è impossibile che non sappia che ogni editore con pochi caratteri di codice nelle Maurizio Costa, presidente di FIEG torna al sommario pagine html dei propri siti può impedire che un articolo venga indicizzato. E che gli editori costruiscono appositamente dei feed XML per poter essere “aggregati” da realtà terze che hanno l’unico compito di dare visibilità ai contenuti. La verità, come anche il caso Axel Springer ha dimostrato, è che nessun editore oggi può fare a meno di Google. E del suo bacio dal sapore un po’ mortale. Costa, che si muove a livello di federazione e quindi non a nome di una singola società (nessun editore italiano lo farebbe per la paura di “rappresaglie”) probabilmente cerca solo di lanciare la palla un po’ più avanti, sventolando tra le altre cose anche la bandiera di una nuova Google Tax (che poco c’entra con l’altro tema), in un minestrone comunicativo che non fa alcuna chiarezza, salvo mettere Google dalla parte dei cattivi. Quelli di Google di certo non sono benefattori e Google non è una Onlus, come crede la stragrande maggioranza degli utenti che ancora non capisce bene come mai servizi come GMail, Google Maps, Google Drive e YouTube siano gratuiti. Google bada (e bene) al proprio tornaconto e lo fa utilizzando una posizione di dominio acquisita con bravura e non con l’inganno. Lo fa seguendo le leggi (anche quelle fiscali vigenti, che ovviamente non sono adeguate ad un’economia veramente globale) e con il beneplacito degli editori, che senza il traffico proveniente da Google, proprio non potrebbero stare. Costa pensa probabilmente di riuscire a mettere Google in difficoltà mediatica e costringerla, per mera convenienza, a sedersi a un tavolo in cui trovare una mediazione che permetta agli editori (probabilmente i più grandi e quelli della carta stampata che rappresenta) di essere remunerati in qualche modo per un utilizzo dei propri contenuti di cui però gli editori stessi non possono fare a meno. Un piccolo paradosso, quello proposto da Costa, che identifica sì che dietro a Google c’è un grande problema ma sbaglia completamente la sua identificazione. Google oggi governa il traffico Internet e in qualche modo aiuta i prodotti editoriali online di qualità a crescere e diventare più popolari. Da questo punto di vista, lunga vita a Google. Il punto è che nessuno sa se l’operazione di indicizzazione dei contenuti e di riproposizione degli stessi nei risultati delle ricerche sia veramente neutra- le o se sia polarizzata; per esempio, siamo sicuri che Google non tenda a promuovere, per esempio, i siti che aderiscono più vigorosamente al proprio circuito di vendita pubblicità AdSense? Se lo facesse, farebbe di certo i propri interessi e non violerebbe alcuna legge. Ma sicuramente avrebbe un influsso diretto sul governare attivamente il traffico di Internet, un potere che nessuno vorrebbe fosse concentrato in una sola società privata e che di certo non può essere esercitato sulla base di algoritmi “segreti”. Gli editori sani, piuttosto che elemosinare contributi, dovrebbero chiedere ed ottenere da Google garanzie assolute di neutralità, eventualmente assicurate da opportuni audit ai quali Google dovrebbe sottoporsi in ragione della posizione dominante che occupa. E che dire poi dei proventi dal circuito pubblicitario AdSense di Google: l’editore conosce solo la cifra che riceve e il numero di clic che l’hanno generata, ma non sa quanto resta a Google; ovverosia non sa quanto ha pagato l’inserzionista. Il rapporto tra Google e l’editore non è vincolato contrattualmente da una percentuale fissata, come in tutti i comuni rapporti tra concessionaria pubblicitaria ed editore. E a anche questa è un’opacità che bisognerebbe chiedere a Google di rimuovere. Se poi qualcuno riesce a pensare anche a un sistema di tassazione dei proventi generati da Google (a questo punto trasparenti) sulle testate italiane, si faccia avanti: purché si tratti di un meccanismo fiscale che non ci faccia ridere dietro da mezzo mondo. Deve quindi essere chiaro che il problema legato a Google non è il non pagare l’utilizzo delle notizie (che invece serve agli editori) ma è la mancata trasparenza. E se - come Google sostiene - non vengono fatti “favoritismi”, non dovrebbero esserci problemi ad essere più trasparenti. Quindi, Maurizio Costa ha ragione nel voler sedersi al tavolo con Google. Ma dovrebbe farlo per chiedere e ottenere maggiore trasparenza. Il “contributino” immaginato finora sarebbe soggetto agli stessi limiti di trasparenza dei risultati delle ricerche e quindi finirebbe di favorire ancora di più chi già oggi è (ammesso che lo sia) favorito dall’algoritmo di Google. E - ci piacerebbe essere rassicurati - il presidente di FIEG non vuole che questo accada, vero? n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MERCATO Acer lancia in Italia la nuova gamma di smartphone presentata a IFA, è un ritorno in grande nel settore della telefonia Tornano gli smartphone Acer: “È il momento giusto” Il noto brand di informatica ha obiettivi importanti, punta nel medio termine a raggiungere una quota di mercato pari al 5% A di Gianfranco GIARDINA cer ha deciso di introdurre massicciamente i propri smartphone in Italia, a partire da questa stagione natalizia. In definitiva, tutti i principali produttori di PC orientali sono attivi in questo mercato: Asus ha una bella linea di Zenfone; Lenovo ha affiancato alla sua linea un po’ confusa di smartphone nientemeno che Motorola, che ha acquistato recentemente da Google. Un tentativo di entrare nel mercato della telefonia era già stato fatto da Acer qualche anno fa, con modelli Android e Windows Phone introdotti in Italia ma che non hanno mai sfondato: il mercato era molto diverso e lasciava meno chance a nuovi entranti. Oggi invece Acer conta di riuscire a far leva sul proprio brand, arcinoto, e su un rapporto qualità prezzo eccellente. Per parlarne abbiamo incontrato, presso il quartier generale di Acer Italy, Marco Cappella Marco Cappella, country manager di Acer Italy DDAY.it: Acer ci riprova: perché questa nuova rifocalizzazione sugli smartphone è diversa da quella di qualche anno fa? Marco Cappella, country manager Acer Italy: “È vero che Acer alcuni anni fa fece un primo ingresso nel mondo degli smartphone ed è vero che molto probabilmente, visto che i risultati non arrivarono, si trattò di un ingresso affrettato. Da allora sono passati diversi anni, Acer a questo punto ha una gamma di smartphone che può vantare una quota di mercato significativa in importanti Paesi occidentali…” DDAY.it: Di quali Paesi stiamo parlando Cappella: “Si parla di Paesi non distanti da noi, sia geograficamente che culturalmente: per esempio la Francia e la Spagna. Nell’area BeNeLux siamo da poco diventati il quarto brand (dopo Samsung, Apple e LG, ndr). Oggi sia la gamma di prodotti che l’esperienza maturata in questi altri Paesi ci dice che è il momento giusto e che possiamo farcela. Ovviamente non abbiamo l’ambizione di diventare leader di mercato né di competere alla pari con i brand che da molti anni operano in questo settore, ma di raggiungere una quota di mercato minima ma visibile, di qualche punto percentuale.” DDAY.it: Ma i rivenditori sono pronti a reinserire i vostri prodotti nella propria offerta? Cappella: “Qualche ritrosia c’è, ma si può capire: non torna al sommario si può negare il fatto che il canale distributivo non avesse fatto una esperienza esaltante ai tempi della prima introduzione”. DDAY.it: Qual è il punto di forza della vostra offerta smartphone? Cappella: “Il punto di forza di questa stagione natalizia è Liquid Jade, un prodotto che si distingue per un form factor molto sottile: è molto maneggevole e ben disegnato, da effetto ‘wow’… Se uniamo queste caratteristiche con il suo posizionamento di prezzo di 229 euro, allora appare chiaro come questo prodotto e Acer in generale possa dire la sua in questo settore. Inoltre è solo l’inizio, perché lo stile ‘Jade’ verrà presto esteso anche ad altri modelli e prezzi”. Il Liquid Jade (qui la scheda tecnica) era stato presentato per l’Europa all’ultima edizione dell’IFA di Berlino (qui la nostra notizia) e la sua qualità migliore, anche a un primo hands-on ci pare essere la cornice molto sottile sui lati e il display “gapless” che ricorda da vicino la soluzione utilizzata per quello di iPhone 6. Jade sarà disponibile per il momento in Italia nelle due colorazioni classiche, bianco e nero, ma esistono sui mercati internazionali anche un versione rosa e una verde chiaro. Jade ha anche una fotocamera da 13 megapixel; unico aspetto discutibile, così a prima vista, è l’obiettivo della fotocamera, che non è in sagoma e così rischia di graffiarsi incidentalmente. Ci illustra il prodotto Luca Elisei Luca Elisei, Technical Manager Smartphone di Acer DDAY.it: Quali sono le caratteristiche principali di questo Jade? Luca Elisei: “Si tratta di un telefono sottilissimo, 7,5 mm di spessore, rastremato ai fianchi, il che gli conferisce una facile impugnatura e una sensazione maneggevolezza. Il display è 5 pollici ma in uno chassis che di solito ospita display più piccoli, grazie a una cornice davvero contenuta. Il peso è di 110 grammi, molto leggero. Il sistema operativo è un Android 4.4, per adesso; arriverà più avanti l’aggiornamento ad Android Lollipop”. DDAY.it: È curioso il loghino DTS-HD che campeggia sullo schienale del Jade: che valore rappresenta a vostro giudizio? Elisei: “Per quanto riguarda il Jade, è semplicemente un modo per arricchire un prodotto di alta gamma; su altri prodotti, come il nostro Z500, l’operazione acquista un senso più compiuto, soprattutto in considerazione della coppia di speaker frontali di questo apparecchio”. segue a pagina 05 n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MERCATO Tornano gli smartphone Acer segue Da pagina 04 DDAY.it: Beh, OK alla decodifica, che può essere utile. Ma è difficile pensare a una riproduzione di alta qualità dagli speaker di uno smartphone. Non quello Acer, uno qualsivoglia… Parlando ancora del Jade, è dual SIM? Elisei: “Ha uno slot combi che può ospitare o due SIM, in configurazione dual SIM appunto, o una SIM e una SD card per estendere la capienza della memoria.” DDAY.it: Bella soluzione. Dovendo identificare i tre fattori chiave che possono determinare il successo del Jade, cosa citereste? Cappella: “Sicuramente il primo fattore è il design, non ho dubbi. Poi c’è l’integrazione con alcune app importanti, come per esempio la navigazione anche offline con TomTom: infatti offriamo gratuitamente un’app proprietaria che si chiama AcerNav che sfrutta la mappe TomTom e i punti di interesse di Trip Advisor, che possono essere anche interamente o parzialmente caricate in memoria, sia in quella da 8 GB interna che in una microSD aggiuntiva; questo vuol dire che l’utente può navigare senza utilizzare il traffico dati, contrariamente a quanto accade, per esempio, con Google Maps. E infine, come terzo fattore, la disponibilità del sistema Build Your Own Cloud, il sistema Cloud di Acer che permette di sincronizzare tutti i propri contenuti su tutti i propri device, anche non Acer.” DDAY.it: Al di là delle app aggiunte, la versione di Android che proponete è fedele all’originale o è molto personalizzata? Elisei: “La nostra idea è quella di rimanere molto fedeli alla proposta Android originale con alcune app di arricchimento dell’offerta come i già citati AcerNav e il sistema cloud.” DDAY.it: Disponete oltre a questo Jade, di qualche altro modello. Ma non è necessario avere una gamma più ampia per penetrare il mercato in questa fase? Cappella: “È vero, commercialmente è sempre meglio disporre di una gamma più ampia. L’anno prossimo la nostra offerta si allargherà anche a dei phablet, Ma dal punto di vista del consumatore finale e tutto sommato anche da quello della distribuzione, è anche vero che meno sono le referenze e più ci si concentra sui prodotti chiave”. torna al sommario DDAY.it: Questo Jade e gli altri smartphone Acer saranno disponibili anche attraverso i gestori? Cappella: “Al momento no. Per adesso ci concentriamo sul mercato dei grandi negozi di elettronica di consumo e su quello dei rivenditori sia quelli di informatica certificati da noi che quelli di telefonia. Fino a fine anno, sul fronte dei superiore di elettronica, abbiamo stretto un accordo di esclusiva con Unieuro, che è la catena più diffusa sul territorio nazionale: da qui a Natale il Jade potrà essere acquistato presso questi negozi… Nel 2015 invece i prodotti verranno estesi a tutte le insegne dell’elettronica di consumo.” DDAY.it: chi avete nel “mirino”? A chi pensate di sottrarre quote di mercato? Cappella: “Beh, non credo ai brand che primariamente stanno dominando il mercato. Sicuramente da quella pletora di concorrenti che compongono il gruppo dei cosiddetti ‘inseguitori’…” DDAY.it: … i quali stanno erodendo quote proprio ai leader. Quindi in pratica l’idea è quella di sottrarre quote a Samsung e compagni? Cappella: “Allora, Acer sicuramente ha un brand molto più noto e forte di molti di questi inseguitori. Certo, arriviamo da un settore limitrofo a quello della telefonia, ma con prodotti validi e appunto una notorietà del marchio che dovrebbe aiutarci. Alla fine quindi credo che prenderemo spazio un po’ da tutti, sia dai leader grazie all’estremo rapporto qualità-prezzo che offriamo, che dagli altri che magari hanno nomi molto meno noti del nostro”. DDAY.it: per il momento la vostra offerta è puramente Android, ma in passato Acer ha avuto anche smartphone Windows: verranno proposti apparecchi anche con questo sistema operativo? Cappella: “In futuro prossimo è possibile che arrivino anche dei device Windows Phone…” DDAY.it: futuro quanto prossimo? Cappella: “Nel corso del 2015”. DDAY.it: Un mercato come quello della telefonia non concede tante “cartucce”: Acer con questo rientro non può fallire. Qual è l’obiettivo di quote di mercato che considerate un target di successo raggiungibile? Cappella: “Direi il 5%. Non certo nel 2015, ma nel medio periodo. Noi comunque siamo e rimaniamo un’azienda di informatica, che vuole operare sul mercato della telefonia ma non con l’ambizione di essere il leader, almeno per adesso. Poi tra qualche anno vedremo che prospettive si apriranno; per ora vogliamo avere delle quote ‘visibili’ che rendano sensato per tutti parlare di questi prodotti”. DDAY.it: Il leader di mercato della telefonia è Samsung. La stessa Samsung è recentemente uscita dal settore dei PC in Europa, dove voi invece siete nati e cresciuti. È veramente possibile per un brand proporre un’offerta di successo che vada dagli smartphone ai PC, passando per i tablet? Cappella: “Dovreste chiedere a Samsung perché è uscita dal mercato PC. Fino a tre-quattro anni fa, il mercato dei PC cresceva a doppia cifra, ma ora è molto diverso. Quando il mercato rallenta o addirittura flette i nodi vengono al pettine: se hai una struttura molto leggera e rapida, poco costosa, hai margini per tenere duro quando la competizione si fa pesante e poi, quando qualcuno esce dal mercato come successo ora, hai un po’ di più di spazio per respirare. Se invece hai una struttura più pesante, devi spalmare costi comuni su tutte le linee di prodotto e inevitabilmente quelle con margini bassi e crescite che rallentano sono quelle che vanno prima in difficoltà”. DDay.it: Per concludere: cosa dire ai consumatori per convincerli ad andare in negozio a vedere questo Jade e gli altri smartphone Acer? Cappella: “Beh, che sul mercato c’è un brand importante, con dietro un’azienda leader nel mondo dei device mobili in assoluto; che entra adesso perché adesso ha tutte le carte in regola per poterlo fare e l’ha già dimostrato in molti Paesi importanti e lo fa con un gamma limitata di prodotti per riuscire a rimanere focalizzata: vogliamo fare poche cose ma farle bene”. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE ENTERTAINMENT Dopo mesi di rumor, Google ha ufficializzato il servizio YouTube Music Key YouTube a pagamento si chiama Music Key Offre l’accesso ai video musicali senza pubblicità, anche offline. Arriva subito in Italia C di Emanuele VILLA he Google stesse per inaugurare una versione a pagamento di YouTube lo sanno anche i muri: sono mesi che si parla di offrire ad abbonati paganti i video musicali di YouTube (quelli ufficiali, s’intende) senza pubblicità e permettere la loro fruizione offline su dispositivo mobile, per cui la notizia di oggi non rappresenta nulla di rivoluzionario. Le notizie importanti sono relative al nome del servizio, che si chiamerà YouTube Music Key, al prezzo di debutto (7,99 dollari) e al fatto che tra gli Stati “pilota” c’è anche l’Italia, insieme agli Stati Uniti, Finlandia, Gran Bretagna, Irlanda, Portogallo e Spagna. Ma di cosa si tratta, in concreto? Innanzitutto Google rilascerà a brevissimo nuove app YouTube per iOS e Android che saranno fortemente incentrate sulla musica. Non sarà semplicemente possibile vedere i video musicali, ma anche ricercare tra discografie complete, elenchi di artisti, playlist preconfezionate e suggerimenti basati sui gusti musicali degli utenti. Questo sarà accessibile a In occasione dell’anno “Italia in America Latina 2015-2016” FIMI e il Ministero degli Affari Esteri hanno deciso di ricorrere allo streaming come strumento per presentare la musica italiana tutti, un bel passo avanti. Poi, chi vorrà potrà provare Music Key, ovvero la versione a pagamento: per testare il servizio, Google procederà inizialmente con inviti diretti ai “grandi consumatori di musica”, dopo di che proporrà un abbonamento promozionale a 7,99 dollari (euro?) mensile; niente male, se si considera che esso consente non solo l’accesso a Music Key, ma anche a Google Play Music (quello che finora si è chiamato Google Play Music All Access), ovvero l’equivalente dei vari Deezer, Spotify, Rdio... di casa Google. Music Key sarà la versione Premium di YouTube contenente i video concessi in licenza dalle etichette discografiche: oltre all’elevata qualità garantita dall’ “ufficialità” dei prodotti, Music Key permetterà l’ascolto offline mediante scaricamento sul dispositivo e, per chi usa YouTube in movimento, anche l’ascolto in multitasking; in pratica il video non si interromperà se attiviamo un’altra app, esattamente come avviene oggi con qualsiasi servizio musicale. ENTERTAINMENT La band icona dell’alternative rock verrà trasmessa live mercoledì 19 in 4K Linkin Park Live gratis e in Ultra HD via satellite I partner tecnici sono SES e Samsung: per vedere il concerto ci vuole un TV 4K HEVC di Emanuele VILLA omunicazione di servizio per i rockettari: il concerto dei Linkin Park alla 02 Arena di Berlino di mercoledì prossimo 19 novembre verrà trasmesso live a partire dalle ore 21 in formato Ultra HD e compressione HEVC. Lo comunicano congiuntamente SES e Samsung, partner tecnici di un’avventura che ha il sapore di primizia hi-tech: il concerto verrà trasmesso via satellite sul canale Astra Ultra HD Demo (Astra, 19.2 gradi Est) ed SES si occuperà dell’encoding Ultra HD a 50fps con codec HEVC e profondità di colore a 10 bit.Una notizia entusiasmante per chi coniuga la passione per la tecnologia con l’amore per il rock. L’impatto scenografico curato e molto appariscente scelto dalla band per il tour di The Hunting Party darà sicuramente una mano C torna al sommario FIMI sceglie Deezer per portare la musica in America Latina sul fronte del coinvolgimento. I partner tecnici consigliano la visione su un display Samsung Ultra HD di ultima generazione, ovviamente in grado di ricevere e decodificare lo stream HEVC 50fps, ma non ci sono motivi che ostacolano la visione con un TV equivalente, purché in grado di gestire le specifiche dello stream. LG dovrebbe essere in grado, Panasonic e Sony l’ultima volta che abbiamo provato non funzionavano ancora correttamente. di Paolo CENTOFANTI Alcuni artisti non vedranno di buon occhio i servizi streaming musicale, ma l’industria musicale sembra invece non aver alcun problema a supportare queste piattaforme e, anzi, sfruttarle a loro vantaggio. È il caso della FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana di Confindustria) che di concerto al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ha deciso di coinvolgere il servizio Deezer in un’iniziativa che rientra nella manifestazione “anno italiano in America Latina 2015-2016”, una serie attività che verranno lanciate in contemporanea con Expo 2015, per intensificare i rapporti tra Italia e paesi dell’America Latina. Sul fronte della cultura musicale italiana, FIMI ha dunque deciso di realizzare una playlist che ripercorre la storia della musica italiana, partendo dalla tradizione operistica e arrivando fino alla musica contemporanea, spaziando tra tutti i generi musicali. La playlist è chiamata “La Musica dell’Anno dell’Italia in America Latina” e sarà costantemente aggiornata nel corso dell’anno e integrata nei siti degli istituti italiani di Cultura in America Latina. L’iniziativa prevederà nel 2015 una lunga serie di eventi e spettacoli in Italia e all’estero: Uto Ughi si esibirà al Centro Social por la Musica di Caracas, Stefano Bollani parteciperà all’Ottavo Festival Jazz de Montevideo, il Teatro San Carlo di Napoli porterà al Teatro Colòn di Buenos Aires l’Opera verdiana e concerti di arie celebri. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE TV E VIDEO LG passa al P-OLED: tutti i nuovi prodotti utilizzeranno un substrato in plastica Il futuro OLED di LG: TV avvolgibili nel 2017 La tecnologia P-OLED permetterà in un paio d’anni la realizzazione di TV e prodotti avvolgibili L di Roberto PEZZALI G punta in modo sempre più deciso sull’OLED: è infatti prossima l’inaugurazione della nuova linea di produzione M2 che porterà la capacità produttiva del colosso coreano a 34.000 pannelli OLED al mese. Inoltre, LG ha anche deciso di passare al P-OLED, ovvero Plastic OLED. Dopo aver realizzato il primo display circolare Plastic OLED la catena produttiva LG si è organizzata per poter passare tutta la produzione alla nuova tecnologia. Plastic OLED, o P-OLED, non è una tecnologia nuova: il termine “plastic” si riferisce all’utilizzo di un substrato in plastica al posto del classico vetro per la realizzazione dei pannelli. Fino ad ora l’uso della plastica era sconsigliato perché si pensava che questo tipo di substrato, realizzato con particolari polimeri, non fosse stabile alle elevate temperature: LG è invece riuscita a tro- ENTERTAINMENT Google Music Crescono i download In un mondo dominato dallo streaming Google sembra in controtendenza. Zehavah Levine, responsabile del progetto musicale di Google, infatti, ha parlato del successo di Google Play Music All-Access “…non stiamo aumentando solo gli abbonati al servizio ma anche e soprattutto gli acquirenti”. In parallelo, Google Play Music genera importanti fatturati anche nel settore dello streaming e la Levine ha sottolineato come nella visione di Google ci sia spazio per entrambe le filosofie. “Abbiamo lanciato il nostro store un anno e mezzo prima del servizio di streaming. Se guardiamo agli abbonati arrivati dallo store online, possiamo notare che la sottoscrizione al servizio di streaming ha generato un aumento degli acquisti invece che un calo”. E ancora “Il 67% dei guadagni dello scorso anno sono arrivati dalle vendite ma siamo consapevoli di vivere in un mondo dove le tendenze cambiano facilmente ma noi abbiamo intenzione di supportarle senza distinzione”. torna al sommario vare una soluzione e ora si parte con la produzione di schermi più grandi. I vantaggi sono numerosi, il primo e più importante è la durata del pannello. La nuova tecnica di produzione permette, infatti, di migliorare l’incapsulamento dell’elemento OLED prevedendo il fenomeno dei pixel “morti” che ha colpito i primi pannelli OLED di grande formato. Allo stesso modo la plastica migliora la robustezza e diminuisce lo spessore: il pannello attuale del TV OLED da 55” di LG è spesso 1 mm, i nuovi panelli saranno spessi meno di 0.5 mm. L’obiettivo di LG non coincide però perfettamente con quello degli appassionati: nella roadmap che l’azienda ha diramato infatti sono previste per il 2017 le prime TV avvolgibili. Tutto bello, ma un TV OLED piatto non si riesce proprio a fare? Amazon “regala” il 4K con Prime Amazon integra il servizio di streaming video con contenuti 4K e con l’appoggio di diversi studi di Hollywood, andando così a competere con Netflix. Gli utenti di Amazon, però, non dovranno pagare alcun extra: tutti gli abbonati a Amazon Prime Instant Video potranno riprodurre i video alla massima qualità disponibile. Servirà un televisore Ultra HD con l’app di Amazon, mentre è poco probabile che l’attuale generazione del set top box di Amazon Fire TV sia in grado di supportare il servizio (serve un’uscita HDMI 2.0). Amazon Prime negli Stati Uniti ha un costo di 99 dollari all’anno, ma rispetto all’Italia include più servizi, come lo streaming musicale, streaming video con una libreria di 40.000 titoli, migliaia di libri e anche spazio illimitato nel cloud per le foto. Lo streaming video è al momento disponibile solo negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Germania e in Giappone. TV E VIDEO Sony entra ufficialmente nel mondo dello streaming televisivo con PlayStation Vue PlayStation Vue è la TV via streaming di casa Sony Arriverà a inizio 2015 in USA, conterrà la programmazione (live e on demand) di 75 canali S di Emanuele VILLA ony ha annunciato il proprio servizio PlayStation Vue, una piattaforma di streaming video contenente la programmazione di 75 canali dei palinsesti di CBS, Discovery, Fox, NBCUniversal, Viacom e Scripps. Il debutto è previsto negli Stati Uniti ed è probabile che resti confinato nel nuovo continente per un po’, ma per il momento non ci sono notizie ufficiali in merito; così come non si sa nulla del prezzo del servizio. L’azienda ha infatti spiegato che l’intera piattaforma sarà disponibile tramite un abbonamento mensile “a prezzo contenuto e competitivo”, ma non ha dichiarato cifre concrete. Per la fase beta, Sony rilascerà alcuni inviti a partire già da questo mese nell’area metropolitana di New York, per poi aprire il servizio all’intera nazione nel primo quarto del 2015: non ci stupiremo se Sony punterà molto su PlayStation Vue tra le novità del CES di gennaio. Il servizio sarà inizialmente dedicato agli utenti PlayStation 3 e PlayStation 4, ma arriverà successivamente su iPad e altre piattaforme, offrirà programmazione live, on demand e in modalità catch-up, con film e show televisivi di ogni genere: l’ipotesi che Vue vada a colpire con forza Netflix, Hulu o gli altri servizi già avviati è remota (almeno all’inizio), ma si fa notare come gli utenti della console siano estremamente fedeli a Sony e potrebbero portare il numero di abbonamenti più in alto rispetto alle previsioni dell’azienda. Sony ha inoltre dichiarato che il contenuto degli ultimi 3 giorni di programmazione di tutti i canali sarà disponibile senza necessità di preregistrazione, mentre la registrazione dei programmi li renderà disponibili per 28 giorni. IL PIÙ SEMPLICE IL PIÙ SMART *LG G2 vincitore del premio Best Phone 2013 di Cellulare Magazine. Now It’s All Possible Cosa c’è di meglio di LG G2, eletto migliore smartphone del 2013*? La sua sorprendente evoluzione. Nuovo LG G3. Il più semplice, il più smart. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MOBILE La suite di Microsoft sorprende tutti: Office ora è gratuita per iPhone, iPad e per Android Office ora è gratis su iPhone, iPad e Android Per usare le funzioni avanzate e il cloud su One Drive, si dovrà avere la sottoscrizione completa O di Roberto PEZZALI ffice per iOS e Android adesso è gratis: una mossa a sorpresa da parte di Microsoft che, assecondando le richieste dei consumatori, apre a tutti la sua suite più famosa. Non servirà quindi alcun abbonamento a Office 365: si potranno aprire e modificare file di testo con Word, tabelle con Excel e presentazioni con PowerPoint salvando e condividendo i file sullo spazio Dropbox collegato. In realtà qualche limite c’è: chi vorrà usare funzioni avanzate come le tabelle pivot su Excel dovrà avere la sottoscrizione completa, così come chi vorrà fruire dello spazio cloud illimitato su One Drive, ma alla fine è giusto così: sono funzioni evolute che servono solo a pochi, soprattutto a chi usa Office per lavoro. L’annuncio ha anche un risvolto sul lato app: Microsoft ha infatti aggiornato le app per iPad e ha pubblicato sull’App Store le tre applicazioni singole per iPhone, Word, Excel e PowerPoint. Le app per iPhone, davvero ben fatte, hanno le stesse identiche funzionalità di quelle per iPad anche se organizzate su un layout più compatto e adeguato al form factor di un telefono. Proprio per questo, lato iPhone, sono state aggiunte alcune funzionalità specifiche per poter scorrere un file senza dover continuamente ricorrere al Pan & Zoom, come ad esempio il reflow all’interno di Word. Microsoft ha anche mostrato la versione “preview” dell’applicazione per tablet Android (si può chiedere accesso alla beta qui): ancora non è pronta, ma lo sarà nel 2015, così come la versione touch per Office 10, anche lei in fase di sviluppo avanzato. MOBILE Ora si può usare lo smartphone NFC per accedere ai mezzi pubblici di Milano e Torino A Milano e Torino in metro con l’NFC e PosteMobile PosteMobile annuncia la possibilità di caricare biglietti e abbonamento sulla Super SIM NFC O di Paolo CENTOFANTI ra è possibile viaggiare sui mezzi pubblici di Milano e Torino utilizzando il proprio smartphone NFC al posto del tradizionale biglietto. Il servizio è stato annunciato da PosteMobile in collaborazione rispettivamente con ATM e GTT e richiede l’utilizzo della SIM Super SIM NFC dell’operatore telefonico e uno smartphone Android compatibile. Il funzionamento è abbastanza semplice: gli utenti PosteMobile di Milano e Torino dovranno semplicemente virtualizzare la propria tessera torna al sommario dei mezzi pubblici all’interno dell’app per Android di PosteMobile che funziona da digital wallet e completare l’autenticazione sul sito dell’azienda di trasporti relativa alla propria città. Fatto ciò, sarà possibile acquistare abbonamenti direttamente dall’app e utilizzare lo smartphone NFC al posto della normale tessera per passare i tornelli della metropolitana o validare la corsa sui mezzi di superficie. Al momento nessuna notizia su un’eventuale futura compatibilità anche con gli smartphone Windows Phone. Il Communicator di Star Trek è realtà Tra video dell’Hoverboard Hendo e notizie di macchine volanti, sembra proprio che la realtà si stia confondendo con i nostri film fantascientifici preferiti. Onyx, nella fattispecie, è il comunicatore di Star Trek calato nella vita di tutti i giorni di Lorenzo LAUDA OnBeep, startup Americana, presenta Onyx, un indossabile che funzionerà come un comunicatore di Star Trek: ovunque tu sia potrai parlare con chiunque tu voglia, in modo smart, senza la necessità di dover portarti dietro oggetti supplementari. Saranno necessari solo una connessione dati e uno smartphone a cui collegare tramite bluetooth il dispositivo ed il gioco è fatto: premi il pulsante e manda un messaggio in tempo reale ad un gruppo di persone da te precedentemente scelto grazie all’app dedicata. Onyx si presenta con una forma circolare, compatto e esteticamente pulito, ha un peso di soli 46g ed è dotato di una batteria a litio ricaricabile tramite un cavo micro USB che viene fornito nella confezione. Il dispositivo è pre-ordinabile al prezzo di 99 dollari per pezzo o a 195 dollari per una coppia e non preoccupatevi per i tempi di attesa: secondo OnBeep entro dicembre 2014 i clienti inizieranno a ricevere il proprio comunicatore. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MOBILE Alla Samsung Developer Conference tanti nuovi servizi per stare al passo con Apple Flow, Proximity e realtà virtuale: gli assi di Samsung Samsung non abbandona Google, ma aggiunge ad Android funzioni che Google stessa non ha S di Roberto PEZZALI amsung continua la sua rincorsa ad Apple, partendo proprio dal famoso Moscone Center di San Francisco, luogo simbolo di molte presentazioni del più acerrimo concorrente. Si svolge lì l’edizione annuale della Samsung Developer Conference, la conferenza destinata agli sviluppatori di applicazioni per prodotti Samsung di ogni tipo e piattaforma, dagli smartwatch con Tizen alle più recenti Smart TV. La Samsung Developer Conference è la dimostrazione che in questi anni Samsung è cresciuta moltissimo, e ha saputo costruire attorno ai suoi prodotti un ecosistema solido e probabilmente anche redditizio. Samsung, da puro produttore di hardware che era, ha capito che non si può vivere solo di prodotto: gli ultimi bilanci parlano chiaro, i guadagni su smartphone e TV decrescono rapidamente e solo la voce “servizi” può compensare riportando davanti ai grafici dei profitti il segno più. La mossa più coraggiosa (ma anche la più rischiosa) sarebbe ovviamente quella di abbandonare Android puntando sul proprio sistema operativo, capitalizzando così tutte le revenue dello store applicazioni e di tutti i servizi ad esso collegato, dalla musica ai film ai giochi. Quello che insomma ha fatto Amazon, un fork di Android a tutti gli effetti che di certo non ha fatto piacere a Google. Samsung ha però deciso di seguire una strada più morbida: da una parte si tiene stretta Google abbracciando il suo sistema operativo, dall’altra sta creando una serie di framework aggiuntivi che permettono di collegare Android al suo ecosistema, aggiungendo ad Android stesso funzionalità che Google non ha, ma di cui Samsung ha bisogno per restare in scia ad Apple. Ecco quindi che dalla Samsung Developer Conference spuntano Flow, Proximity, Simband e nuovi prodotti come Project Beyond, una camera a 360° LG presenta nel mercato coreano AKA, smartphone Android per i più piccoli. Occhi animati, diversi per ogni modello, comunicano le notifiche e lo stato del telefono Sotto la cover si nascondono specifiche di tutto rispetto da usare per creare ambienti da visitare poi con il visore Gear VR. Flow, la nuova piattaforma presentata, è la versione Samsung di Handoff di Apple: permette di spostare applicazioni e dati in modo “seamless” da smartphone a tablet, da tablet a smart TV e da smart TV a smartphone. Flow gestisce anche lo scambio di notifiche: una notifica che arriva sullo smartphone viene visualizzata anche sulla Smart TV Samsung e sul tablet. Ispirato sempre ad un altro framework Apple troviamo Proximity, la versione Samsung di iBeacon: Proximity è un pacchetto di funzionalità inserite a livello di sistema che permettono agli sviluppatori di interagire direttamente con i beacons, piccoli trasmettitori Bluetooth low energy sfruttabili per applicazioni di localizzazione a corto raggio o di marketing. Con i beacons (qui l’approfondimento) è possibile veicolare un’informazione in maniera push a tutti i dispositivi Samsung nelle vicinanze, in modo simile a quello che può fare Apple con iBeacon. Diciamo simile, perché l’integrazione Samsung viene fatta a livello di sistema, ed è più marketing oriented: mentre con iBeacons per ricevere dati quando passiamo di fronte ad una vetrina dobbiamo avere l’app del negozio installata, Samsung con proximity può gestire notifiche senza alcuna app installata. Una scelta più radicale, da dosare però con attenzione: i beacon sono un’arma a dop- pio taglio se usati in modo invasivo. Non contenta poi di Google Fit Samsung ha presentato alla Samsung Developer Conference una nuova versione della reference platform per health tracker, Simband 2, insieme ad un pacchetto di api e servizi cloud per gestire le informazioni legate alla salute. Qui Samsung si è ispirata più al recente Band di Microsoft e ai servizi a lui collegati, creando uno smartwatch ricco di sensori da utilizzare come hardware per la creazione di app legate proprio alla persona. Non potevano mancare poi GearVR e le applicazioni di realtà virtuale: qui Samsung ha scelto di appoggiarsi a OculusVR per la piattaforma, annunciando l’arrivo della developer edition del Gear VR a dicembre. Samsung rilascerà due pacchetti: 199$ liscio e 249$ con controller bluetooth, entrambi destinati a coloro che vogliono iniziare a creare app dedicate al visore di realtà virtuale. Per aiutare poi gli sviluppatori nel difficile compito, Samsung ha anche realizzato Project Beyond, una videocamera composta da 16 moduli di ripresa Full HD capaci di catturare un ambiente a 360° senza interruzioni. Samsung porterà modelli di questa videocamera in giro per il mondo catturando immagini panoramiche di luoghi di interesse significativi, dando inizio a quello che potrebbe essere il turismo virtuale. I SENSORI DI SIMBAND 2 torna al sommario LG AKA, lo smartphone che ti guarda negli occhi di Massimiliano ZOCCHI Il mercato coreano, si sa, è sempre un po’ stravagante. E in quest’ottica LG presenta l’ennesimo terminale quasi sicuramente destinato a rimanere confinato nel mercato domestico: LG AKA. Coloratissimo e semplice nelle linee, con scocca in plastica, è un device pensato per adolescenti. I quattro colori però non sono solo una diversità estetica, ma si tratta anche di quattro “soggetti” diversi. Già, perché AKA interagisce col proprietario tramite occhi animati che sporgono dalla cover rigida frontale. Occhi che sono diversi a seconda del soggetto e che cambiano anche in caso di notifiche e avvisi. Faremo così la conoscenza di Eggy (giallo), Wookie (bianco), Soul (blu) e YoYo (rosa). La cover frontale è rimovibile mostrando un normale terminale full touch Android 4.4, con display da 5” IPS da 1280 x 720 pixel, connettività LTE, Wi-Fi e NFC, con fotocamera posteriore da 8 MP e frontale da 2 MP. Il tutto animato da un processore quad-core da 1.2 GHz (non meglio specificato) e 1.5 GB di RAM. Dicevamo degli occhi, che sono in grado di comunicare notifiche e “stati d’animo”: un esempio è il cambiamento di colore in caso di batteria scarica. Gli occhi si arrossano, come se lo smartphone fosse malato, per poi tornare verdi e normali dopo averlo caricato. LG AKA è disponibile nel mercato coreano. Eccolo in video. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MOBILE I due nuovi fitness tracker di Jawbone saranno presto disponibili anche in Europa Jawbone e il fitness “next-gen”: Up3 e Up Move Un modello top di gamma, Up3 e un entry level, Up Move, più semplice ed economico di Massimiliano ZOCCHI ono due i nuovi fitness tracker di Jawbone: il top di gamma UP3, che costerà 180 dollari, e una nuova categoria per Jawbone, un entry level economico da 50 dollari chiamato Up Move. Il nuovo capofamiglia, Up3, é la risposta alle nuove tendenze del mercato delle fitness band, aggiungendo sensori per il battito cardiaco, e temperatura ambientale e della pelle. Non manca il classico accelerometro. Tramite la tecnologia integrata, Up3 può monitorare la qualità del sonno in modo avanzato, tenere traccia dello stato di salute e riconoscere il tipo di attività fisica che svolge l’utente. Resta assente un display, e l’unico modo di interfacciarsi è l’app dedicata, tramite la quale si possono catalogare tutti i dati e beneficiare di suggerimenti per migliorare la propria condizione fisica (ecco un video di presentazione). Nuovo design, affidato a Yves Behar, che ha comunque linee che siamo abituati a vedere nelle smartband. Autonomia dichiarata di 7 giorni, resistente all’acqua fino alla profondità di 3 metri. Sarà disponibile per la fine dell’anno, inizialmente solo in nero. Altri colori arriveranno nel 2015. Un’altra diversità S è la batteria, non un’unità ricaricabile ma una semplice batteria da orologio sostituibile. Up Move sarà disponibile già da questo mese. Anche per Up Move è stato rilasciato un breve video. Per entrambi i modelli si parla per ora di Apple Store e di altri negozi americani come Amazon o Best Buy, senza riferimenti ad altri mercati, anche se pensiamo che saranno presto disponibili anche per l’Europa. In risposta ai competitor che offrono anche modelli economici, ecco arrivare Up Move, un entry level con nuovo design, dalle funzioni molto più basilari. Accelerometro con funzione contapassi, tracker attività fisica e calorie bruciate. UP MOVE Presente anche il monitoring del sonno ma a un livello meno sofisticato. Tutto consultabile sempre dall’app apposita. Una particolarità di Move è che può essere indossato come braccialetto oppure come clip sui vestiti. MOBILE LG sarebbe già in grado di realizzare display non solo flessibili, ma anche economici I display flessibili di LG diventano più economici La riduzione di costo passerebbe anche dalla sostituzione dei filamenti di alluminio con il rame I di Emanuele VILLA l mondo sta sperimentando i primi esemplari di display curvi e flessibili, ma molte aziende ritengono che questo sia davvero il futuro, soprattutto nel segmento mobile. Pioniere delle nuove tecnologie è senza dubbio LG, che durante una presentazione all’Intenational Workshop on Flexible & Printable Electronics ha annunciato un nuovo processo produttivo per display flessibili tale da incrementare notevolmente la produttività, la flessibilità e, soprattutto, i costi. In effetti la tecnologia è pronta, ma stenta ad essere presentata commercialmente e proposta al pubblico per via del suo costo: in un mondo sempre più attento al rapporto qualità/prezzo, un tablet che si piega in tre e costa una fortuna avrebbe poco torna al sommario senso. Ma la situazione potrebbe cambiare a breve: grazie a una tecnologia nota come Roll to Roll (della quale non si hanno particolari informazioni), LG sarebbe riuscita a piegare e rendere ulteriormente flessibili i propri pannelli, mentre la netta riduzione di costo passerebbe anche dalla sostituzione dei filamenti di alluminio con componenti analoghi in rame. Cosa che, stando a quanto si sa, rappresenta un passo avanti notevole, poiché fino a poco fa si riteneva impossibile la so- stituzione tra i due elementi a causa di alcune proprietà chimiche del rame. In sostanza, LG ha già testato e provato la tecnologia roll-to-roll ed è pronta a impiegarla nei primi prodotti, che evidentemente saranno prototipi ma potrebbero vedere presto la luce. 13 pollici per il prossimo tablet di Samsung Samsung potrebbe presentare entro la fine dell’anno un nuovo tablet con display da 13 pollici e S-Pen Al momento si tratta soltanto di indiscrezioni, ma il trend che porta a schermi sempre più grandi è reale di Andrea ZUFFI Il mercato ci sta abituando ad una costante crescita nelle dimensioni dei display degli smartphone, e per questo i produttori di tablet, per dare nuovo appeal ai propri dispositivi, non hanno altra scelta che far lievitare anche gli schermi di questi ultimi. Dalla Corea del Sud arriva in queste ore la notizia che Samsung starebbe pianificando il lancio entro la fine dell’anno di un nuovo tablet da 13 pollici. Non si conoscono altri dettagli sull’hardware, se non che si dovrebbe trattare di un display LCD e non Super AMOLED. Grazie inoltre all’utilizzo della S-Pen, e con l’ausilio di una personalizzazione di Android che renderebbe il tablet multiwindow (analoga a quella dei tablet PRO della stessa azienda), Samsung intende offrire maggior produttività all’utenza business. Inoltre, se i rumor saranno confermati, Samsung entrerà in diretta competizione con un segmento del mercato oggi già occupato da Microsoft con Surface 3 PRO e da altri prodotti ibridi come i convertibili laptop/tablet. A conferma del trend ci sarebbero anche altre voci secondo le quali anche Sony e Apple starebbero progettando tablet da 12 pollici. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MOBILE Da SamMobile emergono le prime specifiche tecniche del successore del Galaxy S5 Samsung riparte da zero per il Galaxy S6 Samsung vuole realizzare un modello completamente nuovo, tagliando i ponti con il passato N di Paolo CENTOFANTI onostante l’hype e le buone vendite, il Galaxy S5 non è stato quel mega successo che forse Samsung si aspettava: margini e utili si stanno assottigliando e il colosso coreano vuole ripartire con il piede giusto. Per questo motivo per il Galaxy S6, internamente chiamato project zero, Samsung ha deciso di ripartire per l’appunto da zero. Il Galaxy S4 e S5 sono stati alla fine delle evoluzioni del Galaxy S3, contaminate in qualche modo dal lavoro svolto sulla linea Galaxy Note (e viceversa), ma l’S6 sarà un prodotto completamente nuovo. Di certo nel design, e dal Galaxy Alpha in poi, sappiamo che Samsung ha già iniziato a lavorare su nuovi materiali di maggiore qualità, dopo che troppo spesso anche i suoi top di gamma sono stati accusati di eccessiva “plasticosità”. Ora SamMobile ha ottenuto anche dei dettagli su quelle che dovrebbero essere le specifiche tecniche del nuovo top di gamma. La dimensione dello schermo non sarebbe ancora stata decisa, ma dovrebbe avere una Apple ha rilasciato agli sviluppatori una beta di un nuovo aggiornamento di iOS 8 che, oltre a sistemare altri bug, promette un miglioramento delle prestazioni per i dispositivi più vecchi di Paolo CENTOFANTI risoluzione di 2560x1440 pixel, visto che da qui non si torna indietro. Samsung avrebbe intenzione di realizzare come al solito due varianti, una con processore Qualcomm Snapdragon 810, l’altra con il nuovo Exynos 7420 accoppiato a un nuovo modem LTE realizzato da Samsung. In entrambi i casi si parla di architettura a 64 bit per sfruttare al meglio le caratteristiche del nuovo Android 5.0 Lollipop. Sul fronte fotocamera Samsung sarebbe ancora in decisa sul riutilizzare il sensore da 16 Megapixel con stabilizzatore ottico di immagine oppure fare il salto ai 20 Megapixel, mentre per la webcam frontale la risoluzione dovrebbe essere sempre di 5 Megapixel come sugli ultimi modelli lanciati dal produttore. Il Galaxy S6 dovrebbe poi essere dotato di 3 GB di RAM e monterà un nuovo chip all-in-one di Broadcom per GPS, WiFi e Bluetooth, soluzione che dovrebbe ridurre ulteriormente i consumi energetici. Molto è ancora suscettibile di cambiamenti come si può vedere, ma le fonti di SamMobile si sono dimostrate sempre piuttosto attendibili. MOBILE La tecnologia super veloce LTE Advanced arriva sulla rete mobile italiana grazie a TIM 60 comuni italiani viaggiano a 180 Mbps I comuni abilitati per connessioni fino a 180 Mbps sono 60. Si passerà presto a 225 Mbps R di Roberto PEZZALI oma, Milano, Torino, Napoli, Firenze, Genova, Palermo e Bari sono alcune delle 60 città che da oggi viaggeranno in 4G ad una velocità super. TIM, dopo la sperimentazione a Torino, ha reso disponibile per prima a livello nazionale la tecnologia LTE Advanced portando la velocità di connessione mobile a 180 Mbps al secondo. Un valore che vuol dire streaming 4K su tablet, scambio di dati ad altissima velocità e download fulminei. Un primo passo importante, anche perché già si sta studiando l’upgrade a 225 Mbps che dovrebbe arrivare nel 2015. Per poter fruire della tecnologia serve uno smartphone LTE Advanced, e al momento l’unico disponibile è il Galaxy Note 4. Secondo TIM il Note 4 resterà torna al sommario iOS 8.1.1 migliorerà le prestazioni di iPhone 4S e iPad 2 da solo per poco: ben presto sullo store TIM saranno presenti altri terminali, sicuramente chiavette e router esterni, ma non escludiamo qualche altro smartphone. I clienti consumer e business che hanno già sottoscritto offerte 4G LTE potranno accedere gratuitamente alla nuova tecnologia fino al prossimo 30 aprile, poi ci sarà da pagare (come sempre). Per poter provare LTE Advanced bisogna abitare in una di queste città, oltre ovviamente ad avere un Galaxy Note 4: Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Firenze, Bari, Catania, Messina, Taranto, Brescia, Prato, Reggio Calabria, Livorno, Salerno, Siena, La Spezia, Alessandria, Pistoia, Catanzaro, Pisa, Lucca, Pescara, Nova- ra, Savona, Sanremo, Carrara, Latina, Cuneo, Viterbo, Teramo, Campobasso, Arezzo, Caserta, Grosseto, Viareggio, Asti, Benevento, Torre del Greco, Pozzuoli, Matera, Cremona, Massa, Potenza, Castellammare di Stabia, Afragola, Vigevano, Fiumicino, Aprilia, Legnano, Marano di Napoli, Pomezia, Tivoli, Battipaglia, Anzio, Sesto Fiorentino, Busto Arsizio, Mugnano di Napoli e Giugliano in Campania. È un film già visto: a ogni nuovo rilascio di iOS, i dispositivi Apple più vecchi ancora supportati subiscono un significativo degrado nelle prestazioni. È l’altra faccia della medaglia di un lungo ciclo di supporto per prodotti con tre o quattro anni sulle spalle, che nel mondo dell’elettronica di consumo spesso equivalgono a decenni. Con il rilascio di iOS 8, quest’anno la storia si è ripetuta per iPhone 4S e iPad 2, entrambi lanciati nel 2011 e basati sul SoC Apple A5, che con il nuovo aggiornamento del sistema operativo ha mostrato segni di cedimento, offrendo ai possessori di uno di questi dispositivi dei rallentamenti rispetto ad iOS 7. Ora Apple ha distribuito agli sviluppatori la prima beta di iOS 8.1.1, aggiornamento che promette oltre alla risoluzione di altri bug ancora presenti, una maggiore ottimizzazione per iPhone 4S e iPad 2. Si dovrebbe così ripetere quanto accaduto lo scorso anno con iOS 7.1, che aveva riportato un po’ più di vitalità nell’iPhone 4, classe 2010, e di colpo invecchiato con l’arrivo della prima release di iOS 7. È facile gridare all’obsolescenza programmata, ma vale la pena tenere a mente - e vale per tutte le piattaforme grafici come quello qui riportato: i processori diventano sempre più potenti, il che vuol dire anche che far girare allo stesso modo il software più recente sui modelli più vecchi, con curve come queste, non è un gioco da ragazzi. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MOBILE La sicurezza di iOS inizia a scricchiolare: un gruppo di ricercatori ha segnalato una falla importante in iOS, presente fin da iOS 7 Allarme rosso per iPhone e iPad: seria falla di sicurezza Rispetto al malware WireLurker, segnalato di recente, questa volta la minaccia è molto seria e riguarda tutti i dispositivi di Roberto PEZZALI a sicurezza di iOS inizia a scricchiolare: dopo WireLurker, il malware segnalato di recente ma tutto sommato innocuo, arriva ora la denuncia da parte di un altro team di ricercatori che afferma di aver identificato (e segnalato a Apple) un bug decisamente serio, chiamato Masque Attack. La falla di sicurezza in questo caso colpisce tutti gli iPhone e gli iPad, a prescindere dalla presenza di un eventuale jailbreak e di un collegamento fisico. Per farla semplice, ma poi entreremo nel dettaglio, Masque Attack permette ai malintenzionati di sostituire le app scaricate dall’Apple Store con una applicazione identica che L ha accesso però a tutte le risorse della vecchia app. Un esempio aiuta meglio a capire come funziona e quali sono i rischi: ogni applicazione scaricata dall’AppStore è segnata da un “bundle identifier”, un identificativo univoco di ogni app. Questo codice non è affatto segreto: basta aprire con un editor di testo un file del pacchetto dell’applicazione per risalire al bundle identifier della stessa: nel caso di Gmail, ad esempio, il bundle id è “com.google.Gmail”. Apple usa questo bundle ID per gestire gli aggiornamenti delle app, ma quando fa un aggiornamento non verifica che i certificati dell’aggiornamento e dell’app originale coincidano: Masque Attack usa proprio questa assenza di controllo per “aggiornare” una applicazione installata sostituendola con una applicazione fasulla ma con le sembianze di quella originale. L’applicazione non viene ovviamente scaricata dallo store, ma da un sito web, ed è per questo che l’aggiornamento viene segnalato da un “popup” che appare dopo aver aperto un sito web. L’applicazione sostitutiva oltre a poter loggare password e trasmettere dati ha anche accesso a tutte le risorse nella cache dell’app: la versione fasulla di GMail vede e può anche trasmettere le mail in cache e i dati della vera GMail (trattandosi di un update la cartella dell’app non viene cancellata), e questo vale anche per altre app come quelle di Home Banking. Il video mostra chiaramente come funziona la cosa, e vedere come GMail viene sostituita da una applicazione finta con un semplice click fa abbastanza impressione. La gravità di questo bug è enorme: se apparisse a qualcuno un popup sull’iPhone con scritto “aggiorna Whatsapp per togliere la notifica di visione” siamo certi che il 90% degli utenti premerebbe “yes” senza pensarci. Apple è a conoscenza del problema, ma anche la nuova release 8.1.1beta non corregge la cosa, anche se, vista la gravità della falla, probabilmente ci sta lavorando. In ogni caso è meglio fare gli aggiornamenti solo dall’Apple Store, evitando di cliccare su invitanti popup. MOBILE Sharp presenta un nuovo display IGZO per smartphone da 736 dpi, 2560 x 1440 pixel IlUn grande display IGZO di Sharp serve solo ad Oculus esercizio di tecnologia, inutile su uno smartphone ma perfetto per i visori VR L di Roberto PEZZALI a gara dei pixel non sembra avere una fine: anche se ormai si è capito che già il 1080p è quasi troppo su uno smartphone, soprattutto se guardato da una distanza normale, i produttori continuano a investire nella realizzazione di display super risoluti. È il caso di Sharp, che dimostra tutta la sua abilità nel creare pannelli LCD con tecnologia IGZO super risoluti, mostrando il primo schermo da 4.1” con una definizione di 736 ppi. Un traguardo record, raggiunto portando la risoluzione del pannello a 2560 x 1600, quindi WQXGA (o quad HD). La stessa definizione è quella necessaria ad un display da 6” per gestire una risoluzione 4K, e Sharp si è detta torna al sommario pronta a fornire quel tipo di display a partire dal 2016, con i primi sample per i produttori già nel 2015. La qualità dello schermo ovviamente non di discute, tuttavia siamo sempre più convinti che uno schermo di questo tipo sia più utile per consumare rapidamente la batteria di uno smartphone piuttosto che per migliorare effettivamente la qualità di visione. Se invece guardiamo ad altri ambiti, come gli schermi per la realtà MAGAZINE Estratto dal quotidiano online www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago, Simona Zucca, Alessandra Lojacono virtuale, allora sì che i pannelli a risoluzione elevatissima hanno un senso: un pannello 4K da 6” sarebbe perfetto per raddoppiare la risoluzione dell’OculusVR, permettendo finalmente una resa più che dignitosa? Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni dday@dday.it Per la pubblicità adv@dday.it n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MOBILE Un’indagine sulla sicurezza dei sistemi di messaggistica sfata diversi miti e svela sorprese BB Messenger e WhatsApp tra le chat meno sicure Una tabella analizza alcune caratteristiche che contribuiscono alla sicurezza di un servizio L di Paolo CENTOFANTI a Electronic Frontier Foundation, agenzia non-profit che si occupa di diritti “digitali” fin dalla nascita del web, ha annunciato una nuova iniziativa denominata Campaign for Secure & Usable Crypto. Si tratta essenzialmente di una campagna di sensibilizzazione per una maggiore diffusione di sistemi di comunicazione che, sull’onda delle rivelazioni di Edward Snowden sui programmi di sorveglianza globale, offrano un’effettiva protezione della privacy. La prima fase di questa campagna è la “secure messaging scorecard”, una tabella in cui vengono analizzate le funzioni di sicurezza di tutti i principali servizi di messaggistica, chat, videochiamata ed email che “promettono” una qualche sorta di protezione della comunicazione. La tabella è stata compilata analizzando alcune ben precise caratteristiche che contribuiscono alla sicurezza di un servizio. Un primo punto è naturalmente che la trasmissione sia criptata lungo tutto il cammino della comunicazione, ma viene anche richiesto che la crittografia sia end-to-end, fatta in modo cioè che il gestore del servizio non sia in grado di accedere ai messaggi, tipicamente affidando la generazione delle chiavi direttamente ai due interlocutori. Ma meglio sarebbe ancora se il sistema fosse in grado di proteggere le comunicazioni passate anche in caso di compromissione delle chiavi private e offrisse un meccanismo per la verifica dell’identità dell’interlocutore. Altri aspetti riguardano la qualità della documentazione sulla sicurezza dei servizi, se il codice degli strumenti implementati è disponibile pubblicamente per la ricerca di eventuali bug e falle, ma anche se la sicurezza è stata testata da un ente indipendente esterno all’azienda. Tutto ciò considerato, quali sono allora i migliori servizi di chat e messaggistica dal punto di vista della sicurezza? La scorecard compilata dalla EFF riserva qualche sorpresa. In primo luogo BlackBerry Messenger, che comunemente è torna al sommario WhatsApp Arriva l’ansia da messaggio letto (e addio privacy) Senza nessun annuncio WhatsApp aggiunge la notifica che avverte se un proprio messaggio è stato letto dal destinatario di Massimiliano ZOCCHI considerato uno dei servizi più sicuri, soddisfa unicamente il requisito della crittografia della trasmissione, ma non end-to-end. BlackBerry è in buona compagnia comunque, con Viber, Yahoo! Messenger, WhatsApp, Facebook Messenger. WhatsApp ha dalla sua di aver comunque subito almeno un audit sulla sicurezza della sua blanda soluzione. Skype, rispetto a questi servizi, offre in più la crittografia end-to-end, ma lo storico delle chat non è immune al furto di chiavi e Microsoft non ha mai rilasciato informazioni dettagliate sulla crittografia implementata. Tra i servizi non specializzati e di largo utilizzo, ot- tengono invece un buon “punteggio” le soluzioni Apple iMessage e FaceTime, che sono resistenti al furto delle chiavi segrete, ma non hanno contromisure per verificare l’identità degli utenti. Apple inoltre ha rilasciato sufficiente documentazione delle soluzioni impiegate, ma non ha naturalmente messo a disposizione il codice sorgente per ulteriori verifiche. In cima alla classifica ci sono naturalmente i servizi specializzati come Silent Phone, Signal, TextSecure, ma anche storici nomi come PGP non riescono a strappare il bollino verde in tutti i requisiti. La scorecard completa è disponibile qui. Era forse l’unica app di messaggistica orfana di questa funzione, ma ora anche WhatsApp si è adeguata, aggiungendo la notifica di avvenuta lettura dei messaggi. Nessun annuncio e nessun aggiornamento nei relativi store delle diverse piattaforme però: la modifica è avvenuta con un aggiornamento OTA da remoto, per questo in molti non si sono accorti subito della novità. Semplicemente il doppio segno di spunta che prima indicava l’avvenuta consegna del messaggio, da adesso in caso di lettura si trasforma da verde a blu, ad indicare appunto che il destinatario ha visionato tale messaggio. Abbiamo già avuto modo di verificare utilizzando i diversi sistemi operativi, che anche per gli utenti italiani è già avvenuto il passaggio, e se per caso non siete già tra i “fortunati” vi basterà attendere il naturale rollout. Contrastanti le reazioni: da chi grida al miracolo, a chi invece è preoccupato che questa sia ulteriore fonte di ansia. Oltreoceano sono più noncuranti di questo aspetto, ma nel Vecchio Continente la privacy è considerata sacra. Non tutto è perduto però, le spunte diventeranno blu solo se leggiamo il messaggio all’interno dell’applicazione. Se invece lo leggiamo dalla lock screen o dalla lista delle chat attive, la notifica in blu non arriverà, lasciandoci con mille dubbi, o forse un po’ più sereni. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE AUTOMOTIVE Mercedes ha presentato un concept SUV con propulsione a idrogeno ed elettrica Il concept SUV di Mercedes è un’astronave Ha interni da nave spaziale, la vernice è un composto che crea elettricità dalla luce e dal vento di Massimiliano ZOCCHI l mondo delle concept car è sicuramente particolare: ti fanno sognare ad occhi aperti, con linee mozzafiato e tanta tecnologia, ma pochissime arrivano alla fase di produzione di massa, e spesso con parecchie modifiche dal prototipo originale. Molto probabilmente seguirà questa strada anche la Mercedes Vision G-Code, un SUC (Sport Utility Coupe) con il quale la casa tedesca mostra le capacità del suo centro progettazione di Pechino. Lo scopo di questo distaccamento è fare da incubatrice a nuove idee, raccolte dagli ultimi trend un po’ in tutto il mondo, e infine creare progetti e prototipi che siano l’incarnazione di queste novità, unitamente a nuove soluzioni motoristiche e tecnologiche che potrebbero trovare un’applicazione futura nelle auto della Stella a tre punte. Nello specifico Vision G-Code ha un biglietto da visita tutto sommato non esagerato. Le linee esterne sono poco più azzardate rispetto a moderni SUV, e i cerchi da 21” hanno un disegno classico. L’illuminazione diurna è ovviamente affidata a LED, e anche la grossa calandra frontale è illuminata, con un colore diverso a seconda della modalità di guida. E’ una 2 posti + 2, e anche per questo è stato adottato il sistema delle portiere reverse per i sedili posteriori, per facilitare l’accesso. Come dicevamo, abbastanza normale esternamente quanto spettacolare all’interno. Le linee sono minimal riuscendo comunque a dare sensazione di futuro, con un pizzico di spirito aerospaziale. Pochi colori, bianco e nero in prevalenza, strumentazione ridotta L’auto elettrica potrà essere alimentata da nano capacitori Il team che porta avanti lo studio è composto in larga parte da scienziati italiani I torna al sommario L’auto elettrica del futuro è senza batterie e un po’ italiana di Massimiliano ZOCCHI all’osso, nettamente in controtendenza con le auto odierne, dove si cerca di mettere display ovunque. Ogni passeggero ha a disposizione un sedile singolo, con poggiatesta incorporato e cintura di sicurezza a 4 punti. I posti integrano una funzione massaggiante ed è curioso il volante non circolare in stile Formula 1. La parte tecnologica più interessante è la speciale vernice denominata multi-voltaic silver, in grado di generare elettricità quando esposta alla luce, trasformando la scocca in un gigantesco pannello fotovoltaico. La stessa vernice è anche in grado di accumulare corrente statica dall’aria e dal vento e di indirizzarla poi al motore. L’energia elettrica non viene però convogliata in batterie, ma utilizzata direttamente per la produzione di idrogeno. Non è chiaro come avvenga questo processo, lasciando intendere che ci sia un minisintetizzatore di idrogeno a bordo. L’idrogeno andrà poi ad alimentare il motore frontale, mentre il secondo motore, quello sull’asse posteriore è esclusivamente elettrico, lasciando in- tendere che comunque ci sono delle batterie a bordo. Sfruttando i diversi propulsori si potranno scegliere differenti modalità di guida. Hybrid eDrive: questa modalità è totalmente elettrica, basata sulla massima efficienza e il miglior confort possibile a bordo grazie alla silenziosità del motore elettrico. Hybrid Eco Mode: con questa impostazione entra in gioco anche il motore a combustione, a tratti o in modo continuativo a seconda della potenza necessaria. Una modulazione sonora digitale diffonde un suono nell’abitacolo che controbilancia le vibrazioni del motore a combustione, tenendo alto il livello del confort. Hybrid Sport Mode: come suggerisce il nome, questa modalità di propulsione non è certo al risparmio, dando potenza e agilità, usando entrambi i motori, e in particolare quello elettrico come boost per le accelerazioni. La modulazione sonora interviene anche qui, lasciando però un suono più aggressivo. Ovviamente Mercedes non parla di piani futuri per questa vettura, anche se voci di corridoio annunciano una particolare attenzione della casa di Stoccarda nel segmento dei SUV/Crossover: questo che vediamo potrebbe essere il primo studio per un mezzo Urban Mobility. l supercapacitori sono in grado di immagazzinare energia elettrica e di rilasciarla molto velocemente. Non vengono utilizzati al posto delle batterie al litio perchè la quantità di energia che possono fornire è bassa. Qui entra in gioco la ricerca portata avanti alla Queensland University of Technology, cioè riuscire a nascondere moderni supercapacitori in ogni intercapedine di un’auto a trazione elettrica. Il team di ricercatori, guidato dall’italianissimo Dr. Nunzio Motta e dal Dr. Jinzhang Liu, sta studiando la possibilità di rendere questi componenti leggeri, piccoli e al tempo stesso in grado di immagazzinare più energia. L’impronta italiana è ben profonda, dato che i ricercatori impiegati sono sempre italiani: Marco Notarianni, Francesca Mirri e Matteo Pasquali. Al momento l’idea è di accoppiare l’uso dei supercapacitori a quello delle convenzionali batterie. Sfruttando la loro proprietà di rilascio rapido della carica possono servire per dare un overboost al motore, o per ricaricare le batterie “normali” in breve tempo. Un’automobile di questo genere potrebbe coprire distanze fino a 500 km, oltre ad avere minor costo di produzione e minor impatto ambientale per l’assenza di sostanze come il litio, per il quale tra l’altro non è previsto un abbassamento del costo di produzione nei prossimi anni. Il team fa sapere che questo film ultra energetico potrebbe anche essere utilizzato nei device portatili o negli accessori, ad esempio inserendolo all’interno di cover che avrebbero così la possibilità di caricare lo smartphone in pochi minuti. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE PC Sony presenta la nuova linea di dischi esterni SSD: hanno dimensioni da carta di credito Da Sony gli SSD formato “carta di credito” Due modelli da 128 GB e 256 GB, entrambi con un’ elegante finitura esterna in alluminio S di Massimiliano ZOCCHI ony punta sull’eleganza e la portabilità per i nuovi dischi esterni SSD. Il modello SL-BG1 assicura 128 GB di spazio di archiviazione, mentre il fratello maggiore SL-BG2 passa a 256 GB. E’ evidente come Sony con questi nuovi prodotti strizzi l’occhio a professionisti e appassionati che amano prodotti raffinati, richiamando il design spesso utilizzato negli Ultrabook o nei notebook Apple, dove l’alluminio la fa da padrone. Finitura esterna che riprende quindi lo stesso materiale, in colore silver oppure nero satinato. Dimensioni da carta di credito, eccezion fatta per lo spessore ovviamente, ma senza rinunciare a robustezza e protezione dei dati. Sony infatti dichiara che l’involucro esterno minimizza i danni da vibrazioni, urti e surriscaldamento. Il trasferimento dati è affidato all’interfaccia USB 3.0 che garantisce una ve- Il Model A+ è il nuovo entry level tra i PC single-board, il prezzo è il più basso di sempre solo 20 dollari. È già disponibile in USA e UK di Emanuele VILLA locità minima di 290 MB/s in lettura, in base alle prove effettuate da Sony stessa. La velocità di scrittura risulta poi essere inferiore. In dotazione troveremo i software dedicati Password Protection Manager e Backup Manager, utili per gestire le proprie copie e garantirne la sicurezza nel caso il disco venga smarrito e cada nelle mani sbagliate. Sony dichiara aperte le prenotazioni online, anche se al momento i nuovi SSD non sono ancora presenti sul sito italiano. PC Si credeva che non sarebbe costato meno di 2.500 dollari, ma Dell ci sta ripensando... Meno di 2.000 dollari per il monitor 5K Dell Arriverà per Natale nei negozi americani, non si sa ancora se verrà venduto anche in Italia di Emanuele VILLA nnunciato lo scorso settembre, il monitor Dell da 27’’ con risoluzione 5K arriverà sugli scaffali dei negozi (inizialmente americani) a dicembre con un prezzo di listino inferiore ai 2.000 dollari. Una buona notizia per chi ha deciso di entrare nel mondo della risoluzione “altissima” per PC replicando di fatto le caratteristiche (visive) dell’iMac di recentissima introduzione. Il nome completo del prodotto è Dell UltraSharp 27 Ultra HD ed è il primo monitor al mondo con la risoluzione “enorme” di 5120 x 2880 pixel, che giusto per rendere l’idea, è sette volte quella del Full HD. Inizialmente si pensava che Dell l’avrebbe posizionato a un listino di 2.500 dollari, ma pare proprio che l’azienda si sia ricreduta e, nel tentativo di spingere al massimo un’esclusiva interessante, abbia intenzione di proporlo a meno di 2.000 dollari; per i prezzi ufficiali e per sapere se arriverà anche A torna al sommario Raspberry Pi Model A+ È piccolissimo e costa 20 dollari da noi, comunque, c’è ancora bisogno di qualche giorno. Parlando di caratteristiche tecniche, Dell UltraSharp 27 Ultra HD è un monitor da 27’’ con luminosità dichiarata di 350 cd/m2 e rapporto di contrasto statico di 1000:1, un tempo di risposta GTG di 8 ms e densità di pixel di 218 ppi. Dell, inoltre, comunica che il suo pannello IPS è in grado di coprire il 99% dello spazio Adobe RGB e il 100% di quello sRGB, mentre come angolo di visione dichiarato troviamo un 178°, sia in orizzontale che in verticale. Difficile non conoscere, almeno di nome, Raspberry Pi, il single-board PC ultraeconomico basato su Linux e concepito all’origine come supporto per l’educazione dell’informatica e della programmazione. L’azienda inglese ha recentemente annunciato il Model B+ e ora, nel tentativo di replicarne parzialmente la dotazione hardware ma a un livello di prezzo ancor più basso, propone Model A+ che è più sottile (65mm), consuma meno energia di Model A e propone alcuni miglioramenti tra cui 14 pin GPIO in più (ora siamo a 40), slot Micro SD e un circuito sonoro più avanzato e dalla resa migliore. Il processore resta il Broadcom BCM2835, lo stesso del predecessore, così come la dotazione di RAM, “ferma” a 256 MB. L’azienda ovviamente spera che, derivando molte caratteristiche dal modello superiore e proponendo il nuovo nato a un prezzo mai visto, il concetto portato avanti da Raspberry Pi si estenda più di quanto fatto finora. Model A+ è disponibile immeditatamente in USA e UK per 20 dollari di listino (5 in meno rispetto a Model A), prezzo che si suppone verrà esteso al resto del mondo, disponibilità permettendo. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE SMARTHOME Lo starter kit con due videocamere disponibile per Natale da 350 dollari Con Arlo Netgear punta sulla smarthome La videocamera di sorveglianza di Netgear è adatta all’uso sia in interno che in esterno Ha una batteria per l’installazione senza cablaggi e salva i video su cloud dedicato di Michele LEPORI etgear ha deciso di puntare forte sul potenziale della smarthome con Arlo, un progetto di videocamere per la sorveglianza delle abitazioni e relative pertinenze costruito attorno a un progetto di cloud storage proprietario e sfruttando la qualità dei milioni di modem e router Netgear già presenti in altrettante case sparse per il mondo. Arlo nasce con caratteristiche tecniche interessanti: angolo di visione a 120°, ripresa a 720p, visione a infrarossi per la notte e un rivestimento esterno a prova di intemperie che la rende adatta a ogni situazione. Lo slogan di Arlo focalizza l’attenzione sulla totale assenza di cavi: le videocamere hanno una batteria interna rimovibile e ricaricabile con un’autonomia stimata a utilizzo normale attorno ai 4-6 mesi; lo spazio su cui vengono archiviate le riprese è gratuito fino a 200 MB, N Samsung Advanced S Pen Più sensibile e versatile Samsung ha annunciato Advanced S Pen, evoluzione della famosa smart stilo di cui va a migliorare tutte le funzionalità principali. Rispetto al predecessore, ha una miglior sensibilità (doppia), riconosce con più precisione la rapidità con cui si scrive, l’inclinazione e la rotazione; la maggior sensibilità permetterà l’implementazione di nuove funzionalità creative, di editing e di riconoscimento del tratto. Samsung ha rilasciato un aggiornamento dell’SDK relativo all’S Pen così che gli sviluppatori possano accedere alle feature della nuova stilo. Advandes S Pen sarà rilasciata in bundle con il Note del prossimo anno (o magari con i tablet Note che l’azienda presenterà al CES), ma sarà compatibile anche con Galaxy Note 4 e Galaxy Edge. Al momento non si hanno informazioni su prezzo e data di rilascio, ma Samsung fa sapere che la stilo sarà acquistabile sul proprio sito una volta che il prodotto sarà commercializzato. torna al sommario La lampadina che inganna i ladri Un sistema di illuminazione intelligente che fa sembrare “viva” la casa anche quando non ci siamo. Il progetto è interessante, ma si preannuncia molto caro di Emanuele VILLA sufficiente secondo Netgear a garantire dalle 2 alle 3 settimane di video, mentre per esigenze multiroom o di filmati continui saranno disponibili diversi upgrade con canone mensile variabile in funzione dello spazio. Le videocamere saranno fruibili tramite app per iOS e Android che permetterà di modificare i parametri di ripresa, ricevere notifiche qualora venga rilevato un movimento e interfacciarsi con gli altri dispositivi partner della AllSeen Alliance. Lo starter kit sarà disponibile per le festività a partire da 350 dollari e ogni unità addizionale sarà venduta a 170 dollari. SMARTHOME Dovrebbe essere disponibile il prossimo anno MAID, e il forno diventa smart di Michele LEPORI ectorQube, realtà californiana con sede in quel di Palo Alto, ha raggiunto e superato lo stretch goal di 50.000 dollari su Kickstarter necessario a dare il via libera al suo progetto di forno intelligente MAID con il quale i fortunati possessori potranno gustare ottimi manicaretti senza perdere di vista l’importanza della dieta e dei valori nutrizionali. MAID, acronimo di Make All Incredible Dishes (crea tutti i piatti più incredibili), è un elettrodomestico connesso in grado di elaborare manicaretti sulla base dei nostri gusti personali, migliorarli grazie ai feedback che possiamo inviare in tempo reale e allargare il database di ricette grazie alla collaborazione che SectorQube promette essere gomito a gomito con un team di chef ed esperti del gusto. Fin qui nulla di radicalmente diverso né da quanto presentato da LG all’IFA né dalla squadra di chef di Samsung, dove stanno quindi le differenze con i progetti delle due gemelle coreane? Nell’aspetto dietetico: MAID è in grado di interfacciarsi con le più popolari app di fitness e attività fisica per iOS e Android, e monitorando i dati è in grado di creare una dieta ad hoc che ci supporti quotidianamente. L’arrivo nelle case dei bakers è fissato per l’autunno-inverno del prossimo anno, giusto in tempo per il periodo delle feste. S Il mercato ormai è stracolmo di soluzioni “smart” per quanto concerne l’illuminazione domestica, ma nessuno finora ha pensato di usare delle lampadine per aumentare la sicurezza interna o come dissuasori contro i furti in casa. Finora, appunto. BeON Home è una soluzione concettualmente semplice, ingegnosa e tanto cara, (parliamo di circa 199 dollari per 3 lampadine), dedicata a dissuadere i malviventi dal fare irruzione in casa quando non ci siamo. Le lampadine si accendono da sole quando non c’è nessuno in casa creando degli scenari credibili; in questo modo si suppone che i malviventi non corrano il rischio di entrare in un appartamento potenzialmente abitato e passino oltre. Stesso discorso quando qualcuno suona alla porta: le lampadine si accendono e i ladri passano all’appartamento successivo (così pare, poi è tutto da dimostrare). Quando si è in casa il sistema è completamente controllabile via app. Inoltre, BeON Home ha una sua piccola riserva di energia che le permette di accendersi in caso di cali di tensione o segnalazioni di fumo, ecc. BeON è un progetto in crowdfunding su Kickstarter con una data d’uscita stimata compresa tra aprile e agosto 2015; l’obiettivo è di 100.000 dollari e le previsioni sono rosee, visto quello raccolto finora. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE SCIENZA I test finora effettuati dai ricercatori hanno avuto un tasso di successo tra il 25 e l’83% Trasmissione del pensiero, esiste e funziona Ricercatori americani hanno dimostrato la possibilità di registrare e trasmettere il pensiero S di Paolo CENTOFANTI tanchi di studiare? In futuro la conoscenza potrebbe venirci infusa direttamente dalla mente di un professore o un esperto grazie alla trasmissione del pensiero. Fantascienza? Non del tutto, visto che un gruppo di ricercatori americani dell’Università di Washington è riuscito a dimostrare la possibilità di trasmettere dei pensieri da cervello a cervello e a ripetere l’esperimento con diverse coppie di soggetti. In questa prima fase, i ricercatori sono riusciti a trasmettere a distanza l’impulso di premere un pulsante per sparare con un cannone in un videogioco. In pratica un soggetto si trova davanti a uno schermo con un semplice videogioco in cui occorre sparare con un cannone al momento giusto e senza alcun tipo di controllo per interagire con il computer. Sono già passati 10 anni dal lancio della prima versione del browser Firefox, il primo a rompere il dominio di Internet Explorer Un sistema di rilevamento delle onde cerebrali del soggetto registra quindi la volontà di sparare e la trasmette in un altra stanza o edificio dove si trova un secondo individuo, questa volta senza alcuno schermo ma una tastiera a disposizione. Tramite un apposito dispositivo l’impulso viene trasmesso all’area del cervello che governa il movimento della mano e così viene premuto il pulsante per sparare con il cannone nel FOTOGRAFIA La prima videocamera notturna a colori Sharp è la prima a portare sul mercato una videocamera di sorveglianza con capacità di ripresa notturna a colori. Il target dell’azienda non è il mercato consumer ma quello dei sistemi avanzati di sorveglianza corporate. Il sistema di visione notturna a infrarossi è basato su un CCD realizzato da Sharp e dal National Institute of Advanced Industrial Science & Technology giapponese e permette la registrazione in condizioni di oscurità totale (0 lux) a colori con risoluzione di 1280x720 pixel a un framerate di 30 fps; il sistema è basato su un singolo CCD, per mantenere le dimensioni dell’apparecchio più contenute possibile, ed è compatibile con lo standard HD-SDI, per essere facilmente integrato nei sistemi di sorveglianza attuali. La disponibilità dei primi esemplari è prevista per il 28 novembre. torna al sommario Firefox compie 10 anni e lancia la privacy in un click con il tasto dimentica videogioco. I test hanno avuto un tasso di successo della trasmissione compreso tra il 25% e l’83%, dove in realtà i fallimenti sono stati per lo più dovuti alla mancata emissione dello stimolo a sparare da parte del soggetto “sorgente”. Il prossimo passo della ricerca sarà quello di provare a trasmettere informazioni più complesse come veri e propri pensieri e concetti. Clicca qui per il video. SCIENZA L’anuncio completo del progetto tra pochi mesi Una flotta di micro-satelliti per portare Internet ovunque L di Paolo CENTOFANTI a nuova missione di Elon Musk, l’imprenditore americano che ha lanciato Tesla e SpaceX, pare sia quella di portare Internet in ogni angolo del globo, possibilmente a basso costo. Per realizzare questo obiettivo, ha raccontato il Wall Street Journal, che ha ricevuto la soffiata da fonti a conoscenza dell’operazione, Musk starebbe unendo le forze con la WorldVu Satellites, società fondata da Greg Wyler, ex dirigente Google per cui seguiva i progetti satellitari. L’idea sarebbe quella di sviluppare un nuovo tipo di satelliti di telecomunicazioni, più leggeri e meno costosi di quelli attualmente utilizzati, e realizzare una flotta di 700 di questi per creare una copertura Internet globale. Secondo l’articolo del Journal, la WorldVu Satellites sarebbe già licenziataria delle necessarie frequenze, e i due starebbero cercando un terzo partner per lo sviluppo dei satelliti. Il progetto sarebbe però ancora solo nei primi stadi di definizione e l’appoggio di Elon Musk all’iniziativa non sarebbe ancora confermato al 100%. L’impresa è ambiziosa e non è delle più semplici. Da una parte i costi dell’iniziativa per sviluppare la nuova tecnologia e mettere in orbita la rete satellitare sono appunto stratosferici (si parla di miliardi di dollari), dall’altra c’è una forte competizione nel settore, con i progetti alternativi di Google e Facebook da una parte, e la storia di clamorosi fallimenti come quello di Iridium dall’altra. Non solo indiscrzioni, però: il progetto è stato confermato da Elon Musk con un tweet, annunciando tra l’altro il coinvolgimento diretto di SpaceX. Nel tweet parla di una larga flotta di micro-satelliti. L’annuncio completo della nuova iniziativa arriverà nel giro di 2/3 mesi. di Paolo CENTOFANTI Nel 2004 Mozilla lanciava la prima versione di Firefox, browser open source che avrebbe rilanciato una competizione sul mercato dei browser che sembrava impossibile riaprire per lo strapotere di Microsoft. Oggi le cose sono molto diverse, con quote di utilizzo dei vari browser più “democratiche” grazie anche all’ingresso di Google e Apple e all’avvento di smartphone e tablet, ma Firefox occupa ancora un posto speciale nel cuore di molti internauti, che in questi giorni festeggiano il decimo anniversario del software. Mozilla ha lanciato una nuova versione che aggiunge funzionalità legate alla privacy come il tasto “dimentica” per cancellare con un click gli ultimi dati di navigazione. Niente di nuovissimo, ma come dice Mozilla, portare una funzionalità come questa in una posizione immediatamente accessibile, significa aumentarne l’uso da parte degli utenti. Inoltre arriva il supporto per DuckDuck GO, il motore di ricerca che non traccia in alcun modo le ricerche effettuate dagli utenti. Così ha commentato il compleanno di Firefox Chris Beard, CEO di Mozilla: “Mozilla è differente. Noi non siamo una software company tradizionale. Siamo una community no profit a livello globale che si mobilita per la missione condivisa di promuovere aperture, innovazione e opportunità online”. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE GADGET In Italia per usare questo drone serve il permesso dell’Enac e anche il patentino DJI Inspire 1: riprese 4K per la Ferrari dei droni Meno di 3.000 euro per il miglior drone per foto e riprese aeree forse mai realizzato Riprende video a 4K e si alza fino a 4.500 metri. Unica pecca l’autonomia di soli 18 minuti di Roberto PEZZALI JI è una delle aziende più note nel mondo dei droni per la fotografia e le riprese aeree: i suoi modelli Phantom 2 e Phantom 2 Vision hanno raccolto svariati apprezzamenti per la facilità di gestione e la qualità delle foto scattate. DJI torna ora a stupire con Inspire 1, probabilmente il drone fotografico più avanzato disponibile sul mercato. Venduto a meno di 3000 euro, che non sono assolutamente tanti per un prodotto di questo tipo, Inspire 1 è in grado di riprendere video a 4K e 30 fps a 360 gradi, questo grazie al cambio di assetto variabile del drone che dopo il decollo sposta il blocco camera verso il basso proprio per avere visuale totalmente libera. Inspire 1 in realtà ha due fotocamere: quella principale scatta a 12 Megapixel e riprende a 4K, l’altra è puntata verso il basso e viene usata per gestire la stabilizzazione del volo e la localizza- D zione quando manca la copertura GPS. La batteria da 4500 mAh purtroppo non permette una autonomia eccezionale: calcolando la riserva di potenza che il drone trattiene per le emergenze Inspire 1 può volare per 18 minuti, raggiungendo gli 80 km/h di velocità e alzandosi fino a 4500 metri. L’atterraggio è automatico, o in una posizione scelta sulla mappa oppure nei pressi del pilota. Per guidarlo un telecomando con una portata di 2 km, ma è possibile GADGET Zap&Go, il battery pack superveloce Zap&Go è il primo battery pack che, grazie all’uso del grafene, è in grado di ricaricarsi in 5 minuti. Quanto ci metta a ricaricare il telefono non si sa (dipende dal telefono, dalla capienza della batteria originale, ecc.), ma quel che conta è che se si è fuori casa, si ha tutto (quasi) scarico e ci si ferma 5 minuti in un bar, si ha tempo a sufficienza per ricaricare completamente il battery pack. Il prodotto sarà venduto con un set di spine internazionali, ha una batteria da 1.500 mAh ma non è ancora disponibile, è un progetto in attesa di finanziamento su Indiegogo, dove ha già ottenuto molto più dei 30.000 dollari richiesti per dare il via alla produzione, per cui Zap&Go diventerà realtà a breve. torna al sommario anche svincolare dal telecomando il controllo della videocamera facendola gestire da un operatore. Il TV d’oro è di Samsung Il TV può far notizia anche da spento se costruito in oro. Si tratta di un TV Samsung che farà parte della famiglia Curve, con diagonale 78” e risoluzione 4K e con pannello posteriore in oro lavorato con tecnica ottchil, antica arte di lavorazione dei metalli del sudest asiatico e di cui Sung Yong Hong, il papà del progetto, sembra essere uno dei massimi esponenti. Gli intagli sul retro avranno un tema, Memory of TV, che raffigurerà personaggi e momenti chiave della storia televisiva. Inutile sottolineare come Christie’s abbia fiutato le potenzialità di questa gallina dalle uova d’oro. L’esposizione si terrà il 20 novembre all’Hong Kong Convention and Exhibition Center, ma ancora non si hanno informazioni sulle modalità di partecipazione all’asta di vendita. GADGET Il progetto su Kickstarter ha già raggiunto l’obiettivo di 55.000 dollari canadesi Impossible, la bici elettrica che entra nello zaino Impossible è una bici elettrica pieghevole e facilmente trasportabile, raggiunge i 20 km/h I di Lorenzo LAUDA mpossible Technology, team di ingegneri sito in Cina, ha presentato Impossible, una bici elettrica pieghevole che sembra uscita da un film. Il team ha impiegato tre anni per la realizzazione del progetto con lo scopo di ottenere una bici incredibilmente leggera e duratura. Esteticamente ha un aspetto futuristico: non ha il classico frame orizzontale ma un design circolare per garantire che il peso del ciclista sia equamente bilanciato sull’intera struttura. Realizzata completamente in fibra di carbonio, Impossible pesa meno di 5 kg ed è alta appena 43 cm, ma può trasportare fino a un peso di 85 kg. Il motore, realizzato appositamente dal team, è leggero ma potente: dotata di dieci batterie da 2900 mah 10A 3.6V, Impossible può muoversi a una velocità massima di 20 km/h per 45 minuti o alla velocità normale per 24 chilometri, le batterie sono ricaricabili attraverso una normale presa della corrente. Nel corso degli anni il settore delle bici da città ha subìto varie trasformazioni: le tecnologie disponibili sono migliorate rendendo le bici sempre più facili da trasportare. Per quanto riguarda il settore delle bici pieghevoli elettriche, però, non c’era una vera soluzione ottimale: grazie a Impossible Technology avremo a disposizione una bici elettrica facilmente trasportabile, capace di raggiungere i 20 km/h e dotata di un design non comune. Il progetto è finanziabile su Kickstarter, e per potersi aggiudicare una Impossibile Bike bisogna spendere circa 300 euro con le spedizioni previste per agosto 2015; il team ha fatto sapere che se riceverà un adeguato supporto attraverso la campagna di crowdfunding migliorerà il prodotto andando ad aggiungere Bluetooth, GPS e altri elementi personalizzabili. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE TEST Il nuovo Apple iMac con display retina è un all-in-one con uno schermo dall’incredibile risoluzione di ben 14,7 Megapixel iMac con Display Retina 5K: amore a prima vista È un sogno per chi lavora con foto e video, ma anche per tutti gli altri. Il prezzo è alto ma allineato a ciò che offre il prodotto di Paolo CENTOFANTI l display retina è infine arrivato anche sull’iMac. Apple ha utilizzato per la prima volta questa espressione nell’ormai “lontano” 2010 al lancio dell’iPhone 4, il primo smartphone dotato di uno schermo con una risoluzione di 326 ppi. Possiamo tranquillamente dire che prima di allora nessuno si era mai preso la briga di parlare in termini di pixel per pollici per descrivere la risoluzione di un display - se non in ambito grafico professionale - che è anche il motivo per cui il marketing di Apple coniò l’espressione “retina” per indicare uno schermo con una risoluzione sufficientemente alta da far sì che il nostro occhio non sia in grado di risolvere i singoli punti. Seguendo questa definizione, la risoluzione di un “retina display” dipende dalla distanza da cui lo guardiamo (oltre che dalle nostre diottrie a dire il vero) e quindi dall’utilizzo che ne facciamo: lo smartphone è quello che probabilmente guardiamo da più vicino, seguito dal tablet, quindi il notebook per finire con il computer desktop. Casualmente - o forse no - questa è anche la tabella di marcia con cui Apple ha introdotto il retina display sui suoi dispositivi: iPhone, iPad, MacBook Pro e ora iMac. Sul nuovo iMac da 27 pollici ciò vuol dire uno schermo con risoluzione di 5120 x 2880 pixel o 5K come viene descritto, per mantenere uniformità di linguaggio con il tanto di moda 4K. Solo una trovata commerciale? Tutt’altro. I Formula vincente non si cambia il nuovo iMac con display retina Non è in senso stretto una nuova generazione di all-in-one Apple, visto che il design e la costruzione rimangono inalterati rispetto al modello da 27 pollici precedente. Si tratta della stessa versione ultra slim, senza drive ottico quindi, e con tutte le connessioni poste sul retro. L’iMac rimane il desktop tutto in uno esteticamente più elegante e meglio costruito sul mercato, tutto in alluminio e a prima vista indistinguibile dal modello senza retina display. Anche la dotazione di base è la stessa, compresa la tastiera Bluetooth in alluminio, che sinceramente è davvero troppo piccola per un prodotto di questa classe, elegante quanto si vuole, ma a nostro avviso l’acquisto almeno della tastiera estesa con tastierino numerico è d’obbligo. Troviamo poi il magic mouse, mentre il magic trackpad (quasi indispensabile se si vogliono sfruttare le gesture di OS X come sui MacBook) è opzionale. Considerando il prezzo di listino, poteva essere incluso. Un design così pulito spesso significa anche che l’aggiornabilità del computer è molto limitata. L’unico componente ufficialmente aggiornabile dall’utente senza invalidare la garanzia è costituito dalla memoria RAM (8 i GB installati nell’opzione base), ma teoricamente con un po’ di perizia è possibile sostituire anche il processore e l’hard disk. La scheda grafica è invece saldata sulla scheda logica e non può essere sostituita. L’accesso ai quattro slot per la RAM è molto agevole, grazie all’apposito sportellino al centro sul retro dell’iMac. video lab Apple iMac 27” con display Retina 5K (2014) CON QUESTO SCHERMO È DIFFICILE DIRGLI DI NO 2.629,00 Apple ha preso quello che era già il migliore computer all-in-one e lo ha reso ancora più appetibile con uno schermo di cui ci si innamora immediatamente. Non è solo un fattore estetico, visto che chiunque ama la fotografia rimarrà incantato dal modo in cui propri scatti (persino quelli meno riusciti) prendono nuova vita su questo schermo. Per non parlare dell’editing video, design grafico, modellizzazione 3D e così via. Ma certo anche chi può permettersi il nuovo iMac e non ha particolari velleità creative si lascerà sedurre dalla resa dell’interfaccia grafica del sistema operativo, dei testi e delle pagine web. Come computer in sé, il nuovo iMac ha i limiti di sempre, ovvero quelli della scarsa aggiornabilità del sistema, seppure i computer Apple tendono ad avere una longevità superiore alla media, e non è la macchina ideale per i videogiochi. L’unico vero appunto che possiamo fare al display, specie dal punto di vista di chi guarda al nuovo iMac come uno strumento di lavoro, è uno spazio colore non da monitor professionale, che per qualcuno potrebbe costituire un limite insormontabile, anche se è possibile collegare fino a due monitor esterni 3860x2160 pixel. Per una volta il prezzo è del tutto allineato con quello che offre il prodotto. o 8.9 Qualità 9 Longevità 9 Design impeccabile COSA CI PIACE Display meraviglioso Hardware ben calibrato Design 10 Semplicità 9 D-Factor 9 Prezzo 8 Display accurato ma non a wide gamut COSA NON CI PIACE Aggiornabilità limitata alla sola RAM Con OS X 10.10.0 problemi di stabilità del WiFi Le connessioni sono complete e includono quattro porte USB 3.0, due porte Thunderbolt 2 (che permettono di collegare fino a due monitor esterni 4K), Gigabit Ethernet, lettore di carte di memoria SDXC, uscita per le cuffie. Quest’ultima funziona anche da uscita digitale ottica con apposito cavo adattatore e supporta cuffie con microfono (tutte quelle compatibili con iPhone). Naturalmente c’è poi la connettività wireless, Bluetooth 4.0 e WiFi 802.11ac. Nelle nostre condizioni di prova, la connettività 802.11ac è arrivata a toccare in media una velocità di trasferimento file di 20 MB/ s (protocollo AFP e scrittura su SSD). In questo caso Apple dichiara compatibilità con una velocità massima di 1,3 Gbit/s via WiFi, ma in realtà abbiamo riscontrato alcuni problemi di connettività, che sembrano essere segue a pagina 22 torna al sommario n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE TEST iMac con display Retina 5K segue Da pagina 21 legati all’attuale versione di OS X Yosemite: rallentamenti improvvisi che richiedono di disattivare e riattivare la connessione WiFi. In ogni caso non abbiamo mai agganciato una portante superiore ai 878 Mbit/s e abbiamo ottenuto in media una velocità massima di trasmissione di file sulla rete intorno ai 160 Mbit/s, comunque meglio di una connessione cablata a 100 Mbit/s. Va detto che l’ambiente dove abbiamo effettuato le nostre è piuttosto affollato di connessioni WiFi, probabilmente più che in un’abitazione tradizionale, per cui tenetene conto. Un display accuratamente calibrato La caratteristica che rende così interessante il nuovo iMac è il suo display IPS da 27 pollici 5K, anche perché nel momento in cui scriviamo è l’unico di questo tipo sul mercato. Del resto lo stesso standard di connessione DisplayPort, fino a quando non saranno disponibili i primi prodotti DisplayPort 1.3, non è in grado di gestire con un singolo cavo un segnale video a 5120 x 2880 pixel a 60 Hz (motivo per cui non è possibile utilizzare l’iMac solo come monitor). Durante la presentazione Apple ha sottolineato come ha dovuto sviluppare internamente un timing controller in grado di gestire la larghezza di banda necessaria per pilotare tutti questi pixel. Anche se piuttosto velocemente, Apple ha snocciolato durante la presentazione alcuni dettagli tecnici relativi al nuovo display che, da quanto è emerso dal teardown di iFixit, è realizzato da LG, parlando di tecniche come oxyde TFT, organic passivation derivata dal display retina dell’iPad e photo alignment. Le prime due indicano caratteristiche di progettazione della matrice TFT (thin film transistor) utilizzata nel pannello LCD, essenzialmente l’elettronica che a livello di pixel pilota i cristalli liquidi. Si tratta di due tecniche che migliorano le prestazioni dei microscopici transistor con questo livello di densità dei pixel, assicurando rispettivamente pulizia del segnale ed efficienza energetica. A questo proposito anche la retroilluminazione è stata migliorata con un’efficienza energetica del 30% superiore rispetto al modello non retina. Photo aligment è invece una tecnica di costruzione delle celle di cristalli liquidi, che consente un allineamento più preciso delle molecole dei cristalli, andando Nelle nostre condizioni di prova, la connettività 802.11ac è arrivata a toccare in media una velocità di trasferimento file di 20 MB/s (protocollo AFP e scrittura su SSD). a migliorare il rapporto di contrasto espresso dal pannello rispetto a una visione in asse, mentre un nuovo filtro di compensazione agisce sul rapporto di contrasto fuori asse. Apple non dichiara invece nel dettaglio le caratteristiche del display a livello di prestazioni, soprattutto per quanto riguarda la colorimetria. Abbiamo effettuato così diverse misurazioni per capire quanto il nuovo retina display dell’iMac possa essere un buon strumento per chi lavora con le immagini non solo per la sua risoluzione di oltre 14 Megapixel, ma anche per la sua resa cromatica. Il risultato che abbiamo ottenuto è che in generale il monitor del nuovo iMac è tra i più accuratamente calibrati out-of-the-box che abbiamo avuto modo di misurare. Con un errore deltaE medio di circa 2.8 su oltre 900 campioni di tonalità possiamo dire che il nuovo retina display è sicuramente ottimo. Ciò vale per la copertura dello spazio colore sRGB. Quello che potrebbe far storcere il naso ai professionisti è invece la copertura dello spazio colore Adobe RGB, che invece si ferma al 72% secondo le nostre rilevazioni (effettuate con sonda X-Rite i1 Display Pro e software dispcalGUI). Impostando la retroilluminazione in modo automatico (l’unica regolazione che abbiamo a disposizione!) e con una sala normalmente illuminata, l’iMac offre una luminosità del display intorno alle 250 cd/mq di default, con un rapporto di contrasto di ben 1200:1. Creando un profilo calibrato del monitor con il colorimetro e dispcalGUI è possibile migliorare ulteriormente il risultato portando il deltaE medio ad appena 0,47 con un valore massimo di 1,58. In questo caso la copertura dello spazio Adobe RGB sale leggermente fino al 75%, ma è chiaro che non si tratta di un pannello pensato per lavorare con wide gamut come questo o quello DCI per il cinema. Uno schermo di cui ci si innamora Questi sono i freddi numeri, che però non dicono quello che è il reale impatto durante l’uso di questo schermo, che è semplicemente meraviglioso per contrasto, brillantezza dei colori e naturalmente definizione. Le immagini sembrano stampate sullo schermo e anche avvicinandoci di molto non è possibile distinguere i singoli pixel. La nuova grafica di OS X Yosemite sembra essere stata disegnata fin dall’inizio per questo nuovo display e la resa a livello di eleganza è davvero notevole, dai dettagli delle icone, fino al rendering dei font di una pagina web. Ciò che però davvero impressiona è la visualizzazione di fotografie scattate con una fotocamera digitale. La sensazione è la stessa di guardare delle foto stampate su carta fotografica di alta qualità, con tutta la precisione di un display a matrice fissa. Avere un display da 14,7 Megapixel vuol dire poter visualizzare quasi in risoluzione nativa le foto scattate con un gran numero di fotocamere (16 Megapixel non sono poi così lontani), con tutti i vantaggi del caso. Le foto prendono davvero vita e rimettere mano alla propria libreria di scatti su questo schermo è un vero e proprio piacere che dà quasi assuefazione. Questo schermo è naturalmente l’ideale anche per il montaggio video, visto che è possibile riprodurre le clip full HD alla loro risoluzione nativa lasciando spazio per tutti gli strumenti, cosa che è possibile fare volendo persino con materiale nativo 4K: anche in questo caso avanza spazio per la timeline e per alcuni strumenti, anche se non con così tanto agio per un normale workflow. Tenete presente che con le impostazioni base, come per il MacBook Pro, essenzialmente tutti gli elementi grafici dell’interfaccia a schermo offrono la stessa dimensione a schermo che avrebbero su un monitor con risoluzione di 2560x1440 pixel, ma con quattro volte il numero di pixel che li compongono. Se certamente chi lavora con le immagini saprà trarre vantaggio da tutta questa risoluzione, non vuol dire che l’iMac con display retina sia dedicato o adatto solo a loro: basta poco per innamorarsi davvero di questo schermo e tornare indietro non è facile. Il rapporto di contrasto e la resa cromatica conquistano subito e nonostante il vetro frontale doni un aspetto lucido allo schermo, i riflessi sono davvero minimi anche in ambiente ben illuminato. L’hardware è all’altezza del compito Chiaramente la vera domanda è: ma l’hardware dell’iMac è sufficiente per muovere questa montagna di pixel? Pur offrendo anche nella configurazione minima un hardware decoroso, l’iMac Retina utilizza comunque segue a pagina 23 torna al sommario n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE PC Acer ha presentato Aspire Switch 12, convertibile dotato di Windows 8.1. Lo vedremo nel 2015 Acer Switch 12: il tablet 5 in 1 è servito Offre le quattro configurazioni tipiche di questi prodotti più la modalità desktop all-in-one A di Massimiliano ZOCCHI cer ha già sperimentato diverse soluzioni ibride tra PC e tablet, per accontentare più clienti in un colpo solo. Segue questa filosofia anche Aspire Switch 12 che, se per nome è il naturale successore di Switch 10 e 11, come possibilità offre qualcosa in più dei modelli precedenti. Infatti le tipiche modalità di questi convertibili possono essere riassunte in quattro posizioni: tablet, notebook, display e inclinato capovolto. Con la tastiera sganciabile, ma che rimane connessa al dispositivo, Aspire Switch 12 può anche essere utilizzato in un modo che ricorda molto da vicino alcuni desktop all-in-one, col PC stesso contenuto nel solo schermo, e con i dispositivi di input liberamente posizionabili sul piano di lavoro. Interessante la soluzione scelta per ottenere questo risultato: la tastiera si separa solo per la parte contenete i tasti, l’altra metà, quella con le cerniere di snodo, rimane attaccata al corpo principale, funzionando poi da base d’appoggio per le diverse posizioni. Questo fa sì che il nuovo nato di Acer possa offrire diverse soluzioni in mobilità, sia per chi ama l’immediatezza del tablet, sia per chi preferisce la produttività del notebook, ma all’occorrenza trasformarsi in una comoda postazione fissa. Dal punto di vista puramente tecnico siamo di fronte a caratteristiche di buon livello con un display da 12,5 pollici Full HD, processore Core M e possibilità di scegliere un disco allo stato solido da 60 o 120 GB. La RAM molto probabilmente sarà come al solito da 4 GB. Non mancano ovviamente porte HDMI e USB 3.0. Non ci sono dati precisi sulla batteria ma Acer dichiara fino a 8 ore di utilizzo. Si attende il lancio nel Nord America per l’inizio del 2015, il prezzo non è stato ancora comunicato. PC Tu parli Skype traduce Skype Translator è finalmente disponibile per una preview pubblica, a cui è possibile accedere previa registrazione nella pagina Microsoft e qualora si disponga di un PC o un tablet basato su Windows 8.1. Skype Translator offre la traduzione in tempo reale delle conversazioni, di modo tale che ognuno possa parlare nella propria lingua e l’interlocutore capire senza difficoltà. Microsoft non è la prima ad interessarsi della cosa ma potrebbe essere la prima a diffonderla a livello planetario e gratuito. Nota positiva, tra le lingue supportate dalla preview c’è anche l’italiano; in questo modo potremo allenarci e parlare con qualche amico straniero nella speranza che le traduzioni siano corrette. Qui un video che illustra la traduzione dall’inglese al tedesco e viceversa. Che si tratti di una preview è abbastanza chiaro, ma le premesse per un buon prodotto ci sono tutte. Release probabile: inizio 2015. TEST iMac con display Retina 5K segue Da pagina 22 una scheda video con GPU per laptop e qualcuno potrebbe storcere il naso. Per la nostra prova abbiamo scelto il modello base, con 8 GB di RAM e 1 TB di fusion drive (disco ibrido hard disk e SSD). I benchmark sintetici di Geebench 3 mettono l’iMac Retina base un gradino sotto il Mac Pro entry level in modalità multi core, ma in single core le prestazioni sono addirittura superiori. Apple ha optato come GPU per la AMD Radeon R9 M290X con 2 GB di RAM GDDR5 che per quanto abbiamo avuto modo di vedere durante le nostre prove, se la cava più che egregiamente nel mantenere l’interfaccia di Yosemite sempre fluida in quasi tutte le situazioni. Lo stesso vale per il processore, che è un Intel Core i5-4690 quad core da 3,5 GHz con Turbo Boot a 3,9 GHz, che ha dimostrato di reggere bene anche con editing video in 4K (non abbiamo testato però filmati realizzati con apparecchiature professionali). In questo caso comunque è sicuramente preferibile optare per il modello con Core i7 e R9 M295X. Durante la nostra prova abbiamo utilizzato software come la Creative Cloud di Adobe, Aperture e Final Cut Pro X, ottenendo sempre buone prestazioni specie a livello di reattività della macchina, che non ha mai mostrato segni di tentennamenti o di “fatica” da troppo carico. Pur non trattandosi in questa configurazione di un’alternativa a 360 gradi per un computer come il Mac Pro, quello che possiamo dire è che la scheda grafi- torna al sommario I benchmark sintetici di Geebench 3 mettono l’iMac Retina base un gradino sotto il Mac Pro entry level in modalità multi core, ma in single core le prestazioni sono addirittura superiori. ca questa volta è all’altezza del suo compito e non si è ripetuto quanto successo ad esempio con il primo MacBook Pro retina da 13 pollici, dove l’hardware grafico non era abbastanza potente. Il benchmark sintetico sulla scheda video offre un valore piuttosto alto se lo confrontiamo con quello del Mac Pro: 91.54 fps contro in media circa 77 fps. Ma bisogna tenere conto che il Mac Pro è dotato di doppia scheda video che avvantaggia i software che fanno ampio uso di OpenCL. Va detto però che questo iMac non è invece l’ideale per il gaming. In primo luogo la maggior parte dei giochi per OS X comunque non supportano la risoluzione nativa del display, ma anche con quei titoli con cui è Il benchmark sintetico sulla scheda video offre un valore piuttosto alto se lo confrontiamo con quello del Mac Pro: 91.54 fps contro in media circa 77 fps. Ma bisogna tenere conto che il Mac Pro è dotato di doppia scheda video che avvantaggia i software che fanno ampio uso di OpenCL. possibile sfruttarla (abbiamo provato con Diablo III), l’hardware non è in grado di offrire prestazioni sufficienti a 5120x2880 pixel. Le cose migliorano naturalmente abbassando la risoluzione. Qui va detto che la resa non è paragonabile a quello che usualmente ci troviamo di fronte quando pilotiamo un monitor tradizionale non alla sua risoluzione nativa: se tipicamente l’immagine si fa impastata e poco piacevole, qui impostando ad esempio una risoluzione di 2560x1440 pixel, l’upscaling è comunque tollerabile e si può apprezzare un buon dettaglio senza un aliasing fastidioso. Con questa risoluzione il gioco viaggia anche con le impostazioni grafiche al massimo con un buon frame rate e senza tentennamenti, segno comunque delle buone prestazioni della scheda grafica AMD. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE TEST Spesso il tablet viene usato per prendere appunti, a mano ma anche con apposite penne capacitive create ad hoc Gli appunti sul tablet senza rimpiangere la carta Sembrerebbe scontato, ma in realtà il mondo della scrittura su tablet è contraddistinto da infinite variabili. Vediamole di Emanuele VILLA n giorno ci svegliamo con un proposito nobile: sostituire definitivamente carta e penna con un tablet e un pennino ad hoc. Ce la possiamo fare? Tutto farebbe pensare di sì: prendi il tuo iPad, compra una qualsiasi penna capacitiva e il gioco è fatto. In realtà il discorso è molto più complesso di così, e da ciò all’idea di scrivere una guida in merito il passo è stato breve: che tipi di penne esistono? Tutti i tablet sono compatibili? Tutte le penne sono uguali? Tutte le app ci permettono di scrivere in libertà? Il feel è davvero quello di “carta e penna” o viviamo rincorrendo il mondo analogico? U Per andare a botta sicura ci vuole un “digitalizzatore” Giusto a titolo d’esempio, consideriamo proprio Galaxy Note 4: il telefono ha un digitalizzatore Wacom integrato nel display capace di riconoscere la pressione su 2048 livelli, proponendo un tratto leggermente diverso in ognuna di essi. Dal canto suo, Samsung offre un pennino molto leggero, con punta elastica e un tasto per l’attivazione delle funzioni dedicate: queste si sommano a software ad hoc realizzato per prendere appunti, disegnare e molto altro. La risoluzione incredibile del pannello (Quad HD) è poi un ulteriore punto di forza: se è vero che l’occhio non riuscirà mai a vedere il singolo pixel su una risoluzione del genere, più pixel si hanno più la precisione aumenta e il tratto assomiglia a quello del mondo analogico, della penna o della matita. Con anche tutte le sue imperfezioni: disegnare con lo strumento Matita sul Note 4 mostra un tratto volutamente sporco e imperfetto, con microsbavature che sono precisamente quelle di una matita su un foglio di carta. Inoltre, e su questo punto torneremo in modo approfondito in seguito, i dispositivi con digitalizzatore attivo possono vantare un eccellente sistema di palm rejection, ovvero non tengono conto dei tocchi involontari del palmo della mano sul display. Lo schermo avverte l’arrivo del pennino da una certa distanza e disattiva ogni altra forma di comunicazione touch che non sia il pennino stesso. Questo l’abbiamo testato 100 volte: con un Note 4, le possibilità di “sporcare” il foglio con la mano sono pressochè nulle e lo stesso vale col Note 8 dello scorso anno; l’unico modo per scrivere senza pennino è quello di usare un dito, ma il palmo in sé non arreca alcun danno. La sensibilità alla pressione è del tutto indipendente dalla velocità del tratto e l’unico potenziale limite è la reattività del pannello (che poi dipende dal digitalizzatore e dal processore del sistema) di fronte a tratti molto veloci, oltre a possibili difetti del display stesso di fronte alla pressione, come rilevato in occasione della prova di Surface Pro 3 che lasciava alcune “macchie” abbastanza visibili sia pur temporanee. Essendo sensibile alla pressione, di solito per scrivere è necessario premere un po’ di più rispetto alla scrittura su dispositivi non ottimizzati, ma il risultato è senza dubbio analogo a quello della “cara e vecchia” penna, lag esclusa. Altro limite è il costo delle penne, ma di solito vengono fornite in dotazione con il dispositivo. Il 90% dei dispositivi non è pensato per la penna Tante persone ci hanno confessato di non voler comprare un tablet o smartphone col pennino perchè “al massimo lo aggiungo in un secondo momento”. Certo, aggiungere la funzionalità di scrittura via penna è sempre possibile con qualsiasi dispositivo dal display capacitivo, ma non si pensi di ottenere con una spesa minima i medesimi risultati di uno strumento ottimizzato all’origine: mentre qui si può contare su hardware ottimizzato per lo scopo, chi nasce per l’uso esclusivo con le dita (il 99% dei modelli) deve sopportare un certo grado di imprecisione. La caratteristica portante di questi dispositivi è di essere stata pensata per l’utilizzo con le dita, non con un pennino: per questo motivo non è possibile scrivere con una Bic su un iPhone e ci si deve affidare a penne o stilo ad hoc, note come “capacitive” poichè compatibili con display touch che fanno uso di questa tecnologia. Qui a lato, la Stilo Virtuoso di Kensington, tipico esempio di penna capacitiva con punta spessa. I loro vantaggi sono diversi: costano pochissimo (nell’ordine anche di una manciata di euro), sono molto leggere, non hanno bisogno di alcuna alimentazione e, replicando di fatto la posizione del dito sul display, sono compatibili con tutte le app. Sarebbe tutto troppo perfetto se non ci fossero anche i lati negativi, ovvero tra l’altro l’assenza di sensibilità alla pressione e di palm rejection. Possono sembrare piccole cose, ma in realtà sono determinanti nell’avvicinare la scrittura su tablet a quella su carta: il fatto di non poter appoggiare il palmo della mano è un limite non da poco, arginato da recenti funzionalità di alcune app (ed è sempre meglio disabilitare, come nel caso dell’iPad, la funzione di gesture multitouch), ma pur sempre presente. Spesso e volentieri ci si trova a sporcare il figlio digitale con tocchi involontari, cancellazioni non volute e via dicendo. Per quanto concerne il primo punto, invece, alcune app simulano l’effetto della pressione mediante la rapidità del tratto: se il movimento è veloce, il tratto è più fine, se si indugia, diventa più spesso. Una bella idea, non fosse che la precisione non è paragonabile a quella dei dispositivi con digitalizzatore e che l’assenza di pressione (o la pressione “simulata”) rendono meno naturale e apprezzabile l’esperienza di scrittura. Le penne capacitive, disponibili in svariati formati, dimensioni, spessore e peso, vanno quindi bene per quello che si definisce “uso generale”, per prendere qualche appunto o usare il tablet con la penna ma senza particolari pretese di precisione o artistiche. In pratica, se l’ipotesi è di scrivere a penna due volte a settimana può andar bene, se questa diventa uno strumento quotidiano di svago o lavoro, meglio affidarsi alla soluzione precedente o a quella Bluetooth di cui diciamo ora. Bluetooth come “meglio dei due mondi”? Visto che la maggior parte dei dispositivi non è dotato di pennino e di digitalizzatore, un po’ di tempo fa si è pensato di inventare un sistema che riuscisse a replicare i vantaggi della penna “attiva” su tutti i dispositivi. E sono nate le penne capacitive Bluetooth, che stanno conquistando una fetta sempre più grande di mercato a causa della loro versatilità e qualità di scrittura. Il principio di funzionamento è tanto semplice quanto ingegnoso: tutte le informazioni che il display non può avere poiché sprovvisto di sensori ad hoc, gliele fornisce la penna previo pairing Bluetooth con l’apparecchio stesso. Questo significa che la penna, solitamente capacitiva di suo, una volta effettuato il pairing con il tablet gli comunica in tempo reale i livelli di pressione, oltre a segue a pagina 25 torna al sommario n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE TEST Prendere appunti su un tablet senza rimpiangere la carta segue Da pagina 24 poter (di concerto col software) supportare pure tecnologie avanzate di palm rejection, esattamente come i modelli attivi. Qui i produttori si sono sbizzarriti: ci sono modelli con punta finissima pensati esclusivamente per prendere appunti, altri con punta intercambiabile che diventano pennelli o evidenziatori all’occorrenza, altri pensati per sostituire le matite e via dicendo. In più, le penne in questione possono supportare anche funzionalità ulteriori, proprio come quelle attive: la pressione di un pulsante le può trasformare da matita a gomma, cambiare lo spessore della punta, del tipo del pennello ecc. Sembrerebbe tutto eccezionale, ma come sempre ci sono anche delle controindicazioni. Il costo è il primo: difficile trovare una buona penna o stilo Bluetooth sotto i 50 euro, impossibile arrivare a una manciata di euro come i pennini capacitivi. Il fatto che venga usato il Bluetooth LE significa poi due cose: che il tablet deve essere compatibile e che la penna ha una batteria integrata. Il primo è un problema solo se si possiede un dispositivo di diverse generazioni fa (per esempio, la Bamboo Stylus Fineline è compatibile solo con iPad 3 e successivi), il secondo è un limite in ogni caso, visto che la penna va comunque ricaricata ciclicamemente, e questo nonostante l’autonomia sia cresciuta parecchio in tutti i modelli e ormai superi le 24 ore di utilizzo. In ogni caso, come vedremo nella prova del modello Wacom, la penna bluetooth è una buona via di mezzo tra i due estremi, capace di qualità di alto profilo e con un rapporto qualità/prezzo invitante. Esistono anche le Smart Pen Le penne digitali sono un altro capitolo, molto affascinante ma più di nicchia. Esse coniugano il piacere della scrittura tradizionale, su carta, con quello della digitalizzazione dei contenuti. Perchè diciamocelo, la tecnologia fa passi da gigante ma il piacere di scrivere su carta è ancora un’altra cosa. Un esempio di quanto stiamo dicendo è Livescribe SmartPen 3. In pratica si tratta di scrivere su quello che apparentemente è un normalissimo taccuino di carta ma che in realtà nasconde dei minuscoli puntini che rivelano al sensore presente nella penna la posizione precisa del tratto. Tutto ciò che viene scritto è in inviato (sempre via Bluetooth o cavo) al tablet, digitalizzandolo. Ed è anche possibile, premendo appositi segni presenti sul foglio, registrare appunti vocali che verranno associati al testo che si sta scrivendo. Una volta digitalizzato il tutto, si apre il mondo dell’interattività: un giorno e un’ora scritti a mano possono diventare immediatamente un appuntamento di calendario, un appunto vocale può corredare una note e via dicendo. Usiamo un po’ Wacom Bamboo Stylus Fineline Quanto sopra dà un’idea (pur sommaria) del mercato di penne e pennini per prendere appunti. Ora andiamo sul pratico per introdurre il secondo “blocco” di questo articolo, ovvero quello del software e delle app. Per fare ciò, abbiamo usato una stilo che, pur essendo molto versatile, è stata pensata appositamente per scrivere, prendere appunti e scarabocchiare, non tanto quindi per dare sfogo alle proprie inclinazioni artistiche (che saranno oggetto di un ulteriore articolo dedicato agli aspiranti pittori). Stiamo parlando di Wacom Bamboo Stylus Fineline, che al prezzo di listino di 59,90 euro offre una penna compatibile con dispositivi Apple iPad Mini (e successivi) e iPad 3 (e successivi), con punta sottile da 1,9 mm e peso complessivo di 23 grammi. Non è un peso piuma ma questo è tutt’altro che un difetto: una penna robusta semplifica la scrittura e rende più sicuro il tratto. Ha un pulsante centrale utile per il pairing con la sua app e per funzionalità extra, offre sensibilità alla pressione e supporta il palm rejection per rendere tutto più realistico possibile. La batteria non è removibile ma si carica tramite un classico micro USB per poi durare più di 24 ore di utilizzo. La penna è dedicata al solo mondo Apple: per la prova abbiamo usato un iPad Mini Retina, preventivamente dotato dell’app Bamboo Paper che è (ovviamente) ottimizzata per l’utilizzo con il dispositivo in prova. Come anticipato, l’ergonomia è ottima: la penna non è così piccola e leggera come, per esempio, le S Pen Samsung, ma offre una sensazione di robustezza notevole, che ci conseguenza rende sicuro e preciso il tratto. Una volta installata l’app, è necessario effettuare il pairing, per il quale esiste un’apposita procedura molto semplice già prevista all’interno dell’app: da notare che Bamboo Stylus FIneline si comporta a tutti gli effetti come una penna capacitiva e quindi funziona con tutte le app, ma se ci si trova in Bamboo Paper o in un’altra applicazione ottimizzata (ce ne sono 4 o 5, tutte segnalate nel sito Wacom), l’uso via Bluetooth è pressoché indispensabile. Cioè, si può scrivere anche senza, ma se anche la precisione del tratto resta discreta, non c’è palm rejection e, soprattutto, non c’è sensibilità alla pressione e il tratto è sempre uguale. Durante la routine di prova ci è capitato alcune volte di non connettere la penna per errore (d’altronde l’unico modo per scoprirlo è un simbolino acceso/spento nell’app), ma ce ne siamo accorti molto rapidamente. Non tanto per la pressione, ma perché il tratto compariva leggermente spostato rispetto alla punta della biro e l’assenza di palm rejection ci ha portato a “sporcare” più e più volte la pagina inavvertitamente e a dover intervenire con la gomma. L’uso col Bluetooth è decisamente più appagante e ci sentiamo di consigliarlo, pur richiedendo ancora qualche perfezionamento per raggiungere il “feel” della carta: la sensibilità alla pressione è notevole, forse un po’ meno marcata o reattiva rispetto a uno strumento dedicato ma pur sempre appagante. Inoltre, trattandosi di uno strumento bluetooth, non c’è bisogno di premere per scrivere: la penna scrive anche solo sfiorando lo schermo, senza necessità di imprimere forza. La precisione è buona, va ancora perfezionata la reattività, che lungi da causare un problema di fronte all’ “uso comune”, potrebbe creare qualche grattacapo a chi scrive molto rapidamente: non solo la scrittura su schermo compare con qualche millisecondo di ritardo (e questo è normale anche negli strumenti dedicati), ma se si scrive velocemente può capitare che qualche dettaglio del proprio tratto, dei segni e delle lettere non venga riportato su schermo. Parliamo di dettagli, ma se segue a pagina 26 torna al sommario n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 TEST Prendere appunti su un tablet senza rimpiangere la carta segue Da pagina 25 si usa alternativamente tablet e carta la differenza si nota. Discorso un po’ più complesso per quanto concerne il palm rejection, che come anticipato rappresenta un “must” per chi con il tablet vuole scrivere parecchio e non solo saltuariamente: a patto di disabilitare le gesture multitasking, funziona bene e non ci ha creato problemi di sorta, ma anche qui si ha l’impressione che qualche passo avanti sia ancora possibile. Passo avanti che ovviamente non ha nulla a che vedere con la penna ma riguarda il software: in linea di massima la mano può essere appoggiata prima di iniziare a scrivere senza causare danni, ma nel volume di utilizzo, è capitato più volte di ritrovare segnetti scritti col palmo in un secondo momento o qualche momento di indecisione del tratto. Tra l’altro sarebbe comodo un indicatore di carica della penna direttamente sulla stessa: in un’occasione il tratto è diventato instabile, discontinuo, stracolmo di errori, per poi accorgerci leggendo le indicazioni dell’app, che si trattava semplicemente di un problema di batteria. Morale: a nostro avviso Bamboo Stylus Fineline rappresenta un modo eccellente per entrare nel mondo della scrittura a mano (per il disegno ci sono strumenti dedicati, con la Intuous del medesimo produttore) avvalendosi di una tecnologia (bluetooth) che avvicina molto i tablet “normali” a quelli dedicati. È ergonomica, pesata, ci si abitua abbastanza in fretta e si ottiene soddisfazione, ma è anche giusto segnalare a chi proviene da decenni di scrittura su carta che - ancora - la sensazione non è la stessa. C’è una lag minima avvertibile rispetto alla carta, qualche tratto non viene riportato, la precisione è inferiore e il palm rejection, pur funzionante, a volte non impedisce di sporcare il foglio. Tutte considerazioni che non rivolgiamo a Bamboo Stylus Fineline ma alla scrittura via pennino bluetooth in generale: ancora qualche perfezionamento e butteremo via il taccuino di carta (comportamento “eco” apprezzabile di per sé), ma ad oggi questo ha ancora il suo bel motivo di essere. L’app Bamboo Paper in sè è ben realizzata, per quanto avremmo preferito poter godere di tutti i pacchetti MAGAZINE extra compresi nel prezzo, cosa che invece non c’è (acquistando però Intuous Creative Stylus ci sono pacchetti addizionali extra). Resta ovviamente un set di funzionalità di base che coprono tutte le esigenze primarie di chi vuole scrivere con il suo tablet: scrittura, personalizzazione dei quaderni e delle pagine, tre penne con altrettanti tipi di tratto, esportazione delle pagine, condivisione e inserimento di elementi grafici, nella fattispecie le foto. Le “top app”: i magnifici quattro App per prendere appunti ce ne sono infinite (basti pensare al notissimo Evernote o Microsoft OneNote), anche se occupandoci solo di quelle abilitate alla scrittura con pennino si restringe un po’ il campo. Ricordiamo inoltre che il tema di questo articolo è prendere appunti col tablet, non trasformarlo in uno strumento di pittura; questo lo faremo in un secondo momento, parlando di strumenti dedicati e app ad hoc. Anche qui, il discorso da fare prima di selezionarne una è semplice: i pennini capacitivi funzionano con tutte le app ma hanno diversi limiti (dalla precisione del tratto all’assenza di sensibilità alla pressione) solo parzialmente compensati dalle funzionalità del software, quelli bluetooth invece devono essere espressamente supportati dall’app altrimenti funzionano come normalissimi pennini da pochi euro. Ciò premesso, ecco alcuni nomi da considerare accuratamente: Good Notes Disponibile per: iOS Prezzo: 5,99 euro È uno dei nomi più apprezzati nell’ambito della scrittura a mano libera, sia per quella in senso stretto, sia per disegnare e dare sfogo alla propria vena artistica. Un’app sicuramente curata e completa, con l’unico limite (non da poco) di essere disponibile solo per iOS, quindi tipicamente per iPad. Il software supporta la scrittura a mano via penne capacitive e anche di alcuni dispositivi smart, nella fattispecie Jot Script/Touch e Pogo Connect. Niente Bamboo per il momento, con tutte le limitazioni del caso. Il software offre inoltre un sistema di palm rejection, permette di impostare in modo semplice la posizione di scrittura e ha tutta una serie di opzioni di stampa, esportazione, scrittura su PDF e molto altro. I pennelli offerti sono la penna stilografica e quella a sfera, molto naturali come tratto e fortemente personalizzabili in termini di spessore di punta e colore, anche se il riconoscimento della pressione necessita (ovviamente) di un pennino di quelli supportati. Le opzioni, come anticipato, sono moltissime: si va da quelle più tipicamente tipgrafiche all’inserimento di elementi multimediali nelle pagine del taccuino, come immagini, foto e PDF, i tipi di carta sono diversi ed è anche presente una funzione di riconoscimento delle forme e del testo scritto; quest’ultima, in particolare, funziona abbastanza bene a livello di riconoscimento, a patto che si cerchi di scrivere nel modo migliore e in stampatello. I lavori possono essere sincronizzati automaticamente su cloud ed è disponibi- le anche una funzione di scrittura a mano libera su PDF per annotazioni personalizzate. Penultimate Disponibile per: iOS Prezzo: free Il successo planetario di Evernote, l’app che gestisce in un unico luogo (e in modo smart) appunti, documenti, ritagli, note, ritagli e molto altro, ha portato la medesima azienda a realizzare Penultimate, app disponibile solo per iOS e pensata specificamente per chi usa un pennino per le proprie annotazioni. Non è pensata per disegnare, visto che gli strumenti creativi non hanno la medesima profondità e versatilità di quelli delle app ad hoc. La sincronizzazione automatica con i proprio account Evernote è in assoluto il punto di forza del prodotto, i cui fogli scritti a mano e completati con elementi multimediali entrano così a far parte del diario di Evernote. Il meccanismo di funzionamento è analogo a quello delle app di scrittura manuale: si crea un taccuino, si inseriscono le pagine, eventualmente integrandole con elementi multimediali e si scrive sulla pagina come fosse carta. Come anticipato, non è uno strumento pensato per disegnare: la penna è una sola e con 3 punte di spessore diverso, i tipi di foglio sono giusto 3 (semplice, a righe e a quadretti, ma con l’opzione di acquistarne infiniti altri nel market) e i colori sono gli standard, opzioni di base ma più che sufficienti per lo scopo prefisso. L’app incorpora la “protezione da polso” (palm rejection) ed è utilizzabile non solo con i pennini capacitivi, ma anche con la stilo bluetooth Jot Script Evernote, per la quale c’è un’apposita procedura di configurazione. sando l’app per prendere appunti, se ne apprezza soprattutto la semplicità d’uso unita alla leggibilità del tratto, oltre alla citata sincronizzazione automatica con Evernote e alla funzionalità di riconoscimento e ricerca del testo anche nelle pagine scritte a mano. Come anticipato, le opzioni tipografiche sono quelle di base e la “protezione da polso” è senza dubbio migliorabile su pennini capacitivi standard; per evitare tratti involontari bisogna prima iniziare a scrivere, poi appoggiare il palmo, e questo non è del tutto naturale. Per essere un’app gratuita, la dotazione è comunque molto valida e se ne consiglia l’installazione. Notability Disponibile per: iOS Prezzo: 2,69 euro Notability è uno degli strumenti più apprezzati dagli utenti iOS per prendere appunti e raccoglierli in un unico ambiente versatile, che tra l’altro fa perno sul cloud per la sincro- segue a pagina 27 torna al sommario n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MOBILE IK Multimedia annuncia iRig HD-A, versione per Android dell’interfaccia per collegare strumenti a smartphone e tablet iRig HD e AmpliTube su Android, ma solo per Samsung Il supporto è al momento limitato solo ad alcuni smartphone Samsung, ma almeno qualcosa si muove sul fronte Android di Paolo CENTOFANTI L a vita del musicista che vuole usare smartphone o tablet Android non è proprio facile, vista la mancanza di un framework audio a bassa latenza nel sistema operativo. Le cose dovrebbero finalmente cambiare con l’arrivo di Android 5.0, ma nel frattempo Samsung ha da un paio d’anni cercato di sopperire a questa mancanza per i fatti propri, con delle sue librerie dedicate denominate Samsung Professional Audio. In concomitanza con l’arrivo della versione 2.0 di queste librerie, IK Multimedia ha annunciato una nuova versione di iRig HD realizzata appositamente per il mondo Android e denominata iRig HD-A. Si tratta di un ac- cessorio che si collega allo smartphone o tablet tramite adattatore USB (incluso nella confezione) e che permette di collegare chitarre elettriche per utilizzare effetti software e registratori multi-traccia. L’interfaccia integra un convertitore A/D a 24 bit e supporta frequenze di campionamento di 44.1 e 48 KHz. Visto che anche a livello software l’offerta è ancora limitata su Android, IK lancia anche Amplitube per Android, suite che trasforma il tablet o lo smartphone in un vero e proprio multi-effetto per chitarra. Software e interfaccia sfruttano però appunto le librerie proprietarie di Samsung, il che significa che i nuovi prodotti, al momento, possono essere unicamente utilizzati su Galaxy TEST Prendere appunti su un tablet senza rimpiangere la carta segue Da pagina 26 nizzazione automatica. Notability è molto interessante per intraprendere e portare avanti progetti condivisi poichè non si limita a permettere la scrittura su tablet, tra l’altro con una buona dotazione di strumenti creativi, ma anche di usare svariati elementi multimediali (foto, disegni, anche note audio) per corredare il propri progetti. In questo modo è possibile fare un disegno e sottoporlo ai propri colleghi di team, ricevendo in risposta non solo ulteriori commenti testuali (via tastiera o scrittura manuale), ma anche vocali, altre immagini, foto, documenti e via dicendo. Trattandosi di un prodotto dedicato al mondo Apple, la sincronizzazione automatica via iCloud fa sì che il proprio progetto sia sempre aggiornato a prescindere dal dispositivo.Per quanto concerne, infine, la condivisione dei progetti, Notability utilizza non solo iCloud ma anche tutti i principali strumenti di cloud storage, tra cui Google Drive e Dropbox. Papyrus Disponibile per: Android, Kindle, Windows Phone Prezzo: gratis (con acquisti in app) Nonostante la presenza massiccia di app per prendere appunti a mano nello store Apple, spostiamoci un po’ di casa e vediamo qualche proposta degli store concorrenti. Basta una ricerca sommaria su Google per far saltar fuori questo Papyrus in cima alla lista. Sarà perchè è torna al sommario Note 4 e Galaxy Note Edge, con il supporto per Galaxy S5 e Galaxy Note 3 che verrà aggiunto in un secondo tempo. In gratuito (col solito meccanismo degli acquisti in app per ulteriori opzioni, pennelli, tipi di carta, possibilità di esportazione pdf ecc), sarà che è molto semplice da usare e compatibile Android, Kindle Fire e Windows Phone, ma effettivamente si tratta di un’opzione da non scartare. Le opzioni sono le solite, da quelle tipicamente tipografiche ai tipi di carta alla possibilità di importare elementi multimediali per scriverci sopra a quelle di condivisione cloud su Dropbox o Box, per i quali è necessario un abbonamento premium. Il meccanismo di funzionamento lo stesso delle soluzioni concorrenti: si crea un notebook, si scrive, si importano eventuali elementi multimediali da condividere, si esporta il tutto. Nel nostro caso, usando la Bamboo Stylus Fineline che non è pensata per dispositivi Android, abbiamo subito tutti i limiti di una penna capacitiva normale, anche se con un LG G3 la reattività del tratto e la precisione sono risultati notevoli. Curiosamente, inoltre, Papyrus offre supporto non tanto alle penne Bluetooth, ma ai dispositivi Android dotati di penne attive, fornendo così un’opzione in più rispetto a quelle (software) fornite dal produttore del tablet. In pratica, se avete un Galaxy Note 4 o Note 10 affini, potete usare Papyrus come alternativa al software Samsung mantenendone le funzionalità esclusive. E questo è molto interessante. Tutte le opzioni premium, inoltre, hanno prevista l’opzione di prova, per valutare la qualità del software prima dell’acquisto: in particolare, stiamo parlando dell’importazione PDF, di tool avanzati e dei servizi cloud. L’attacco alla carta è iniziato L’obiettivo di questo articolo non è fornire un quadro esaustivo di soluzioni hardware e software dedicate alla scrittura a mano libera (ci vorrebbe un’enciclopedia), ma di fare il punto su una tematica a nostro avviso interessante. Inizialmente avremmo voluto occuparci anche di considerazioni di natura artistica, ma dovendo estendere il discorso a strumenti dedicati, penne ad hoc, e ogni caso, qualcosa finalmente comincia a muoversi anche sul versante Android, ed è già un risultato. infinite app creative, abbiamo pensato di dedicare agli artisti un articolo a parte, magari coinvolgendone qualcuno per avere giudizi e impressioni. Il concetto che vogliamo suggerire come conclusione è che, nel settore delle “handwritten notes”, il processo di avvicinamento alla bellezza del metodo tradizionale è a buon punto. Ma non è ancora arrivato a destinazione. Si parte da una penna capacitiva da pochi euro e un’app gratuita, accoppiata che va benissimo per prendere 2 appunti alla settimana, fino a soluzioni con digitalizzatore dedicato che rappresentano - ad oggi - in assoluto la scelta migliore in termini di fedeltà di scrittura, palm rejection, sensibilità alla pressione e opzioni creative, con una distanza rispetto all’esperienza su carta davvero millimetrica. I due limiti invalicabili, ovvero la leggera latenza e la precisione del tratto, magari non arriveranno mai a eguagliare al 100% la scrittura su carta, ma con un minimo di pratica ci si va vicino. Le soluzioni Bluetooth, delle quali abbiamo provato Bamboo Fineline, ma ce ne sono molte altre, tra cui l’Adonis Jot che sta riscuotendo successo, sono una buona via di mezzo tra le due e permettono di dare funzionalità extra a tablet non ottimizzati, raggiungendo un risultato simile (ma di sicuro non identico) alle soluzioni con digitalizzatore. L’esperienza su carta resta al momento imbattuta: le persone che scrivono molto durante il giorno e a cui abbiamo fatto provare la scrittura su iPad hanno sempre confermato che “non è la stesa cosa”, e questo un po’ per abitudine, un po’ perchè la precisione non è (e non può essere) la stessa. Tutti riconoscono perfettamente la propria calligrafia, ma i più precisi ci dicono che qualche dettaglio va perso nella scrittura su tablet, che tende a compensare qualche rapido cambio di direzione del tratto rendendo il risultato più “morbido” che nel reale. Siamo vicini ma possiamo ancora migliorare: nel frattempo, le soluzioni disponibili rappresentano un’alternativa più che valida, “eco” ed economica alla tradizionale accoppiata di carta e penna. Provare per credere. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE TEST iPad giunge alla sesta versione con l’iPad Air 2, un prodotto che ormai ha raggiunto la maturità. Lo abbiamo provato Più leggero e più potente: in prova iPad Air 2 iPad Air 2 ha la potenza di un PC racchiusa in un dispositivo semplice per chiunque e nel formato di un piccolo quaderno di Paolo CENTOFANTI uando Steve Jobs presentò l’iPad, non fu subito capito appieno. Tutti sapevano che Apple stava lavorando su un tablet basato su iOS e le aspettative, come spesso capita al lancio di un nuovo prodotto Apple, erano altissime, ma quando finalmente l’iPad fu svelato in molti si limitarono a fare spallucce con un “è solo un iPod Touch gigante” o “a cosa mai servirà”. Meno di cinque anni dopo, il mercato è invaso da tablet di ogni ordine e grado, tutti ispirati a quel primo “grosso” iPod, e il mercato dei PC tradizionali è in caduta libera. Per certi versi le reazioni dopo la presentazione dell’iPad Air 2 sono state simili: è “solo” un nuovo iPad più sottile. Nelle varie iterazioni che si sono susseguite, Apple ha lavorato migliorando diversi aspetti del suo tablet: il display, le fotocamere, il processore e, solo a partire dallo scorso anno, il design, con l’introduzione dell’iPad Air. Ma ora, con l’iPad Air 2, tutti questi miglioramenti - insieme a un’ulteriore limatura di qualche spigolo -, confluiscono in un prodotto che è finalmente quello che l’iPad aspirava ad essere fin dall’inizio: la potenza di un PC racchiusa in un dispositivo adatto a chiunque per semplicità di utilizzo e nel formato di un piccolo quaderno. Per chi segue la tecnologia giorno per giorno l’evoluzione è stata quasi impercettibile, ma dal primo iPad all’iPad Air 2 il salto è enorme e l’ultimo tablet di Apple è un importante punto di arrivo. Scopriamolo Q Sempre più sottile e leggero, senza una minima rinuncia sul fronte della qualità Con l’iPad Air, lo scorso anno Apple ha rivisto in senso forte il design dell’iPad originale tagliando in modo significativo la dimensione della cornice, riducendo lo spessore ad appena 7,5 mm e il peso a 478 grammi. Quest’anno Apple è riuscita a ridurre lo spessore ulteriormente, portando l’iPad ad appena 6,1 mm, più sottile persino dell’iPhone 6. La differenza di spessore, cornice dello schermo e peso tra l’iPad Air 2 e l’iPad 4 è davvero significativa, ma anche la differenza rispetto all’iPad Air alla fine si sente. torna al sommario video lab 499,00 € Apple iPad Air 2 HARDWARE ECCELLENTE, IN ATTESA DI UN’EVOLUZIONE DI IOS PER IPAD Ce ne avessero fatto vedere uno uguale 5 anni fa, avremmo gridato al miracolo e questo nuovo modello di iPad è sicuramente un punto di arrivo per la categoria: bisogna toccarlo con mano per rendersi conto di quanta potenza abbiamo a disposizione in un dispositivo così sottile, leggero, ben costruito e con display da quasi 10 poillici. Il salto di prestazioni è ben percepibile anche rispetto al modello dello scorso anno e il display è stato ulteriormente migliorato. L’unico appunto che possiamo muovere non è tanto all’hardware che, fotocamera a parte, è davvero impressionante, ma al software: iOS come piattaforma ha subito una grossa evoluzione sull’iPhone, ma lo stesso non si può dire sul versante iPad, dove l’esperienza di utilizzo è rimasta grosso modo identica a quella del primo modello presentato da Steve Jobs a inizio 2010, e non ci sono molte novità indirizzate specificatamente al formato tablet. Certo l’iPad può contare ancora su un’ecosistema di applicazioni di gran lunga superiore a quello di Android, soprattutto per quanto riguarda la produttività e i software creativi (ricordiamo che chi acquista un iPad trova incluso nel prezzo Pages, Numbers, Keynote, iMovie e GarageBand), ma abbiamo l’impressione che Apple, per quanto riguarda iOS per iPad, si sia un po’ seduta sugli allori. Detto questo, è davvero il miglior iPad di sempre. 8.8 Qualità 9 Longevità 9 Sottile, leggero e con materiali di qualità COSA CI PIACE L’A8X mette tanta potenza a disposizione Display migliorato sotto tanti aspetti Design 10 Semplicità 8 D-Factor 9 Prezzo 8 Fotocamera con ampi margini di miglioramento COSA NON CI PIACE Alcune funzioni di iOS 8 (“Salute” ad esempio) sono rimaste solo su iPhone Il record o meno di spessore è comunque meno importante di quella che è l’effettiva sensazione di leggerezza del nuovo iPad che, va bene, sarà anche più pesante di un normale quaderno, ma non più di alcune riviste: 437 grammi per la versione WiFi e 444 grammi per quella LTE. Ma i numeri, fidatevi, non dicono fino in fondo quanto sembra leggero ora l’iPad quando lo si prende in mano. Anche perché Apple non ha arretrato di un millimetro - perdonateci il gioco di parole - per quanto riguarda la costruzione, che rimane di altissimo livello per qualità della lavorazione e scelta dei materiali. Esteticamente, a parte la riduzione di spessore, non ci sono stati grossi stravolgimenti. Sono stati leggermente rivisti i tasti del volume, simili a quelli dell’iPhone 6, mentre il selettore di blocco rotazione schermo, secondo la filosofia di Johnny Ive per cui meno c’è meglio è, è andato definitivamente in pensione. Naturalmente c’è poi la novità del TouchID che a partire da questo modello fa il suo arrivo anche su iPad. video lab iPad Air 2 In prova il nuovo iPad Air 2 di Apple Il funzionamento è analogo a quello dell’iPhone 5S e iPhone 6, con la differenza che su iPad Air 2 pur essendoci in realtà anche un chip NFC all’interno, al momento Apple ha deciso di non abilitarlo per la funzione Apple Pay nei negozi fisici. Negli Stati Uniti, unico Paese dove segue a pagina 30 n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 TEST Apple iPad Air 2 segue Da pagina 29 al momento Apple Pay è attivo, è comunque possibile utilizzare Touch ID per i pagamenti online. Non cambia il formato ma il display è sempre più bello Considerando che la qualità della costruzione è rimasta intatta e che all’interno troviamo un processore ancora più potente, dove è andata a tagliare Apple quel millimetro e mezzo di spessore? La risposta è nel nuovo retina display dell’iPad Air 2. Anche se formato di schermo e risoluzione rimangono infatti invariati, rispettivamente 9,7 pollici di diagonale e 2048x1536 pixel, il display è tutto nuovo ed è stato realizzato con un processo che fonde vetro frontale, sensore multi-touch e pannello LCD in un unico sottile componente. Questa soluzione elimina gli strati intermedi tra i vari elementi, riducendo riflessioni interne a beneficio di resa cromatica e contrasto percepiti. Apple ha anche realizzato un nuovo strato anti riflesso che, così dice, dovrebbe garantire una riduzione del 56% dei riflessi rispetto all’iPad dello scorso anno. I display degli ultimi tablet top di gamma sono tutti eccellenti e a ogni nuova iterazione ci chiede se sia possibile fare di meglio. Di certo non possiamo parlare per l’iPad Air 2 di un salto epocale rispetto al modello dello scorso anno, ma sicuramente il display è effettivamente migliore sotto alcuni punti di vista. L’eliminazione della stratificazione del display rende le immagini ancora più “a pelo di schermo”, una caratteristica che dà sempre MAGAZINE più la sensazione di toccare direttamente i contenuti visualizzati. Le icone di iOS 8, complice l’effetto parallasse dello sfondo, sembrano quasi davvero galleggiare sullo schermo e le pagine web del browser o le fotografie sembrano venire sfiorate dai nostri polpastrelli. Il rapporto di contrasto appare migliorato e il nuovo rivestimento antiriflesso riesce effettivamente a ridurre in qualche modo l’effetto specchio anche se siamo ancora lontani dall’ottimale, specie per quanto riguarda l’utilizzo all’aria aperta: lo schermo è sicuramente più intellegibile, anche con luci dirette, ma i riflessi continuano ad esserci. Specie in interni con le luci dirette delle lampade, a seconda dell’angolo di incidenza, si nota la differenza dello schermo rispetto ai modelli precedenti, con una sorta di “effetto polarizzato” ad alti angoli di visione: confrontando lo schermo con un iPad di generazione precedente, è evidente come quello dell’iPad Air 2 appaia più scuro a display spento o visualizzando una schermata nera. C’è poco da aggiungere d’altro sullo schermo. Era ottimo quello dell’iPad Air e questo è stato ulteriormente migliorato. Con processore a 3 core e 2 GB di RAM le prestazioni fanno un balzo in avanti Il processore, come ormai da tradizione, è una versione potenziata dell’ultimo SoC per iPhone, in questo caso dell’A8 dell’iPhone 6, l’A8X. Questa volta però i cambiamenti non riguardano come in passato solo la GPU. La novità più importante è che il nuovo SoC Apple, per la prima volta, integra infatti una CPU a tre core e ciascuno di questi ha un clock leggermente superiore a quello dell’A8 standard, 1,51 GHz contro gli 1,39 GHz visti sull’iPhone 6. Ciò porta a un incremento nella potenza di calcolo di non poco conto, circa il 40% in più rispetto all’iPad Air dello scorso anno, non solo secondo quanto dice Apple, ma anche stando i benchmark da noi effettuati. L’A8X, come l’A8, è realizzato con processo a 20 nm (in sostanza più piccolo rispetto alla generazione precedente, ma anche più denso di componenti, 3 miliardi di transistor), ed è basato naturalmente su architettura a 64 bit. A concorrere all’aumento di prestazioni c’è anche il La scheda logica dell’iPad Air 2 fotografata da iFixit nel loro usuale smontaggio passaggio da 1 a 2 GB di dettagliato. È il primo processore a tre core di Apple e integra 2 GB di RAM. RAM, che dovrebbe dare molto più agio all’esecuzione di app in background, migliorare la velocità di caricamento e naturalmente permettere agli sviluppatori di realizzare software per tablet sempre più complessi. I risultati di GeekBench 3 parlano da soli: l’iPad Air 2 è di gran lunga il dispositivo iOS più potente di sempre, con un sensibile miglioramento anche rispetto agli ultimi iPhone con processore torna al sommario Il display offre una buona copertura dello spazio sRGB ma con la tendenza a sovrasaturare i primari del rosso e del blu con un deltaE prossimo a 5. Il bilanciamento del bianco tarato sui 7300°K è molto preciso. Elevata la luminosità, 420 cd/mq. A8 appena presentati. Lo score sul test multi-core è superiore di quasi il 29% a quello del più potente tablet Android al momento sul mercato, l’NVIDIA Shield con SoC Tegra K1. Al di là dei test sintetici, il miglior banco di prova dell’iPad è naturalmente nell’utilizzo di app, il più intensive possibili. Un test significativo è quello del browser Safari. Su iPad Air 2 possiamo aprire contemporaneamente un gran numero di tab senza incorrere in alcun tipo di rallentamento. Fino a 8 o 9 tab (a seconda delle pagine aperte), le pagine non vengono nemmeno ricaricate passando da una all’altra, segno che il GB in più di memoria la differenza la fa in questo caso. Come raffronto basti sapere che con l’iPhone 6 Plus il numero di schede che non necessitano di essere ricaricate scende a 2 o 3 a seconda della pesantezza dei siti aperti. Con più di 12 tab aperte le pagine vengono ricaricate più spesso passando da una all’altra, ma Safari non sembra dare segni di cedimento e rimane stabile e scattante. Esattamente come durante la presentazione abbiamo poi messo alla prova il nuovo iPad con l’app Pixelmator, software di ritocco grafico tra l’altro molto più simile alla versione desktop di quanto ci aspettassimo. Abbiamo provato a manipolare fotografie scattate con una mir- Le icone sul nuovo retina display sembrano quasi galleggiare sullo schermo. segue a pagina 31 n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MOBILE SanDisk lancia iXpand Flash Drive, una chiavetta USB con conconnettore Lightning Più memoria su iPhone e iPad con iXpand Si collega ad un pc per caricare file, ma ha anche una porta Lightning per trasferirli su iDevice S di Roberto PEZZALI anDisk lancia la chiavetta USB per iPhone e iPad: sulla scia delle varie chiavette compatibili con Android (basate su USB On The Go) arriva ora iXpand Flash Drive, una chiavetta disponibile in tre tagli con connettore Lightning integrato. Dopo aver copiato i contenuti sulla chiavetta, usando un normale PC o Mac, si può collegare il connettore Lightning all’iDevice per scaricare sull’iPhone o sull’iPad i contenuti presenti. Per farlo SanDisk ha creato una companion app, che gestisce sia la codifica / decodifica dei files sia la copia dola come un hard disk esterno. I prezzi vanno dai 59$ della versione da 16 GB ai 119$ della versione con 64 GB di memoria. dei files dalla chiavetta al dispositivo stesso. Non è necessario comunque copiare i file: possono essere riprodotti direttamente dalla chiavetta utilizzan- TEST Apple iPad Air 2 segue Da pagina 30 rorless da 16 Megapixel (passate all’iPad tramite handoff da un Mac) con grande agio, applicando regolazioni ed effetti senza neanche un tentennamento. Solo le selezioni tramite bacchetta magica - e con file così grandi - mettono in crisi l’app, che impiega diversi secondi ad applicare modifiche ad aree delle immagini così realizzate. Ma considerando che stiamo utilizzando un dispositivo così piccolo, mica male davvero. Giochi che fanno uso delle nuove librerie grafiche Metal, come Asphalt 8, non deludono per impatto grafico e velocità di caricamento. Il passaggio anche tra applicazioni pesanti (ad esempio Safari con una quindicina di tab aperte, Pixelmator con editing a 16 Megapixel, Garageband e Asphalt) è sempre rapido e con una “ri- presa” rapida delle app in background. In questo caso abbiamo assistito a un leggero drop iniziale nel frame rate di Asphalt, ma nulla di preoccupante. Viceversa passando in multitasking da una partita di Asphalt in corso alla navigazione via Safari, la risposta del browser è istantanea e non appena viene aperta l’app possiamo già scorrere la pagina. In definitiva il nuovo iPad ci è parso davvero prestante a livello hardware. Forse da Asphalt ci aspettavamo qualcosa di più a livello di frame rate, ma gli sviluppatori apparentemente hanno preferito spingere l’acceleratore sugli effetti grafici piuttosto che sulla fluidità, ma stiamo comunque parlando di una resa impensabile solo un paio di anni fa su un dispositivo mobile con questa risoluzione di schermo. Infine, tramite il lettore multimediale Infuse 3, abbiamo provato a riprodurre oltre a filmati in alta definizione anche in 4K, scoprendo con sorpresa che l’iPad è in grado di riprodurli. Per lo più la riproduzione è fluida e solo con file con estensione MOV abbiamo notato qualche salto di frame qua e là. La maggiore potenza del processore non sembra aver avuto un grosso impatto sull’autonomia, che essenzialmente rimane invariata rispetto all’iPad Air: d’altra parte il nuovo tablet è più sottile e non c’è stato spazio per una batteria più capiente. La fotocamera non è ancora paragonabile a quella dell’iPhone Aprire tante tab di Safari contemporaneamente con 2 GB di RAM è tutta un’altra esperienza. torna al sommario Apple ha migliorato anche la fotocamera dell’iPad con la nuova iSight camera con sensore da 8 megapixel capace di riprendere video 1080p e scattare a raffica fino a 10 scatti al secondo. A livello di funzionalità la fotocamera eredita molte funzionalità di quella per iPhone, come il riconoscimento dei volti, la modalità panorama, la ripresa video al rallentatore a 120 fps (ma con risoluzione ridotta a 720p) e la funzione time lapse. Ma nonostante il nuovo sensore, stiamo comunque parlando di una fotocamera molto meno sofisticata di quella degli iPhone e la maggiore risoluzione rispetto al Galaxy Note Edge arriva anche in Italia Il Galaxy Note Edge di Samsung alla fine verrà distribuito anche fuori dalla Corea del Sud e in particolare dovrebbe arrivare anche in Italia. Lo riporta SamMobile che ha pubblicato la lista completa dei paesi in cui il particolare phablet verrà lanciato in Europa. Il Galaxy Note Edge debutterà di sicuro in Danimarca, il 12 dicembre, e a seguire in Austria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Lussemburgo, Polonia, Portogallo Spagna e Svizzera. SamMobile ha anche un’indicazione sul prezzo : tra gli 850 e i 900 euro. Aspettiamo ora l’annuncio ufficiale da parte di Samsung. Con l’iPad Air 2 è possibile manipolare agevolmente le immagini da 16 Megapixel di una fotocamera. Solo gestendo selezioni molto complesse all’interno della fotografia (ad esempio con la bacchetta magica), abbiamo riscontrato dei significativi rallentamenti. modello dello scorso non deve ingannare. Anche la fotocamera frontale, che Apple chiama FaceTime Camera, pur essendo capace di riprendere video in 720p e ora dotata di obiettivo con apertura di F2,2, rimane pur sempre basata su un sensore di soli 1,2 Megapixel. Per quanto riguarda le prestazioni, le fotografie effettuate con l’iPad Air 2 offrono un discreto livello di dettaglio e in generale una buona resa cromatica, ma gli scatti sono anche molto più rumorosi rispetto a quelli effettuati con un iPhone e la qualità delle immagini scende velocemente appena cala la luce a disposizione per la nostra fotografia. In sostanza la fotocamera è sicuramente stata migliorata, è più completa in termini di funzionalità a disposizione, ma non può ancora veramente sostituire quella dello smartphone. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE TEST Abbiamo provato lo smartphone Alpha di Samsung, elegante, robusto ed equilibrato; piccolo neo la durata della batteria Galaxy Alpha, perché Samsung un po’ lo snobba? Presentato in sordina e con un prezzo di listino “importante”: Galaxy Alpha è uno degli smartphone Samsung più riusciti di Roberto PEZZALI hi passa il giorno a leggere notizie sui siti come DDay.it sicuramente conosce il Galaxy Alpha, ma tutti gli altri? Il piccolo Alpha, presentato in agosto e mostrato da Samsung all’IFA di Berlino è arrivato quasi in silenzio nei listini degli operatori italiani e Samsung ha fatto davvero poco per pubblicizzarlo, preferendo dare spazio al Note 4. Sarà per il prezzo un po’ elevato se confrontato con quello che offre o sarà per evitare di “disturbare” il Note 4 che non può permettersi un flop, in realtà non c’è un vero motivo per non parlare di Galaxy Alpha. Anche perché, con Apple che ha dismesso la fascia dei piccoli schermi, il Galaxy Alpha è un gioiellino ben costruito e più compatto dell’iPhone 6, nonostante uno schermo AMOLED più grande. Lo abbiamo provato. C Il Galaxy più bello della famiglia Tra i Samsung Galaxy che abbiamo avuto il piacere di provare negli ultimi anni, il Galaxy Alpha è sicuramente uno dei migliori. Non è solo una questione di materiali: le dimensioni ridotte hanno permesso di realizzare uno smartphone che pare decisamente solido e robusto. Anche la cover posteriore, classica plastica serigrafata “made by Samsung” offre una sensazione al tocco migliore di quanto siamo stati abituati in questi ultimi anni. È innegabile che il design dell’Alpha trae ispirazione da altri smartphone: il bordino in alluminio tagliato a 45° e lucidato ricorda molto la passata generazione di iPhone, mentre il profilo assomiglia un po’ a uno degli ultimi smartphone Huawei. Il complesso comunque, per quanto non sia del tutto inedito, è davvero piacevole. Samsung non rinuncia ad alcuni tratti distintivi: il tasto home è fisico, integra il riconoscimento per l’impronta digitale, la fotocamera posteriore sporge leggermente e sono stati nascosti, a ridosso video GRAN PICCOLO TELEFONO, MA L’AUTONOMIA... Galaxy Alpha è forse uno dei migliori smartphone mai fatti da Samsung e si fatica a capire perché non sia spinto al pari di altri prodotti del marchio Samsung. Non è uno smartphone per “tecno-maniaci”: la batteria con autonomia standard, lo schermo HD, l’assenza di espansione SD sono difetti per chi sbava da sempre dietro all’ultimo top di gamma, ma per l’utente che cerca solo un buon smartphone sono cose del tutto trascurabili. E questo Galaxy Alpha è un prodotto giusto, bilanciato, equilibrato e costruito anche con materiali di qualità. Ha i suoi piccoli difetti, perché nulla è perfetto, ma sono tutti aspetti che il 90% delle persone ignora totalmente o comunque ci passa sopra, perché non ritiene fondamentali. Anche i tentennamenti software sono legati al tipo di utilizzo: un power user sarà portato a richiedere di più dal proprio smartphone e potrebbe incappare proprio in fastidiosi micro rallentamenti, sia nel browser che nell’interfaccia. Non subito ovviamente, ma dopo un po’ di tempo. Acquisto consigliato? Chi lo compra prende un buon prodotto, ma chi vuole uno smartphone piccolo e completo dovrebbe prima di tutto guardare in casa Sony: l’Xperia Z3 Compact è davvero un gioiello e costa anche meno del Galaxy Alpha. È un Sony e non è un Samsung (e questo per chi tiene all’apparenza è importante), ma per fotocamera e autonomia il Sony è decisamente su un altro livello, così come per la scocca che ricordiamo essere waterproof. 7.5 Qualità 8 Longevità 8 Design e costruzione COSA CI PIACE Schermo eccezionale 32 GB di memoria integrati Design 8 Schermo OLED ma si rinuncia al Full HD Meglio la qualità dell’AMOLED o la risoluzione elevata? Samsung sceglie la prima, equipaggiando Galaxy Semplicità 7 D-Factor 8 Prezzo 6 Prezzo elevato COSA NON CI PIACE Autonomia limitata TouchWiz alla lunga causa piccoli rallentamenti del modulo camera, i sensori biometrici già usati sul Galaxy S5. Per rendere più chiaro dove si posiziona l’Alpha nella gamma Samsung si può inserire al vertice basso del triangolo che compone con Galaxy S5 e Galaxy Note 4: dall’S5 ruba alcuni elementi, dal Note 4 prende soprattutto il design ma per il resto ci mette molto del suo, incluso il processore Exynos al debutto su uno smartphone di fascia alta in Europa. Una cosa è chiara: il Galaxy Alpha non è lo smartphone fatto per chi spulcia voce per voce della scheda tecnica illuminandosi davanti al GB di RAM in più e ai megapixel della fotocamera; a fronte di un prezzo importante, 599 euro, Alpha non ha tutto quel boost tecnologico degli altri due top di gamma Samsung. Dal display HD alla fotocamera da 12 Megapixel questo nuovo smartphone perde senza dubbio nel confronto con il Galaxy S5, ma è bene iniziare a mettere l’hardware in secondo piano e pensare di più all’esperienza d’uso. torna al sommario b a 599,00l€ Samsung Galaxy Alpha Alpha con uno schermo AMOLED HD da 4.7”: siamo di fronte a uno schermo simile a quello utilizzato sul vecchio Galaxy S3 per risoluzione e diagonale, ma le similitudini si fermano qui. Grazie all’adozione della tecnologia InCell lo schermo integra il touch e ha bordi decisamente sottili, caratteristica questa che permette di raggiungere dimensioni compatte nonostante la diagonale ampia. Il Galaxy Alpha, per intenderci, è leggermente più piccolo dell’iPhone 6 che ha uno schermo di pari dimensioni. La qualità dello schermo Samsung non si discute: dall’eccezionale angolo di visione all’elevato contrasto passando per l’ottima resa cromatica, il display di Galaxy Alpha non ha nulla da invidiare agli ultimi display di casa Samsung, seppure più risoluti. Serviva il Full HD? A nostro avviso no, 720p sono più che sufficienti a fornire un’immagine compatta a una distanza di visione standard, e il Full HD avrebbe solo contribuito a diminuire la durata di una batteria già non eccezionale di suo (ma che si fa la giornata). segue a pagina 33 n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE TEST Samsung Galaxy Alpha segue Da pagina 32 Batteria al limite, attenzione a spremerlo troppo Galaxy Alpha non è una sfida facile per Samsung: le dimensioni impongono, infatti, il costruttore a usare una batteria più piccola del solito e questo potrebbe ripercuotersi sull’autonomia complessa. Anche se c’è chi ha fatto miracoli in questo segmento, e ci riferiamo a Sony con il suo Z3 Compact, il Galaxy Alpha non è certo un esempio in fatto di autonomia. Si arriva a sera, ma solo se usiamo lo smartphone come telefono: passando tutto il tempo su Facebook o a giocare, continuare a usare la fotocamera e tenere lo smartphone come appendice del proprio corpo sempre in mano non aiuta di certo e dopo 6 ore la batteria ci saluta. Volendo fare un confronto diretto con l’iPhone 6, il Galaxy Alpha ha un’autonomia del 35% in meno, frutto della peggiore ottimizzazione di Android rispetto a iOS: se non fosse stato usato un AMOLED HD probabilmente l’autonomia si sarebbe ridotta ulteriormente. Il processore Exynos Octa viene preferito per la prima volta al Qualcomm Snapdragon e abbinato a 2 GB di RAM non sfigura rispetto ad altri smartphone Android: anche i benchmark gli danno ragione. Tutto perfetto? No, ovviamente Galaxy Alpha ha i suoi difetti: nel corso delle prove abbiamo rilevato una tendenza al surriscaldamento se usiamo applicazioni che caricano molto il Soc Exynos, e sotto il profilo hardware restano da segnalare un sensore biometrico non sempre preciso nello sblocco del dispositivo, l’assenza di espansione di memoria (ma ci sono 32 GB a bordo) e uno speaker di qualità davvero modesta. Per quanto poi il processore sia potente, TouchWiz di Samsung continua ad essere una shell pesante per Android e abbastanza esosa in termini di risorse di sistema: con lo smartphone “nuovo” tutto sembra fluido e veloce, ma dopo un po’, con tante applicazioni installate, applicazioni in background e servizi attivi qualche scatto o rallentamento è da tenere in conto. Anche in questo caso, come per l’autonomia, sta tutto alla “saggezza” dell’utilizzatore: è evidente che attivare 10 servizi di messaggistica, mo ai sensori, il Galaxy Alpha ha la stessa dotazione dell’S5 e include il sensore di battito cardiaco a ridosso del flash: un bel giochetto all’inizio, ma alla fine si rivelerà un altro gadget inutile come il barometro e il termometro inseriti in altri smartphone e mai usati. Fotocamera bella di giorno brutta di notte riempire le pagine di widget e lasciare tante app in background non è un caso standard, ma mentre iOS è molto più efficiente nel gestire la memoria delle singole app, Android ancora lascia troppa libertà. Tanti sensori Connettività completa Sotto il profilo dei sensori e della connettività Galaxy Alpha è abbastanza completo: Bluetooth 4.0, il Wi-Fi e ovviamente non mancano LTE e NFC. Unica assenza l’uscita video: il connettore USB 2.0 micro non è compatibile né SlimPort né MHL, e chi vuole collegare lo smartphone al TV deve ricorrere alla soluzione wireless utilizzando o un TV compatibile o il mirror tramite una chiavetta come Chromecast. Se, invece, guardia- torna al sommario Samsung utilizza sul Galaxy Alpha una versione a 12 Megapixel del suo modulo fotografico ISOCELL, lo stesso già usato su altri smartphone. L’utilizzo di meno megapixel potrebbe anche essere un bene, in realtà crediamo che Samsung oltre ai megapixel abbia ridotto anche la dimensione del sensore per farlo stare in un corpo più compatto. Il risultato è una fotocamera che come quasi tutte ormai eccelle quando si tratta di fotografare con molta luce ma soffre abbastanza quando di luce ne abbiamo davvero poca. Il flash LED c’è, ma come sempre sugli smartphone il flash fa più danni che altro soprattutto se non è una luce controllata come punto di bianco e ben bilanciata. Samsung, come sempre, arricchisce l’esperienza fotografica personalizzando l’applicazione di scatto, e oltre alle modalità classiche ci sono moltissime altre funzioni avanzate come il defocus dello sfondo. Anche in questo caso non tutto è perfetto: la foto qui sopra, ad esempio, mette in luce la poca naturalezza dello sfocato realizzato in post produzione, una linea di demarcazione troppo netta per apparire reale. Tra le funzioni avanzate della fotocamera disponibili sul Samsung Alpha c’è il defocus dello sfondo che però mette in luce la poca naturalezza dello scatto. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE TEST Per l’ammiraglia degli smartphone il produttore taiwanese sceglie un display XXL con livrea elegante e corpo sottile Asus Zenfone 6 in prova: ok il prezzo è giusto Processore Intel Atom e batteria da 3300 mAh per buone prestazioni e un’autonomia invidiabile. Mancano LTE e NFC di Andrea ZUFFI li smartphone dalle dimensioni più che generose sono sempre meno tabù e, nonostante il termine infelice con cui vengono comunemente identificati, i phablet sono una grande comodità per chi ha necessità di consultare documenti, leggere e scrivere molte email e accedere al web per ricerche e consultazioni. A esser sacrificate sono indubbiamente la portabilità e la maneggevolezza in tutti quei casi in cui si deve “soltanto” telefonare o scrivere un SMS, ma questo è il prezzo da pagare per non avere sempre al seguito un tablet o un laptop, in aggiunta all’irrinunciabile smartphone. A nostro avviso Asus coglie questo aspetto con lo Zenfone in versione da 6 pollici, tenuto conto che questa taglia potrebbe beneficiare della fase di “nobilitazione” che stanno subendo i phablet grazie alla recente spinta data da Apple con l‘uscita di iPhone 6 Plus. Zenfone rappresenta un gamma di dispositivi dal design sobrio ed equilibrato, equipaggiati con processore Intel e animati da una versione di Android personalizzata dal produttore. I vari modelli si differenziano per prestazioni e caratteristiche, tra cui la RAM, la capacità di storage interno, la risoluzione della fotocamera e soprattutto le dimensioni del display. Si vai dai 4 pollici del piccolo di famiglia fino ai 6 del top di gamma oggetto di questa prova, che nell’offerta di Asus prende il posto (non del tutto data l’assenza della stilo) di Fonepad 6 (si veda la prova di dday.it a questo link). Il processore è lo stesso e cioè un Intel Atom Z2580 Dual-Core da 2.0 Ghz con tecnologia Intel HyperThreading che promette ottime prestazioni a bassi consumi di energia. LA RAM installata è da 2GB e la grafica è affidata a una GPU PowerVR SGX 544MP2. Il display di Zenfone 6 è costituito da un pannello IPS da 6 pollici con risoluzione 1280 per 720 pixel, una densità di 320 dpi e una luminosità di 400 nit in tecnologia Asus TruVivid. La resistenza a graffi e urti vari è garantita da Gorilla Glass 3. La memoria interna è di 16 GB, ampliabili di ulterio- G video lab ASUS ZenFone 6 299,00 € UN BUON RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO Volendo trarre un bilancio dopo diversi giorni di utilizzo, si può considerare ZenFone 6 un prodotto di buona qualità e dal prezzo non eccessivo, ad oggi pari a 299,00 euro. Il dispositivo è indicato per quella fetta di utenza che non mira ai top di gamma dei marchi più blasonati ma che si sente a proprio agio con un prodotto esteticamente gradevole e con una versione del sistema operativo Android con personalizzazione ben curate e funzionali. Rimane soggettiva la scelta di avere in tasca un dispositivo dal display esagerato che, senza dubbio, agevola la gestione delle email e la navigazione web ma che non può proprio essere utilizzato come uno smartphone tradizionale, ad esempio se si ha la necessità di scrivere un messaggino o fare una chiamata “al volo” cercando il numero in rubrica con una mano sola. Sempre rimanendo nel campo dei phablet, probabilmente un 5,5” sarebbe una scelta un po’ più azzeccata, almeno in termini di ergonomia. Va riconosciuto come Asus abbia lavorato al miglioramento del comparto fotografico per renderlo utilizzabile anche in condizioni di luce sfavorevole. La mancanza della connettività LTE e del chip NFC potrebbero essere considerati una limitazione ma il rapporto qualità/prezzo porta a dover accettare qualche compromesso. Chi già conosce Asus infine non potrà che apprezzare l’evoluzione che il produttore ha messo in atto con la gamma ZenFone. 7.9 Qualità 8 Longevità 7 Autonomia COSA CI PIACE Estetica e spessore ridotto Personalizzazione software Design 8 Semplicità 9 COSA NON CI PIACE ri 64 GB tramite slot MicroSD. La connettività è 3G con standard HSPA+ e sono disponibili le interfacce WLAN 802.11 b/g/n e Bluetooth 4.0. Assente la tecnologia NFC. La fotocamera principale è da 13 MP con flash LED mentre quella frontale è da 2 MP. Con Zenfone 6 Asus rinuncia al pennino e al conseguente inseguimento del Galaxy Note, preferendo andare alla ricerca di un proprio spazio nel mercato degli smartphone, strizzando l’occhio anche all’utenza aziendale con la promessa di semplificare la vita a chi ha molte attività, contatti e appuntamenti da gestire. Da un punto di vista estetico gli smartphone di ultima generazione non sono poi così diversi tra loro e la differenza può essere fatta in termini di dotazione hardware ma soprattutto sul fronte dell’usabilità e dell’esperienza utente. Vedremo nel corso della prova se la scelta di Asus di dare un nome rassicurante ed antistress a questo terminale sarà supportata nei fatti. Il prezzo di listino è attualmente di 299,00 euro il che lo colloca in una fascia di mercato intermedia in com- D-Factor 7 Prezzo 8 Assenza di Android Kit Kat Flash LED della fotocamera Niente LTE pagnia di dispositivi come il Sony Experia T2 Ultra con display HD 6” con caratteristiche e prezzo simili ma con in più NFC oppure il Nokia Lumia 1320 ad un prezzo al momento un po’ inferiore e dotato di 4G. Molte personalizzazioni Asus e prestazioni adeguate Dopo aver utilizzato per diversi giorni in modo continuativo questo dispositivo, la sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un vero smartphone targato Asus, contrariamente a quanto avviene per esempio quando si impiega Fonepad 7, a tutti gli effetti un tablet con funzioni telefoniche. Fino a che Asus non renderà disponibile l’annunciato aggiornamento alla versione 4.4, sullo Zenfone 6 “gira” Android 4.3 arricchito da una serie di personalizzazioni che costituiscono la Zen User Interface. Al momento della prova Asus ha annunciato ma non ancora rilasciato l’upgrade a Kit Kat. Se è vero che l’adozione di uno stile di vita “zen” segue a pagina 35 torna al sommario n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 TEST Asus Zenfone 6 segue Da pagina 34 chiama in causa doti di equilibrio interiore che poco dipendono da strumenti materiali, è anche vero che un insieme di applicazioni semplici, funzionali e ben integrate nel sistema operativo permette di liberare la mente dai compiti più noiosi per consentirle di dedicarsi ad aspetti più qualitativi. Asus ci ha provato seriamente con questa Zen UI e in particolare con What’s Next e Do It Later due app particolarmente apprezzabili da chi utilizza generalmente lo smartphone in modo intensivo per gestire in mobilità il proprio tempo e le proprie “to-do list” oppure per ricerche web e accesi al mondo dei Social senza sentire troppo la mancanza del PC. What’s Next in particolare si occupa di recuperare le informazioni del calendario per ricordare all’utente, direttamente nella schermata home, e anche in quella di blocco, gli eventi futuri, fornendo tutti i dettagli più importanti come ora e luogo, con tanto di condizioni meteo. Do It Later è invece un essenziale ma efficace gestore di liste di attività che permette, oltre all’inserimento manuale delle note, anche la possibilità di aggiungere ogni genere di task che potrebbe andare perso: un articolo interessante, un post su Facebook, una mail o un sms possono essere inviati a Do It Later con un gesto istantaneo dal menu di ciascuna app. Un altro componente dell’interfaccia è l’ormai collaudato ZenLink che consiste in una suite dedicata alla connessione tra dispositivi Asus per la condivisione di contenuti in prossimità. Si va da Share Link per l’invio tramite Wi-fi di file e filmati anche di grandi dimensioni (Asus garantisce la compatibilità anche con dispositivi Android di altri produttori purché abbiamo MAGAZINE a bordo l’app Asus ShareIT) a Party Link, utile invece per distribuire in tempo reale ad uno o più dispositivi presenti nelle vicinanze le foto appena scattate. Remote Link invece permette di trasformare lo Zenfone in un dispositivo di input wireless che potrà fungere da touchpad, da puntatore per le presentazioni, da tavoletta grafica o ancora da controller via bluetooth per il Windows Media Player del PC. In tema di personalizzazioni vale la pena citare le altre soluzioni software proposte da Asus e cioè Quick Settings, il pacchetto che va a sostituire completamente l’area delle notifiche e delle impostazioni rapide. Con un’estetica totalmente differente rispetto alla versione Android stock, qui troviamo i link a tutto quel occorre avere a portata di mano, cioè tutte le impostazioni su connettività, luminosità automatica, GPS e altro; oltre ad alcuni Special Tool come Asus Quick Note, che permette di prendere note in modo rapido e di appuntarle sulla home screen come fossero dei veri e propri Post-it, o come Flash Light per segnalare la propria presenza al buio usando il flash led come lampeggiante di emergenza. Altra utile funzione raggiungibile dal menu Quick Settings è la modalita “con una sola mano” che permette di ridurre le dimensioni della schermata a 4.3, 4.5 o 4.7 pollici rendendo così raggiungibile con il solo pollice di una mano anche la parte superiore. Interessante poi la modalità lettura che limita l’affaticamento degli occhi e, molto utile nei mesi invernali, la modalità Glove Touch che aumenta la sensibilità dello pannello consentendone l’uso anche con i guanti; dopo averlo provato con guanti di lana e guanti sintetici di medio spessore non abbiamo dubbi sulla sua efficacia, avendo inoltre verificato che escludendo la funzione il display non rileva più il tocco con i guanti. Proprio il display è uno dei punti forti di questo smarphone. Oltre alle dimensioni che rendono piacevole l’esperienza di lettura mail e documenti PDF, l’esperienza di gioco e di visione di immagini e filmati, abbiamo apprezzato la resa cromatica ovviamente in rapporto alla fascia di prezzo. La fluidità e la risposta al tocco permettono di operare sempre in modo naturale con la regolazione automatica della luminosità che lavora bene e si adatta a qualunque condizione di luce, anche all’aperto. La risoluzione di 1280 per 720 pixel è in linea con quella degli altri dispositivi di questa categoria e la tecnologia IPS dona un ampio angolo di visuale e scarse variazioni cromatiche spostandosi dal punto ottimale di visione. Il decantato rivestimento anti impronte è risultato poco efficace e quando lo schermo è spento gli aloni e le ditate sono identiche a quelle che vedremmo su un vetro non trattato. Il processore Intel si comporta in modo particolarmente performante anche quando si spreme il dispositivo. Durante la prova abbiamo operato in multitasking senza riuscire a mettere seriamente in ginocchio il sistema. Anche in una delle condizioni tipiche in cui l’utente potrebbe trovarsi e cioè con il navigatore GPS attivo, la musica in sottofondo e la necessità di scrivere una mail (non durante la guida naturalmente) o fare una ricerca in internet la risposta al tocco risulterà sempre fluida e senza lag significativi. Soltanto accanendosi nella navigazione su pagine web particolarmente pesanti e insistendo con lo zoom e gli scorrimenti rapidi si nota che il rendering del browser inizia a presentare qualche difficoltà. I giochi di ultima generazione, avidi di risorse, girano senza problemi su Zenfone 6 restituendo una sensazione di reattività che rende il gaming coinvolgente: titoli come Real Racing sono giocabili senza problemi. Anche l’audio è in linea con il precedente Asus (Fo- I NOSTRI SCATTI DI PROVA clicca le immagini per l’ingrandimento torna al sommario segue a pagina 36 n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE MOBILE Microsoft lancia il nuovo Lumia 535: 5” di schermo, 5 Megapixel di fotocamera frontale, sensore di ambiente integrato Microsoft saluta Nokia: Lumia 535 è il primo della nuova era Lumia 535 è il primo smartphone marchiato Microsoft dopo l’era Nokia. Riuscirà a vendere in Italia come il predecessore? di Roberto PEZZALI L umia 535 è il primo smartphone Microsoft Lumia: Microsoft punta sul low cost proponendo un device d’assalto, 110 euro più tasse per un prodotto che a dispetto del nome, Lumia 535, fa parecchi dispetti agli altri modelli entry level appena lanciati. Il Nokia 535 infatti ha un grande schermo IPS da 5” qHD, una fotocamera frontale da 5 Megapixel per i selfie, uno Snapdragon 200 con 1 GB di RAM e 8 GB di spazio per le app espandibili tramite slot. Una ottima dotazione di base per uno smartphone che corregge tutti i difetti del precedente Lumia 530 (e anche del 630): c’è ad esempio il sensore di ambiente integrato, l’autofocus per la fotocamera, il flash LED e c’è anche bluetooth 4.0. Microsoft punta tutto sulla “experience” che Windows Phone e Lumia possono dare grazie alla suite di app integrate come Office, One Note, Outlook per le email, Skype e One Drive con 15 GB di spazio gratuito. Un ottimo smartphone al prezzo che viene TEST Asus Zenfone 6 segue Da pagina 35 nepad 6) avuto in prova nei mesi scorsi: la tecnologia SonicMaster con una combinazione di hardware e software proprietari garantisce un buon volume senza distorsioni. Su questo modello è inoltre presente la la radio FM che necessita dell’inserimento delle cuffie (in dotazione). Nulla di diverso da quanto ci si aspettava sul funzionamento del Gps che, in linea con altri prodotti dello stesso marchio, richiede tempi non trascurabili per il primo fix ma che poi funziona bene, anche se con qualche occasionale imprecisione. Asus ha reso disponibile tra gli accessori dello Zenfone la View Flip Cover, una custodia rigida in vari colori per la protezione del display che si installa mediante sostituzione della scocca posteriore di plastica con una metallica che aiuta anche a rendere lo smartphone più elegante. Quando View Flip Cover viene chiusa si attiva lo standby e attraverso un’apertura circolare nella custodia, l’utente può vedere una porzione del display sottostante che mostra alcune informazioni come l’orario, le notifiche di mail e sms ricevuti, le chiamate perse, le condizioni meteo o il titolo della canzone eventualmente in esecuzione sul player musicale. In caso di chiamata entrante è possibile accettare o rifiutare senza aprire la cover stessa. Buona fotocamera Più di un giorno di autonomia Nella progettazione di Zenfone, Asus ha dedicato attenzione al mondo della fotografia lavorando in modo particolare sul software, inserendo la stabilizzazione dell’immagine e una serie di robusti algoritmi dedicati torna al sommario proposto (probabile 129 euro): anche se manca l’LTE e lo schermo non ha una risoluzione eccelsa sicuramente viene incontro alle esigenze di chi vuole un grande schermo e tanta velocità. Resta da chiedersi ora se con il marchio ad aumentare la naturalezze e la luminosità degli scatti. Possiamo affermare inoltre che l’ottima app fotocamera (già presente in altri dispositivi Asus) trova ora la sua ragion d’essere su una combinazione di hardware, software e ottiche molto più idonei di quanto sinora presentato al mercato dal produttore taiwanese, avvicinando questo Zenfone all’area dei camera-phone di qualche tempo fa. Il sensore fotografico principale ha una risoluzione massima di circa 13 Mpx, cioè 4096 x 3072 pixel in modalità 4:3. Altra novità è rappresentata dal flash LED, di cui si apprezza la presenza ma non la piena funzionalità, data la scarsa potenza; la fotocamera secondaria è invece da 2 MP. Tra le funzioni di maggior intereresse segnaliamo senz’altro Profondità di Campo con la quale si possono realizzare scatti di buona qualità grazie al software che isola il soggetto in primo piano dal resto dell’immagine che rimane fuori fuoco. Asus simula così una regolazione dei parametri ottici solitamente appannaggio esclusivo di veri obiettivi fotografici. Un’altra novità introdotta da Asus è la modalità Luce Bassa che regala foto e video più nitidi anche di notte. Asus dichiara l’implementazione di avanzati algoritmi di elaborazione dell’immagine in grado di aumentare la sensibilità fino al 400% e del contrasto fino al 200% rispetto ai modelli precedenti, senza un forte aumento del rumore. Microsoft questo 535 venderà così tanto come i precedenti Lumia in Italia: era il nome “Nokia” a spingere le vendite di Windows Phone in Italia o sono gli smartphone belli, economici, colorati e completi ad attirare i clienti? Le foto scattate durante la prova, specie quelle in condizioni di luce non ottimale, presentano netti miglioramenti rispetto al passato. Pur non trattandosi di una rivoluzione, Zenfone 6 rende piacevole l’utilizzo delle funzioni fotografiche e di tutte le possibilità offerte dal ricco menu dell’app fotocamera. Qui troviamo la modalità Rimozione Intrusi che funziona molto bene rimuovendo in modo intelligente dallo sfondo tutti gli oggetti in movimento per lasciare solo i soggetti in primo piano, cioè quelli che il fotografo voleva realmente immortalare. E ancora modo Sorriso che, in caso di foto con più persone, combina in una sola immagine il miglior sorriso di ciascun soggetto attraverso l’acquisizione e l’analisi di cinque diversi scatti. Come suggerito dal nome, invece, con Animazione GIF basterà tenere premuto il pulsante di scatto per salvare una sequenza di foto che saranno poi automaticamente trasformate in un’immagine GIF animata. Tra le modalità di scatto citiamo poi Indietro nel tempo per la quale si rimanda alla nostra prova di Asus memoPad 7. Completano la carrellata il modo Selfie, Panorama, un buon set di effetti fotografici e una semplice utility per il fotoritocco. Più scarna la sezione del menu dedicata al video (Full HD), ove è possibile però selezionare la modalità Rallentatore che è un time-lapse già presente su altri dispositivi Asus e che non ha raggiunto ancora un livello di maturità tale da produrre risultati apprezzabili. Zenfone 6 è equipaggiato con una batteria a litio da 3300 mAh. Utilizzando intensamente lo smartphone per mail, internet, chiamate e senza rinunciare né all’ascolto di musica né e al navigatore per un paio d’ore al giorno, l’autonomia media si è attestata su una giornata e mezza, senza attivare il risparmio energetico. Per le prove il device è stato lasciato acceso anche di notte, ma senza la connettività dati. Musica & Luce. Insieme. LSX-170 Lighting Audio System Riproduzione di musica wireless // Ingresso Aux // Luce a LED (regolabile) // Funzione sleep e riproduzione con timer per luce e musica // Controllo via Smart App (iOS/Android) // Telecomando sottile Per maggiori informazioni visita it.yamaha.com LSX-700 LSX-70 Yamaha App Navi n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE TEST Abbiamo messo a confronto i due diffusori portatili più esclusivi del momento, hanno lo stesso prezzo: 349 euro B&O PlayA2 contro B&W T7: chi suona meglio? Offrono due interpretazioni di classe ma differenti di diffusore portatile, con prestazioni decisamente sopra alla media P di Roberto FAGGIANO er una curiosa coincidenza B&O e B&W hanno presentato quasi nello stesso giorno i loro diffusori portatili con collegamento Bluetooth aptX, entrambi con il medesimo prezzo di listino di 349 euro ed entrambi con l’ambizione di diventare il riferimento nella categoria. Così abbiamo pensato di metterli subito a confronto utilizzando i primissimi esemplari giunti in Italia, entrambi in veste definitiva e pronti al confronto. Ecco allora uno di fronte all’altro il B&O PlayA2 e il B&W T7, oggetti che vanno ben oltre il concetto di diffusore per smartphone per soddisfare il pubblico più esigente. Entrambi hanno dimensioni non proprio tascabili, ma possono comunque venire spostati facilmente in casa o sul terrazzo e sono facili da infilare in una borsa per un viaggio. Tutti e due sono rifiniti con molta cura, anche se il B&O attirerà di più lo sguardo con le sue linee e la cura estrema di ogni dettaglio, mentre il B&W è più rigoroso e meno impegnato a cercare consenso estetico, consapevole di rivolgersi a chi già ben conosce la storia del marchio inglese. Quelle piccole differenze I due diffusori sono simili anche dal punto di vista dimensionale e tecnico ma le differenze sono soprattutto sotto la pelle. Per quanto riguarda le dimensioni il PlayA2 è leggermente più grande, con i suoi 256 x 142 x 44 mm (L x A x P) mentre il T7 scende a 210 x 114 x 54 mm (L x A x P), il peso è di 940 grammi per il T7 e 1,1 kg per il B&O. Ma la dotazione di altoparlanti è piuttosto diversa. B&O ha scelto una strada insolita con un terzetto di altoparlanti ripetuti su entrambi i lati, con doppio woofer passivo, doppio midrange e doppio tweeter, in modo da diffondere più ampiamente la musica; la potenza disponibile è di 2 x 30 watt con amplificazione digitale in classe D. Il B&W invece adotta un piccolo sistema stereo con doppio mid-tweeter frontale da 5 cm e una coppia di radiatori passivi centrali che diffondono su entrambi i lati. Per quanto riguarda l’autonomia della batteria, il Play A2 si spinge fino a 24 ore mentre il T7 si ferma a 18 ore, entrambi valori superiori alla media e più che sufficienti per un normale utilizzo. B&O Play A2, la classe conta ancora Anche se appartiene alla linea più accessibile Play, video questo diffusore ha il DNA di Bang&Olufsen ben impresso nel suo corpo. La linea è semplice ed elegante, una struttura in alluminio rivestita in materiale plastico e una cinghietta per il trasporto in vera pelle, il tutto disponibile in tre versioni di colore: nero, verde e grigio. Nell’esemplare in prova l’accostamento tra rivestimento grigio e la fascia metallica color rame si abbina perfettamente al colore naturale della pelle e aumenta la sensazione di avere tra le mani un oggetto che vale il suo prezzo. Una considerazione che non sempre si poteva fare su alcuni degli ultimi nati del marchio “economico” Play del costruttore danese. I pochi comandi sono sistemati sul lato superiore, assieme a spie led molto discrete, per i collegamenti ci si sposta sul lato destro con un ingresso minijack, la presa USB per una ricarica di emergenza allo smartphone e la presa per ricaricare la batteria. Qui accanto c’è la spia che segnala la batteria scarica e l’avvenuta ricarica; se non vi accorgete che la batteria è esaurita il diffusore emette un segnale sonoro e si spegne diminuendo progressivamente il volume. B&W T7, il piccolo che si ispira ai grandi La prima impressione fornita dal T7 è di solidità e sobrietà, un corpo robusto con una finitura gommata in colore nero opaco che circonda tutto il diffusore. Frontalmente invece c’è la sorpresa della struttura a nido d’ape Micro Matrix che circonda lo spazio riservato agli altoparlanti: la struttura è aperta e quindi lascia passare lo sguardo verso ciò che sta dietro il diffusore. Non è lab solo un dettaglio estetico perché serve a minimizzare le vibrazioni inevitabilmente prodotte dagli altoparlanti. Un quadro appagante per ricordare l’esperienza dei progettisti Bower & Wilkins in materia di altoparlanti. I comandi sono sul lato superiore per l’abbinamento Bluetooth e per il volume, mentre l’accensione è laterale con una serie di piccoli led che segnalano lo stato di carica della batteria. Sul retro troviamo l’ingresso minijack per una qualsiasi sorgente, la presa di ricarica della batteria e un connettore usb di servizio. Gradito omaggio per gli acquirenti di un T7 è un abbonamento di tre mesi alla Society of Sound della stessa B&W, un fornito magazzino musicale di album in alta risoluzione selezionati da Peter Gabriel. Il momento della verità Eccoci al punto cruciale: quale dei due diffusori suona meglio? Prima di entrare nei dettagli va ricordato ai lettori più giovani che i due costruttori vantano entrambi grande tradizione nel campo della diffusione sonora. Se i diffusori B&W sono universalmente apprezzati anche ai giorni nostri, forse non tutti sanno che Bang&Olufsen ha tracciato molte strade importanti nel campo della riproduzione musicale, con sistemi stereo che erano molto ambiti negli anni 70 e 80, oltre ad alcune rarità come il giradischi con braccio tangenziale e la ricerca tecnologica sui diffusori attivi. Diciamo subito che il PlayA2 suona davvero bene e merita il denaro necessario per l’acquisto, anche se magari molti lo compreranno solo perché è bello. L’ascolto si porta su livelli molto alti per la categoria, sembra sempre di ascoltare un diffusore molto più grande, con bassi quasi sorprendenti per la loro profondità abbinata a notevole controllo. La gamma media e le voci sono sempre equilibrate e piacevoli mentre il dettaglio sugli acuti non è molto spinto ma riesce comunque a creare un buon effetto tridimensionale. Insomma un ascolto molto piacevole a cui solo qualche brano ultra compresso può far perdere gradevolezza in gamma bassa, con qualche risonanza. Il volume raggiungibile è molto elevato e può segue a pagina 39 torna al sommario n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA Disponibile il diffusore Neolith di Martin Logan, costa 80.000 dollari Neolith, il super diffusore elettrostatico Ha il più grande pannello elettrostatico mai utilizzato, con una superficie di 55 x 120 cm di Roberto FAGGIANO Amazon ha presentato Echo, uno speaker cilindrico che si comporta in modo simile agli assistenti vocali di Apple e di Google. È attivabile tramite l’hotword Alexa ed è possibile chiedergli quello che si vuole. Grazie alla disposizione dei sette microfoni, Echo è in grado di sentire la voce proveniente da ogni parte della stanza e, grazie ad un’efficiente cancellazione del rumore, può sentire una domanda anche mentre riproduce la musica. Amazon Echo sarà in vendita al momento solo in America (e su invito) ad un prezzo di 199$, solo per un tempo limitato a 99$ per chi ha sottoscritto un abbonamento Amazon Prime. D opo l’anteprima all’Hi-End 2014 di Monaco è ora disponibile per la vendita il mastodontico diffusore Martin Logan Neolith, quello che può vantare il più grande pannello elettrostatico mai montato su un diffusore, con una superficie pari a 55 x 120 cm, con una superficie più grande del 35% rispetto ai precedenti pannelli utilizzati da Martin Logan. Per completare la risposta in frequenza verso il basso è stato aggiunto un subwoofer da 38 cm in accordo reflex che diffonde verso il retro, mentre frontalmente c’è un altro importante altoparlante da 30 cm in sospensione pneumatica. Con questi accorgimenti la risposta in frequenza scende, secondo il costruttore, fino ai 23 Hz. Inutile aggiungere che un diffusore di questo livello e dimensioni va collocato in una stanza dedicata, mantenendo le giuste distanze dalle pareti Amazon Echo Un cilindro come assistente laterali, oltre che pilotato da elettroniche di pari livello qualitativo. Il Neolith è stato sviluppato per restituire la musica con il massimo realismo possibile, studiando attentamente la curvatura del pannello per ottenere la migliore dispersione. Se volete ordinarne una coppia per il vostro salotto bastano 80.000 dollari, ma solo per la finitura base, altrimenti il prezzo sale. TEST B&O PlayA2 contro B&W T7 segue Da pagina 38 quindi riempire anche ambienti di media cubatura. Sorprendente come la riproduzione musicale non cambi minimamente ponendo il diffusore sui due lati e perfino in verticale, una bella comodità per un portatile. Da un diffusore B&W ci si aspetta sempre il meglio e abbiamo affrontato il T7 con grandi aspettative. La prima impressione non è certo deludente anche se il diffusore B&W si è mostrato molto sensibile alla qualità della musica, tutta colpa della grande precisione in gamma acuta, che se da un lato esalta le migliori registrazioni, dall’altro può mettere in luce gli eccessi di compressione. La cosa che più ci ha colpiti del T7 è l’autorevolezza in gamma bassa, profonda e controllata come in un diffusore di ben altre dimensioni. Si può alzare molto il volume senza perdere lucidità e controllo. Molto buone le voci che giungono precise e dettagliate dal centro della scena, la ricostruzione tridimensionale è buona ma ci aspettavamo ancora di più. Il verdetto: vince il PlayA2 Il confronto tra i due diffusori ci vede in grave imbarazzo nel dire quale sia il migliore, ma per entrambi possiamo confermare che valgono quello – non poco – che costano: 349 euro. Il PlayA2 è senz’altro più attraente allo sguardo mentre il B&W sembra quasi volersi mimetizzare nella sua tinta opaca. All’ascolto le differenze sono veramente minime anche se il carattere è piut- torna al sommario tosto diverso tra i due contendenti: il PlayA2 affronta la musica in modo più morbido, quasi consapevole delle brutture che dovrà digerire; però è autorevole e crea una notevole pressione sonora grazie alla diffusione su entrambi i lati. Il T7 riproduce la musica con tono più professionale, sfoderando una gamma bassa incredibile per le dimensioni ma mettendo in luce anche i difetti della compressione dei moderni MP3. Considerando la qualità media della musica archiviata sugli smartphone o trasmessa in streaming dal web, possiamo dichiarare vincente di una microscopica incollatura il B&O PlayA2, musicalmente valido come il rivale inglese ma decisamente più bello e appagante per la finitura e i materiali impiegati. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE TEST Sono disponibili due kit base di Evohome, il Base Pack al prezzo di 279 euro e il Connected Pack con gateway a 299 euro Honeywell Evohome, riscaldamento multiroom Programmazione accurata per spendere meno Riscaldamento multiroom con controllo a zone anche in remoto e tanti piccoli accorgimenti per ottimizzare i consumi Stiamo provando Honeywell Evohome, un sistema di gestione davvero innovativo del riscaldamento domestico D di Roberto PEZZALI opo aver parlato dei termostati intelligenti come il Tado e il Nest, che controllano direttamente la caldaia gestendo accensione e spegnimento con avanzati algoritmi, proviamo un altro sistema, diversamente intelligente ma ugualmente smart: Evohome di Honeywell. Evohome applica al riscaldamento il concetto di multiroom: ogni ambiente della casa può essere gestito in modo singolo, controllando la programmazione e la temperatura non a livello di casa ma a livello di stanza o di gruppi di stanze. Con questa logica la programmazione non solo è più accurata ma permette anche di ottenere un sensibile risparmio soprattutto se la casa è grande. Il tutto viene gestito da una centralina con display touch e può essere controllato anche in remoto da smartphone con una pratica applicazione. Questa è una prima parte di prova: abbiamo installato il sistema, lo abbiamo configurato e fatto partire, ma quanto effettivamente si risparmia lo possiamo dire solo tra diversi mesi, quando potremo confrontare la spesa dello scorso anno con quella di quest’anno. Un confronto scientifico è impossibile: anche se la casa è identica cambiano le condizioni climatiche, quindi potremo dare solo un’indicazione del risparmio calcolando che ci sono in gioco tantissime variabili, dall’efficienza della caldaia alla classe energetica dell’edificio al tipo di riscaldamento. In ogni caso abbiamo scelto di fare la prova più classica e semplice possibile: abitazione con riscaldamento autonomo, 5 stanze con radiatori classici e dotati ancora delle vecchie valvole e kit Evohome da installare in perfetta autonomia. Un sistema a kit: che cosa serve e quanto costa Il sistema Evohome è un sistema modulare e versatile e può gestire fino a 12 zone. Con “zone” non si intendono i radiatori, ma proprio zone distinte per le quali si vuole controllare la temperatura in modo indipendente. Ogni zona può integrare un numero svariato di valvole, e questo permette di adattare Evohome a quasi tutti gli ambienti. Per case più grandi esistono comunque soluzioni, ma qui oltre ad alzarsi i costi usciamo dall’ambito della nostra prova, ovvero un sistema multiroom per trilocali che permetta, a fronte di una spesa contenuta, di rendere smart il riscaldamento di casa. Evohome ha due kit base: Evohome Base Pack, che integra la console centrale e il modulo relè che va collegato alla caldaia e l’Evohome Connected Pack, che in aggiunta al contenuto del kit base ha anche un gateway che permette l’accesso da remoto e il controllo da smartphone. Il kit Base costa 279 euro, il kit Connected 299 euro, ed è quello che abbiamo provato noi: la differenza di prezzo torna al sommario video non giustifica la scelta del sistema non connesso, sempre che uno sia privo di ADSL e non abbia la possibilità di controllare il tutto anche dall’esterno. Per controllare le varie stanze della casa il sistema Honewell usa una serie di termostati digitali intelligenti da montare sulle valvole termostatiche: un kit composto da 4 termostati costa 279 euro, uno singolo 80 euro. A listino ci sono altri accessori, dalla valvola per il riscaldamento a pavimento ai sensori aggiuntivi, ma abbiamo preferito un approccio più semplice e tipico. A conti fatti con circa 600 euro (più iva) si può installare in casa un sistema completo e intelligente. Installazione fai da te Installare Evohome non è assolutamente difficile, anche se bisogna prendere in considerazione diversi fattori. Se una persona ha già applicato le valvole termostatiche ai propri radiatori, l’installazione porta via pochi minuti: i termostati digitali HR92WE sono compatibili con la maggior parte delle valvole termostatiche e le eventuali riduzioni sono inserite all’interno del kit. Basta quindi rimuovere la vecchia testa per applicare il nuovo controllo digitale motorizzato, che viene alimentato da due pile stilo e ha una autonomia di circa un anno. Se, invece, i termosifoni hanno ancora le vecchie valvole a manopola è necessario sostituire anche le valvole: questa operazione è leggermente più laboriosa, noi l’abbiamo fatto ma è necessario svuotare l’impianto e trovare riduzioni adeguate ai propri tubi di rame. In questo caso consigliamo l’intervento di un idraulico. Se il centro di controllo è la mente, le valvole con i termostati digitali sono il braccio: ogni HR92, infatti, è in grado di rilevare la temperatura del singolo ambiente e, grazie a un motorino integrato, di chiudere o aprire la valvola inserendo o escludendo il singolo termosifone o la zona dal circuito. L’installazione degli altri elementi è decisamente semplice: il relè per la caldaia va collegato alla “chiama- lab ta” di calore, esattamente lo stesso tipo di collegamento degli altri termostati (analogici o digitali che siano), mentre il gateway richiede solo un collegamento a una porta Ethernet del router ADSL, il resto è automatico. L’unica difficoltà potrebbe essere legata al posizionamento della centrale touch: in dotazione con il kit viene dato un supporto a mensola che funziona anche come caricabatterie, ma nella maggior parte dei casi si preferisce un montaggio a muro e per questo va preso un accessorio opzionale che costa poche decine di euro. Anche se la centrale è alimentata a pile, l’autonomia è abbastanza ridotta: il display touch a colori consuma e quindi l’alimentazione a pile è utile più come “backup”. segue a pagina 41 La sostituzione della vecchia valvola. n.100 / 14 17 NOVEMBRE 2014 MAGAZINE TEST Honeywell Evohome segue Da pagina 40 I termostati digitali Pratici e abbastanza precisI La prima cosa che abbiamo cercato di capire quando abbiamo montato il sistema è come facciano i termostati, montati attaccati al calorifero, a misurare la temperatura della stanza. In realtà Honeywell ha calcolato la cosa, e tranne in situazioni particolare la misurazione fatta dal termostato è decisamente precisa. Solo in un caso, con un radiatore un po’ incassato, la valvola misura qualche grado in più rispetto al centro della stanza, ma per fortuna è possibile regolare un offset agendo sul menù. Ogni singola “valvola” presenta un display LCD retroilluminato che indica la temperatura e il nome dell’ambiente e una manopola che permette di applicare una regolazione locale, che verrà poi inviata alla centrale. Tramite la manopola e il display si accede anche a un menù di configurazione che oltre all’offset permette anche di impostare altri parametri come la sensibilità di rilevamento della “finestra aperta” oppure di bloccare le regolazioni per evitare che i bambini tocchino e giochino con la regolazione. La “finestra aperta” è uno degli elementi intelligenti della valvola stessa: è in grado di rilevare se viene aperta una finestra chiudendo immediatamente la valvola per evitare uno spreco. Ogni valvola è controllabile Wireless tramite un sistema proprietario criptato: il raggio tra la centrale e la valvola è di circa 50/60 metri, ma ovviamente molto dipende dalla struttura della casa: nella centrale è integrato un sistema che permette di verificare la qualità del collegamento. La programmazione un gioco da ragazzi L’unità centrale ha le dimensioni di un termostato e il frontale interamente occupato da un pannello touchscreen di tipo resistivo. La risoluzione del display non è altissima, ma poco importa, fa quello che deve fare. L’alimentazione a pile come abbiamo già detto è una sorta di backup: l’autonomia non raggiunge le 24 ore e comunque la centrale è un elemento che deve restare constantemente acceso. Alla prima accensione una procedura guidata ci aiuta a collegare le varie periferiche tra loro e a regolare l’impianti: dobbiamo dire che Honeywell ha fatto tutto a regola d’arte e la procedura guidata è davvero semplice. Inoltre, cosa da non trascurare, anche la stessa interfaccia utente è decisamente semplice e chiara: usa i colori per indicare lo stato e le zone hanno un nome chiaro che viene dato direttamente dagli utenti. Oltre a una torna al sommario L’unità centrale. Il gateway. serie di pre-set automatici è possibile regolare in modo indipendente la programmazione di ogni ambiente su base giornaliera: anche per questa sono disponibili una serie di procedure guidate che semplificano la programmazione, come la possibilità di abbinare un profilo a più giorni o di copiare i profili tra stanze. Come per le valvole la distanza tra base centrale e relè della caldaia è di circa 50 metri, almeno nel nostro caso: dobbiamo dire, però, che la caldaia è su un piano diverso rispetto all’unità centrale, e forse si guadagna qualcosa tenendo tutto sullo stesso piano. DNS come nel caso delle videocamere di sorveglianza, basta attaccare la spina, creare l’account e tutto funziona subito. Questo è possibile perché in realtà non c’è connessione diretta tra lo smartphone e il nostro sistema: i parametri sono registrati su un cloud Honeywell e i dati vengono riallineati ogni tot secondi per verificare se ci sono cambiamenti. L’applicazione è davvero ben fatta e in italiano: permette di gestire tutti gli aspetti dell’unità centrale inclusa la programmazione. Dopo aver usato l’app per un po’ di giorni ci siamo chiesti per quale motivo serva anche la centrale a casa: effettivamente il pannello touchscreen, che è comunque la parte “costosa” del pacchetto, è un plus se si vuole gestire il tutto da smartphone. Non escludiamo che in futuro Honeywell possa pensare di ridurre il costo del pacchetto lanciando una soluzione dove il tablet o lo smartphone prendono il posto dell’unità centrale, quindi con un solo gateway, il relè per la caldaia e tutti i termostati per le zone. L’azienda ci fa sapere che stanno lavorando a qualcosa di simile, ed essendo Honeywell uno dei partner di Apple per Homekit, possiamo davvero aspettarci sorprese. L’intelligenza del sistema (e perché si risparmia) Il sistema Evohome non ha all’interno algoritmi che calcolano la presenza delle persone come succede ad esempio su Tado e Nest, tuttavia grazie alla stessa architettura a zone promette un risparmio notevole. Escludendo, infatti, una o più zone dal circuito la caldaia ha meno acqua da riscaldare e consuma di meno. Ma non solo: l’unità centrale riesce a capire dopo qualche giorno quanto ci mette una stanza a raggiungere la temperatura prestabilita e quanto a raffreddarsi. Utilizzando questi dati Evohome riduce l’utilizzo effettivo del riscaldamento. Se si vuole la camera da letto a 21° alle 21.00 con una normale termostato si accende la caldaia mezz’ora prima: Evohome sa che per portare a 21° quella stanza dai 18° di base ci vogliono solo 13 minuti pertanto si adatta di conseguenza. E allo stesso modo se vogliamo riportarla a 18° dopo la mezzanotte sa esattamente quando spegnerla per raggiungere i 18°. A questo si aggiunge anche la gestione delle finestre aperte: con un sistema normale non ci preoccupiamo di chiudere una valvola per non sprecare energia se apriamo la finestra con riscaldamento acceso per arieggiare un ambiente: Evohome fa da solo. Accendi e regola in remoto con lo smartphone Oltre al funzionamento classico, Evohome può essere controllato anche da remoto con l’applicazione disponibile per iOS e Android. La configurazione di questa soluzione è rapida e indolore: basta creare un account aggiungendo il numero di serie e un codice riportato sotto il gateway, il resto è automatico. Trattandosi di un sistema che dev’essere facile, Honeywell ha trovato una soluzione che non richiede configurazioni particolari della rete e neppure registrazioni a servizi open- Le prime impressioni sono positive In attesa di capire quanto si risparmia Per ora possiamo dare un giudizio sul funzionamento, e possiamo dire che il sistema Honeywell ci è parso preciso e efficiente. Il controllo remoto funziona davvero bene, la misurazione della temperatura tranne in una zona dove abbiamo sistemato l’offset è precisa e l’installazione ci ha portato via, valvole incluse, meno di mezza giornata. Il costo, più di 600 euro, non è a nostro parere neppure troppo elevato se si pensa che un Tado o un Nest costano comunque 250 euro e offrono solo il controllo “acceso / spento”, seppur intelligente, sulla caldaia. Dal punto di vista della comodità, dal controllo remoto alla programmazione granulare a zona, sicuramente Evohome è un enorme passo avanti rispetto al cronotermostato analogico tradizionale. Resta solo l’incognita del risparmio: facciamo passare l’inverno e poi vediamo i risultati.
© Copyright 2024 Paperzz