n.106 / 15 23 febbraio 2015 Come si cambia per non morire Kazuo Hirai, numero uno di Sony, ha messo mano con decisione alla correzione di rotta della strategia: dopo l’alienazione della divisione VAIO, ha messo in moto lo spin-off (probabilmente per una vendita futura) delle attività dell’audio-video, dei TV e della telefonia, attualmente in perdita; Sony conta di concentrarsi per i prossimi anni sulla progettazione e produzione di sensori CCD e CMOS, sul gaming, e sulle attività di Sony Music e Sony Picture, per tornare al profitto intorno a 2017. Una strada dalla quale Philips è già passata: prima spin-off e poi vendita della divisione TV a TPV; stessa sorte per la divisione audio, passata al gruppo Gibson. Il tutto con buona pace dei “nostalgici” che ancora oggi ricordano i tempi in cui a Eindhoven si scriveva il futuro di TV e Hi-Fi. E la scelta, vista a qualche anno di distanza, non è certo stata sbagliata: le tre aree di business della Philips di oggi, il consumer lifestyle (piccoli elettrodomestici e altri prodotti consumer), l’illuminazione e l’healthcare professionale, danno soddisfazioni agli azionisti. Sony, quindi, fa bene a mettersi nelle condizioni di valutare delle offerte per alienare alcune divisioni, anche se si tratta di quelle che più di altre hanno fatto la storia del marchio. Resta da chiedersi perché nel mondo dell’elettronica di consumo sembri un destino ineluttabile quello che i leader di mercato non possano rimanere in sella per troppo tempo, come se il potere li logorasse. Tornando indietro nel tempo, di molti marchi che hanno fatto la storia quasi non ci ricordiamo più: le tedesche Grundig e Telefunken, sinonimo di affidabilità; grandi giapponesi dell’hi-fi, come Aiwa, Akai e la stessa Technics, resuscitata dopo anni di “frigorifero”; i marchi del video come RCA, Hitachi e soprattutto Pioneer, che pur operando ancora ha abbandonato i TV e gli ormai mitici Kuro. E potremmo andare avanti per molto: nel mondo dell’elettronica di consumo non si resta in sella per molto, soprattutto se si vuole esercitare il controllo della leva produttiva. Apple non molti anni fa era tecnicamente fallita: l’Estremo Oriente, con i taiwanesi sugli scudi, sembrava in quel momento essere l’unica culla possibile per l’informatica consumer. La “pazza idea” di Steve Jobs, la più innovativa di tutte, è stata quella di credere che fosse possibile avere successo con un marchio americano di pura progettazione senza fabbriche proprie; e questo in anni in cui i produttori OEM si comperavano i marchi per cui lavoravano (come Acer che acquisì i PC di Texas Instruments e Lenovo che fece lo stesso con IBM). Il sogno di Jobs è diventato realtà, spostando il punto di forza dalla leva produttiva alla pervasività di un ecosistema software. HP – tanto per fare un esempio – insegue ancora il vecchio modello produttivo, anche nel mercato consumer, e fatica molto, alternando piani di vendita della divisione PC a timidi progetti di rilancio. Samsung è il più grande produttore al mondo ma inizia a soffrire proprio perché troppo legata all’andamento delle vendite e alla produzione, non potendo contare su un ecosistema trasversale che le assicuri ritorni anche dai prodotti già venduti. Non è un caso che Sony voglia continuare a concentrarsi sul gaming, ambito in cui ha di fatto un ecosistema seppur verticale ben affermato; non è un caso che voglia puntare su musica e film, che non sono fatti di silicio ma di creatività pura; non ci stupisce che voglia mantenere la leva produttiva dei sensori, componentistica critica per tutto il mondo dell’imaging (che va molto oltre le sole fotocamere). Ma la lezione è che oggi produrre e vendere al consumatore tanti “pezzi di ferro” non garantisce una crescita costante e potenzialmente infinita: quando l’azienda diventa molto grande, l’inerzia organizzativa diventa troppo forte per riuscire a rispondere ai cicli di vita evidentemente troppo corti rispetto ai tempi della produzione. Insomma, chi è refrattario al cambiamento è meglio che se ne stia lontano da questo mercato. Gianfranco GIardina MAGAZINE Fastweb annuncia fibra a 500 Mbit/s dal 2016 03 Tre diversi standard Tutti i segreti della nuova gamma per il Blu-ray 11 10 di TV Sony Ultra HD Black-out, sbalzi elettrici e danni agli apparecchi Come tutelarsi? 21 Una guida su come difendere, fin dove si riesce, i propri diritti di consumatore Navigare con lo smartphone Che operatore scegliere se 2 GB di dati non bastano? in prova 27 Abbiamo esplorato la giungla delle “opzioni” offerte da Tim, Tre, Vodafone e Wind alla ricerca del pacchetto più conveniente Samsung Note Edge Il lato curvo convince 06 31 03 TIDAL lancia anche in Italia lo streaming Hi-Fi, la nostra prova Microsoft Lumia 435 Offre audio con vera qualità CD, la differenza Costa poco e fa tutto c’è e si sente, ma basta per giustificare un abbonamento che costa il doppio? 36 13 33 Jabra Sport Pulse Un must per lo sportivo n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE mercato L’on. Quintarelli propone di stabilire piattaforme informatiche comuni per la PA L’emendamento Quintarelli passa all’unanimità Il Governo in commissione dà parere negativo, ma alla fine l’emendamento passa di Gianfranco giardina l buon senso digitale e tecnologico entra – anzi potremmo dire irrompe - a Palazzo. Lo fa – inaspettatamente – la scorsa notte alla Camera dei Deputati, durante la lunga discussione per la riforma costituzionale e i tanti emendamenti presentati. Sono passate le 22 e arriva in discussione l’emendamento Quintarelli, che proprio da Stefano Quitnarelli prende il nome, onorevole eletto con Scelta Civica e grande personalità di Internet in Italia. L’emendamento Quintarelli propone di riportare allo Stato non solo la competenza sul formato dei dati che la Pubblica Amministrazione deve adottare, ma anche sui “processi e delle relative infrastrutture e piattaforme informatiche”. Una cosa di una ragionevolezza assoluta: che senso ha parcellizzare a livello regionale le piattaforme della pubblica amministrazione? Chiunque abbia un minimo di buon senso digitale, capisce che il valore di una piattaforma comune è inestimabile, sia per il risparmio che ne consegue, sia per la velocità di interscambio e incrocio dei dati, che è sempre più indispensabile per rendere la burocrazia dello Stato meno ingessata. Una cosa così ragionevole che riceve il parere negativo del Governo e di tutta la commissione che l’ha valutata. Stefano Quintarelli – quindi – pur sostenendo ancora la necessità dell’emendamento, ne annuncia in aula il ritiro per rispetto del Governo. E qui accade l’inatteso: prende la parola l’on. Palmieri di Forza Italia che I L’On. Quintarelli ritira il proprio emendamento Discussione dell’emendamento Quintarelli torna al sommario Gino Paoli indagato per evasione fiscale Predica bene e razzola male? Il presidente della SIAE sarebbe coinvolto in un giro di soldi nascosti al fisco e portati in Svizzera La “casa di vetro” si appanna... annuncia, in opposizione al ritiro del- di piattaforme informatiche comuni tra l’emendamento, di voler sostenere, tutti gli enti della Pubblica Amministracon tutto il proprio gruppo parlamenta- zione, quello che è successo ieri sera re, il provvedimento del collega Quin- ha una sua portata “storica”: la tectarelli argomentandone la sensatezza. nologia è una cosa più legata ai fatti E così a cascata interviene la Lega (che che alle opinioni e agli schieramenti i più avrebbero creduto fermamente politici e, per una volta, la sensatezcontrari alla centralizzazione di una de- za digitale ha sbriciolato gli schemi e cisione, seppur di ordine tecnico) e gli ha riunito l’intero parlamento attorno altri gruppi parlamentari: tutti fanno proprio proprio l’emendamento, come se la votazione in commissione non ci fosse mai stata, come se l’avessero preso in esame sono il quel momento. A quel punto si mettono in moto anche i banchi del Governo: ci si rende conto che L’on. Stefano Quintarelli non è possibile predicare a mo’ di slogan l’agenda digitale e la rapida digitalizzazione del Paese e a un emendamento che - ironia della poi inciampare su un emendamento sorte - aveva avuto solo bocciature in di totale buon senso. E quindi, via, in commissione. Il Parlamento torna soretromarcia all’impazzata: il Governo, vrano e lo fa con un tema tecnologico, per bocca del Ministro Boschi, annun- anche se c’è chi dice che l’elemento cia il cambiamento del proprio parere chiave è stato il paragone calcistico sull’emendamento Quintarelli, sconfes- fatto da Quintarelli nel suo breve insando tutto quanto detto fino a prima. tervento. Un Parlamento che, pur salFinisce con un plebiscito: l’emenda- vandosi in corner (tanto per restare sul mento Quintarelli, che Quintarelli si tema), ha dimostrato ancora una volta era rassegnato a ritirare, viene invece di essere troppo ignorante sui temi posto ai voti per acclamazione e ap- tecnologici. Grazie a Stefano Quintaprovato all’unanimità. Qui sotto il video relli, quindi, per aver dimostrato che della discussione e del voto, molto in- la luce in fondo al tunnel c’è, anche teressante da vedere. se toccherà ancora correre molto per Al di là dell’importante portata del- portare fuori dalle sabbie mobili la pal’emendamento, che scrive in Costitu- chidermica macchina della Pubblica zione la necessità dell’identificazione Amministrazione. di Gianfranco GIARDINA Gino Paoli, presidente della SIAE, è indagato per evasione fiscale: avrebbe nascosto al fisco 2 milioni di euro, trasferiti illegalmente in un conto svizzero. La Guardia di Finanza avrebbe perquisito l’abitazione del cantautore e gli uffici di una società che cura i suoi interessi. Ovviamente le accuse, che nascono dalle intercettazioni telefoniche legate al caso Berneschi e Carige, dovranno essere verificate e confermate. Ma se così fosse, sarebbe un duro colpo alla credibilità di Paoli, soprattutto nella sua veste di presidente di un ente che svolge una funzione pubblica come la SIAE. Il “corso Paoli” nella gestione della SIAE è stato all’insegna della discontinuità con una certa opacità del passato: “La Siae vive una stagione oggettivamente nuova – ha affermato Paoli -, la mia Siae è una casa di vetro”. Lo stesso Paoli, durante il dibattito legato alla ridefinizione del compenso per copia privata è stato indicato da molti sostenitori degli aumenti come un importante “ruolo di garanzia”: con lui alla guida di SIAE – hanno detto in tanti – non abbiamo dubbi sulla corretta ridistribuzione dei proventi. In questi mesi, poi, lo stesso Paoli ha ripetutamente tuonato contro le multinazionali estere “che non pagano le tasse in Italia” e si eretto a paladino della creatività italiana e dell’industria della cultura che crea lavoro e paga le imposte nel nostro Paese. Sarà difficile per il Maestro Paoli sostenere ancora tesi di questo tipo se le accuse verranno dimostrate: la strada delle dimissioni, in una “casa di vetro” sempre più appannata sembra oggettivamente già imboccata... n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE mercato Annunciato il nuovo piano di espansione della rete in fibra ottica di Fastweb Fastweb annuncia fibra a 500 Mbit/s dal 2016 Connettività fino a 500 Mbit/s dal 2016 e linee a 100 Mbit/s al 30% della popolazione italiana di Paolo centofanti astweb ha annunciato oggi a Milano un piano di investimenti pari a 100 milioni di euro per il potenziamento della propria rete in fibra ottica. A partire dal 2016, Fastweb aggiornerà gli armadi della rete FTTC (Fiber to the Cabinet) con le tecnologie G.fast e VDSL Enhanced, portando la velocità di connessione oltre i 100 Mbit/s e potenzialmente fino a oltre 500 Mbit/s. Questa operazione di aggiornamento tecnologico consentirà a Fastweb, secondo l’amministratore delegato Alberto Calcagno, di centrare entro il 2020 gli obiettivi dell’Agenda Digitale, garantendo una connettività di almeno 100 Mbit/s per tutti gli utenti raggiunti dalla propria rete, vale a dire il 30% della popolazione italiana. La notizia principale però emersa dall’incontro di oggi, è che Fastweb ha ormai eletto l’architettura di rete in fibra ottica FTTC come soluzione di sistema e a lungo termine per lo sviluppo della banda ultra larga in Italia. Secondo quanto dichiarato oggi da Calcagno, infatti, alla luce dei nuovi risultati prestazionali ottenuti, sia sul campo con tecnologia G.fast, che in laboratorio con ulteriori evoluzioni della tecnologia (si parla di oltre 1 Gbit/s su doppino), e dei ben noti vantaggi in termini di investimenti necessari rispetto alla realizzazione di reti FTTH (fiber to the home), l’FTTC è la strada da seguire per l’intero paese. Per questo Fastweb auspica che il Governo decida di investire i fondi per lo sviluppo della banda ultra larga proprio sulla realizzazione di reti di questo tipo. Fastweb ha pre- F sentato oggi insieme ad Alcatel-Lucent, partner tecnologico per lo sviluppo della rete in fibra, i risultati di una sperimentazione sul campo della tecnologia G.fast eseguita a partire da ottobre. In uno scenario con circa 1000 utenze attive, Fastweb ha registrato velocità medie di 200 Mbit/s per l’80% degli utenti e superiori ai 500 Mbit/s per il 20% delle abitazioni raggiunte dai test. La differenza nelle prestazioni è dovuta dalla distanza dell’apparato dell’utente dall’armadio di strada. In Italia la distanza media è di circa 250 metri, una delle più basse d’Europa, e sotto i 150 metri le nuove tecniche di trasmissione consentono di superare la barriera dei 300 Mbit/s. Questo tipo di approccio però non è privo di problemi. Il primo, e più ovvio, è la qualità della rete in rame nell’ultimo tratto che arriva a casa dell’utente, specie nei fabbricati più vecchi, dove gli interventi sono tutt’altro che semplici. Il secondo, più subdolo e che rende più critica l’architettura FTTC a livello nazionale, specie sul lungo periodo, è legato alla tecnologia di Alberto Calcagno, amministratore delegato di Vectoring, il fattore “abiliFastweb illustra i vantaggi della copertura FTTC. tante” al raggiungimento Basterebbero 3,5 miliardi di euro per arrivare di capacità di trasmissione all’85% della popolazione, il 70% in meno rispetdell’ordine delle centinaia to alla rete FTTH. di megabit al secondo. Il torna al sommario Telecom diventa TIM con un’offerta semplificata Entro il 2016 TIM sarà l’unico brand per la telefonia fissa e mobile di Telecom. In arrivo gli abbonamenti a pacchetto e, da luglio, la bolletta mensile di Roberto pezzali Vectoring, infatti, è una tecnologia di cancellazione del rumore molto efficace, ma al momento incompatibile con l’unbundling fisico dell’ultimo miglio in uno scenario multi-gestore. Affinché il Vectoring funzioni in modo ottimale, i doppini in rame di un armadio dovrebbero essere tutti collegati all’apparato DSLAM di uno stesso operatore, ma cosa succederà tra 5 o 10 anni quando, si spera, la concorrenza sulla banda ultra larga si allargherà e più gestori si contenderanno i doppini degli utenti? In questo caso, solo accessi in bitstream permetterebbero di sfruttare le nuove tecnologie e ottenere le velocità promesse. Insomma, se probabilmente l’FTTC è la strada più veloce per arrivare ai 100 Mbit/s, c’è il rischio che poi ci si fermi li. Telecom si veste di nuovo: è iniziata la fase di rebranding che farà convogliare sotto l’unico marchio commerciale TIM tutte le attività di telefonia fissa e mobile. Il piano fa parte del nuovo corso di Telecom che spingerà su qualità del servizio, prezzi e semplificazione tariffaria. “Abbiamo superato in maniera significativa i target annuali previsti nel piano industriale 2014-2016 - ha detto l’AD Patuano - e ad oggi con il 4G sono stati coperti più di 3.500 comuni pari ad oltre l’80% della popolazione, mentre con la fibra ottica abbiamo raggiunto circa il 30% del territorio nazionale e lanciato i servizi ultrabroadband in oltre 130 città. Stiamo facendo molto per dotare il Paese di reti di nuova generazione e continueremo a farlo sempre di più”. Riguardo all’offerta Telecom Fibra, tra poco,partirà anche l’offerta con Sky per accedere via rete all’intera offerta in HD. TIM preparerà per il fisso tariffe flat a pacchetto, come per le tariffe mobile: il canone non sarà più visibile come “canone Telecom” ma come canone mensile fisso in un’unica voce di spesa. La prima offerta, “Tutto Voce”, a 29 euro al mese, offrirà chiamate illimitate verso tutti i telefoni fissi e i cellulari nazionali; chi vorrà anche l’ADSL avrà “Tutto”, 44.90 euro al mese per ADSL e chiamate illimitate verso fissi e cellulari. Novità anche per i clienti Telecom: gli abbonati da più di 10 anni potranno usufruire gratis per un anno del servizio ADSL “flat”, mentre chi ha già l’ADSL potrà passare alla fibra ottica mantenendo lo stesso prezzo. Infine, a partire da luglio la bolletta diventerà mensile. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE mercato La scheda italiana per maker è al centro di un piccolo giallo: nascono due siti, con gli stessi loghi e prodotti e team differenti Giallo Arduino: due società, due CEO, ma stesso logo e stessi prodotti L’arrivo del nuovo Amministratore Delegato, che vorrebbe dare una svolta business, è stata smentita dal fondatore A di Roberto Pezzali rduino è una delle poche eccellenze italiane nel mondo della tecnologia: la scheda di prototipazione usata da artigiani digitali di tutto il mondo per dar vita ai propri progetti è nelle ultime ore al centro di un vero e proprio “giallo”: molti organi di stampa riportano infatti l’arrivo, come nuovo amministratore delegato, di Federico Musto. Musto prenderebbe la poltrona del più noto fondatore di Arduino, Massimo Banzi, uno dei cinque ideatori del progetto originale. Il condizionale è d’obbligo, anche perché lo stesso Banzi sembra aver smentito tutto assicurando di restare saldamente alla guida di Arduino. Un bel pasticcio, soprattutto per chi non è così esperto e si trova di fronte a due siti, Arduino.cc e Arduino.org, che usano gli stessi loghi e che sembrano far capo alle stesse persone. Difficile capire quello che sta succedendo, ma l’ipotesi più accreditata è quella di una scissione o di una spaccatura all’interno del team originale dovuta ad una visione di vedute differente: da una parte Banzi vuole tenere il progetto legato al mondo dei maker senza stravolgimenti, dall’altra invece c’è chi pensa di dover dare una svolta “corporate” ad Arduino incentivando le collaborazioni con le grandi aziende e arrivando, in qualche anno, allo sbarco in borsa. “Da oggi la realtà industriale che era il gruppo Arduino cambia - ha spiegato all’ANSA l’amministratore delegato di Arduino.org Federico Musto - perché il mercato dei ‘makers’ non è più quello che era ai tempi del bar di Ivrea e sulla scena ci sono in gioco oggi player importanti come Intel e altri colossi internazionali. Noi rimaniamo fedeli a ciò che siamo stati sin dall’inizio, una società che pro- duce software e hardware open source, ma è necessario avere una dimensione internazionale che sia in grado interagire con questi gruppi. L’accordo di Intel ha avuto un effetto domino, dandoci visibilità e attirando su di noi l’attenzione di altri gruppi che ci hanno contattato per realizzare dispositivi con la nostra tecnologia, come per esempio Bosch. Questo ci ha fatto capire che ci serviva una marcia in più. Oggi la produzione di Arduino continua ad essere italiana ma abbiamo aperto filiali a Shanghai, in Giappone e negli Usa e quei mercati ci permettono di poter crescere nonostante la stagnazione e la crisi europea”. L’altra faccia di Arduino, quella storica e riconosciuta da tutti, non la pensa però allo stesso modo: in una nota infatti Banzi spiega che Arduino Srl non ha nulla a che fare con Arduino e che questa società, conosciuta prima come Smart Projects con sede a Strambino, provincia di Torino, ha cambiato da pochi mesi il proprio nome in Arduino Srl senza averne l’autorizzazione. Dietro la nuova società ci sarebbe tuttavia Gianluca Martino, uno dei cinque fondatori insieme a Banzi della stessa Arduino, e questo spiega il motivo per il quale anche la nuova società usa senza alcun problema il logo ufficiale. Capire ora cosa succederà è difficile: Banzi è da sempre riconosciuto come la figura simbolo di Arduino, colui che mette la faccia a convegni, partecipa alle fiere di makers e porta avanti il progetto con passione. I makers si identificano il lui e identificano in lui Arduino, ma è chiaro che il possibile giro d’affari della scheda, con un fatturato che potrebbe arrivare a 50 milioni di euro nei prossimi anni spingendo sulle collaborazioni con le grandi aziende, fa gola a molti. mercato L’OLED avanza, nonostante Samsung venda meno smartphone hi-end di un tempo Samsung investe 3,6 miliardi di dollari sull’OLED Samsung punta sui display OLED per il mercato mobile, proprio mentre LG scommette sui TV N di Massimiliano zocchi onostante un mercato mobile che non dà più all’azienda le stesse soddisfazioni di un tempo, Samsung è decisa ad aumentare la produzione dei suoi pannelli OLED dedicati al mercato mobile. Infatti troviamo display Samsung oltre che nei modelli di punta torna al sommario prodotti in casa, anche su altri terminali di aziende terze. Per far questo è pronto un investimento da 3.6 miliardi di dollari per allestire una nuova linea di produzione, che sarà operativa molto presto. In sostanza Samsung punta a tornare ai fasti del passato non solo mediante una nuova linea di smartphone (l’azienda presenterà a breve Galaxy S6 e Galaxy Edge), ma anche rafforzando il suo ruolo di fornitore per aziende terze. E in questo senso l’Amoled offre effettivamente il miglior compromesso tra qualità d’immagine e costi da sostenere. Samsung non crede ancora negli OLED utilizzati nei grandi schermi, per cui si concentrerà sulla produzione di unità dal taglio più piccolo, per smartphone e tablet. Di tutt’altro avviso è invece LG, che notoriamente sta scommettendo molto sulla sua gamma di TV OLED, con una schiera di nuovi modelli in arrivo. E anche in questo caso ci sarà una nuova iniezione di capitali per far crescere la produzione e la presenza sul mercato. La cifra per LG è inferiore, si parla di 1 miliardo di dollari, investimento che andrà ad aggiungersi a quelli recentemente approntati. Sembra che il 2015 sarà l’anno della svolta per il mercato degli OLED. MAGAZINE Estratto dal quotidiano online www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago, Simona Zucca, Alessandra Lojacono Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni dday@dday.it Per la pubblicità adv@dday.it n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE mercato Per tornare agli utili Sony crea una divisione a parte per gestire l’audio-video Sony scorpora anche la parte audio-video TV e smartphone potrebbero finire sul mercato; si punta su PS4, Sony Pictures e sensori di Roberto PEZZALI a vecchia Sony, quella fondata da Akio Morita, non esiste più. Walkman, TV, audio e digital imaging non rientrano più nei piani dell’azienda che ha deciso di creare una divisione a parte per gestire tutto il business audio video. L’annuncio, che era nell’aria, è stato dato da Kazuo Hirai ed è l’ultimo tassello della strategia commerciale con la quale Sony spera di tornare agli utili nel prossimo triennio. Il concetto di One Sony, una company unica con prodotti che dialogano tra loro e divisioni perfettamente sinergiche, è tramontato definitivamente, il tutto a poco più di un anno dall’annuncio: la nuova Sony sarà PS4, Sony Pictures e sensori per gli iPhone. Tutto il resto, dall’audio ai Blu-ray, sarà relegato in una divisione a parte, uno spin off che assomiglia molto ad un pacchetto da vendere al miglior offerente. Kazuo Hirai ha idee ben precise anche per la divisione TV e smartphone: come successo ai Vaio, prima scorporati e poi venduti, smartphone e TV sono L I dati di IDC sul mercato cinese eleggono Xiaomi primo produttore di smartphone del 2014 con crescita a tripla cifra, quasi interamente ai danni di Samsung di Paolo CENTOFANTI da considerarsi sul mercato in attesa di acquirenti, e non è escluso che una sorte simile possa toccare anche alle altre divisione audio e video. Sony ha deciso di puntare sugli unici tre segmenti al momento in attivo: la PlayStation 4, che sta facendo indubbiamente bene, Sony Pictures, che nonostante i problemi avuto con il recente attacco hacker resta una azienda in attivo e i sensori per smartphone e fotocamere, un business però legato quasi esclusivamente alle forniture per Apple e Nikon. Se una di queste due aziende dovesse decidere di cambiare fornitore, magari creandosi i sensori in casa, per Sony la situazione sarebbe ancora più buia. Per gli amanti del brand Sony, coloro che sono nati e cresciuti con il mito della migliore azienda d’elettronica giapponese, con walkman in tasca e TV Trinitron a casa, è un giorno molto triste. La vecchia Sony non esiste più. mercato WitsView ha pubblicato la classifica delle aziende che hanno venduto più TV nel 2014 Samsung, LG e Sony sul podio dei TV più venduti Al quarto posto c’è TCL, Hisense è quinta; spariscono dalla top ten Panasonic e TPVision di Roberto PEZZALI ono i coreani a dominare ancora una volta il mercato TV: Samsung, con il 22.8%, si conferma ancora una volta la regina del televisore incrementando addirittura le quote del 2013 che la vedevano al 21%. Dif- S torna al sommario Xiaomi conquista il mercato cinese In un anno crescita del 180% ficile che lo schermo curvo abbia spostato gli equilibri, più probabile che siano stati i TV di fascia medio bassa e i paesi emergenti. Al secondo posto arriva LG: anche lei dal 13.7% del 2013 si è portata al 14.9% dimostrando comunque un notevole incremento di vendite. Terza Sony, che si scambia di posto con TCL, mentre resta stabile Hisense al quinto posto che registra comunque un piccolo guadagno in percentuale. Philips, Panasonic e Toshiba spariscono: in questo caso si pagano le scarse vendite nel mercato americano, dove Vizio continua a ricoprire una quota importante e altri brand stanno prendendo il loro posto. In salita anche altri cinesi emergenti, come ChangHong: presente al CES allo stesso posto che storicamente apparteneva a Microsoft, l’azienda sembra avere la tecnologia e i prodotti giusti per crescere come TCL e Hisense. Ricordiamo che i dati di WitsView si riferiscono agli “shipments”, ovvero ai TV spediti dalle fabbriche alle filiali per la vendita nei negozi e quindi sono più allineati al sell-in che al sell-out, ovvero dai TV poi effettivamente acquistati dai consumatori. Dai nuovi dati rilasciati il 17 febbraio da IDC arriva un’ulteriore conferma della crescita esplosiva di Xiaomi, giovane brand cinese che in patria sta letteralmente sbaragliando la concorrenza. Secondo le stime di IDC, Xiaomi è stato il produttore di smartphone di maggiore successo del 2014, con una crescita anno su anno in termini di prodotti spediti pari al +186%, passando da una quota di mercato del 5,3% nel 2013 al 12,5% di oggi. A farne le spese è stata principalmente Samsung, che ha perso il controllo del mercato cinese, passando dalla fetta del 18,7% del 2013 al 12,1% nel 2014, appena sotto a Xiaomi. Il tracollo di Samsung è ancora più marcato nei dati dell’ultimo trimestre del 2014, dove il produttore coreano è scivolato al quinto posto, non avendo nuovi prodotti sul mercato, in un periodo che ha visto anche il lancio sul mercato cinese dei nuovi smartphone Apple. Nell’ultimo trimestre il produttore californiano si è aggiudicato il secondo posto in Cina, appena dietro a Xiaomi. Difficile dire se il successo di Xiaomi è replicabile al di fuori del mercato cinese, ma comunque resta il fatto che guardando questi numeri i maggiori produttori di smartphone hanno sicuramente di che preoccuparsi. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE mercato Quando lo smartphone viene usato in modo intensivo i “classici” 1 o 2 GB di traffico dati finiscono velocemente Navigare da smartphone: quale tariffa conviene quando i soliti 2 GB di traffico dati non bastano? Per aumentare il traffico dati bisogna entrare nella giungla delle “opzioni” offerte da Tim, Tre, Vodafone e Wind A quanto si può arrivare? E soprattutto, tra le moltissime offerte a disposizione quale risulta la più conveniente? C di Emanuele VILLA on l’anno nuovo pare che gli operatori mobili abbiano deciso di allentare le maglie della navigazione Internet, offrendo ai clienti piani e opzioni dati decisamente più capienti rispetto a quelli del passato. Ciò si tramuta in un vantaggio non indifferente per gli utilizzatori, che tra WhatsApp, Facebook, condivisione di foto, backup, streaming e navigazione, si ritrovano a esaurire il plafond mensile al 10 del mese e a dover pagare per il consumo extra. O a subire forti limitazioni sulla velocità di navigazione, al punto da poter semplicemente consultare la mail e poco altro. Gli operatori, dal canto loro, hanno sempre rivolto questa esigenza a proprio vantaggio: mentre i piani per la comunicazione vocale e gli SMS sono diventati poco per volta illimitati (e lo saranno sempre di più), gli operatori hanno deciso di ridurre il più possibile il plafond dati dei propri piani consumer, che dai 10, 20 GB di qualche anno fa sono passati a 2 GB, 1 GB, magari 1 GB frazionato in tagli settimanali o addirittura quotidiani e non cumulabili. Peccato che, tra app sempre più pesanti, comunicazione via IP serrata, condivisione di elementi multimediali quali foto e video, streaming audio sempre più diffuso e backup cloud, 1 e 2 GB non sono davvero sufficienti per chi fa un uso intensivo del telefono. Dal canto loro, gli operatori hanno più di un motivo per non offrire Internet Mobile illimitato a poco prezzo: devono evitare di congestionare la propria rete sulla quale convergono smartphone, tablet e chiavette, gestire in modo saggio il “problema” del tethering e, ovviamente, massimizzare il profitto. In quest’ottica si comprende non solo la limitazione dei profili base a pochi GB di plafond, ma anche il blocco del tethering (gratuito) effettuato da qualche operatore e, nel caso di profili a tempo e non a consumo (cosa che accade soprattutto nelle chiavette), l’abbattimento della banda sopra un certo quantitativo di traffico. Ciò premesso, e limitando il discorso alla navigazione via smartphone (potremo dedicare a PC e tablet un appuntamento successivo), è da tempo possibile alzare il proprio piano dati mediante opzioni ad hoc, da attivare contestualmente alla sottoscrizione di un piano tariffario o anche un secondo momento. Vediamo fin dove si spingono Tim, Vodafone, Tre e Wind quando si parla unicamente di navigazione mobile da smartphone. ci ha creato qualche grattacapo sulle opzioni avanzate, rendendo necessaria una telefonata al call center (comunque risolutiva). Parlando di profili ricaricabili, i punti di partenza sono due: TIM special, che offre quattro profili più o meno per tutte le esigenze, e TIM Young per chi ha meno di 30 anni. Prendendo in considerazione la prima ipotesi, il plafond di dati è molto basso, siamo su 500 MB o 1 GB, al di sotto delle nostre esigenze a meno che non si vada sull’opzione Unlimited con voce ed SMS illimitati, opzione che porta con sè 3 GB di dati ma è anche piuttosto costosa (49 euro/mese). In tutti questi profili è garantita la navigazione su rete 4G (cosa non scontata, come vedremo), con prezzi che vanno da 15 a 49 euro/mese. Volendo massimizzare i GB a nostra disposizione, abbiamo due strade: acquistare un TIM Special tra quelli proposti e somsegue a pagina 07 In tabella i costi del profilo Tim Special, a cui abbiamo aggiunto l’opzione 2 GB (10 euro/mese). Con TIM fino a 20 GB “consumer” Ma i prezzi sono elevati Partiamo da TIM e cerchiamo di costruire un’offerta consumer interessante ai fini della massimizzazione del traffico dati. A dire il vero il sito dell’operatore, molto semplice da consultare nelle opzioni di base, torna al sommario Qui sopra, invece, abbiamo Tim Special con l’aggiunta di 10 GB (20GB per i clienti Telecom Italia). n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE mercato Navigare da Smartphone Che operatore conviene? segue Da pagina 06 marvi un’opzione ad hoc da 2 GB extra (10 euro in più) oppure acquistare lo stesso TIM Special e sommarci un’opzione generica Internet che vale per tutti i profili ricaricabili (Tim Special è compatibile, ci dice il Call Center) e permette di aggiungervi 2, 5 o 10 GB, che diventano 4, 10 o 20 GB se si ha un contratto in essere con Telecom Italia. A tutto ciò si aggiungono alcuni plus interessanti, quali primo mese gratis, attivazione gratuita, chiamate illimitate verso TIM, ricariche doppie e altro ancora, da verificare sul sito dell’operatore. La seconda ipotesi è quella di associare un profilo Tim Special di cui sopra (da 15 a 49 euro/mese, da 500 MB a 3 GB) con un’opzione Internet Ogni Mese, che è prevista nei tagli da 2, 5 e 10 GB, che diventano 4, 10 e 20 GB qualora si abbia un contratto residenziale con Telecom Italia. Il Call Center ci ha infatti confermato che l’opzione Internet ogni mese è compatibile con i profili Tim Special, cui vanno sommati 10 euro per il taglio da 2 GB (3G), 20 euro per quello da 5 GB (3G) e 30 euro per quello da 10 GB (LTE). L’opzione in questione diventa molto interessante qualora, come nel nostro caso, si vogliano tanti GB ma si possano trascurare i minuti di conversazione e gli SMS. Se poi si ha un contratto con Telecom Italia il tutto diventa ancor più interessante, poichè potremmo partire dalla Limited Edition per nuovi clienti (15 euro/mese) e sommarvi 20 GB di dati LTE pagando 45 euro in tutto: 200 min/200 SMS/20 GB LTE. Tre é molto conveniente 15 euro per 4 GB, voce ed SMS illimitati Esaminando l’offerta consumer di Tre si notano alcuni elementi molto interessanti: qualora si opti per un abbonamento (Unlimited SIM), l’operatore punta a rendere attraente la propria offerta da 7 GB (Top Unlimited Plus), proponendola a 25 euro mensili con traffico voce illimitato anche all’estero e SMS illimitati. Difficile per un Power User valutare l’opzione Top Unlimited (non Plus), che a fronte di un risparmio di 10 euro al mese propone 1 solo GB di Internet LTE. I profili ricaricabili senza smartphone (All-In) puntano invece alla massima convenienza ma, al tempo stesso, vincolano fortemente la banda dati concessa: il profilo più recente è All-In One Special 2015, che offre chiamate illimitate e SMS illimitati ma solo 1 GB di dati da frazionare in 250 MB a settimana, troppo poco per le esigenze di chi usa il telefono per più che consultare la posta o navigare su due siti. E gli altri profili All-In, pur molto economici, non ci risolvono il problema poichè, nella migliore delle ipotesi, abbiamo 2 GB frazionato in settimane (non cumulabili) da 500 MB. Il problema lo risolve un’opzione extra introdotta di recente e chiamata Super Internet per Smartphone, attivabile sia su profili ad abbonamento (che però nel caso della nostra simulazione ne avrebbero meno bisogno e in più sono vincolati al limite di 100 MB al giorno), sia su quelli ricaricabili. In pratica, esso dà al profilo ricaricabile 3 GB al mese a 5 euro, e tra l’altro senza alcuna segna- torna al sommario Ecco alcune ipotesi di piani tariffari proposti da Tre, per superare i 5GB occorre scegliere l’abbonamento. lazione a proposito di vincoli quotidiani o settimanali. Ciò significa, in sostanza, portare a 4-5 GB i profili da 1-2 GB, tutta un’altra vita ai nostri fini. Andando a indagare nelle note non si legge nulla di strano o particolare, se non il “solito” rinnovo automatico, un costo di attivazione di 9 euro per i già clienti e l’incompatibilità con alcuni piani tariffari non più attivabili e opzioni passate. E questo ci conferma che All-in One Special 2015 è uno dei piani tariffari più convenienti in assoluto, ma attenzione all’impegno contrattuale di 30 mesi, ben segnalato nelle note: sommandolo all’opzione ricaricabile Super Internet si ottengono minuti illimitati, SMS illimitati e 4 GB (quota già interessante per il power user) a 15 euro al mese, tutto compreso ad eccezione dell’LTE, che costa in promozione 1 euro/mese. L’altra possibilità è quella di portare a 5 GB (sempre via Super Internet per smartphone) i profili All-in da 2 GB: l’opzione più economica è All-in 200, che costerebbe in tutto 14 euro, ma con limitazioni importanti a livello di traffico voce e SMS. Tutto sommato, l’All in One Special 2015 + Super Internet è in assoluto l’ipotesi dal miglior rapporto qualità/prezzo dell’operatore. Attenzione però: oltre al vincolo dei 30 mesi, l’LTE si paga extra, costa 9 euro di attivazione (per chi è già cliente Tre), 1 euro al mese fino al 30 giugno 2015 e poi 9 euro al mese. A meno che non intervengano nuovi sconti o proroghe, il prezzo del 4G andrebbe a incidere fortemente sulla spesa mensile finale. Chi vuole superare la soglia dei 5 GB deve rivolgersi a un abbonamento, con preferenza per l’Unlimited Top che costa 25 euro/mese e offre 7 GB di LTE, o meglio ancora va ai titolari di Partita IVA, che possono accedere ai profili MyBusiness con Internet fino a 20 GB a circa 30 euro al mese. Vodafone è ultra-versatile, abbastanza costosa ma ha molti servizi inclusi biliti su cui aggiungere opzioni specifiche, Vofafone permette - per il ramo ricaricabile - di costruire la propria offerta con la massima flessibilità. Si parte da un profilo di base da 500 minuti verso tutti (+100 MB di dati) e si aggiungono le opzioni preferite a seconda delle reali necessità. Si parte da 10 euro e si possono aggiungere 1 GB LTE (5 euro/mese), 2 GB LTE (10 euro/mese) o 5 GB LTE (19 euro/mese). Vista la finalità di questo servizio, nel nostro caso aggiungiamo 5 GB e il taglio minimo di SMS, trovandoci con 500 minuti, 100 SMS e 5 GB per 31 euro. Il costo è circa il doppio rispetto a quello di Tre, ma ci sono dei servizi extra da valutare, oltre al fatto che vanno messi in contro eventuali vincoli temporali, la tecnologia impiegata (3G/4G), e la qualità del servizio, che non si può misurare con tariffe e dati vari: i 5 GB extra, che da soli costano 19 euro, comprendono 6 mesi di Spotify Premium (9,9 euro/mese), Infinity (6,9 euro/mese) e Vodafone Calcio (6,9 euro/mese). Visto che parliamo di smartphone, l’idea è ottima per chi ha già un abbonamento a un servizio di musica in streaming, poichè permette di disattivarlo e risparmiare circa 10 euro al mese, che vanno sottratti alla tariffa applicata da Vodafone. Situazione migliore partendo dal profilo Unlimited (200 minuti e 2 GB), cui aggiungiamo 2 GB LTE e 100 SMS andando a pagare in tutto 24 euro al mese (+3 euro di attivazione) per 4 GB. Purtroppo però il piano Unlimited può essere sottoscritto solo sotto i 30 anni di età. Chi opta per un abbonamento e vuole una quantità di dati corposa può agire scegliendo un profilo esistente (Relax Mini, Relax o Relax Completo) ed eventualmente aggiungervi 1GB, 2GB o 5GB di Internet 4G in più. Considerando che Relax Completo offre già 5 GB inclusi, si possono raggiungere anche i 10 GB ma a costi decisamente superiori rispetto all’offerta ricaricabile. Al momento in cui si scrive, l’ipotesi L’attuale offerta di Vodafone ci ha stupito in termini di versatilità: anzichè ricadere nei soliti profili presta- segue a pagina 08 Vodafone ricaricabile, alcune ipotesi ottenute partendo dal profilo base aggiungendo diverse opzioni dati. n.106 / 15 23 febbraio 2015 mercato Navigare da Smartphone Che operatore conviene? segue Da pagina 07 migliore a livello di qualità/prezzo (anche perchè al momento è in offerta) è Relax, che offre minuti ed SMS illimitati + Internet 2 GB 4G a 29 euro/mese: troppo poco considerando le nostre finalità, per cui occorre aggiungervi 5 GB per 15 euro, andando a pagare 44 euro/mese. Valgono le considerazioni di cui sopra sui diversi servizi inclusi. Con Wind fino a 12 GB da condividere Grazie a un sito web molto chiaro, l’offerta Wind per smartphone è piuttosto semplice da “interpretare”. Partendo con i profili ricaricabili abbiamo svariati profili che costano da 9 a 16 euro/mese e offrono la solita dotazione crescente di minuti/SMS e traffico web, che però (come al solito) non supera i 2 GB quindi, nel nostro caso, va integrato con qualche opzione ad hoc. Nella fattispecie, a tutti i profili citati possiamo aggiungere 1 o 2 GB di dati, andando a un massimo di 4 GB al mese. Ai nostri fini, ci piace la All Inclusive Music, poichè per 22 euro al mese (passando però a Wind, altrimenti sono 2 euro in più) si hanno 4 GB e in più un abbonamento illimitato allo streaming musicale di MAGAZINE Napster. Lo streaming non è a tempo, quindi la durata dell’offerta è a tempo indeterminato a seconda degli accordi tra Wind e Napster: il traffico consumato incide però sul piano dati. Chi dovesse avere in questo momento un contratto in essere con Spotify, Deezer o un altro fornitore, passando a Wind risparmierebbe i 10 euro mensili attualmente pagati, rendendo l’offerta “arancione” quanto mai interessante. Ovviamente la possibilità di avere molti GB di Internet riguarda anche gli abbonamenti consumer, che partono tutti da 2 GB ma possono essere portati a 5 GB con 5 euro in più. Ma in realtà la soluzione alla “fame di GB” sta altrove, e precisamente nei profili Open Internet, che sono attivabili su tutte le SIM ricaricabili Wind (quindi anche con i profili di base di cui sopra) e con cui si va ben oltre i 45 GB previsti nei casi precedenti. Open Internet è inoltre l’opzione da considerare qualora si voglia condividere il piano dati con altre sim Wind ricaricabili, fino a un massimo di 4. Da ricordare, poi, che tutte le opzioni Internet di Wind permettono di navigare alla massima velocità possibile, quindi in LTE senza maggiorazioni di prezzo. l taglio più basso è da 3 GB (9 euro/mese), ma ci sono anche le versioni da 6 GB (14 euro/mese) e da 12 GB (19 euro/mese) per chi ha bisogno di grandi quantità di dati o di condivisione con tanti utenti di sim Wind ricaricabili. Proviamo allora a fare una simulazione partendo da un profilo voce di base (Noi Tutti, 200 minuti, 6 euro/mese), aggiungendovi il taglio minimo I profili Wind ricaricaribili con l’aggiunta di 2 GB dati extra. I profili Wind in abbonamento, con l’aggiunta di 3 GB dati extra. Wind, la simulazione di un profilo tariffario base con l’aggiunta di 100 SMS e 12 GB di Open Internet. torna al sommario di SMS (100, 1 euro/mese) e una Open Internet da 12 GB: otteniamo 26 euro al mese, davvero niente male considerando il traffico dati incluso. Tiriamo le somme Convenienza o GB infiniti? Quanto sopra non vuole essere un trattato esaustivo delle possibili offerte e combinazioni proposte dagli operatori italiani (ci vorrebbe un’enciclopedia per considerare e valutare tutti i casi), ma semplicemente la dimostrazione di alcuni punti importanti: innanzitutto che gli operatori tendono a mantenere molto basso il plafond dati dei propri profili di base, solitamente nell’ordine dei 500 MB, 1 GB o 2 GB, con rare eccezioni. La concorrenza è fortissima nella fascia degli utenti casual e non è assolutamente raro trovare opzioni comprensive di voce, SMS e dati a 10 o pochi più euro. Trascurando ipotesi particolari e profili limitati a una certa fascia d’età, Tre e Wind partono addirittura da 9 euro/mese, mentre bisogna spendere qualcosa di più per Tim e Vodafone (circa 15 euro/mese), ma l’offerta è anche più ampia. Altro punto fermo che emerge dal nostro confronto è che salire di GB è sempre possibile, ma il concetto di Flat vero e proprio (come quello di casa) non esiste: è facile aggiungere 1 GB, 2 GB, o 5 GB, ma - eccezioni escluse - superare la soglia dei 10 GB costringe a spese mensili non indifferenti. A livello di mera convenienza, l’opzione di Tre All in One Special 2015 + Super Internet da 3 GB ci sembra quasi imbattibile al momento: 14 euro per 4 GB di dati (non LTE, però), illimitati SMS e minuti di conversazione ci sembra una tariffa notevole, anche se - come già detto più sopra - bisogna informarsi bene sui vincoli, costi accessori e su varie incompatibilità, per i quali il sito Tre è molto esaustivo. Ci è piaciuto molto il discorso dell’Open Internet di Wind, che oltre al fatto di estendere in modo importante il plafond dati mensili e permettere la condivisione su più SIM, è anche relativamente economico. Se con Tre portiamo a casa 4 GB (vedi ipotesi precedente) al mese con 15 euro, qui con 10 euro in più ne abbiamo a disposizione 12 e tutti LTE. Poi dipende logicamente dalla configurazione scelta da ognuno, ma di per sè Wind permette di arrivare a grossi quantitativi di dati contenendo di molto la spesa. Se poi si associa l’Open Internet a un profilo come l’All Inclusive Music, che consta di abbonamento Premium a Napster a tempo indeterminato, si può ascoltare musica tutto il giorno, ovunque, dimenticandosi del proprio plafond dati. Tim e Vodafone sono in media più care rispetto a Wind e Tre, presumibilmente puntando su una maggior copertura per quanto concerne il 4G, che al momento viene offerto (gratuitamente o come opzione extra) da tutti i big four. Di Tim abbiamo apprezzato la possibilità di raggiungere, anche nel ramo consumer (quello che ci interessa) 20 e più GB di LTE, un’ipotesi piuttosto “estrema” ma che ben si coniuga con le finalità di questo servizio e che non tutti gli altri operatori permettono. Certo, per averli occorre pagare più di 40 euro al mese, ma il prezzo comunque non è fuori mercato, considerando la mole di dati. Anche Vodafone è più costosa di Tre e Wind come offerte di base, ma qui abbiamo apprezzato molto la versatilità nella configurazione e soprattutto i bundle: avere Spotify Premium e Infinity compreso nel prezzo per 6 mesi non è cosa di poco conto. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE tv e video Per proteggere i video in 4K arriva l’HDCP 2.2, penalizza tutti tranne i pirati Con l’Ultra HD ritorna l’incubo dell’HDCP L’HDCP 2.2 non è retrocompatibile: chi ha già comprato un device 4K rischia problemi T di Roberto Pezzali utti conoscono l’HDMI, ormai diventata la connessione tipica per segnali digitali tra sorgenti e display, meno noto è invece l’HDCP, High Bandwith Copy Protection: il sistema che protegge i dati trasmessi sulla connessione HDMI. L’HDCP impedisce ai malintenzionati di inserire un cavo HDMI in un videoregistratore digitale e registrare il contenuto. Va detto comunque che i prodotti capaci di registrare dall’HDMI in alta definizione oggi sono davvero pochi e legati al mondo broadcast, ma questo probabilmente sfugge a chi ha pensato bene di mettere l’ennesimo (inutile) blocco. L’HDCP funziona con uno scambio di codici di sicurezza, dette chiavi: la sorgente invia una chiave, il display verifica se questa chiave è valida e visualizza il contenuto. Al giorno d’oggi tutti i TV e tutti i display sono compatibili HDCP: questa protezione è quindi totalmente trasparente per l’utente e non crea più alcun disagio, anche se alcuni anni fa, quando l’HDMI iniziò a diffondersi, ci furono svariati problemi, soprattutto con i decoder di Sky e alcuni TV con porte DVI prive di HDCP. Dieci anni dopo, tanti ne sono passati, torna l’incubo dell’HDCP: l’arrivo dell’Ultra HD ha infatti spinto le aziende a aggiornare la piattaforma di protezione spingendo i produttori all’adozione del nuovo HDCP 2.2, una versione rivista e più sicura del sistema di protezione precedente che è stato più volte bucato. Una scelta che come sempre penalizza i consumatori e non tocca assolutamente chi ha davvero intenzione di copiare i contenuti. L’HDCP 2.2, infatti, non solo non è retrocompatibile con la versione precedente (non avrebbe senso) ma ri- torna al sommario chiede che tutta la catena, dal display alla sorgente per arrivare a sound bar e amplificatori, sia HDCP 2.2 per dare l’ok alla visione. Tutte le sorgenti in grado di riprodurre contenuti Ultra HD come decoder satellitari o DVB-T, player esterni o un eventuale Blu-ray 4K, avranno un’uscita HDMI 2.0 protetta con HDCP 2.2 e richiederanno nella catena audio video dispositivi con questo livello di protezione: in caso contrario niente audio e niente video. Per capire se un televisore Ultra HD è pronto basta cercare il nuovo logo Ultra HD: questo logo certifica che almeno uno dei connettori HDMI 2.0 è compatibile con HDCP 2.2. Il logo tuttavia è presente sui TV di quest’anno per i cinque produttori principali, Samsung, Sony, LG, Panasonic e Philips, per tutti gli altri resta una incognita così come resta l’incognita per eventuali monitor da PC. Il dubbio resta anche per i TV venduti negli ultimi anni: la primissima generazione sicuramente non è HDCP 2.2, ma anche i TV dello scorso anno, nonostante l’HDMI Questo logo identificherà i TV Ultra HD LG, Panasonic, Sony Philips e Samsung confermano che da quest’anno inizieranno a utilizzare il logo scelto da DigitalEurope per l’Ultra HD Servirebbe a difendere i consumatori, ma forse le specifiche non sono così stringenti di Roberto Pezzali 2.0, potrebbero non essere compatibili con il sistema di protezione. La prova è data da tutti gli amplificatori e i preamplificatori home cinema venduti negli ultimi mesi: Yamaha, Denon, Onkyp, Pioneer hanno a catalogo prodotti dotati di HDMI 2.0 ma privi di HDCP 2.2, compatibili quindi con flussi 4K ma non con eventuali contenuti protetti 4K. Solo per alcuni modelli, come ad esempio l’Onkyo TX-NR636, il produttore specifica che le porte HDMI supportano il nuovo sistema di protezione. Va chiarito, e questo è importante, che l’HDCP 2.2 si attiva solo con un contenuto 4K: se si utilizza un contenuto HD viene usato il vecchio sistema di protezione. Il solito pasticcio insomma, con protezioni inutili che non fanno altro che aumentare la confusione spingendo i consumatori a cambiare elementi della propria catena senza che ce ne sia la reale necessità. Chi scarica film in Ultra HD dal web non ha problemi di alcun tipo, può passare i file liberamente sugli hard disk, copiarli e riprodurli senza problemi. Chi invece preferisce la legalità in futuro potrebbe scoprire che l’amplificatore che ha acquistato o il TV non vanno più bene, e sono da cambiare: una tegola per un acquirente appassionato che ha avuto la “colpa” di essere tra i primi a dare fiducia all’Ultra HD comprando i primi prodotti lanciati sul mercato. I cinque maggiori produttori di TV hanno scelto di adottare il logo di Digital Europe per l’Ultra HD: l’ente, che ha già realizzato i vecchi loghi Full HD, HD Ready e HDTV, sta anche cercando di spingere tutti gli altri produttori di TV ad adottare il logo per creare meno confusione sui punti vendita. Il problema, e ci teniamo a sottolinearlo, sono le specifiche minime che un TV deve rispettare per poter utilizzare il logo: risoluzione 3840x2160, pannello a 8 bit e Rec.709, capacità di elaborare un segnale 4K, un ingresso HDMI 2.0 con HDCP 2.2 e audio stereo. Nessun riferimento, come si può vedere, alla presenza di HEVC integrato o ad esempio alla necessità di gestire anche lo spazio colore Rec.2020, e questo è un chiaro limite di questa certificazione a maglie davvero troppo larghe. Nelle condizioni attuali la maggior parte dei TV si può fregiare del logo, tuttavia sono pochi quelle che saranno davvero “future proof”. In America, e forse si doveva prendere esempio, sono state create due classi di certificazione per il logo: una di base e una con decoder HEVC integrato. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE tv e video La Blu-ray Disc Association potrebbe adottare tre proposte di standard per l’HDR Tre standard HDR per l’Ultra HD Blu-ray Nelle specifiche Dolby Vision, Philips, Technicolor/MPEG. Confermati wide gamut e Rec.2020 di Paolo CENTOFANTI I l nuovo standard che la Blu-ray Disc Alliance sta definendo per il disco ottico di nuova generazione offrirà molto di più che un semplice upgrade della risoluzione delle immagini. Una delle principali caratteristiche del nuovo formato sarà infatti il supporto per il video HDR o High Dynamic Range, cioè con una maggiore gamma dinamica rispetto agli attuali standard video utilizzati in ambito consumer, capace di sfruttare al massimo la maggiore luminosità dei moderni televisori. Il problema è che non c’è un modo univoco di implementare l’HDR, con diverse proposte sul tavolo provenienti da diversi attori del mercato. Ben sapendo che le possibilità di successo commerciale dell’Ultra HD Blu-ray sono appese a un filo, per non correre rischi, la BDA avrebbe deciso di integrare nelle specifiche del nuovo formato ben tre diversi HDR: Dolby Vision, quello proposto da Philips e un’ulteriore proposta portata avanti da Technicolor con gli enti SMPTE ed MPEG. La bozza dello standard do- vrebbe venire approvata entro l’estate, con l’obiettivo di arrivare al lancio dei primi lettori e titoli entro la fine dell’anno. Sarebbe inoltre confermato il supporto per lo standard Rec.2020, che definisce uno spazio colore estremamente più esteso di quello attualmente in uso, capace cioè di codificare primari molto più saturi e quindi un maggiore numero di sfumature di colore. Un primo prototipo di lettore Ultra HD Blu-ray era stato mostrato al CES 2015 da Las Vegas da Panasonic. Ricordiamo che, parallelamente, un’altra associazione di aziende del settore capitanata da Samsung, la Ultra HD Alliance, è al lavoro per definire in modo simile delle specifiche declinate però alla distribuzione digitale dell’home video, streaming e download, piattaforme che daranno filo da torcere al nuovo disco ottico, in un’era in cui il video “liquido” sta velocemente sostituendo i classici supporti nelle abitudini di utilizzo degli utenti di tutto il mondo. eNTERTAINMENT Su Xbox one arriva un’altra app video, lo streaming è il futuro della TV L’applicazione di La7 sbarca su Xbox One Italia Gli utilizzatori della console potranno accedere ai video in streaming dalla dashboard di Paolo CENTOFANTI X box One guadagna un’altra app video italiana: La7 si aggiunge a SkyOnline, a Infinity e a Premium Play. La nuova applicazione consentirà agli utenti Xbox One l’accesso al palinsesto del canale LA7 in qualsiasi momento si voglia e senza costi aggiuntivi: si potrà creare o personalizzare un palinsesto scegliendo i contenuti desiderati, dall’informazione del Tg diretto da Enrico Mentana ai contenitori del mattino Omnibus, Coffee Break e L’Aria che Tira, dai prime time di Corrado Formigli con Piazzapulita, Lilli Gruber con Otto e Mezzo, Giovanni Floris con di Martedì, Michele Santoro con Servizio Pubblico,Gianluigi Paragone con La Gabbia, fino alle Invasioni Barbariche di Daria Bignardi e alla satira di Maurizio Crozza. Con RivediLA7 sarà possibile poi rivivere in modalità gratuita la programmazione settimanale dei canali La7 e La7d. torna al sommario “Siamo molto soddisfatti della collaborazione con Microsoft – ha dichiarato Marco Ghigliani, Amministratore Delegato di LA7 - LA7 è stata il primo broadcaster a lanciare la catch-up tv sul web nel 2009 e oggi siamo la prima televisione free a fornire gratuitamente i propri programmi su Xbox One, una delle migliori console presenti sul mercato mondiale. Questo accordo ci consente di proseguire con grande efficacia, sul cammino dell’evoluzione e dello sviluppo distributivo dei nostri contenuti, offrendo ai nostri telespettatori e ad un pubblico ancora più vasto, un modo nuovo di accedere alla nostra offerta”. Il futuro della TV tradizionale lineare non è molto roseo: i servizi di streaming, so- prattutto delle pay TV (SkyGo), iniziano a far registrare numeri importanti. L’idea del palinsesto personalizzato, del poter vedere cosa si vuole quando si vuole e di poter accedere ad un intero archivio di contenuti sta cambiando il modo di guardare la TV. Con un vantaggio enorme: lo streaming, in quanto adattivo, può davvero offrire l’alta definizione a tutti coloro che hanno banda a sufficienza senza però tagliare fuori chi ha una connessione più lenta. Il proiettore Epson LASER 4K arriverà in Italia Epson lancia un videoproiettore 4K basato su tecnologia 3LCD ma con doppia sorgente LASER al posto della normale lampada. Wide Gamut e nero “assoluto” le caratteristiche di punta In Italia in primavera di Paolo CENTOFANTI Epson conferma l’arrivo anche in Italia del suo nuovo proiettore Home Theater top di gamma EH-LS10000, presentato lo scorso settembre al CEDIA Expo negli Stati Uniti. È il primo proiettore Epson in grado di visualizzare contenuti 4K ed è basato su un nuovo engine ottico a doppio LASER. Innanzitutto non si tratta letteralmente di un vero 4K, visto che il proiettore utilizza il classico sistema 3LCD con matrici da 0,74 pollici con risoluzione full HD, ma ottiene un raddoppio della risoluzione nelle due direzioni attraverso un meccanismo che sposta in diagonale le matrici di mezzo pixel. L’elemento di novità è però proprio la sostituzione della classica lampada con due sorgenti LASER, una dedicata ai colori verde e rosso, la seconda al blu. Questa configurazione consente di avere secondo Epson neri perfetti, un ampio spazio colore (addirittura DCI e Adobe RGB con l’apposito Cinema Filter), una vita delle “lampade” di 30.000 ore, un flusso luminoso di ben 1500 lumen e accensione e spegnimento quasi istantanei. Il videoproiettore arriverà in Italia in primavera, tra marzo ed aprile, a un prezzo ancora da annunciare, che con ogni probabilità si aggirerà intorno agli 8000 euro come ordine di grandezza. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE tv e video Sony punta su tre fondamentali pilastri: design, user experience e un’elevata qualità sia audio che video Tutti i segreti della nuova gamma TV Sony 2015 La gamma Android TV Sony 2015 potrà contare su nuovi e potenti processori ma anche sull’arrivo dell’hi-res audio di Roberto Pezzali S ony con la gamma TV 2015 sposa Google con il nuovo Android TV, sforna il TV LED più sottile al mondo e presenta anche in Italia una gamma super completa che unisce ottimo design e dettagli curati ad un’attenta ricerca della migliore qualità video possibile. Qualità dell’immagine, design e esperienza utente sono i tre pilastri attorno a cui Sony ha costruito la gamma, continuando un percorso iniziato nel 2012. Tre anni fa, infatti, Sony debuttò con il processore XReality Pro per spingere al massimo il microdettaglio delle immagini. L’anno successivo, con Triluminous, cercò di ampliare il gamut dei display per proseguire poi il lavoro sul contrasto, nel 2014, con l’Extended Dynamic Range e il local dimming. Un lavoro che viene ora ampliato con l’adozione del nuovo processore X1, che non solo racchiude le tre precedenti tecnologie ma aggiunge anche un set di novità interessanti. La prima è il riconoscimento del tipo di segnale utilizzando un database campione di immagini memorizzato nel chip: il TV analizza il segnale in ingresso e lo confronta con circa cinquecento diverse situazioni per trovare la migliore curva di elaborazione per quel singolo segnale. In questo modo broadcasting, sport, streaming, contenuti ripresi con uno smartphone 4K e foto vengono gestiti nel miglior modo possibile, e lo stesso processo vale per i contenuti in Full HD che vengono upscalati a 4K: anche per loro c’è un database di scene che suggerisce al processore il modo migliore per applicare l’upscaling e regolare parametri come nitidezza e riduzione del rumore. Sony ha migliorato anche i suoi singoli algoritmi di elaborazione del segnale: la riduzione del rumore ora lavora a zone e separa quelle piatte, come il cielo, dalle zone ricche di dettaglio. In questo modo si evita di abbassare troppo il dettaglio degli elementi più fini e si lavora esclusivamente nelle zone dove davvero serve ridurre il rumore perché visibile. Migliorato anche l’algoritmo di upscaling: Sony non si limita a ricampionare i pixel, perché nel caso di linee molto fini cerca di mantenere lo stesso spessore anche nell’immagine “scalata”. Una soluzione intelligente in molti casi, dove l’upscaling crea inevitabilmente artefatti e aliasing su elementi davvero minuti quali cavi d’acciaio o tralicci. Nuovo anche il filtro di riduzione del rumore: da una parte i macroblocchi della compressione vengono distrutti e distribuiti per renderli meno visibili, dall’altra torna al sommario sono stati inseriti filtri dedicati a AVC, HEVC e VP9 per eliminare il rumore dagli streaming HD e 4K. Sul fronte qualità migliora globalmente anche la resa cromatica e il contrasto: il processore X1, molto più potente del precedente, riesce a gestire il local dimming non solo spegnendo le zone dove l’immagine è scura ma aumentando la luminosità di picco per le zone dove serve luce. Sony avrà due versioni di XDR, ovvero di Xtended Dynamic Range: i modelli top avranno la Pro, con una luminosità di picco maggiore, gli altri avranno la versione standard. L’XDR non va comunque confuso con l’HDR Video che la Ultra HD Alliance sta spingendo: quello di Sony è una sorta di HDR, ma lavora su tutte le immagini a prescindere da come è stato codificato il contenuto. Passando al design, il prodotto più interessante è l’ultra sottile X90C: 4.9 millimetri di spessore per un TV creato con tecnologia Edge LED. Impossibile sapere come Sony abbia raggiunto questo risultato: l’unica cosa che ci hanno detto è che l’illuminazione è singola nella zona inferiore e che pannello e unità di retroilluminazione sono stati fusi in un unico blocco. Sony vuole mantenere questo segreto produttivo, ma onestamente non ne capiamo il motivo: un competitor non ci mette molto a comprare un TV e smontarlo per vedere come è stato fatto, e sicuramente spiegare come Sony, unica al mondo, è riuscita a fare un TV LCD spesso meno di 5 mm avrebbe messo in luce le capacità di Sony di innovare in questo settore. Tipica timidezza giapponese: riescono a battere quello che sembrava un limite invalicabile e non si danno molto da fare per raccontarlo in giro. L’avesse fatto Samsung un TV simile probabilmente ora lo saprebbero tutti. L’X90C è davvero un bel vedere, e Sony ha pensato davvero a tutto: la ventilazione forzata lavora in senso verticale per permettere a chi acquista il TV il montaggio a parete senza spazio tra muro e retro del televisore. La staffa per appenderlo, una U, è in dotazione. Sony ha rivisto anche la sua gamma di TV curvi, presentando un nuovo modello decisamente più elegante di quello dello scorso anno e probabilmente meno costoso. Sony non sembra comunque puntare sul pannello curvo: in gamma c’è perché qualcuno lo chiede, ma l’X90C sarà il TV su cui puntare quando si parla di bellezza e design. Infine, e l’abbiamo lasciata apposta in fondo, la Android TV. Il sistema operativo non è ancora completo al 100% e Sony non ci ha permesso di scattare fotografie all’interfaccia. Il lavoro fatto per personalizzare l’interfaccia vista anche sul Nexus Player è notevole, con Android che non è una semplice interfaccia caricata on top sul sistema operativo del TV ma è totalmente integrato e gestisce ogni funzione del TV stesso, anche il setup. Un’integrazione che va oltre a quella che offre Google di base, ovvero la ricerca vocale e Google Cast (Chromecast già integrato): Sony installerà su Android una serie di app personalizzate e modificherà l’interfaccia per permettere di accedervi facilmente anche durante la visione del TV. In ambito televisivo non mancherà la possibilità di registrare con il PVR ma non ci saranno MHP e quindi certificazioni come Tivuon: con lo store e le app da scaricare, l’interattività MHP è inutile oltre che difficile da implementare. Al momento non possiamo raccontare molto: il lavoro da fare sul sistema operativo è ancora lungo ma Sony assicura che tra qualche settimana, quando i TV arriveranno sul mercato, tutto sarà pronto. Non è escluso comunque un corposo aggiornamento alla prima accensione. L’unico dato che siamo riusciti ad avere, legato ai TV, è la presenza di 16 GB di memoria flash all’interno per scaricare le app: non sappiamo se sarà possibile espandere questa memoria con chiavette esterne e la stessa Sony non ci ha saputo dire se l’interfaccia definitiva sarà Full HD o 4K. Un’ultima nota relativa all’audio: i modelli X94C e X93C oltre al woofer e al tweeter integreranno anche in subwoofer ai lati del pannello, e grazie alla certificazione Hi-Res Audio potranno riprodurre file (anche Flac) da USB o DLNA. Qui le caratteristiche dettagliate della gamma completa. Concert for one Cuffia P3. Un mix di alta qualità sonora e comfort di lusso, frutto della fusione calcolata e calibrata tra materiali pregiati e tecnologie raffinate. Nata dalla penna di Morten Warren, lo stesso creatore dello Zeppelin Air iPod Speaker, la P3, disponibile in 4 colori, nero, bianco, rosso e blu, ne conserva la personalità, il talento sonoro e la frequentazione privilegiata, ovvero l’iPod e l’iPhone dai quali estrapola il meglio dei conte- nuti sonori, ne integra la funzionalità e la cosmetica. P3 è infatti dotata di un cavo con comando per iPod/iPhone con microfono e controllo volume/salto-traccia, utilissimo per tutti gli amanti dei player firmati dalla mela argentata. Ma –ovviamenteP3 è "anche" una cuffia Hi Fi tradizionale di elevatissimo livello, da poter collegare a qualsiasi sorgente standard, tramite il cavo a corredo intercambiabile con quello per player Apple. Zeppelin e Zeppelin Air sono marchi registrati di B&W Group Ltd. AirPlay, iPod, iPhone e iPad sono marchi di Apple Inc. registrati negli Stati Uniti e in altri paesi. www.audiogamma.it n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE MOBILE L’1 marzo si avvicina e crescono i rumor sulle caratteristiche dello smartphone Samsung Nuove indiscrezioni su Samsung Galaxy S6 Fuoco manuale, RAW e 20 Megapixel per la super-camera, in più integrerà app Microsoft di E. VILLA e P. CENTOFANTI I Galaxy S6 è davvero dietro l’angolo. Questa volta il rumor, riportato da SamMobile e proveniente da fonti interne all’azienda, riguarda specificamente il modulo fotografico, sul quale l’azienda punta moltissimo. Per lanciare la nuova generazione e, soprattutto, ottenere il successo sperato, Samsung pensa di affidarsi a un modulo principale “fatto in casa” da 20 mpixel, che è in fase di test da parte di alcuni dipendenti dell’azienda. Ma la stessa Samsung non è così certa del suo impiego sul Galaxy S6, principalmente per questioni di disponibilità e costo: essendo S6 un prodotto di punta ad alta diffusione (si spera, quanto meno), Samsung potrebbe decidere di usare la fotocamera da 20 mpixel solo su Galaxy Edge, che sicuramente avrà una diffusione minore e non sarà, almeno all’inizio, disponibile su tutti i mercati locali. La fotocamera da 20 mpixel è dotata di stabilizzazione ottica e si associa alla medesima fotocamera frontale da 5 mpixel trovata nella serie Galaxy A. Grosse novità anche a livello software: Samsung sta infatti utilizzando le API di Android Lollipop per offrire una modalità fotografica “pro” molto simile a quella offerta da app dedicate. Si vocifera che saranno disponibili tre modalità di fuoco, tra cui una completamente manuale, oltre alla possibilità di scattare in RAW e di regolare la velocità dell’otturatore allungando e diminuendo i tempi di posa. Samsung presenta al mondo il suo processore più evoluto l’Exynos 7 realizzato con processo da 14nm FinFET. Si vocifera che la variante 7420 alimenterà il Galaxy S6 I App Microsoft per il Galaxy S6, Office compreso A partire dall’imminente Galaxy S6, Samsung ridurrà il suo cosiddetto “bloatware”, cioè quell’insieme di app preinstallate che usualmente il produttore inserisce sui suoi smartphone per rafforzare l’identità del suo brand. Ora, grazie al “solito” SamMobile, emergono ulteriori dettagli relativamente a questa nuova direzione. Sul Galaxy S6, infatti, gli utenti troveranno appena lo accenderanno un bel po’ di app Microsoft al posto di quelle Samsung: in particolare ci saranno OneDrive, OneNote, Skype e la suite Office Mobile, compreso un abbonamento promozionale a Office 365. Qualcuno ricorderà torna al sommario Samsung ufficializza il processore Exynos 7 di Emanuele VILLA che giusto poco tempo fa Microsoft e Samsung hanno rilasciato un comunicato in cui annunciavano il raggiungimento di un accordo sulla controversia legale nata la scorsa estate. Non è da escludere quindi che l’inclusione delle app Microsoft sul Galaxy S6 sia il risultato di questa “pace”, i cui termini ufficialmente non sono stati rivelati. Le app Samsung comunque non spariranno del tutto, visto che potranno comunque essere scaricate in un secondo tempo dall’utente. Al momento non è ancora chiaro esattamente quali, dei vari software che nel tempo Samsung ha aggiunto alla sua TouchWiz, verranno eliminati dalla configurazione di default. MOBILE Un “memo” svela il possibile lancio degli smartphone Il Galaxy S6 uscirà il 22 marzo Galaxy Edge arriverà ad aprile P di Emanuele VILLA ur senza alcuna conferma ufficiale (che mai arriverà), una cosa è certa: Samsung presenterà Galaxy S6 e Galaxy Edge il 1 marzo a Barcellona. Maggiore incertezza c’è invece sulla data di lancio sul mercato, che si suppone comunque ravvicinata conoscendo le dinamiche del mercato mobile. Phone Arena ci dice che potremo acquistare (si fa riferimento al mercato americano, ma non ci sono impedimenti a un’estensione europea) il Galaxy S6 a partire dal 22 marzo e il Galaxy Edge il 19 aprile. Il che avrebbe senso considerando sia la storia recente, sia i tempi tecnici di distribuzione del prodotto. Motivo? Samsung ha diffuso un memo interno in cui annuncia un Time Off Blackout, ovvero un periodo in cui i dipendenti non sono autorizzati a prendere ferie: dal 22 marzo al 30 marzo e dal 19 aprile al 27 aprile. Considerando che questo si rivolge soprattutto al personale dei Samsung Store e che di solito riguarda i momenti di massima pressione, è chiaro che si verificherà qualcosa di grosso. Inoltre, se si considera il peso del settore mobile sui conti dell’azienda e quanto la stessa punta su Galaxy S6 per tornare ai fasti del passato, i commentatori non hanno dubbi: il 22 marzo esce il nuovo Galaxy. Per la conferma dovremo però attendere il Mobile World Congress. Nonostante il mondo dia per certa la presenza di un processore Exynos 7420 nel prossimo telefono Samsung top di gamma, la conferma da parte dalla casa madre deve ancora arrivare. Ma stando alla notizia che di fatto ufficializza la serie Exynos 7 di processori Samsung, siamo a un passo dalla conferma definitiva. Samsung ha, infatti, annunciato l’avvio della produzione di massa dei SoC Exynos 7 pochi giorni prima del Mobile World Congress. Il comunicato stampa ufficiale non dice molto circa il nuovo processore, se non che è stato realizzato con processo produttivo a 14nm e struttura di transistor FinFET, che - secondo il produttore - è “la tecnologia produttiva più avanzata nel settore”. Sempre secondo Samsung, qualora venga comparato a un processore della precedente generazione (20nm), il nuovo Exynos 7 è in grado di garantire velocità del 20% superiori, 35% di consumi in meno e una produttività del 30% superiore proprio grazie all’uso della tecnologia 3D FinFET per i transistor. Exynos 7 è quindi il primo processore Octa Core 64 bit a 14nm, processo produttivo che l’azienda intende estendere ad altre soluzioni (presumibilmente più basse in gamma) durante il 2015. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE MOBILE Esteticamente bello, compatto e giovanile; sarà disponibile anche in versione dual SIM Sony Xperia E4, il primo della next-gen Spunta un terminale di fascia media che inaugura un nuovo design. Si chiama Xperia E4 T di Emanuele VILLA ra pochi giorni aprirà i battenti la fiera più importante del mondo “mobile”, ovvero il Mobile World Congress di Barcellona, e uno dei protagonisti dovrebbe essere il nuovo top di gamma Sony, Xperia Z4. Nonostante non sia ancora sicura la sua presentazione in quel di Barcellona, è invece certo l’arrivo del primo terminale della serie “4”, ovvero lo smartphone di fascia media Xperia E4. Al di là delle caratteristiche tecniche, che come anticipato non fanno di sicuro gridare al miracolo (il terminale punta a massimizzare il rapporto qualità/prezzo), E4 colpisce per un design diverso dal solito, molto morbido e ondulato al punto da sembrare più vicino a modelli di competitor Sony piuttosto che ad altri telefoni dello stesso produttore. Bello da vedere, compatto il giusto e Disponibile anche in Italia la chiavetta da collegare al TV via HDMI che aggiunge la funzionalità di mirroring dello schermo da PC, tablet e smartphone compatibili con Miracast di Paolo CENTOFANTi giovanile, specie se verrà proposto (come si vocifera) anche in diversi colori oltre ai classici bianco e nero. A livello di caratteristiche tecniche, Sony Xperia E4 ha un display da 5 pollici con risoluzione 960x540, è previsto in versione a singola o Dual SIM e si basa sul sistema operativo Android 4.4.4 e processore MediaTek quadcore (non meglio precisato), oltre a una fotocamera principale da 8 Megapixel e una frontale da 5 Megapixel dedicata ai selfie. Allo stato attuale non è ancora annunciato un prezzo di listino nemmeno quali saranno i mercati di riferimento. MOBILE Una buona idea per creare un certo interesse; il prezzo di partenza è 139 euro Honor Holly, quando il prezzo del prodotto è social Saranno gli utenti, manifestando interesse per lo smartphone, ad abbassare il prezzo di vendita H di Roberto Pezzali onor lancia Holly, il nuovo smartphone di fascia medio/bassa destinato a un pubblico giovane e, a detta della stessa azienda, “coraggioso”. Holly è uno smartphone particolare, non tanto nel design e nelle caratteristiche che non sono nulla di eccezionale ma nel sistema di vendita. Il prezzo, infatti, sarà deciso dagli utenti che potranno torna al sommario Microsoft lancia la chiavetta Miracast Wireless Display Adapter dimostrare il loro interesse nel prodotto aderendo a una campagna online. Più persone lo vogliono, insomma, più il prezzo scende, con una base di partenza che sarà di circa 130 euro. Una buona idea per creare interesse attorno a un prodotto che è comunque ben fatto ma che non emerge certo per le feature. Lo schermo, infatti, è un IPS HD da 5” e 1280 x 720 di risoluzione, il processore è il classico quad core Kirim di Huawei (Honor è, infatti, una costola di Huawei) e la RAM ammonta a un solo gigabyte. Interessante il reparto fotocamera: la frontale è da 2 Megapixel, la posteriore da 8 Megapixel con sensore BSI, macro 4 cm e obiettivo f/2, e per salvare le foto ci sono ben 16 GB di memoria flash condivisa, ovviamente, con le app e il sistema operativo espandibili tramite microSD. Il sistema operativo integrato, in attesa di update, è Android KitKat. Microsoft lancia la sua chiavetta pensata appositamente per lo streaming video su TV. Spazziamo via subito ogni dubbio: non si tratta di una vera e propria alternativa a Google Chromecast, ma di un più “tradizionale” adattatore per aggiungere la compatibilità con lo standard Miracast al proprio televisore. Microsoft Wireless Display Adapter, questo il nome completo del dispositivo, si collega da una parte a una porta USB libera del TV per l’alimentazione e dall’altra a un ingresso HDMI ed è compatibile con tutti i dispositivi certificati Miracast, siano essi Android o basati su Windows o Windows Phone. Microsoft dichiara una copertura ottimale fino a 7 metri di distanza, il che dovrebbe essere sufficiente per la maggior parte degli scenari di utilizzo. Ricordiamo che Miracast offre la funzionalità di mirroring dello schermo, cioè la riproduzione della replica esatta sul TV di quello che visualizziamo sul display dello smartphone o del tablet, per cui non funziona da lettore multimediale indipendente. Microsoft Wireless Display Adapter è disponibile a un prezzo di listino di 69,90 euro. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE MOBILE Secondo Tim Cook possedere un Apple Watch sarà un’esperienza rivoluzionaria Apple Watch ti cambierà la vita. Lo dice Cook Il CEO di Apple spiega perché Watch può aver successo dove tutti gli altri hanno fallito di Emanuele VILLA prile si avvicina e gli appassionati di tecnologia non possono che associare l’inizio della primavera 2015 con l’arrivo di Watch, il primo smartwatch dell’azienda di Cupertino. Il compito di Watch è senza dubbio arduo, considerando che gli smartwatch sono già in commercio da parte di azienda importanti quali Samsung, LG e Motorola, ma nessuno di essi è stato realmente in grado di uscire da una nicchia per appassionati. Quindi la domanda che tutti si pongono è: ce la farà Watch dove gli altri hanno fallito? L’amministratore delegato dell’azienda deve essere il primo a crederci; per questo Tim Cook, alla Technology and Internet Conference di Goldman Sachs a San Francisco, è intervenuto sul tema spiegando perché Watch sarà rivoluzionario nonostante un mercato già ricco di soluzioni. Cook ha comparato il mercato degli smartwatch a quello dell’MP3 sostenendo che Apple non è entrata con iPod in un mercato totalmente sprovvisto di soluzioni, e lo stesso ha fatto con iPhone e iPad, ma ha proposto un’esperienza d’uso più semplice, diretta, facile e, soprattutto, capace di cambiare (in meglio) la vita della gente. Secondo Cook, ci sono diversi apparecchi sul mercato che vengono chiamati smartwatch, ma nessuno di essi è stato in grado di rivoluzionare l’esistenza di chi lo indossa. Watch A ce la può fare. Estendendo il discorso, e dopo aver rimarcato l’attenzione al design, Cook ha parlato di modalità di comunicazione (con l’orologio) che non sono mai state sfruttate prima, riferendosi evidentemente a una comunicazione vocale tramite Siri. Inoltre, pare che Watch riconosca autonomamente torna al sommario Wiko rinnova la gamma media con Ridge 4G Wiko propone per il mercato italiano due nuovi modelli, Ridge 4G, e la sua versione più grande, Ridge Fab. Buone caratteristiche e prezzo in fascia media sono le sue armi di Massimiliano ZOCCHi quando l’utente lo sta fissando, e si accende/spegne di conseguenza di modo tale da non dover premere nessun tasto per accenderlo. Secondo il CEO di Apple, Watch diventerà indispensabile nella routine quotidiana non solo per le notifiche e le app di terze parti, ma anche per i benefici sulla salute: l’orologio ci avviserà quando siamo seduti da troppo tempo, e poi ci sono diverse applicazioni già in cantiere come quella che prevede il monitoraggio dei livelli di glucosio, oltre ai soliti contapassi, fitness tracker e via dicendo. MOBILE Lo smartphone serve a controllare la nostra posizione Visa Mobile Location Confirmation Sei tu ad usare la carta di credito? A di Paolo CENTOFANTi chi viaggia spesso sarà capitato almeno una volta di vedersi rifiutare una transazione con la carta di credito e di dover contattare la propria banca per farsi sbloccare gli acquisti fuori dall’Italia. Si tratta di una protezione anti-frode che scatta automaticamente quando l’istituto che gestisce la carta di credito registra acquisiti ravvicinati nel tempo, ma effettuati a grande distanza tra loro. Per migliorare questo tipo di controlli di sicurezza, Visa ha annunciato un nuovo sistema che sfrutterà il fatto che ormai abbiamo sempre uno smartphone con noi. Il Visa Mobile Location Confirmation si basa sulla comunicazione con un’app installata sul nostro smartphone, per verificare che la nostra posizione coincida effettivamente con quella del luogo dove vengono effettuati gli acquisti. Il sistema verrà implementato in accordo con la banca che emette la carta e l’idea è quella di integrare la funzionalità direttamente nell’app mobile della banca stessa, per cui non sarà necessario installare un’applicazione apposita. Il sistema traccerà la posizione a intervalli quando lo smartphone è connesso a una rete (cellulare o Wi-Fi), per cui non deve essere necessariamente acceso per effettuare un acquisto o sempre connesso. Analizzando in modo automatico la nostra posizione, il sistema sarà in grado di evidenziare con migliore precisione eventuali anomalie. Gli utenti potranno scegliere se attivare questo tipo di protezione oppure disattivarla a piacere in ogni momento. Questa tecnologia verrà introdotta a cominciare dagli Stati Uniti a partire da aprile 2015. Wiko presenta, anche per il mercato italiano, i nuovi smartphone Ridge 4G, e la sua controparte phablet, ovvero Ridge Fab. Per la prima volta troviamo un Soc Qualcomm in uno smartphone del produttore francese, più precisamente uno Snapdragon 410 quad core da 1.2 GHz. Il nome stesso lascia facilmente intendere la presenza della connessione LTE. Completano le caratteristiche 2 GB di RAM, 16 GB per lo storage interno, espandibile tramite MicroSD, fotocamera con ottica Sony da 13 Megapixel più una discreta front camera da 5 Megapixel. Il display è da 5”, IPS LCD con risoluzione 1280 x 720, protetto da Gorilla Glass 3. Infine, la versione di Android che troviamo a bordo è la 4.4.4 con autonomia garantita dalla batteria da 2.400 mAh. Le caratteristiche su cui Wiko punta molto sono leggerezza e solidità: Ridge 4G pesa solo 125 grammi con cornice laterale di alluminio, ed è proposto in 4 colorazioni. Wiko non ha dimenticato chi apprezza display dalle dimensioni più generose, e Ridge Fab è rivolto proprio a questa fascia di utenti. Completamente identico al fratello minore, differisce solo per la diagonale dello schermo che in questo caso è di 5.5”, e la batteria ovviamente più capiente, da 2.820 mAh. I prezzi di listino sono di 229 euro per Ridge 4G e 249 euro per Ridge Fab. Wiko, molto diffusa in Francia, può ormai vantare un’ottima distribuzione anche in Italia, tramite le principali catene di vendita. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE MOBILE La notizia è ancora da verificare, ma da UpLeaks.info arrivano le prime indiscrezioni Lo smartwatch HTC strizza l’occhio a iOS Secondo voci, HTC potrebbe presentare a breve un indossabile non basato su Android Wear Integrerà sistema operativo proprietario e crossplatform per abbracciare anche gli utenti iOS L di Massimiliano ZOCCHI e immagini che proponiamo in questo articolo sono solo delle mere speculazioni, poiché immagini reali ancora non esistono, e a dire il vero la notizia stessa è ancora da verificare. Ma i ragazzi di UpLeaks.info sono molto sicuri della loro fonte vicina ad HTC, la quale riferisce che è prossimo al lancio un wearable da parte dell’azienda taiwanese. Nulla di strano considerando che tutti i più grandi pro- duttori si stanno buttando in questo nuovo mercato, se non fosse che PETRA, questo il nome in codice del progetto, pare non sarà equipaggiato con Android Wear. Prima d’ora solo Samsung ha percorso questa strada utilizzando Tizen per diversi modelli Galaxy Gear. Le voci di corridoio non si fermano qui. Il nuovo device avrebbe un sistema operativo proprietario chiamato RTOS, un processore Intel Core-M3 e un display PMOLED da 1.8” flessibile, Bluetooth, GPS, certificazione IP57 e batteria che assicura tre giorni di autonomia. Un aspetto interessante è che oltre a snobbare Android Wear, lo smar- MOBILE Le app iOS arrivano a 4 GB Le applicazioni per iPhone e iPad potranno raggiungere i 4GB di dimensione: Apple ha infatti raddoppiato la dimensione massima per una app scaricabile sull’App Store. Una scelta dovuta in parte all’arrivo di nuovi schermi, come quello dell’iPhone 6 Plus, che hanno costretto anche ad aumentare il numero di assets e elementi che uno sviluppatore deve includere nell’app per poter ottimizzare la resa su dispositivi di risoluzione e dimensione differente. 4 GB sono praticamente la metà della memoria disponibile su un iPhone 5C da 8 GB, anche meno se si considera la memoria al netto di iOS. Un paradosso: bastano due giochi per riempire un iPhone entry level, 3 giochi per riempire un iPad. Sarebbe a questo punto opportuno, per Apple, raddoppiare la memoria dei prossimi dispositivi garantendo, soprattutto su iPad, i 32 GB come taglio minimo. Oppure, si potrebbero gestire i download delle app in modo intelligente: quando si scarica un’app per iPad 2 Air si scaricano solo gli assets e gli elementi per quel dispositivo, senza quindi effettuare il download di elementi inutili che non verranno poi usati. torna al sommario twatch HTC sarebbe compatibile con device Android 4.4 o successivi, ma anche con iOS 7 o più recenti. Questo andrebbe a confermare un nuovo approccio di HTC, cioè offrire la propria esperienza d’uso a più utenti possibile, e un device indossabile così concepito sarebbe il primo della sua categoria prodotto da un’azienda di primo piano. Stay tuned... Android 5.1 arriverà il mese prossimo La prossima versione di Android arriverà a quanto pare a marzo, magari con un annuncio in proposito in prossimità del Mobile World Congress. Lo rivela indirettamente HTC, con un tweet di un dirigente che, in risposta a una richiesta di aggiornamenti per l’HTC One, fa sapere che il prossimo rilascio di stabilità è legato all’uscita della nuova major release di Android che arriverà per l’appunto a marzo. Con ogni probabilità il riferimento è ad Android 5.1, versione che è già stata rilasciata da Google su alcuni terminali del programma Android One lanciati in Tailandia. Si dovrebbe trattare di una release incentrata soprattutto sulla stabilità, ottimizzazione ed eliminazione di bug individuati in Lollipop, ma al momento non sono disponibili ulteriori informazioni su nuove funzionalità che potrebbero essere incluse nell’aggiornamento. MOBILE LG anticipa il Mobile World Congress di Barcellona presentando Watch Urbane Watch Urbane è l’orologio di lusso di LG È una versione raffinata del G Watch R, andrà a completare la gamma degli smartwatch LG di Emanuele VILLA a tendenza a presentare prodotti importanti prima delle fiere è viva più che mai, e LG è uno dei principali promotori. Questa volta l’azienda coreana presenta al pubblico il suo nuovo smartwatch, Watch Urbane, che mostrerà per la prima volta al Mobile World Congress di Barcellona. Il nuovo smartwatch non è pensato come successore del G Watch R ma come completamento della gamma, ovvero come smartwatch tecnicamente analogo agli altri ma di categoria superiore a livello estetico e di design. Mentre G Watch R è infatti un prodotto più casual e sportivo, Watch Urban punta a un pubblico più raffinato, formale, sofisticato. La cassa è completamente metallica e disponibile in silver e gold, mentre il profilo è leggermente più sottile rispetto a G Watch R, cosa che gli dà un tocco di classe in più. Per il resto la situazione è analoga a G Watch R, con display rotondo da 1.3’’ P-OLED, Android Wear come sistema operativo L e sensore di battito cardiaco integrato nella cassa. Il processore è lo snapdragon 400 da 1.2 GHz, assistito da 4GB di memoria di storage e 512 MB di RAM, il tutto con una batteria di livello leggermente superiore (410 mAh) rispetto a quella della generazione precedente, ma che non rappresenta nessuna rivoluzione. LG Watch Urbane, potrebbe avere un prezzo “abbastanza ufficiale”: entram- be le versioni in acciaio e finitura gold sono infatti disponibili in preorder su Expansys, noto rivenditore britannico con sedi operative in molti Paesi europei, a 299£, che al cambio con la moneta unica ammonterebbero a 390 euro. Troppi? Troppo pochi? Difficile dirlo, perché non sono ancora cifre confermate ed in seconda battuta perché il grande rivale made in Cupertino non ha ancora un prezzo confermato in euro. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE gadget Tra le caratteristiche, display monocromatico, peso di soli 77 g e fotocamera da 3 MP Gli occhiali Smart di Sony in Italia a marzo Gli SmartEyeglass di Sony, in versione Developer Edition, diventano ora una realtà È possibile preordinarli in UK e Germania e da marzo saranno in Italia. 670 euro il costo S di Emanuele villa ony ha rilasciato un comunicato stampa in cui annuncia l’avvio della commercializzazione dei suoi Smart Glass, nome in codice SmartEyeglass, in versione di sviluppo a partire dal 1° marzo in dieci Paesi. Sicuramente il modello in questione arriverà anche in Europa, visto che fin da subito è possibile preordinarlo in UK e Germania. Stesso discorso per l’SDK ufficiale, disponibile da qualche giorno per permettere agli sviluppatori di creare ogni genere di applicazioni per gli occhiali “smart”. La caratteristica di base di Sony SmartEyeglass sono le due lenti semitrasparenti da 3 mm che permettono la sovrapposizione di informazioni senza specchi che ostruiscono la visione. Il display è monocromatico e offre una luminosità fino a 1.000 cd/ m2 con scarso consumo di batteria. Gli occhiali pesano 77 grammi e includono una fotocamera da 3 MP comprensiva di accelerometro, giroscopio e bussola elettronica, mentre a un modulo esterno (collegato via filo, il che li rende ben poco “fashion”) viene demandata la gestione della batteria, microfono, speaker, sensori touch di controllo e NFC. Clicca qui per il video. Sony SmartEyeglass sarà disponibile in vendita da marzo in Giappone, USA, UK, Germania, Francia, Italia, Spagna, Belgio, Olanda e Svezia. Il preorder in UK e Germania è stato avviato a 670 euro. Mattel View Master, realtà virtuale per i più piccoli Vi ricordate il vecchio View Master, il visore con dischi 3D che esiste fin dal lontano 1939? Mattel e Google adattano il concetto a un visore di realtà virtuale basato su Cardboard I di Emanuele villa torna al sommario Panasonic ha mostrato a Tokyo un prototipo di visore per la realtà virtuale. Utilizza display OLED ma ha una montatura più “leggera” rispetto alle soluzioni di Oculus e Sony di Paolo centofanti gadget Sarà disponibile dal prossimo autunno negli USA al prezzo interessante di 30 dollari l progetto di visore di Mattel, oltre ad essere realizzato in partnership con Google, è economico, sfrutta un concept con più di 70 anni di vita ed è dedicato ai più piccoli, con un chiaro intento educativo. Il visore Mattel si chiama View Master esattamente come quei dischi con immagini 3D e visore stereoscopico che i non più giovanissimi ricorderanno senz’altro; uscì nel lontano 1939 e fece la fortuna dell’azienda, che vanta vendite per più di 100 milioni di esemplari e miliardi di dischi con immagini statiche tridimensionali. Oggi, Mattel e Google uniscono le forze ma mantengono inalterato il concept originale applicandolo ai progressi della tecnica: il View Master del 2015 è un visore basato su Google Cardboard, quindi economico per definizione, nel quale possono essere inseriti diversi telefoni Android che fungono da sorgente per i mondi virtuali che Mattel proporrà poco per volta ai propri utenti. Sono previsti scenari da Anche Panasonic è al lavoro sulla realtà virtuale esplorare e contributi interattivi come video e immagini, anche (e soprattutto, visto il target molto giovane) a scopo educativo. Nonostante il funzionamento preveda semplicemente l’uso di visore, smartphone e app, i dischi sono ancora in gioco e serviranno per segnalare al visore il contenuto da mostrare. L’idea di Mattel e Google è realizzare non solo qualcosa di tecnologicamente evoluto ed educativo, ma anche di collezionabi- le, con tanti dischi - ognuno dedicato a un particolare scenario - che usciranno nel corso dei mesi. Peccato per due cose: View Master uscirà solo il prossimo autunno e per il momento negli USA. Non si esclude però una possibile commercializzazione nel Vecchio Continente, magari con contenuti ad hoc. Molto interessante il prezzo: 30 dollari. Clicca qui per il video. Dopo Sony e il suo Project Morpheus e Samsung con il Gear VR, anche Panasonic decide di investire sulla realtà virtuale. A un evento per la stampa in Giappone, infatti, Panasonic ha mostrato un prototipo di visore per la realtà virtuale. Il progetto dell’azienda giapponese sembra essere più vicino come filosofia a quello di Sony piuttosto che a quello di Samsung, nel senso che è un dispositivo autonomo e che non si appoggia per lo schermo a uno smartphone come il Gear VR. Il visore utilizza un display OLED in grado di visualizzare immagini a 75 fotogrammi al secondo e offre un angolo di visione di 90 gradi. Interessante il design del prototipo che appare decisamente più snello e leggero rispetto all’Oculus Rift o a project Morpheus. Panasonic ha mostrato anche un sistema di ripresa che utilizza sette videocamere per catturare immagini a 360 gradi, tecnologia che Panasonic starebbe investigando per le Olimpiadi di Tokyo del 2020. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE social media e web Annunciata la chiusura della standardizzazione del protocollo HTTP 2.0 L’HTTP/2 è realtà: il web diventa più sicuro Il protocollo è basato in larga parte su SPDY, tecnologia sviluppata inizialmente da Google S di Paolo CENTOFANTI e l’HTML è il linguaggio che descrive una pagina web come quella che state leggendo in questo momento, l’HTTP o HyperText Transfer Protocol è ciò che ha permesso al vostro browser di raggiungerla e caricarla. Insieme all’HTML, l’HTTP è una delle tecnologie fondanti del world wide web e sta per vivere il suo più grande aggiornamento dal 1999. Mark Nottingham, la persona a capo dello sviluppo del nuovo protocollo all’interno della Internet Engineering Task Force, ha infatti ufficialmente annunciato la chiusura dei lavori di definizione della versione 2.0 o HTTP/2. Il nuovo protocollo è basato in larga parte su SPDY, tecnologia sviluppata inizialmente da Google, e promette una maggiore velocità nello scambio di dati tra browser e webserver grazie al multiplexing delle chiamate; HTP/2, inoltre, introduce un maggiore ricor- so alla crittografia TLS, oggi invocata esclusivamente con il protocollo HTTPS. Teoricamente la IETF ha deciso di lasciare opzionale la crittografia, ma di fatto i principali browser che hanno già iniziato a integrare il nuovo protocollo, Firefox e Chrome, utilizzano HTTP/2 unicamente su una comunicazione criptata, per cui si ritiene che la cifratura diventerà una pratica scontata. In pratica, con il nuovo standard il web diventerà più veloce e sicuro. Ora che lo standard è stato definito, manca solo il passaggio formale della pubblicazione della relativa RFC, i documenti tecnici che di fatto rappresentano la bibbia degli standard web. app world Videolan ha elencato tutte le funzionalità dell’imminente release 3.0 di VLC La nuova versione di VLC supporterà Chromecast Ora gli utenti iOS attendono il grande ritorno su App Store, dopo quasi 6 mesi di assenza di Michele LEPORI V ideoLan gioca a carte scoperte e rilascia un changelog sul proprio sito dove elenca tutte, ma proprio tutte le nuove funzionalità dell’imminente release della versione 3.0 di VLC, il popolare lettore video multimediale disponibile sia in programma per Windows e OS X ma anche in versione mobile per iOS e Android. Fra i tanti supporti video per codec ed affini, la parte del leone la fa la compatibilità con Chromecast, cosicché i possessori della popolare chiavetta TV di Mountain View possano inviare in streaming i propri filmati. Una feature di cui gli utenti iOS in possesso di una Apple TV possono godere dall’esistenza di AirPlay, ammesso e non concesso che abbiano avuto l’accortezza di trasferire l’app di VLC negli acquisti di iTunes: rimossa a sorpresa lo scorso settembre dopo la release mondiale di iOS 8, ad oggi è ancora una grave assenza dell’App Store, ma secondo torna al sommario quanto riporta lo stesso documento di log rilasciato da VideoLan, il ritorno del famoso cilindro a strisce sarebbe imminente. Talmente imminente che - curioso davvero - l’aggiornamento 3.0 sarà implementato in prima istanza per iOS ed OS X a spese del Play Store e degli utenti Windows… Testamento Facebook: scegli chi gestirà il tuo account quando non ci sarai più Facebook introdurrà nei profili una sorta di testamento digitale Sarà possibile designare una persona che prenderà possesso dell’account nel caso di triste evenienza per scegliere se chiudere il profilo o se gestire la pagina come memoriale di Roberto Pezzali Facebook è eterno, l’essere umano no. Il social network ha annunciato di aver implementato una sorta di testamento digitale, una voce nel profilo di ogni iscritto che permetterà all’utente di designare un “gestore” del proprio account nel caso di passaggio a miglior vita. Facebook permetterà agli utenti di scegliere in realtà diversi profili di gestione: la pagina potrà essere cancellata una volta provato il decesso dell’utente oppure utilizzata dall’erede designato come memoriale. La persona che prenderà in gestione il profilo potrà vedere le foto e post ma non leggere chat e messaggi. Una scelta, quella di Facebook, necessaria dopo una serie di tristi vicissitudini che hanno colpito alcuni utenti a fine anno: messaggi di condiglianze infatti sono stati inseriti, a causa dei numerosi commenti, nell’elenco degli eventi memorabili dell’anno e qualche utente non l’ha presa bene. L’aggiornamento è già partito e interesserà in un primo momento gli utenti americani, quindi la nuova feature raggiungerà i profili di tutto il mondo. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE pc Sony Vaio Z e Z Canvas segnano il rientro del brand Vaio sul mercato, per ora solo giapponese I Vaio dell’era post-Sony sono convertibili Prodotti completi, potenti e con due modalità d’uso distinte. Stile e prestazioni sembrano al top N di Emanuele villa onostante sia sparito dal mercato italiano e non sia più legato a Sony, il brand Vaio fa nuovamente parlare di sè. Il suo nuovo proprietario, ovvero il fondo d’investimento Japan Industrial Partner, ha deciso di lanciare due nuovi prodotti sul mercato interno, due portatili che segnano di fatto il ritorno del brand sotto i riflettori; peccato che al momento non ci siano piani per un’estensione americana o europea, ma potrebbero venire comunicati in un secondo momento. I due prodotti sono contraddistinti dalla serie Z: Vaio Z è l’ultrabook “convertibile” e Vaio Z Canvas è il tablet con tastiera separata. Vaio Z costerà l’equivalente di 1.500 euro e sarà un ultrabook dal design molto curato e con capacità di trasformarsi, grazie alla particolare struttura dello chassis, da notebook a tablet e viceversa. Il display è un Full HD da 13,3’’ e verrà dotato di processori i5 e i7 di ultima generazione, a seconda della configurazione selezionata; rigorosa la presenza dell’SSD per un accesso da 0.3 secondi e notevoli i dati sui consumi, visto che secondo il produttore l’autonomia di Vaio Z è di circa 15,5 ore di utilizzo. Vaio Z Canvas è invece il tablet di dimensioni “over-sized” da 12,3’’, con processore i7, 16GB di RAM e SSD da 256 GB integrato. Un PC fatto e finito, per di più di alto livello, ma presentato sotto forma di tablet con tastiera separata. La finalità resta quindi la stessa, ovvero quella di offrire un prodotto completo, potente e capace di offrire due modalità d’uso distinte. È anche presente un pennino con tanto di digitalizzatore attivo. Arriverà sul mercato a maggio, insieme al Vaio Z. Se c’è un virus negli hard disk, forse lo ha messo l’NSA Un virus sarebbe nascosto all’interno degli hard disk consumer: rilevarlo è quasi impossibile F di Roberto Pezzali torna al sommario Corsair. Secondo la Reuters dietro questo virus ci sarebbe l’NSA, che ha trovato il modo di accedere ai firmware originali dei produttori di hard disk: Western Digital avrebbe comunque assicurato che non ha mai deliberatamente fornito accesso al suo codice, mentre al momento Google è pronta a lanciare una applicazione per YouTube destinata ai bambini: avrà solo contenuti selezionati e un’interfaccia semplice da utilizzare. Al momento è prevista in uscita il 23 febbraio solo per tablet Android di Roberto pezzali pc I Karspersky Lab hanno scoperto un gruppo di hacker vicino alle agenzie governative USA orse qualcuno sta nascondendo un virus nei firmware degli hard disk consumer permettendo così l’accesso a tutti i dati, anche se l’hard disk è protetto da crittografia. Sembra fantascienza ma un report dei Karspersky Lab ha evidenziato come questa tecnica sia già usata da un noto gruppo di hacker denominati Equation, in grado di riscrivere i firmware di hard disk consumer Samsung, Western Digital, Maxtor e Seagate. Il virus, nascosto nel firmware, non solo è quasi impossibile da rilevare ma è pure impossibile da rimuovere: la formattazione infatti non può nulla contro un virus inserito nel controller. Il virus si attiva nel momento in cui il computer viene acceso e, sempre secondo Karspersky, ne esisterebbe anche una variante in grado di riprogrammare i firmware degli hard disk di altri produttori inclusi Toshiba, OCZ e YouTube, arriva un’app pensata per i bambini gli altri produttori hanno preferito non commentare. Si pensa, comunque, che l’NSA possa aver infiltrato programmatori nelle varie aziende proprio per aver accesso al codice e capire così come e dove nascondere il “payload”. YouTube avrà un’app per bambini fatta direttamente da Google: interfaccia semplificata e controllo dei contenuti saranno i due elementi chiave per YouTube Kids, prevista il 23 febbraio su tablet Android. Google ha lavorato insieme ad una serie di partner per fornire contenuti controllati, e allo stesso tempo filtrerà anche una serie di contenuti già disponibili su YouTube classico organizzandoli in otto categorie, raggiungibili con grossi riquadri colorati. Tra le funzionalità dedicate ai più piccoli, oltre alla classica ricerca vocale utile per chi ancora non sa leggere e scrivere anche il timer: un genitore può impostare il numero di video da visualizzare e il tempo di visione, al termine del quale servirà una password per proseguire. Una bella novità rispetto all’app classica: chi ha un bambino sa bene che, utilizzando i video consigliati nella colonna di destra dell’applicazione classica, ci vogliono davvero pochi passaggi per finire da Peppa Pig ad un video poco adatto ad un pubblico giovane. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE smarthome I nuovi elettrodomestici Whirlpool offrono tecnologie avanzate al giusto prezzo Incasso Whirlpool, tecnologie al top per tutti In arrivo anche un nuovo prodotto che ancora non esiste sul mercato che, pare, sorprenderà di Simona ZUCCA ome ogni anno in questo periodo, Whirlpool ha presentato alla stampa le sue novità nel settore incasso, ma quest’anno gli argomenti su cui soffermarsi sono stati più numerosi (e forse interessanti) del previsto, a partire da una nuova linea di prodotti fino alle ipotesi sulle conseguenze dell’imminente acquisizione di Indesit da parte dell’azienda e all’annuncio di un nuovissimo prodotto in arrivo per maggio. Cominciamo dai prodotti: la vera novità è sicuramente l’introduzione di una nuova linea chiamata Urban che si inserisce in una fascia media di mercato (anche per il posizionamento di prezzo) ma che è capace di offrire tecnologie e caratteristiche finora appannaggio di fasce più alte. L’intento dell’azienda è quello di rendere l’innovazione fruibile per più persone possibile e così, ad esempio, il nuovo forno AKZ 7890 IX sfrutta tutti i vantaggi della nota tecnologia 6° Senso e mette a disposizione un menù che propone cotture preimpostate a seconda della tipologia di prodotto (carne, pizza, ecc.). Si aggiungono la cottura multilivello, una funzione per la pulizia della cavità con vapore a 90 °C, la classe energetica A+, la possibilità di scegliere una capa- C Forno e microonde a incasso della linea Urban. torna al sommario Philips AirFryer XL La friggitrice ad aria è ancora più capiente Con AirFryer XL Philips rinnova uno dei suoi prodotti più interessanti Ora è ancora più capiente e ha uno schermo touch digitale di Simona ZUCCA cità da 65 o 73 litri sempre nelle stesse dimensioni e una predominanza del vetro piuttosto che dell’acciaio. Il forno Urban sarà disponibile da maggio. Della linea fanno parte anche piano cottura a gas, lavello e un microonde a incasso AMW 731/IX anch’esso con tecnologia 6° Senso e in più funzione Crisp e capienza di 31 litri. Whirlpool sottolinea poi i punti di forza delle altre sue linee di prodotti a incasso come ad esempio Fusion e Ambient, caratterizzate da un design che accomuna i diversi elementi della cucina. Se l’uso dell’acciaio iXelium e della tecnologia 6° Senso contraddistinguono la linea Fusion, che si arricchisce di due nuovi colori, Black e White Luxury, è uno stile semplice ma al contempo funzionale a diversificare la Ambient. Per quanto riguarda il mondo della refrigerazione, l’azienda continua a puntare sull’esclusiva tecnologia StopFrost, che grazie a un elemento metallico inserito nel freezer riduce la formazione del ghiaccio e aumenta lo spazio a disposizione per la conservazione. Sempre in fatto di prodotti, l’Amministratore Delegato Lorenzo Paolini ha anticipato che nei prossimi mesi, probabilmente a maggio, è in arrivo da Whirlpool Italia una grande novità, un prodotto “che ancora non esiste sul mercato, legato al mondo della cucina”. Niente di più è dato sapere al momento. L’altro grande tema di cui molto si è discusso è quello dell’imminente acquisizione di Indesit da parte di Whirlpool. Non ci sono ancora dettagli ufficiali sulle conseguenze di questa fusione, il mese prossimo dovrebbero essere nominate le nuove leadership nei vari Paesi ma Paolini, convinto del successo di questa operazione, ritiene probabile che in Italia rimarranno due reti commerciali separate nonostante la leadership unica. Questo per le identità molto distinte che le due aziende hanno nel nostro Paese, diverse per posizionamento e rivolte a consumatori finali diversi. Il pannello dei comandi del forno Urban con al centro il selettore 6° Senso. A distanza di qualche tempo dall’uscita di AirFryer (leggi qui il nostro test), Philips rinnova la sua gamma con AirFryer XL migliorandone capacità, potenza e controlli. AirFryer XL conserva ovviamente tutti i vantaggi del modello precedente, ed è quindi capace di restituire un fritto leggero utilizzando solo un cucchiaio di olio grazie alla tecnologia brevettata Rapid Air, che combina la circolazione di aria calda e un elemento grill. Philips ha, però, migliorato alcune specifiche aumentando la capacità da 2.2 a 3 litri, cioè circa 1.2 kg (nella nostra prova uno dei punti di debolezza era risultata proprio la ridotta capacità), la potenza che passa dai 1425 W ai 2100 W, il timer che è regolabile fino a 60 minuti e i controlli, per cui ora l’apparecchio si gestisce facilmente tramite un touch screen digitale e un display su cui visualizzare ad esempio la temperatura. AirFryer XL dispone inoltre di un tasto che memorizza le impostazioni preferite ed è capace di sfornare patatine fritte ma anche di arrostire, cuocere al forno e grigliare. Invariato invece il tempo di riscaldamento, 3 minuti per raggiungere i 200 °C, e il filtro dell’aria integrato che limita il fastidioso odore di fritto nell’ambiente. Cambia, però, il prezzo: il modello precedente costava circa 199, questa nuovo XL è disponibile al prezzo consigliato di 299.99 euro. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE smarthome Abbiamo realizzato una guida su come difendere, fin dove è possibile, i propri diritti di utente e consumatore Black-out, sbalzi elettrici e danni agli apparecchi Vi spieghiamo cosa si può fare e come difendersi Dopo un black-out alcuni apparecchi digitali possono riportare dei danni, non solo per la sospensione dell’alimentazione ma anche per gli sbalzi di tensione correlati ai tentativi di ristabilire il servizio. Ecco come difendere i nostri diritti di utente di Gianfranco GIARDINA E di colpo salta l’energia elettrica: il classico blackout breve, che magari riguarda solo un isolato. Quel tipo di black-out di cui non si saprà mai nulla, che non appare sui giornali, perché dura poco e riguarda un numero limitato di persone. Quando poi la corrente ritorna, però, si contano i morti e feriti tra gli apparecchi elettronici. Infatti, i device digitali sono molto sensibili agli sbalzi di tensione che spesso si verificano nel momento dello sgancio improvviso o durante i tentativi di ristabilire il servizio. E questo checché ne dicano i gestori, sull’impossibilità di eventi di questo tipo: spesso gli apparecchi digitali, che sono sicuramente più delicati degli apparecchi elettromeccanici, accusano il colpo e non certo perché sono difettosi. I danni tipici: alimentatori guasti o divenuti inaffidabili Ma quali sono i problemi tipici che si manifestano dopo questi black-out? Al di là dell’eventuale perdita di dati nei computer in funzione e al danneggiamento possibile negli hark disk in scrittura al momento del black-out, il guasto tipico riguarda gli alimentatori e i caricabatterie. Questi apparecchi sono infatti assai sensibili agli sbalzi di tensione e spesso al ritorno della corrente elettrica non resta che constatarne la “morte”: vanno sostituiti. Più subdoli – e di conseguenza anche più fastidiosi – i problemi agli alimentatori dei PC desktop: la “botta” spesso viene assorbita dall’alimentatore che continua a funzionare, ma diventa meno affidabile. In pratica l’alimentatore si dimostra meno valido nel garantire le sue tensioni di uscita in maniera stabile, soprattutto quando è freddo: questa condizione di leggera instabilità si manifesta generalmente con un “blocco” totale del computer dopo un paio di minuti dall’accensione o anche meno; in molti casi, una volta che l’alimentatore si scalda diventa più stabile e meno vulnerabile, ma il danno è comunque fatto. E dei danni chi risponde? Il buon senso lascerebbe pensare che l’azienda che distribuisce la corrente elettrica possa essere ritenuta responsabile, almeno in parte, per il danneggiamento di apparecchi a causa di sbalzi di tensione. In realtà le società fornitrici, più o meno lecitamente, si sono ampiamente tutelate da questo punto di vista, inserendo apposite clausole nelle microscopiche e lunghissime “condizioni generali di fornitura” che vengono sottoscritte al momento dell’attivazione del servizio (e che nessuno ovviamente ha mai letto nel dettaglio). La situazione è poi ulteriormente complicata dal fatto che le condizioni generali di fornitura che fanno fede sono quelle sottoscritte all’attivazione del contratto, ma que- torna al sommario ste negli anni sono state ripetutamente aggiornate. Di conseguenza, quelle attuali che a volte si trovano sui siti probabilmente non fanno fede per il singolo contratto, le cui condizioni vanno verificate di caso in caso. Restando sulle condizioni attuali, tanto per fare un esempio, Enel ha previsto il seguente articolo: 12.3 In particolare, il Fornitore non risponde dei danni conseguenti a problemi tecnici concernenti la consegna dell’energia elettrica o del gas quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, variazioni della tensione o frequenza, della forma d’onda, interruzioni della continuità della fornitura o del servizio di trasporto del gas o di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica, riduzioni della fornitura di gas o gas non conforme alle specifiche di qualità e di pressione, microinterruzioni, buchi di tensione e, in generale, anomalie derivanti dalla gestione della connessione degli impianti del Cliente alla rete elettrica. Appare quindi chiaro come Enel, almeno formalmente, si “sfili” da qualsiasi responsabilità per gli sbalzi in arrivo sulla rete elettrica. A2A ha termini assolutamente analoghi all’interno delle proprie condizioni d’uso, che abbiamo tratto da quelle in possesso della nostra amministrazione, non essendo riusciti noi a reperire sul sito della società di un documento attuale di Condizioni generali di fornitura: dichiara non responsabile, praticamente tutti i casi di interruzione tranne il sabotaggio cosciente. La questione sembrerebbe quindi facilmente chiusa qui: se ci sono danni a valle del contatore dipendenti da qualsiasi evento accidentale sulla rete, il consumatore se li tiene e il distributore è libero da ogni onere. Non resta che farsi fare giustizia da Schwarzenegger... Si può fare reclamo, ma via fax! Laddove il consumatore ritenga che il nesso tra interruzione della corrente e relativo sbalzo e guasto dei propri apparecchi sia assolutamente certo, può comunque fare reclamo. I siti dei gestori offrono generalmente la modulistica online per procedere all’invio di un reclamo. Ma mentre si possono inviare con apposite form richieste di informazioni commerciali o in alcuni casi addirittura sottoscrivere nuovi servizi, il reclamo va compilato in carta e inviato via fax (o peggio ancora per posta). Si tratta dell’ennesimo caso di asimmetria per la quale le modalità di interazione tra il consumatore e l’azienda cambiano a seconda del tipo di comunicazione: se si tratta di un’opportunità commerciale ci sono tutte le facilitazioni offerte dagli strumenti telematici, come si può vedere nella schermata qui sotto, tratta dal sito Enel, che offre una form per inserire i propri dati ed essere contattato. A2A non risponde dei danni causati dall’energia elettrica a valle del punto di consegna (gruppo di misura). Le variazioni di frequenza o tensione dovute a cause accidentali, le interruzioni o le limitazioni della fornitura dovute a cause accidentali, a scioperi, a esigenze di servizio non modificabili né condizionabili dal Fornitore perché derivanti da attività del Distributore non danno diritto a riduzioni del corrispettivo, a risarcimento di danni, a risoluzione del contratto. Praticamente sono citati, tra i casi in cui il gestore si segue a pagina 22 n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE smarthome Black-out, ecco come difendersi segue Da pagina 21 Se però si tratta di inviare un reclamo si ritorna alla posta cartacea o peggio ancora al fax: di certo, nel 2015, non è lo strumento di comunicazione più diffuso fra le famiglie italiane. Nel caso di ENEL, poi, addirittura il link arancione al modulo di reclamo della schermata qui riportata, conduceva a una pagina completamente bianca: sicuramente un errore di costruzione del sito, rimediato dopo la nostra segnalazione. Sul sito di ACEA invece il modulo di reclamo è disponibile ma l’unica opzione di invio disponibile è quella postale. Trovare il modulo di invio reclamo sul sito di Edison è invece una vera impresa: non ci siamo riusciti dai comuni menù del sito e ci siamo arrivati solo inserendo “reclamo” nel campo di ricerca: il modulo che se ne ricava non fa riferimento ad altre modalità di invio se non quella postale. In realtà, sul sito Edison è invece facilmente recuperabile il modulo per attivare la procedura di Conciliazione (che invece può essere anche inviata via mail) ma che richiede come prerequisito che già si sia compiuto l’iter dell’invio del reclamo (per posta) e dell’ottenimento della relativa risposta. Insomma, tutto molto difficile per il povero consumatore. 40 giorni per ottenere la risposta A valle del reclamo, il fornitore di energia elettrica ha 40 giorni per rispondere, anche sulla base dei dati custoditi nel registro delle interruzioni di servizio, reso obbligatorio dall’Autorità per l’Energia. Nella risposta, infatti, il gestore citerà le interruzioni effettivamente verificatosi sull’utenza in questione e le motivazioni delle stesse. Ma qualsiasi sia la causa, nella stragrande maggioranza dei casi, la risposta del fornitore richiamerà ai già citati articoli delle condizioni generali d’uso, rinviando al mittente ogni richiesta di rimborso, anche parziale, dei danni. A2A, per bocca di un proprio responsabile, ci conferma che danni “puntuali” non vengono normalmente riconosciuti in forza delle condizioni contrattuali e soprattutto del fatto che il consumatore non è generalmente in condizione di provare il nesso tra l’interruzione di corrente e il danno. Cosa diversa è – ci dice il responsabile di A2A – se l’azienda è al corrente di un errore di un proprio addetto, per esempio in un collegamento, che abbia comportato un importante sbalzo di corrente: in tal caso l’azienda – che è assicurata contro questi rischi – risponde rifondendo i danni causati a valle del contatore. “Si tratta di eventi molto rari – ci dice il rappresentante di A2A – e che, quando accadono, creano danni in tutte le utenze coinvolte. Cosa diversa è se il reclamo ci arriva da un solo utente in tutta la zona interessata dall’interruzione: più facile pensare che si tratti di un apparecchio o di un alimentatore non a norma, ovverosia non in grado di resistere alle normali piccole fluttuazioni di tensione previste dalle normative”. In altre parole, il problema non starebbe nell’eventuale sbalzo sulla rete quanto nella vulnerabilità di un apparecchio difettoso. Può anche essere, ma di certo è difficilissimo per il consumatore dimostrare il contrario, non disponendo di apparecchi di misura costantemente collegati alla rete elettrica né della possibilità di dimostrare con misure di laboratorio che l’apparecchio in questione fosse, prima del guasto, assolutamente rispondente alle normative. A questo punto non resta che spargere la voce nel condominio e negli stabili adiacenti per capire se a qualcun altro si sono verificati eventi simili: in questo caso l’unione fa davvero la forza. Il reclamo “pilota” di DDAY.it Per capire meglio come funzionasse la questione e sulla base delle interruzioni che hanno riguardato la redazione di DDAY.it (invero assai frequenti) nel mese di dicembre 2014 abbiamo presentato regolare reclamo ad A2A ottenendo entro i 40 giorni previsti una risposta di diniego rispetto a qualsiasi ipotesi di rimborso danni a causa del fatto che in tutti i casi si sarebbe trattato di “fatto accidentale imprevedibile”; per questo motivo – viene scritto nella lettera – “non ci riteniamo responsabili dei danni da Voi lamentati”. Nella risposta erano elencate le tre interruzioni occorse nel trimestre precedente e la causa, sempre indipendente dalla volontà di A2A (e ci mancherebbe). Ma nel frattempo, nelle ultime settimane l’erogazione è stata interrotta altre due volte, tra l’altro con qualche danneggiamento ad apparecchi: avremmo quindi dovuto inoltrare ulteriore reclamo per avere indicazioni anche su queste interruzioni e ottenere presumibilmente risposta analoga. Resta il fatto che ben tre apparecchi si sono guastati durante l’ultima interruzione (l’alimentatore di un NAS, la logica di un hard disk esterno alimentato e una ventola di un bagno cieco) ed è davvero difficile pensare a una combinazione così incredibile da far coincidere tre guasti occasionali e indipendenti proprio con il salto di alimentazione: tutti apparecchi difettosi? Libero mercato o maggior tutela? Una ulteriore complicazione nasce dalla liberalizzazione del mercato dell’energia: gli utenti possono restare nel servizio di “maggior tutela”, con il gestore di zona e con le tariffe stabilite dall’Authority, oppure accettare un’offerta di un venditore terzo e passare al cosiddetto “libero mercato”. In questo scenario, per gli utenti passati al libero mercato, le figure coinvolte sono due: il venditore dell’energia, ovverosia la società con la quale si è fatto il contratto per la fornitura, e il distributore, segue a pagina 23 torna al sommario n.106 / 15 23 febbraio 2015 smarthome Black-out, ecco come difendersi segue Da pagina 22 cioè il gestore della rete nella zona e proprietario, per esempio, del contatore e delle stazioni di distribuzione dell’energia, da cui ovviamente dipende l’eventuale interruzione. A questo punto, in caso di black-out con danni a chi ci si deve rivolgere? Insomma, chi è responsabile, Il distributore o il fornitore? La domanda è lecita: la logica lascerebbe pensare che il reclamo vada comunque inoltrato al proprio venditore con cui si intrattiene il rapporto contrattuale; andando invece sui siti degli operatori in libero mercato, si arguisce che per motivi di guasti sulla rete ci si debba rivolgere direttamente al gestore locale della fornitura, con il quale però non si intrattiene alcun rapporto contrattuale diretto. Qui la questione – che dovrebbe essere chiarissima – è invece dibattuta: l’Autorità per l’Energia ci ha detto letteralmente che “in caso di reclamo il cliente deve prima rivolgersi al venditore”; Eni (che opera sull’energia elettrica in regime di libero mercato) ci ha invece risposto che “Il cliente in questi casi dovrebbe preferibilmente rivolgersi direttamente al distributore locale proprietario anche del contatore”. Abbiamo obiettato che il cliente in regime di libero mercato in realtà non pare intrattenere alcun rapporto contrattuale con il distributore locale: ha senso inoltrare ad esso un reclamo? “Certo – ci ha risposto Eni -. Il cliente ha in corso un rapporto contrattuale instaurato tramite il fornitore di energia, al quale aveva dato mandato, in fase di sottoscrizione della fornitura di energia, per sottoscrivere il contratto di connessione alla rete del distributore”. A2A, che gestisce per esempio tutta la rete di Milano, invece è del parere opposto: bisogna rivolgersi al rivenditore (che a sua volta contatterà il distributore per avere le informazioni sui guasti della rete). Di certo si tratta di un punto non chiaro e che invece dovrebbe essere meglio esplicitato per mettere in condizione i clienti che si riforniscono sul libero mercato di sapere come comportarsi, invece di essere rimbalzati da una figura all’altra. Si può sempre ricorrere all’Authority MAGAZINE e chiede lumi al gestore coinvolto. Va ricordato che il prerequisito per poter accedere allo Sportello per il consumatore è quello di aver già provveduto a inoltrare reclamo al fornitore: in caso di mancata risposta entro 40 giorni o di risposta ritenuta insoddisfacente si può quindi chiedere l’intervento dell’Autorità. In ogni caso, è molto interessante l’Altante dei diritti dei consumatori di energia, una sezione divulgativa del sito dell’Autorità per l’energia che dà molte delucidazioni senza esprimersi in “burocratichese”: da leggere in ogni caso. Atlante per i diritti del consumatore Come difendersi L’assicurazione è una soluzione? Visti le limitate speranze di vedersi riconosciuto un risarcimento dal proprio gestore, una scelta di serenità potrebbe essere quella di una polizza assicurativa. Addirittura in molti casi si tratta di un servizio offerto dallo stesso fornitore dell’energia elettrica: l’assicurazione sui rischi elettrici di solito prevede anche i guasti agli apparecchi dovuti alla rete elettrica; nel caso di Eni, per esempio, i clienti che ne fanno richiesta possono avere una copertura assicurativa senza costi aggiuntivi che, pur con alcune franchigie, copre da guasti ai grandi elettrodomestici fuori garanzia. Non ci pare una vera soluzione, visto che il danno può avvenire anche ad apparecchi in garanzia (e relativamente ai quali potrebbe essere non così scontato ottenere riparazione gratuita dal centro di assistenza) e soprattutto riguarda più frequentemente i piccoli apparecchi digitali e non lavatrice e lavastoviglie. Da considerare, in ogni caso, visto che il TV, apparecchio affetto da problemi in caso di sbalzo grave, è comunque coperto dalla polizza Eni. Nulla vieta ovviamente di sottoscrivere altre polizze sui rischi domestici che offrano una copertura più estesa o dotare gli apparecchi, in fase di acquisto, delle classiche estensioni di garanzia (che di fatto sono delle assicurazioni). Come difendersi: i gruppi di continuità e i limitatori di tensione? Nel caso in cui si ritenga la risposta del fornitore di energia elettrica non soddisfacente, ci si può rivolgere all’Autorità Garante per l’Energia, che ha allestito uno “Sportello per il consumatore”: la form con il reclamo in questo caso, oltre che per posta o per fax, può essere inviata anche via email, a dimostrazione che questo canale potrebbe essere utilizzato anche dai gestori. Che sia la Pubblica Amministrazione ad offrire canali di comunicazione più evoluti rispetto ai gestori privati è di certo un fatto notevole. A valle del reclamo all’Authority - come ci ha spiegato un rappresentante – è l’ente che inquadra il problema torna al sommario Alcuni gestori ci hanno dato una risposta che per certi versi lascia interdetti: se gli apparecchi digitali sono così delicati – ci hanno detto – deve essere cura dell’utente anteporre ad essi uno stabilizzatore o un gruppo di continuità. Di certo, in questo modo, l’apparecchio è protetto ma a spese del consumatore per disservizi di certo non dipendenti dalla sua volontà né da negligenza. Al di là dei gruppi di continuità, che al massimo possono essere presi in considerazione per gli apparecchi assolutamente “vitali” per il buon funzionamento della casa (come computer critici, impianti di sicurezza, centralini, e così via) una soluzione da prendere in considerazione, seppur costosa, potrebbe comunque essere un limitatore di tensione: si tratta di apparecchi installabili facilmente nel quadro elettrico di casa da un elettricista che si occupano di assorbire anche i picchi di tensione in arrivo sulla rete. Dispongono generalmente di una cartuccia che “assorbe” gli eccessi di tensione e che, dopo un certo numero di eventi, va cambiata per garantire la massima efficienza dell’apparecchio. Ovviamente non si tratta di uno “scudo” inviolabile, ma di una buona protezione: leggiamo dalle note tecniche di Gewiss, per esempio: È dimostrato che le scariche elettriche derivanti da fulminazioni e anche gli impercettibili picchi di corrente generati dalla linea elettrica esterna alla propria abitazione, anche se di entità inferiore rispetto ai fulmini, rappresentano la principale causa di guasto dei dispositivi elettronici. Installato nel centralino, lo scaricatore riduce il rischio di guasti ai dispositivi elettrici collegati all’impianto. Si consideri che il 70% dei guasti alle apparecchiature elettroniche di casa è causato da sovratensioni di origine atmosferica o di manovra effettuate dall’ente erogatore. Di certo il consiglio è quello di orientarsi verso limitatori di tensione di tipo 1-2, validi sia per eventi atmosferici (come i fulmini) che per sovratensioni in arrivo dalla rete elettrica. Se il black-out è lungo il consumatore ha diritto a un rimborso Se l’interruzione di erogazione dell’energia elettrica ha una durata di almeno 8 ore, come per esempio nei gravi disservizi occorsi con una delle ultime nevicate in Emilia, scattano (o dovrebbero scattare) automaticamente una serie di rimborsi in bolletta per gli utenti coinvolti. In particolare, la durata dell’interruzione che fa scattare i rimborsi dipende da quanto è inurbata l’area coinvolta. Tanto per fare un esempio, nelle città, quando la sospensione raggiunge le 8 ore si ha diritto a un rimborso di 30 euro aumentati di ulteriori 15 euro per ogni 4 ore aggiuntive, fino a un massimo di 300 euro ad evento. Non è chiaro se effettivamente i gestori effettivamente inseriscano i rimborsi in bolletta autonomamente a tutte le utenze coinvolte dal blackout o se questo trattamento viene riservato solo agli utenti che, inviando un reclamo, ne facciano richiesta: su questo tema abbiamo avuto dagli interlocutori sentiti, pareri contrastanti. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE smarthome Elon Musk, CEO di Tesla, annuncia l’arrivo una batteria per alimentare la casa Pronta la batteria per la casa: parola di Tesla L’idea alla base è mutuata dalla Model-S, il progetto potrebbe divenire realtà in pochi mesi T di Michele LEPORI esla sta per esportare la sua idea di batterie al di fuori della scocca di Model-S per rivoluzionare un altro settore, quello della smarthome: Elon Musk non fa pre-tattica e annuncia al mondo che il suo nuovo progetto è praticamente terminato (sulla carta) e che l’inizio della produzione è solo questione di mesi. Musk è un visionario, uno che anticipa i tempi ma l’idea che sta portando avanti è già una mezza realtà in casa Toyota che sulla sua Mirai (futuro, in giapponese) utilizza una cella a idrogeno rimovibile e utilizzabile anche in casa per alimentare i dispositivi elettrici: il progetto di Tesla è a più ampio respiro, ma lo “spunto” potrebbe non essere tutta farina dei laboratori di San Carlos. L’idea di realizzare accumulatori per la casa ad altissima efficienza, evidentemente da coordinare con gli impianti fotovoltaici, potrebbe rappresentare un passo avanti non indifferente anche al fine di testare tecnologie da impiegare in un secondo momento a bordo delle auto elettriche. Foto rubate, stranamente, non ce ne sono, ma ad una recente conference call con gli azionisti Musk ha fornito qualche idea più precisa: “L’idea di design che sta alla base della batteria è mutuata dal progetto Model-S: è qualcosa di sottile, poco più di 5” di sporgenza dalla parete compreso l’aggancio, una scocca splendida ed un inverter bidirezionale plug&play”. Le vendite della loro supercar saranno anche leggermente sotto le aspettative, ma questo nuovo progetto ha le carte in regola per interessare tutti. Scienza e futuro Un ricercatore svedese ha creato le prime lenti a contatto con lo zoom Lenti a contatto con lo zoom per sembrare un cyborg Ingrandiscono gli oggetti con un fattore di 3x e si possono attivare sbattendo le palpebre L di Roberto PEZZALI e lenti a contatto con lo zoom sono realtà: il ricercatore svedese Eric Tremblay è infatti riuscito a creare il primo prototipo funzionante di lenti a contatto dotate di un piccolo telescopio integrato. Lo spessore della lente è di soli 1.55 mm, può essere indossata in modo simile alle lenti attuali senza causare troppa fatica di visione, grazie ad un sistema di ossigenazione creato con piccoli tunnel microscopici. La lente a contatto, che può ingrandire oggetti fino a 3 volte (2.8x), è il frutto di un duro lavoro iniziato tre anni fa per poter risolvere problemi di vista che sorgevano con l’età: finanziato dalla DARPA, l’agenzia per la ricerca dell’esercito americano, il ricercatore è riuscito a risolvere i problemi di gioventù e a eliminare quasi tutti gli inconvenienti del primo prototipo, inclusa la necessità di levarsi le lenti per disattivare l’effetto zoom. Il nuovo modello, presentato nei giorni scorsi, può infatti essere accop- torna al sommario piato a particolari occhiali che rilevano il battito delle palpebre e attivano o disattivano lo zoom semplicemente strizzando o l’occhio sinistro o l’occhio destro. Le lenti possono essere indossate senza problema per un giorno intero e funzionano con un micro array di specchi che intercettano la luce prima del contatto con l’occhio. Ad oggi non è stata annunciata una possibile data di commercializzazione “consumer”, ma in teoria il prodotto sarebbe pronto: la DARPA, che ha finanziato il progetto, potrebbe però sfruttare prima le lenti con zoom in ambito militare. Samsung pensa a droni realtà virtuale e stampa 3D Samsung annuncia il nuovo corso della divisione mobile in cerca di gloria dopo le batoste finanziarie recenti. Parola d’ordine realtà virtuale, droni e stampa 3D per un team che sarà indipendente ma non troppo di Michele LEPORI Samsung Mobile ha bisogno di rilanciarsi: il mercato ha usato il bastone e ora Samsung vuole guadagnarsi la carota rimettendo in discussione l’idea stessa di divisione mobile allargandone il raggio d’azione a qualcosa di più del mondo Galaxy. Il neonato team di ingegneri, progettisti e designer sarà infatti chiamato a lavorare su realtà virtuale, droni, stampa 3D e qualsiasi altro progetto si possa integrare al concetto di mobilità oltre l’idea di Galaxy S6. “Data l’importanza che ricoprirà questo team, chi ne farà parte godrà di una maggiore indipendenza e il parere che si troverà a esprimere sarà più autorevole poiché lo scopo principale della squadra non sarà la creazione immediata di qualche tipo di dispositivo, bensì lo sviluppo di soluzioni che viaggino in parallelo con la capacità di produzione che possiede Samsung”. Queste le parole di un portavoce che chiarisce il ruolo-nel-ruolo che ricoprirà questo team senza nome all’interno della divisione mobile. Interessante l’idea di voler lavorare nell’ottica di creazione di un ecosistema funzionale e funzionante come già altri competitor stanno portando avanti da anni, anche se ci risulta difficile credere che sia stata data carta bianca al team, sia in termini di tempistiche che di traduzione del lavoro in qualcosa di concreto e vendibile: Samsung Gear VR, in fondo, è già bell’e pronto... n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE automotive Il gruppo Volkswagen alla ricerca di nuove soluzioni motoristiche “pulite” Audi scommette sull’idrogeno Fuel Cell Acquisiti brevetti per il valore di 50 milioni di dollari, ne trarrà giovamento tutto il gruppo VW A di Massimiliano ZOCCHI l Los Angeles Auto Show, Audi ha presentato la A7 h-Tron Quattro, vettura basata sulla A7 ma con motore a celle a combustibile, dimostrando interesse per questa tecnologia propulsiva. Ora aggiunge un altro tassello acquisendo diversi brevetti relativi allo sfruttamento dell’idrogeno come combustibile. L’accordo è stato portato a termine con la Ballard Power Systems e prevede l’acquisizione da parte di Audi di brevetti per un valore di circa 50 milioni di dollari e il prolungamento fino al 2019 della partnership tra le due aziende per la realizzazione di nuovi prototipi. Questa seconda parte dell’accordo si stima abbia un valore tra 24 e 40 milioni di dollari, portando quindi il valore complessivo dell’operazione a un cifra intorno ai 100 milioni di dollari. Ulrich Kackenberg, responsabile dello sviluppo tecnico di Audi ha commentato così: “L’accordo testimonia il crescente legame tra l’auto e le Fuel Cell; da esso deriverà un ulteriore progresso del programma Volkswagen per l’auto con questa tecnologia”. Infatti Audi fa parte del gruppo Volkswagen che gestisce diversi brand automotive, e molto probabilmente i brevetti acquisiti potranno essere sfruttati da tutto il gruppo, coinvolgendo marchi come Porsche, Lamborghini, Bentley, o le più diffuse SEAT e Skoda, oltre che ovviamente le auto VW. Sembra quindi che il monopolio di Toyota nelle vetture a idrogeno (con la sua Mirai) sia destinato a finire, e l’interesse di un gruppo europeo potrebbe innescare la realizzazione di stazioni di rifornimento anche nel vecchio continente. Emerge Project Titan, l’auto elettrica firmata Apple Su Titan, questo il nome del progetto, sarebbero al lavoro anche diversi ingegneri ex Tesla S econdo diverse indiscrezioni, Apple sarebbe al lavoro da tempo su un progetto di auto elettrica. In particolare sia il Wall Street Journal che Reuters sono usciti con articoli con informazioni ottenute da fonti che sarebbero al corrente di quello che si chiamerebbe torna al sommario Partecipazione al 2% in una startup giapponese che sviluppa tecnologie per la guida autonoma Obiettivo: diventare il fornitore numero 1 di fotocamere per l’automotive di Paolo CENTOFANTI automotive Apple starebbe sviluppando una vettura elettrica, forse con guida autonoma di Massimiliano ZOCCHI Anche Sony investe sul futuro dell’automobile Project Titan. Tim Cook avrebbe infatti dato il via libera da almeno un anno alla creazione di un team di circa 1000 persone per lo sviluppo di un’automobile elettrica e, potenzialmente, con guida autonoma. A capo del progetto di ricerca e sviluppo ci sarebbe Steve Zadesky, ex dirigente Ford, che avrebbe avuto l’autorizzazione ad assumere personale esperto nel settore automotive, particolare questo che coincide con le indiscrezioni che vorrebbero Apple aver già fatto suoi diversi ex ingegneri Tesla. Una fonte aveva rivelato che l’azienda era al lavoro su un progetto in grado di dare filo da torcere a Tesla, dopo che erano circolate immagini di misteriose monovolume intestate ad Apple, dotate di altrettanto curiosi sistemi di rilevamento stradale. Per quanto incredibili, tutte queste rivelazioni sembrano andare tutte nella stessa direzione: Apple starebbe lavorando per entrare nel mercato delle auto. Va detto che, trattandosi ancora di un progetto di pura ricerca e sviluppo, potrebbero volerci ancora diversi anni prima che qualcosa di concreto veda la luce, sempre che poi l’azienda non decida di cambiare idea. Con la montagna di liquidità che si ritrova, oltre 150 miliardi di euro, e la capitalizzazione da record, Apple può fare un po’ tutto quello che vuole del resto. Secondo quanto riportato dal Financial Times, Sony ha investito 100 milioni di Yen (circa 740.000 euro) nella startup giapponese ZMP, azienda specializzata in veicoli a guida autonoma con il brand RoboCar. La partecipazione di Sony è pari a circa il 2% del capitale di ZMP e prevede una collaborazione sul fronte dei sensori di immagine che Sony intende sviluppare come componenti per il sistema di guida automatica delle auto del futuro. La divisione dedicata ai sensori di immagine è una di quelle che genera i maggiori profitti all’interno del gruppo Sony, soprattutto grazie alla fornitura di componenti per smartphone, dove l’azienda giapponese detiene una quota di mercato del 40%. Ora l’azienda vuole mettere a frutto l’esperienza acquisita in questo campo, per agganciare il treno dello sviluppo del futuro business delle vetture autonome che, secondo il general manager della divisione sensori di Sony, per il 2020 potrebbe diventare una realtà commerciale. Di certo, man mano che le auto diventeranno più connesse e dotate di sistemi di visione, crescerà il mercato dei sensori di immagine per il settore automotive e Sony vuole assicurarsi un ruolo da protagonista. Per quanto riguarda questo settore, la quota di Sony è al momento ferma al 5%, per cui la strada da fare è ancora molta. IL PIÙ SEMPLICE IL PIÙ SMART *LG G2 vincitore del premio Best Phone 2013 di Cellulare Magazine. Now It’s All Possible Cosa c’è di meglio di LG G2, eletto migliore smartphone del 2013*? La sua sorprendente evoluzione. Nuovo LG G3. Il più semplice, il più smart. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE tEST Specifiche tecniche e prestazioni davvero buone in quanto a potenza, praticità, produttività, batteria e fotocamera Samsung Galaxy Note Edge con schermo curvo Phablet con una marcia in più, ma non è per tutti Sotto la maschera, il Galaxy Note Edge è un Galaxy Note 4 ma l’anomalo schermo curvo su un lato lo rende diverso Nonostante qualche inevitabile pregiudizio, la scelta di estendere il display ha senso. Il prezzo, tuttavia, è elevato di Vittorio Romano barassi È stato presentato all’IFA 2014 di Berlino dove lo abbiamo testato per la prima volta, è stato lanciato sul mercato internazionale a novembre ma è arrivato in Italia solo a Natale; parliamo di Galaxy Note Edge, gemello diverso di Galaxy Note 4 (qui il link alla nostra prova completa), dispositivo con cui Samsung ha deciso di stupire il mondo grazie a un design unico nel suo genere. Note Edge è un device interessante sotto moltissimi aspetti, è potentissimo ed è costruito davvero bene, ma è inutile girarci troppo intorno: il 90% dell’effetto WOW è generato dal display. Con Note Edge, Samsung ha voluto mostrare a tutti come sia in grado di curvare i display di piccolo taglio, una sorta di risposta al G Flex di LG (che al CES 2015 ha presentato la seconda generazione), ma con un significato anche funzionale. Insomma, design al servizio della praticità e non solo della spettacolarità. Galaxy Note Edge, in ogni caso, cattura l’attenzione: l’occhio viene subito colpito dalla decisa curvatura laterale del display, ma anche il tatto finisce per consegnare un’impressione alquanto positiva su solidità e finiture. Samsung Note Edge, come del resto Note 4, è un phablet ben costruito: la cover posteriore rimovibile è sempre in plastica e con effetto simil-pelle, ma la scocca metallica rifinita in alluminio dona quella sensazione Premium che tutti coloro che sono disposti a spendere quasi 900 euro dovrebbero dare per scontata. Anche qui abbiamo trovato il piccolo gap tra schermo e cornice, ma non è nulla di preoccupante. Il peso di 174 grammi si fa sentire tutto ma è ben di- video Samsung Galaxy Note Edge 8.7 Qualità 9 Longevità 9 Design 10 Design e display unico nel suo genere Cosa ci piace Prestazioni mostruose Costruzione esemplare S-Pen è un valore aggiunto stribuito sui 151.3 x 82.4 x 8.3 mm del corpo; il phablet entra più o meno in tutte le tasche ma c’è sempre il rischio di vederlo strabordare da quelle più piccole e metterlo in quelle posteriori dei jeans non è proprio consigliato. Come per il Galaxy Note 4, ci troviamo dinanzi a un telefono resistente con display a prova di graffio, ma il corpo non è waterproof; Galaxy S5, sotto questo aspetto, resta una spanna sopra. Non manca la porta IR per l’utilizzo da telecomando. L’essenza di Note Edge la ritroviamo tutta nel display, un pannello molto valido che Samsung ha realizzato appositamente per questo dispositivo. È un Super AMOLED come quello di Note 4 ma ha una diagonale inferiore (5,6 pollici contro i 5,7 pollici) e, soprattutto, una curvatura più che accentuata nella porzione destra che aggiunge 160 pixel al lato corto del display. Il risultato finale è un pannello Quad HD+ lab Galaxy Note Edge è essenzialmente un Galaxy Note 4 dotato di schermo curvo. È dunque un dispositivo potente, pratico, produttivo e ottimizzato; il pennino S-Pen è eccellente, l’interfaccia utente non delude e la fotocamera non ha nulla da invidiare agli altri flagship presenti sul mercato. La batteria poi, seppur più “piccola” rispetto a Note 4, è in grado di portare ogni tipologia di utente fino a sera. A tutto questo si aggiunge il display, un pannello da 5,6 pollici SuperAMOLED con porzione laterale curva che è davvero una gioia per gli occhi; la curvatura, poi, non è solo una particolarità estetica: è un qualcosa che Samsung ha saputo integrare molto bene a livello di sistema e che potrebbe rendere ancor di più se gli sviluppatori di app crederanno in questa miglioria (cosa al momento difficile vista l’unicità del progetto). Galaxy Note Edge, però, ha un limite e questo è rappresentato dal prezzo: 869 euro, 100 in più per un Galaxy Note 4 “particolare” sono davvero tanti. Samsung non punta a venderne milioni, ma viste le cifre in ballo il rischio è quello di attrarre solo gli affezionati della serie Note. Un vero peccato perché un gioiellino come questo meriterebbe tutt’altro tipo di successo. Display Super AMOLED da primo della classe, con 160 pixel in più torna al sommario 869,00 € IL MIGLIOR PHABLET? SÌ, MA COSTA DAVVERO TROPPO Semplicità 8 D-Factor 10 Prezzo 7 Prezzo Cosa NON ci piace Fotocamera frontale migliorabile Sensore impronte digitali non praticissimo da 2560x1600 pixel unico nel suo genere, splendido da ogni angolazione e tipicamente OLED con colori molto vivi, spesso fin troppo, che però nulla tolgono alla bellezza del display. Come su Galaxy Note 4, tramite l’opzione Schermo Regolabile, è possibile selezionare tra diversi preset di impostazioni cromatiche e anche stavolta abbiamo trovato giusta l’impostazione base; i neri sono sempre eccezionali grazie alla tecnologia OLED, i chiarissimi molto brillanti anche se permane una tendenza “azzurrina” se si esagera con l’angolo di visione, e la luminosità generale è più che buona: lo schermo di Note Edge si vede bene anche sotto la forte luce del sole. Sono i 160 pixel in più nella curva a fare la differenza, pixel che Samsung ha piegato in modo deciso ma piacevole, riuscendo ad ottenere un risultato visivo - e non solo - invidiabile. Nonostante la curvatura, segue a pagina 28 n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE tEST Samsung Galaxy Note Edge segue Da pagina 27 Galaxy Note Edge è un phablet che si impugna anche abbastanza bene; i destrimani sono certamente privilegiati ma non abbiamo trovato nessun mancino che si lamentasse di qualcosa in particolare, anche perché, volendo, tutto può ruotare di 180 gradi (ma quando si telefona bisogna ri-ruotare il tutto). Le lamentele, semmai, sono arrivate considerando le dimensioni del dispositivo: Note Edge è un device grande e bisogna farci un po’ la mano, soprattutto se si è abituati a utilizzare smartphone più piccoli. Dopo qualche giorno di pratica, però, si riesce a fare più o meno tutto, ma resta comunque impossibile raggiungere col pollice ogni porzione del display, aspetto comunque trascurabile se si considera la natura del dispositivo (è un phablet e l’uso a due mani non è così surreale). Lo schermo curvo ha un suo perché Andiamo ora ad analizzare più nel dettaglio i 160 pixel in più che caratterizzano in larghezza il display di Galaxy Note Edge. Sin dall’inizio, in molti hanno pensato che quella di inserire una porzione curva potesse essere una mera scelta di stile, ma in realtà lo schermo curvo è stato ottimamente implementato e ben si intona con le funzionalità principali del phablet. Il primo dettaglio che balza all’occhio è la scomparsa della classica dock inferiore e l’inserimento di una barra laterale occupante proprio la porzione curva del pannello: spariscono dunque le grandi cinque icone in basso della TouchWiz e rimangono, in piccolo, solo il tasto per la chiamata e quello per accedere all’app Drawer, tra i quali vi è solo l’indicatore della schermata in cui ci si trova. Schermata home: sparisce la dock inferiore per far spazio a quella laterale. torna al sommario La dock sul lato destro, su fondo scuro, è completamente personalizzabile, nel senso che si possono aggiungere le icone di ogni applicazione installata sul dispositivo; se si supera il numero di sette, queste saranno visualizzabili facendo un semplice swipe verso l’alto ed è possibile pure l’organizzazione in cartelle. La dock è una presenza fissa quando ci si trova sui vari desktop principali, mentre scompare - lasciando spazio a una scritta personalizzabile una volta entrati nell’app drawer o in qualsiasi applicazione; per richiamarla è sufficiente effettuare un semplice swipe verso sinistra sulla porzione curva del display. Inutile dire che ogni tanto può capitare di premere qualche icona inavvertitamente, ma c’è anche da sottolineare come il dispositivo sia comunque molto attento a distinguere tra tocchi intenzionali e quelli non voluti. Tutto ha però un limite e, vuoi per la natura del device, vuoi per le sue dimensioni, qualche imprevisto può sempre capitare. Dopo un po’, però, ci si fa la mano e col pollice si controlla tutto alla perfezione. Il display laterale, comunque, non è solo una dock per le applicazioni ma è soprattutto un centro notifiche ben congegnato. Oltre alle notifiche standard sulla barra di stato superiore, queste appaiono anche sul pannello laterale dando precisa indicazione dell’evento e lasciando spazio al badge col numero delle notifiche sull’eventuale icona presente sulla dock laterale. Facendo uno swipe laterale sulla dock attiva si accede poi al vero pannello che riassume le notifiche: su di esso vengono visualizzate chiamate perse, e-mail e messaggi non letti, anche di applicazioni di terze parti come WhatsApp. Come ogni pannello laterale, questo è personalizzabile e si può visualizzare anche temperatura e condizioni meteo. Comodissima è poi la possibilità di decidere se accettare o rifiutare una chiamata in ingresso quando Nella porzione curva c’è il sunto delle notifiche. Chiamate, messaggi, email sempre sotto controllo. si è dentro un’applicazione (a esempio mentre si sta visitando un documento o si sta navigando col browser web): sul display laterale appare il nome di colui che sta chiamando e i due pulsanti per accettare e deviare la chiamata, tutto senza disturbare la produttività. Il display curvo, oltre a fare da dock e fungere da Le notifiche appaiono live sulla porzione laterale, sia a schermo bloccato sia mentre si usa una applicazione segue a pagina 29 Comodissima la possibilità di rispondere o deviare la chiamata direttamente dalla barra laterale. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE tEST Samsung Galaxy Note Edge segue Da pagina 28 vero e proprio centro notifiche (anche live), si integra perfettamente con diverse applicazioni realizzate da Samsung stessa. Pensiamo per esempio a S-Note, app che sfrutta il pennino S-Pen e che in Galaxy Note Edge visualizza la barra degli strumenti proprio nella porzione curva del display; anche il player multimediale è realizzato ad hoc, con i vari pulsanti posizionati in maniera strategica sulla curvatura così da non disturbare la riproduzione dei filmati. Altro esempio che ci viene in mente riguarda l’app fotocamera: in tale ambiente fa molto piacere trovare tutte le impostazioni e soprattutto il pulsante di scatto (sullo schermo curvo) al punto giusto. Tra le funzionalità del display curvo ci sono anche un paio di chicche che abbiamo trovato utili nell’utilizzo quotidiano. Innanzitutto abbiamo l’orologio notte, funzionalità personalizzabile che fa sì che il display laterale di Note Edge resti acceso a bassa luminosità nell’intervallo orario preimpostato (fino a 12 ore); il consumo di batteria è davvero irrisorio poiché, come abbiamo già sottolineato, siamo in presenza di un display OLED e quindi restano accesi solo i pixel necessari a visualizzare orario, info meteo ed eventuali notifiche. Se si pensa che poi, spesso, di notte il dispositivo va sotto carica, il discorso del consumo della batteria non ha proprio senso. Seconda chicca è la possibilità di accendere il solo display laterale anche di giorno; basta effettuare un paio di swipe in alto e in basso sulla curvatura per far apparire la stessa schermata orologio descritta in precedenza e tenere sotto controllo orario e notifiche (che in questo caso scorrono sul display) anche durante le ore diurne. Difficile comprendere come mai Samsung abbia impostato un timeout massi- La barra degli strumenti di S-Note appare nella porzione curva del display: massima comodità e praticità. torna al sommario I controlli e la barra di avanzamento della riproduzione sono sempre posizionati sul display curvo: o in alto o in basso. mo di accensione a 10 minuti; il limite è comunque bypassabile dalle opzioni sviluppatore, ma solo a patto di tenere il dispositivo sotto carica. Con il pannello laterale attivo è inoltre possibile effettuare uno swipe per accedere alla dock e lanciare le applicazioni presenti su di essa. Tra le cose inutili relative al display curvo segnaliamo la presenza di diversi pannelli “opzionali” poco significativi e altrettanto poco pratici come quelli dedicati a finanza, sport e obiettivi giornalieri S-Health (e ce ne sono anche altri scaricabili). Nulla di trascendentale, se ne può fare tranquillamente a meno. Inutile, ma alla fine con un minimo di senso, anche il pannello di accessori che spunta facendo uno swipe dall’alto dal quale si ha rapido accesso a un righello, al cronometro, al timer, alla torcia e al registratore vocale. Anche i controlli della fotocamera vengono sempre posizionati sul display curvo; il tasto di scatto, così, è al posto giusto. (ma si può scattare anche utilizzando i pulsanti fisici del volume). sotto l’elegante abito la stessa componentistica interna di Galaxy Note 4. Il SoC Snapdragon 805 con CPU quad-core da 2,7 GHz e GPU Adreno 420 fa la voce grossa in ogni occasione e i 3 GB di memoria RAM aiutano non poco nelle sessioni di multitasking “sfrenato” (anche utilizzando la pratica - a volte funzione MultiWindow). È davvero difficile assistere a rallentamenti di sorta e in quelle rare occasioni sembra che tutto derivi dalla TouchWiz oppure da qualche applicazione non perfettamente ottimizzata. Il sistema operativo installato a bordo è Android segue a pagina 30 Potenza in quantità, batteria capiente e… S-Pen Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, schermo curvo a parte, Galaxy Note Edge nasconde Facendo uno swipe verso il basso appare la barra degli accessori, righello, cronometro timer, torcia e registratore vocale. Oltre alla dock e alla barra delle notifiche si possono scegliere altri pannelli. Tutti abbastanza inutili: chi più, chi meno. C’è Android 4.4.4 KitKat a bordo ma Samsung ha già promesso di aggiornare il sistema all’ultima versione di Android 5.0 Lollipop. Si attendono notizie in merito. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE tEST Samsung Galaxy Note Edge segue Da pagina 29 4.4.4 KitKat ma nelle prossime settimane dovrebbe arrivare anche l’aggiornamento ad Android 5.0 Lollipop. Il quantitativo di memoria fisica a bordo 32 GB - garantisce una buona dose di spazio per archiviare file di ogni tipo ma nel caso ci fosse bisogno di ulteriore quantitativo di memoria si può sempre ricorrere allo slot microSD presente a bordo. Ricordiamo che Note Edge, che sotto il profilo radio non manca di moduli WiFi AC e 4G/LTE, è provvisto di cover posteriore rimovibile che nasconde oltre al già citato slot per schede di memoria aggiuntive anche l’alloggiamento per microSIM e la batteria di sistema (non manca NFC). A differenza del Galaxy Note 4 che è equipaggiato con un parco da 3.220 mAh, Galaxy Note Edge risulta dotato di una batteria da 3.000mAh. Difficile fare un paragone diretto con il fratello gemello, ma a conti fatti anche con Note Edge siamo riusciti ad arrivare sempre a sera senza mai rimanere con situazioni di carica “critiche”. Esagerando con i giochi, con il MultiWindow e con la riproduzione video si corre il rischio di rimanere appiedati ma sono condizioni che nel normale uso giornaliero è davvero difficile che si verifichino. Presente anche in questo caso il Fast Charging: 50% di carica in mezzora e 100%, da zero, in poco meno di 80 minuti. Non stiamo qui a tessere le lodi di S-Pen (non perché non ce ne sia bisogno, ma perché lo abbiamo già fatto nella prova di Galaxy Note 4); il pennino di Samsung è un vero gioiello che si integra perfettamente con S Note e tutte le applicazioni di disegno/ scrittura. Il feeling con il display è unico (2048 i livelli di pressione) e una volta che ci si prende gusto si continuerebbe a scriverci all’infinito. Qualche parola vogliamo spenderla anche per il sistema di riconoscimento biometrico scelto da Samsung per il suo Galaxy Note Edge. Per sbloccare il device si può selezionare l’opzione che permette di farlo tramite le impronte digitali: il sistema funzio- na, ma ci è sembrato meno funzionale rispetto alla soluzione adoperata da Apple sui suoi ultimi iPhone. Anche in questo caso però pare essere tutta una questione di abitudine: dopo decine di sblocchi, difficilmente si perde un colpo. 16 MP di qualità Il 4K è la ciliegina sulla torta Anche il comparto fotografico scelto da Samsung per Galaxy Note Edge rispecchia esattamente quello di Galaxy Note 4: ci troviamo dinanzi a un modulo principale da ben 16 Megapixel e uno secondario, frontale, da 3,7 Megapixel. La fotocamera principale (con obiettivo f/2.2) ha qualità da vendere, soprattutto in buone condizioni di luminosità, ma sa difendersi bene anche quando c’è poca luce; il merito è in gran parte dell’Image Processor integrato nel SoC Qualcomm, che gestisce sapientemente il processo e fa un gran lavoro con lo stabilizzatore ottico. L’autofocus, ibrido, è abbastanza preciso e veloce; abbiamo notato solo una certa “tendenza” al back-focus in condizioni di poca luce, ma nulla di allarmante o fastidioso: le fotografie sono sempre nitide e naturali, con un po’ di distorsione solo agli angoli. La fotocamera frontale (f/1.9) non stupisce come quella principale e rimane nella mediocrità: qui Samsung poteva fare meglio, ma c’è da dire che Galaxy Note Edge non è certamente un selfie-phone. Sotto l’aspetto della registrazione video, Galaxy Note Edge garantisce la possibilità di catturare filmati 4K a 30 frame al secondo di discreta qualità, ma non compressi in HEVC. La massima qualità, però, la si raggiunge registrando in FullHD; se non c’è bisogno di esagerare con la risoluzione, meglio restare sul 1080p. Nessun problema, ovviamente, anche nella riproduzione dei filmati; Galaxy Note Edge gestisce alla perfezione anche video impegnativi, magari non con il player predefinito di sistema (che “pecca” per la mancanza di qualche codec audio) ma con riproduttori di terze parti scaricabili dal Play Store. Noi abbiamo testato VLC beta e non siamo incappati in nessun problema. Di fianco al flash, Samsung propone anche sul Galaxy Note Edge gli specifici sensori per la registrazione del battito cardiaco e per l’individuazione dei raggi UV. Funzionano bene e i risultati sono attendibili; poi, ci pensa S-Health ad organizzare tutti i dati e anche ad offrire una bella panoramica sulla salute dell’utente. Samsung Note Edge: lo abbiamo messo alla prova su foto e video Video girato in 4K A sinistra alcune foto scatatte con Samsung Galaxy Note Edge. Clicca su ciascuna foto per vedere l’originale. Sopra un video in 4K girato con il Note Edge. torna al sommario n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE tEST Abbiamo provato il nuovo entry level della famiglia Microsoft Lumia. Costa poco e fa quasi tutto: dove sta il trucco? Lumia 435 perfetto per chi vuol spendere poco Microsoft è abile nel realizzare un prodotto completo che, nonostante il prezzo, non sfigura. Vediamo i pregi e difetti di Roberto Pezzali iamo di fronte allo smartphone più piccolo ed economico dell’intera famiglia Lumia: Windows 8.1, in questa fascia di prezzo, è una garanzia e non è un caso che Microsoft venda così bene, soprattutto in Italia. Il Lumia 435, che abbiamo provato, non è molto diverso dagli altri componenti della famiglia Lumia: colorato, solido, con a bordo il completo Windows 8.1 e dotato di tutta la suite software che lo rende di fatto uno smartphone chiavi in mano, al quale aggiungere il solo Whatsapp. Il target è decisamente ampio: non è il telefono per chi fa fotografie, non è neppure il telefono per chi ha troppe pretese, è un prodotto per tutti coloro che ancora hanno un telefono tradizionale e per i molti utenti che, comprando uno smartphone Android da pochi euro, sono rimasti scottati dalle performance non certo eccezionali. Provare uno smartphone che costa così poco, con la consapevolezza che probabilmente tra un paio di mesi costerà ancora meno, mette un po’ in difficoltà: il prezzo basso, infatti, comanda le scelte ed è davvero difficile criticare mancanze o risparmi quando tra le mani abbiamo uno dei prodotti più economici sul mercato. Lumia 435, in ogni caso, è ben carrozzato per essere l’entry level: ha uno schermo da 4”, 1 GB di RAM, un processore dual core, 8 GB di memoria espandibile e una doppia fotocamera. Sulle singole scelte poi si può tranquillamente dibattere, quel che è certo è che rispetto anche ai modelli precedenti c’è stato un upgrade a 360°. La mancanza più evidente è quella del 4G: è vero che in Italia si sta spingendo molto per le reti next gen, ma è anche vero che chi sceglie questo smartphone tende a spendere il meno possibile e non è un utente interessato all’LTE. S Design che vince non si cambia Microsoft prosegue sulla via percorsa da Nokia: scocche colorate e allegre, cover posteriore removibile e un design che identifica immediatamente la famiglia Lumia. Potrebbe non piacere la scelta dei colori: oltre all’arancione in prova ci sono il verde, il nero e il bian- video 89,00la €b Microsoft Lumia 435 COSA C’È DI MEGLIO A 89 EURO? Gli smartphone che costano poco esistono, ma spesso sono anche prodotti che valgono quello che costano. I negozi sono pieni di prodotti Android venduti a una cifra simile, ma nessuno di questi “out of the box” promette la completezza, la facilità di aggiornamento e anche la qualità costruttiva di questo Lumia 435. Che, comunque, è bene dirlo, non è esente da difetti: la fotocamera non è una fotocamera, il display non è eccezionale e forse lo schermo è troppo piccolo. Un prodotto particolare, l’unico dubbio è capire se vale la pena risparmiare qualche decina di euro per scegliere proprio l’entry level. Il modello “maggiore” 535, nonostante dei problemi al touch in fase di risoluzione, è un prodotto di gran lunga superiore, con schermo da 5” Gorilla Glass con filtro antiglare, processore quad core, fotocamera con flash da 5 Megapixel e spessore ridotto, uno smartphone già più completo e comunque dedicato a un pubblico più ampio e attento. 7.7 Qualità 7 Longevità 8 Design 7 Semplicità 8 Prezzo davvero allettante Cosa ci piace Completezza del sistema operativo Cosa NON ci piace Prestazioni all’altezza nonostante il prezzo co, assenti ma desiderati il ciano e il giallo che fanno parte del logo Microsoft. La costruzione, nel suo essere “low cost”, è incredibilmente curata e l’utilizzo di plastiche opache mette al riparo sia dalle ditate sia dalla sensazione di “plasticaccia” che si percepisce toccando con mano molti prodotti nella stessa fascia di prezzo. Le dimensioni del 435, solo 4” di schermo, rendono lo smartphone maneggevole e pratico, e proprio le dimensioni ridotte non fanno pesare più di tanto lo spessore che non è proprio ridotto, anzi, tocca quasi i 12 mm. Poche le connessioni presenti: jack nella parte superiore e USB nella zona inferiore, con il solo caricatore in dotazione. Le cuffie, per chi le vuole, vanno acquistate a parte e questa ci sembra una scelta saggia: meglio risparmiare qualche euro lasciando la scelta all’acquirente piuttosto che offrire auricolari di scarso valore facendo salire il prezzo. L’inserimento degli auricolari attiva la radio FM: qualcuno la usa ancora e Microsoft, al contrario di molti smartphone più costosi, continua ad offrire questa feature. Buona la risposta dei due tasti laterali, quello di accensione e i due del volume, e eccellente anche l’incastro tra la cover e il corpo dello smartphone. Sotto lo sportellino, oltre allo slot per la mini SIM, lo speaker monofonico e D-Factor 7 Prezzo 9 Schermo piccolo e di qualità modesta Fotocamere non degne del nome Bastano 30 euro in più per prendere il Lumia 535 lo slot per card microSD che supporta fino a 128 GB. Ricordiamo che Microsoft offre anche 30 GB di spazio Cloud One Drive, 15 di base e 15 all’attivazione di Camera Roll, ma qui vale lo stesso discorso dell’LTE: il Lumia 435 non è uno smartphone per utenti evoluti e forse, come per l’LTE, il “cloud” deve essere una cosa che lavora in background, per salvare contatti o per fare il backup in automatico. Quanti miglioramenti in sordina Il Lumia 435 migliora molti aspetti criticati anche su altri smartphone delle passate generazioni: prima di tutto ha 1 GB di RAM, e questo è fondamentale per il pieno supporto a Windows 10, e in secondo luogo dispone di sensore per la luminosità e di prossimità. Può sembrare banale, ma per risparmiare qualcosa Nokia aveva gestito via software lo spegnimento dello schermo durante le chiamate e in modo manuale la luminosità: di fianco alla piccola camera frontale, guardando in controluce, si possono vedere i due sensori. Lo schermo è da 4”, con una risoluzione di 848 x 480: ci piacerebbe dire che è poco risoluto, che ormai ci sono display con una risoluzione ben più elevata e segue a pagina 32 torna al sommario n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE tEST Microsoft Lumia 435 segue Da pagina 31 che è uno schermo vecchio, tuttavia su un 4” 233 ppi sono un buon compromesso e solo avvicinandosi molto si percepisce il reticolo dei pixel. Microsoft in questo caso ha fatto una scelta saggia, consapevole anche di aver messo nel Lumia una batteria un po’ piccola e che uno schermo più risoluto avrebbe sicuramente avuto un impatto negativo sull’autonomia. Non si può dire tuttavia che lo schermo sia resistente alle ditate e che abbia un ottimo rivestimento per la forte luce incidente: qui il 435 mostra i suoi limiti, con una luminosità non eccezionale anche al massimo e colori un po’ deboli sotto forte luce. Inoltre, nonostante il refresh dichiarato da 60 Hz ci sembra che alcune transizioni orizzontali lascino intravedere qualche piccolo artefatto. Da valutare poi con attenzione, soprattutto per questo modello, lo schermo da 4”: il Lumia 435 è lo smartphone perfetto per chi ancora non ha uno smartphone, ma su 4” le scritte e gli elementi sono davvero piccoli e questo potrebbe causare qualche problema a chi soffre di presbiopia. Tramite il menù “accessibilità” è possibile ingrandire la font, ma questo funziona solo su alcune app e su alcuni elementi. Un fattore comunque da considerare se si pensa di regalare lo smartphone a una persona di una certa età. Passando al “cuore” del 435 il processore scelto è un Qualcomm Snapdragon 200 che con Windows Phone 8.1 lavora decisamente bene, supportato anche da 1 GB di RAM; per la parte wireless sono previsti Bluetooth 4.0 per connettere smart device, Wi-Fi 802.11 b/g/n con possibilità di fare da hotspot e rete 3G con download massimo a 42 Mbps, più che sufficiente per esigenze di base e per streaming video. mera da 0.3 Megapixel frontale. Abbiamo realizzato alcuni scatti che sembrano arrivare da fotocamere di cellulari parecchio datati. Poco conta se poi sul Lumia 435 c’è installata l’ottima Lumia Camera: i miracoli lasciamoli ai santi. Windows 8.1 non delude mai Il Lumia 435 viene venduto con installato Windows Phone 8.1 e Lumia Denim, l’ultima versione del pacchetto addizionale Lumia per gli smartphone Windows. Non c’è dubbio che Microsoft si stia dando molto da fare per migliorare il suo sistema operativo, e con Windows 10 per smartphone vedremo finalmente la conclusione di una strada iniziata qualche anno fa. Windows 8.1 è già comunque più che promettente: è veloce, completo e facile da usare oltre ad essere profondamente personalizzabile. Con questa parola, La fotocamera è sicuramente il componente più utisia chiaro, non vogliamo paragonare Windows Phone lizzato, oltre alle app, su uno smartphone, ed è anad Android, che fa della personalizzazione il suo cache uno degli elementi più costosi. Microsoft non può vallo di battaglia, ma semplicemente mettere in luce la facilità con cui è possibile rimuovere gli elementi da Windows Phone rendendolo uno smartphone davvero per tutti. L’esempio che facciamo sempre è il “face wall”, ovvero una schermata home composta solo da mattoncini con le “facce” dei contatti, una configurazione perfetta per un anziano che identifica subito la persona da chiamare e non si perde con app e cose simili. Lumia Denim porta altre piccole migliorie, anche se questo specifico modello è interesUn esempio di foto realizzata con Microsoft Lumia 435 sato solo da una parte delle novità, come ad esempio le “Live Folders”, ovvero le cartelle per le app nella pagina principale. fare miracoli e sul Lumia 435 il modulo fotografico Oltre a questo segnaliamo anche il supporto VPN (ma principale è da soli 2 Megapixel, senza autofocus e questo non è comunque uno smartphone business) senza flash. Una fotocamera priva di grandangolo, e app corner, per lasciare alcune app disponibili ancon un’ottica fissa f/2.7 e un sensore minuscolo da che a telefono bloccato. Come abbiamo già detto più 1/5” che registra video a 800 x 448. Onestamente è volte Windows Phone è completo: ci sono Bing Maps difficile definire questo elemento “fotocamera”, così e Here Maps, c’è il navigatore offline gratuito Here come non ci si può aspettare nulla dalla piccola ca- Difficile chiamarla fotocamera torna al sommario Drive+ e già installati si trovano anche Facebook, Twitter, Cortana come assistenza virtuale (ma in beta) e Office. Molte di queste cose non interessano sicuramente l’acquirente del 435, tuttavia chi lo acquista sa che ha uno smartphone che può essere usato praticamente senza dover scaricare nulla (o quasi) dallo store. Il prezzo da pagare è lo spazio occupato da tutte le app preinstallate: degli 8 GB a bordo praticamente ne restano liberi 4. Batteria nella norma buone le performance Spesso quando si prova uno smartphone si parla di velocità di caricamento delle app, di performance della fotocamera e di autonomia, ma si trascura l’aspetto fondamentale, ovvero se riceve bene e soprattutto se la qualità di chiamata è buona. In questo caso il Lumia 435 è nella media: la ricezione è facilitata dal guscio totalmente in plastica, che non scherma in alcun modo il segnale, mentre per la qualità di chiamata si sente, soprattutto per chi riceve la telefonata, l’assenza di un sistema di riduzione del rumore ambientale realizzato partendo da più microfoni. Il 435 ha un piccolo microfono nella parte bassa, sensibile e di buona qualità, ma comunque singolo. L’altoparlante sul retro poi, nel caso di vivavoce, non è posizionato in modo ottimale e tende ad essere coperto con una mano: la sua qualità è modesta ma la pressione sonora che riesce a generare è buona. Una nota, infine, sulla batteria, per quanto possa valere: se immaginiamo il 435 come un sostituto del telefono e quindi destinato a persone che non stanno ogni 15 minuti attaccate allo smartphone a controllare posta o web allora la giornata di autonomia (e un po’ di più) c’è tutta, se invece si inizia a giocare, usare la rete in modo intenso e scattare foto a raffica si deve stare attenti per arrivare a sera. Sulle prestazioni vale quanto detto per altri entry level Lumia: non è un fulmine, soprattutto ad aprire le app, ma non è nemmeno lento nell’uso normale; certo, con alcuni giochi si fa fatica (Asphalt 8 ad esempio) ma forse non è lo smartphone adatto per i giochi, anche perché con i 900 MB richiesti proprio da Asphalt si va a prosciugare prezioso spazio. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE tEST Dal 17 febbraio è disponibile anche in Italia il servizio di musica in streaming che offre audio con vera qualità CD Lo streaming Hi-Fi di TIDAL: la prova in anteprima Lo abbiamo provato e la differenza c’è e si sente, ma basta per giustificare un abbonamento che costa il doppio? di Paolo centofanti a musica in streaming sta velocemente conquistando una larga fetta di utenti, specie in quella fascia di pubblico che negli anni si era abituata a scaricare musica dalla rete in modo illegale. Le ragioni del successo sono da ricercare essenzialmente nella vastità del catalogo di musica a disposizione e nella semplicità di utilizzo di questi servizi: tutto è a portata di un click e la riproduzione parte immediatamente. C’è però anche a chi tutto questo non basta: la stragrande maggioranza dei servizi di streaming, infatti, offre musica in formato compresso, nel migliore dei casi paragonabile ad MP3 codificati a 320 Kbit/s. Un formato di buona qualità per la maggior parte delle persone, ma inferiore al CD o comunque ai formati non compressi, e quindi disdegnato da chi ama ascoltare musica su un buon impianto HiFi. Da adesso però, anche chi tiene a cuore la qualità audio può contare su un servizio di musica in streaming, TIDAL HiFi, che diventa disponibile anche in Italia via web, app per desktop, smartphone e tablet, e che sta venendo via via integrato da un gran numero di produttori di elettroniche HiFi. L Si ascolta ovunque, dallo smartphone alla sorgente Hi-Fi A differenza di Deezer Elite, servizio anch’esso di streaming in qualità lossless, che attualmente è disponibile unicamente solo su prodotti Sonos, TIDAL funziona esattamente come una delle altre alternative “tradizionali”. C’è un player web, ma anche un lettore video lab dedicato per PC e Mac da scaricare, oltre alle app per smartphone e tablet iOS e Android. La maggior parte del catalogo di TIDAL è disponibile in formato FLAC a 16 bit e 44 KHz con un bitrate di 1411 Kbit/s, nonostante la compressione possa lavorare senza perdita anche con la metà di questa banda. A testimonianza che TIDAL si rivolge soprattutto agli utenti che tengono a cuore la qualità audio, il servizio è integrato (o in dirittura di arrivo) sui prodotti di marchi come Linn, McIntosh, Meridian, Mirage, Wadia e altri. È disponibile anche sul già citato sistema audio Sonos, però in versione beta ancora limitata a Stati Uniti, Regno Unito e Canada. Per quanto riguarda l’offerta, TIDAL non ha una versione gratuita con pubblicità, ma ha un unico piano di abbonamento, del costo di 19.90 euro mensili, che permette di ascoltare il catalogo su qualunque tipo di sorgente compatibile. Chiaramente, rispetto ad altri servizi di streaming, TIDAL non è del tutto sfruttabile al massimo in mobilità: con un data rate di 1411 Kbit/s, l’ascolto di due album può azzerare in un attimo un budget mensile di 1 GB su rete cellulare. Questo non vuol dire che non sia possibile utilizzare TIDAL su smartphone. L’app permette naturalmente di salvare quante tracce si vogliono per l’ascolto offline alla massima qualità, ma è anche possibile selezionare una qualità audio inferiore per ascoltare musica in streaming tramite la rete dati senza consumare troppo. Le opzioni sono tre: standard (AAC+ a 96 Kbit/s), high (AAC a 320 Kbit/s) e HiFi (FLAC a 1411 Kbit/s). L’impostazione è però unica per WiFi e rete cellulare, per cui occorre entrare ogni volta nel menù impostazioni per cambiare il livello di qualità. Per quanto riguarda le limitazioni, l’ascolto è possibile da un solo dispositivo online alla volta e fino a tre dispositivi in modalità offline. Non solo audio di qualità, la musica prima di tutto TIDAL offre le classiche funzionalità di un servizio di streaming: un catalogo sterminato (25 milioni di brani secondo l’azienda) da sfogliare come si vuole, per artista, album, genere, oppure lasciandosi guidare dal team editoriale del servizio, che propone delle playlist attentamente compilate in base a un certo tema. Questa sezione, in particolare, si distingue da quella analoga di Spotify o Deezer, in quanto anzi di offrire playlist basate su genere musicale/umore/attività, o ancora un sistema di raccomandazione automatico, presenta delle vere e proprie guide all’ascolto, con un taglio molto più simile a quello di Beats Music: retrospettive di un artista o un particolare momento storico, discografie selezionate di un sottogenere, nuove proposte di un certo paese o scena musicale e così via. Si tratta questo di un aspetto che a nostro avviso sarà sicuramente molto apprezzato dagli appassionati di musica. Man mano che ascoltiamo musica o ne aggiungiamo alla nostra libreria, si affinerà la proposta di playlist di questo tipo più vicine ai nostri gusti musicali, nell’apposita sezione “reccomended”. Naturalmente c’è poi la possibilità di creare le proprie playlist personali come pare e piace. La gestione della libreria è simile a quella di Spotify e Deezer. Ogni volta che ci imbattiamo in qualcosa che ci piace la possiamo aggiungere alla nostra libreria virtuale. Possiamo aggiungere artisti, album, singole tracce o playlist. Aggiungendo un artista, non compariranno nella nostra libreria automaticamente anche tutti i suoi album e per segue a pagina 34 torna al sommario n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE hi-fi e home cinema Sennheiser rinnova la gamma RS: 4 modelli con trasmissione a 2,4 GHz ed elevata qualità sonora RS di Sennheiser, quattro nuove cuffie wireless di qualità I 4 modelli sono disponibili anche con ingresso digitale per segnali PCM fino a 96 kHz. Prezzi a partire da 199 euro S di Roberto faggiano ennheiser rinnova la gamma di cuffie senza fili RS per l’ascolto domestico, quattro modelli con trasmissione a 2,4 GHz per ottenere la migliore qualità sonora e una maggiore stabilità di trasmissione. I modelli della nuova gamma RS sono quattro. In comune hanno il trasmettitors195 re digitale con il caricabatterie della cuffia, che assicura un’autonomia di circa 18 ore. Il controllo del volume e l’inserimento degli effetti DSP sono concentrati su un padiglione, la portata del trasmettitore è fino a 30 metri che salgono a 100 metri in assenza di ostacoli. ll modello di partenza della gamma è la RS 165 (199 euro) con disegno chiuso dei padiglioni, ingresso analogico minjack, bass boost inseribile e peso di 300 grammi. Il modello RS 175 (249 euro) ha i padiglioni chiusi, un ingresso digitale ottico (con relativo cavo in dotazione), effetto surround virtuale e incremento dei bassi inseribili. Il modello RS 185 (349 euro) aggiunge padiglioni aperti con un suono più indicato per l’ascol- euro) ha prestazioni sonore in linea con le migliori cuffie hi-fi di Sennheiser e permette di personalizzare l’ascolto con una serie di equalizzazioni inseribili a seconda dei propri gusti musicali e del tipo di programma da riprodurre, musicale o parlato. rs165 to stereo hi-fi anche ad alta risoluzione, infatti l’ingresso digitale ottico può ricevere segnali PCM fino a 96 KHz. Disponibile anche un ingresso stereo analogico. Si possono regolare il livello di ingresso e il bilanciamento sul trasmettitore oppure direttamente dalla cuffia. Il top di gamma RS 195 (399 tEST Lo streaming Hi-Fi di TIDAL segue Da pagina 33 accedere alla discografia dovremo sempre passare dalla pagina dell’artista, utilizzando di fatto la sezione artisti come una sezione bookmarks. Stesso discorso per gli album: aggiungere un disco alla libreria, non popola automaticamente la sezione brani. La differenza c’è e si sente Diciamolo subito: non serve un impianto esoterico per percepire la differenza di qualità tra TIDAL e uno dei “normali” concorrenti, basta un decoroso paio di cuffie. Magari l’orecchio meno allenato impiegherà più tempo per apprezzare miglioramenti come la ricchezza delle sfumature nel timbro di una voce, la precisione dei bassi, il dettaglio degli strumenti a corda o dei fiati e così via, ma sono tutte cose che siamo sicuri diventerebbero evidenti a chiunque nel momento in cui si “torna indietro” alla musica compressa dopo diverse ore di ascolto in qualità lossless. La stessa fatica di ascolto, che per chi scrive è la cosa che più si fa sentire con i normali servizi di streaming, in questo caso non compare neanche dopo lunghe sessioni di riproduzione. Se dobbiamo muovere delle critiche al servizio di TIDAL queste sono essenzialmente due. La prima è la mancanza di riproduzione senza pause: sia che si ascolti da player web o app mobile o desktop, l’audio si interrompe nel caricamento da una traccia all’altra, cosa che nel caso di alcuni album, - soprattutto quelli dal vivo, ma non solo - diventa molto fastidiosa. In secondo luogo, và detto che siamo incappati in alcuni album non ancora disponibili in qualità HiFi. Artisti mi- torna al sommario nori magari, ma qualche buco c’è. Per quanto riguarda l’ampiezza del catalogo niente da dire: da quanto abbiamo avuto modo di vedere, anzi ascoltare, la musica disponibile è pari a quella di Spotify, fatta eccezione per artisti disponibili in esclusiva sul servizio svedese, come i Led Zeppelin. Anche la compagine italiana è adeguatamente rappresentata e non abbiamo riscontrato clamorosi buchi di catalogo nel campione preso in considerazione durante la nostra prova. Tutto questo vale 19,90 euro al mese? In fondo il nocciolo di tutta la questione è qui. TIDAL costa essenzialmente il doppio di tutti gli altri servizi di streaming. Per rispondere alla domanda, basta chiedersi che tipo di ascoltatore siamo. 20 euro non sono che il costo di due CD al mese se va bene, e qui stiamo parlando di un catalogo di milioni di brani con lo stesso livello di qualità. La flessibilità di ascolto alla fine non è troppo diversa da quella di un file acquistato in download o un CD: tra app, browser e dispositivi, si può ascoltare la musica in qualunque modo, anche offline. Certo è che se per noi l’ascolto avviene principalmente dallo smartphone quando siamo all’aperto o in viaggio sui mezzi pubblici, tanto vale pagare la metà e utilizzare un servizio concorrente, visto che difficilmente si riuscirebbero ad apprezzare i benefici della maggiore qualità audio in queste condizioni. Altro discorso, invece, se si pensa di utilizzare il servizio principalmente in casa, magari con un vero impianto stereo. In questo caso la spesa, se si ama davvero la musica, è ampiamente giustificata: è come avere in casa sempre a disposizione letteralmente milioni di CD. Meglio di uno store di musica in download, visto che nel caso dei pochi store che offrono musica in qualità lossless i prezzi sono comunque tutt’altro che bassi. Resta il dub- bio amletico di fondo: meglio il possesso o l’accesso? La qualità audio ormai possiamo pure dire che non è più una discriminate e la bilancia comincia a pendere sempre di più dalla parte dello streaming. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE tEST Jabra ha sfornato quello che sembra essere l’auricolare dei sogni per gli sportivi e noi lo abbiamo messo alla prova Jabra Sport Pulse, in prova l’auricolare sportivo Ottima qualità audio, sensore biometrico integrato e connettività wireless. C’è anche qualche neo, a cominciare dal prezzo di Roberto pezzali abra è una azienda che non ha certo bisogno di presentazioni: da anni produce cuffie e dispositivi vivavoce di tutti i tipi, sia a cavo che wireless. Tra gli ultimi prodotti presentati sul mercato ci sono gli Sport Pulse: Sport perché si tratti di auricolari con la chiara vocazione sportiva, Pulse perché all’interno di uno dei due auricolari è stato inserito un preciso sensore biometrico per la rilevazione del battito cardiaco e volendo anche il massimo livello di ossigeno che si può consumare durante l’allenamento grazie al test di Rockport. Se a questo aggiungiamo anche la connessione wireless tramite bluetooth (con accoppiamento NFC per Android) si capisce che Jabra ha pensato davvero a tutto, realizzando un prodotto che potesse essere perfetto per chi fa sport e per chi corre anche a determinati livelli, perché il controllo delle pulsazioni rientra in un “fitness” particolarmente evoluto e con necessità particolari, che possono essere l’allenamento in zona cardio oppure la necessità di restare in zona brucia grassi. Unico “neo” il prezzo: 199 euro per un paio di auricolari wireless sono una cifra importante, soprattutto se si considera il prezzo di una fascia cardio esterna da collegare ad uno smartphone. Certo, la comodità di avere tutto integrato e di non avere fili di mezzo, il tutto con una qualità audio comunque superiore alla media, ha un suo prezzo.. J Robusti, ben fatti e comodi Quando si spendono 199 euro per un set di auricolari si pretende la massima cura nei dettagli, e dobbiamo dire che Jabra non delude. Nella elegante scatola, oltre agli auricolari stessi, è presente anche un piccolo box con cerniera per portarli con noi senza danneggiarli. Non che ci sia un pericolo in questo senso, anzi: gli au- video lab Jabra Sport Pulse UN MUST PER LO SPORTIVO, IN ATTESA DELLA LINGUA italiana 199,00 € Jabra ha fatto un ottimo lavoro unendo a un set di cuffie tecnologicamente molto avanzate una applicazione pratica e ben fatta. Resta il rammarico per la mancanza al momento della lingua italiana, del supporto a HealthKit su iOS e dell’app per Windows Phone, ma sono entrambe cose alle quali si può porre rimedio con un aggiornamento software. Quel che è certo è che chi solitamente fa sport e ama ascoltare musica o guardare un film dal tablet mentre corre in palestra non potrà più fare a meno delle proprie cuffie wireless, che ricordiamo funzionano anche come auricolare vivavoce per le chiamate. Certo, il prezzo è premium, ma per un buon set di auricolari sportivi si può spendere anche le metà e in molti casi non sono né wireless né biometrici. 8.4 Qualità 8 Longevità 9 Qualità audio Cosa ci piace Precisione cardiofrequenzimetro Comodità Design 9 Simplicità 8 Cosa NON ci piace ricolari sono certificati IP55 e questo vuol dire resistenza a sabbia e a spruzzi, e cosa più importante possibilità di indossarli senza preoccuparsi affatto del sudore durante una corsa. Oltre alla custodia in dotazione vengono dati anche quattro set di auricolari e tre set di EarGel, il supporto in morbida gomma che serve a incastrare alla perfezione l’auricolare nell’orecchio tenendolo in posizione. Un elemento importantissimo per due motivi: rilevazione perfetta del battito cardiaco, con l’auricolare che deve restare a contatto con la parte interna dell’orecchio sinistro, e la comodità di non dover mai toccare o sistemare durante la corsa gli auricolari stessi. Trattandosi di un prodotto wireless si devono accettare i pro e i contro che questa soluzione offre: se da una parte infatti è comodo non avere un filo, dall’altra gli auricolari funzionano solo a batteria e l’autonomia non è elevatissima, 5 ore dichiarate. Quello che dichiara la casa è abbastanza veritiero comunque: ad un livello di ascolto moderato e con rilevamento del battito abbiamo ascoltato musica per circa 4 ore e 40 minuti. Come le altre cuffie Jabra Wireless anche le Sport Pulse Wireless dispongono di piccolo controllo sul filo per volume e risposta, microfono e di tasto multifunzionale D-Factor 9 Prezzo 8 Assenza lingua italiana Prezzo comunque elevato Assenza app per Windows Phone sull’auricolare. La ricarica avviene tramite porta micro USB, nascosta sotto un EarGel: per ricaricare completamente le cuffie bastano poche ore. Non manca neppure un accelerometro che funziona come contapassi: Jabra lo ha inserito per gestire le attività indoor come la corsa o la camminata sul tapis roulant: in esterno l’app si appoggia al GPS dello smartphone. Ultimo, ma non meno importante, l’NFC: chi ha Android può facilitare il pairing appoggiando lo smartphone al tag, ma anche senza NFC il pairing è immediato e rapido. Da segnalare, e questo è sicuramente un fatto positivo, la velocità di accoppiamento tra smartphone / tablet e cuffie: basta accendere le cuffie e in meno di un secondo il pairing è attivo. segue a pagina 37 torna al sommario n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE hi-fi e home cinema Deezer annuncia la disponibilità anche in Europa di Deezer Elite, il piano di streaming in qualità FLAC Lo streaming lossless di Deezer Elite è ora disponibile in Italia Da adesso gli utenti già abbonati Premium+ che utilizzano un dispositivo Sonos possono effettuare l’upgrade gratuitamente di Paolo centofanti l 12 febbraio, Deezer ha annunciato l’espansione internazionale di Deezer Elite, il servizio di streaming in qualità lossless. Come per la versione statunitense, Deezer Elite è inizialmente disponibile unicamente su sistemi audio Sonos e la buona notizia è che per chi è già abbonato Premium+ e già ascolta Deezer attraverso un dispositivo Sonos, il passaggio alla versione FLAC del servizio di streaming sarà gratuito, a patto di abbonarsi per un intero anno. Chi è già cliente Sonos e sta usufruendo di un abbonamento promozionale a Deezer, potrà invece passare a Deezer Elite al costo di 36 euro, sempre a condizione di sottoscrivere almeno un anno di Deezer Premium+. Per quanto I riguarda invece i nuovi utenti, questi potranno scegliere di abbonarsi a Deezer Elite solo a partire dal prossimo 19 marzo, ad un prezzo però che non è ancora stato stabilito. Secondo l’azienda francese, il servizio lossless, che utilizza il formato FLAC a ben 1.4 Mbit/s, ha avuto un buon riscontro negli Stati Uniti visto che, dati alla mano, gli utenti Elite ascoltano in media il doppio della musica rispetto a tutti gli altri. In occasione del lancio globale di Deezer Elite, il servizio di streaming ha annunciato anche la disponibilità dell’intero catalogo della band alt rock Placebo, uno dei gruppi che fino ad oggi ancora non avevano aderito completamente a questo tipo di servizi. Chi ha acquistato un prodotto Sonos durante la recente promozione natalizia, e che integrava un tEST Jabra Sport Pulse segue Da pagina 36 Una applicazione davvero ben fatta Dov’è però l’italiano? Gli auricolari Jabra Sport Pulse Wireless sono supportati dalle più note app di running e fitness come torna al sommario abbonamento promozionale a Deezer Premium+, potrà passare a Deezer Elite con un sovrapprezzo di 36 euro per un anno di abbonamento. La possibilità di effettuare l’upgrade a Deezer Elite verrà comunicata direttamente agli utenti che soddisfano i criteri di cui sopra, tramite un’email con tutte le istruzioni per accedere all’offerta. Lo comunica Deezer che, su richiesta di chiarimenti, ha rilasciato la seguente nota: “L’apertura a Deezer Elite è in pieno rollout e nei prossimi giorni gli utenti Sonos/ Deezer riceveranno via email le istruzioni su come passare a Deezer Elite, sia che abbiano aderito all’offerta natalizia di Sonos (che prevedeva 12 mesi gratis Runkeeper: basta aggiungere il sensore cardio nelle impostazioni e il gioco è fatto. Jabra ha realizzato tuttavia una applicazione decisamente interessante, Sport Pulse, facile da usare e incredibilmente ben fatta se non fosse che al momento manca la lingua italiana. L’applicazione gestisce tutti gli aspetti della parte corsa, dispone di diversi profili e preleva i dati dal GPS nel caso di corsa all’esterno. Non mancano tuttavia profili per tapis roulant e cyclette, in questo caso non vengono registrati i dati di geolocalizzazione. In base al profilo di allenamento scelto una voce (in inglese) di comunica di accelerare o rallentare per restare nella fascia cardio predefinita, cosa che ci permette di tenere l’app in background ascoltando musica o guardando un film. L’app di Jabra gestisce anche l’ascolto: si può tenere la musica che si vuole oppure si può decidere di far gestire playlist e brani all’app Jabra Sound: la scelta è dell’utente. Una cosa abbiamo apprezzato: l’auricolare può essere accoppiato contemporaneamente a più dispositivi, quindi si può tenere lo smartphone per chiamate e monitoraggio e il tablet, con il sonoro, per la visione. Questa è la configurazione che abbiamo tenuto noi ad esempio sul tapis roulant, con un film sull’ iPad e uno smartphone a fianco per registrare il ritmo, tener traccia dell’allenamento e gestire di Deezer Premium+), sia che siano in possesso di un sistema Sonos e abbiano l’abbonamento Deezer Premium+ attivo e non collegato all’offerta natalizia. Per i clienti non attualmente Sonos si dovrà invece attendere il 19 Marzo per passare ad Elite. Per eventuali ulteriori informazioni in merito, è possibile inviare una email a support@deezer.com.” le chiamate. Da segnalare, almeno per il momento, l’incompatibilità con Salute: i dati del cardiofrequenzimetro non vengono gestiti ancora da iHealth. Qualità audio e precisione Abbiamo valutato tre aspetti delle Jabra Sport Pulse: la qualità audio, la precisione del sensore cardio e la comodità. Le cuffie, trattandosi di un modello in-ear, offrono un buon isolamento passivo anche se non mascherano totalmente i rumori esterni: chi corre in strada riuscirà comunque a percepire, seppur con una buona attenuazione, i rumori esterni. La resa audio è decisamente ben bilanciata: sin dai brani in streaming da Spotify si apprezza un equilibrio complessivo degno dei migliori auricolari della categoria con filo, forse gli acuti sono leggermente privilegiati rispetto ai bassi più profondi, ma basta impostare l’equalizzatore secondo i gusti personali per risolvere il problema. Con brani meno compressi si apprezza anche una buona tridimensionalità, ideale per un ascolto più concentrato al di fuori degli allenamenti. Quindi l’ascolto non è una funzione secondaria di questo auricolare ma ne è anzi uno dei punti di forza. Precisissimo il sensore biometrico: il rilevamento delle pulsazioni all’orecchio è decisamente preciso e abbiamo provato a fare un confronto sia con la fascia cardio sia con il classici sensori “elettrici” dei tapis roulant e la tolleranza è di un paio di battiti al minuto. Difficile dire qualche sia preciso senza un elettrocardiogramma, ma di certo la misurazione è più che valida per una applicazione di carattere sportivo. Infine la comodità: le cuffie sono leggere e comodo e dopo un’ora di corsa non sembra neppure di averle addosso. Durante le svariate sedute di palestra e fitness gli auricolari, se ben inseriti e soprattutto con EarGel e padiglioni della giusta misura, non si sono minimamente spostati. n.106 / 15 23 febbraio 2015 MAGAZINE tEST Gli Smarter sono disponibili a 39.90 euro in colore bianco o nero, hanno cavo piatto antigroviglio e microfono integrato In prova l’auricolare italiano Ubsound Smarter Buone prestazioni musicali al giusto prezzo Il nuovo auricolare di Ubsound è più economico del primo modello e offre prestazioni musicali molto interessanti di Roberto faggiano rriva sul mercato il secondo auricolare dell’italiana Ubsound, l’azienda che sfida senza paura i grandi nomi del settore. Il primo modello, il Fighter, ci era piaciuto, soprattutto per la filosofia che sta dietro a questi auricolari di progettazione italiana: anziché inseguire facili successi con prezzi stracciati e suono “giovane”, hanno preferito offrire al giusto prezzo un auricolare di qualità non solo nella costruzione ma anche nella resa musicale. Eccoci quindi molto curiosi davanti al secondo auricolare di casa Ubsound, si chiama Smarter e costa 39,90 euro, è disponibile in colore bianco o nero, ha il cavo piatto antigroviglio e un semplice tasto universale per rispondere o riagganciare durante le conversazioni telefoniche oppure avviare e interrompere la riproduzione musicale; non manca il microfono integrato. A Realizzazione accurata Rispetto al modello più costoso si notano materiali plastici al posto del metallo, il che alleggerisce il peso, mentre ritroviamo il cavo asimmetrico tra i due canali destro e sinistro e la pratica borsetta in tessuto per il trasporto. I punti deboli di ogni auricolare, le connessioni tra cavo e i due traduttori, appaiono robusti e pronti a piegarsi senza danno; da lodare la chiarissima indicazione dei canali destro e sinistro, simboli che sembrano essere l’ultimo interesse dei costruttori e vengono spesso celati come segreti da svelare solo a chi ha una vista accurata. In dotazione anche i consueti adattatori gommosi di tre diverse misure per l’orecchio. Dal punto di vista tecnico, i nuovi Smarter dichiarano impedenza di 24 ohm, sensibilità di 100 dB e risposta in frequenza 20 – 20.000 Hz con trasduttori da 10 mm. Ascolto di qualità Nelle istruzioni, Ubsound informa che ci vorranno almeno 30 ore di ascolto prima di ottenere le migliori prestazioni, quindi iniziamo a rodare lo Smarter sul nostro iPod con musica di ogni genere, lasciando per video ultimo l’ascolto di Flac su smartphone e notebook. Gli Smarter si indossano con facilità e una volta scelto il giusto adattatore rimangono saldamente al loro posto, va però detto che non sono auricolari fatti per chi si allena e non sono resistenti al sudore o alla pioggia. L’isolamento dai rumori esterni è più che sufficiente in normali situazioni di utilizzo, lasciando comunque ben percepibili eventuali pericoli esterni; magari chi viaggia in treno o in metrò preferirebbe un isolamento maggiore ma comunque il risultato ci sembra un buon compromesso. Notevole la sensibilità in ingresso, superiore alla media per poter sfruttare meglio la scarsa potenza di molti smartphone e per avere un sano risparmio della batteria dei vari dispositivi mobili. Come nell’altro modello di auricolare Ubsound, si apprezza un ascolto molto equilibrato e senza nessuna strizzata d’occhio agli utenti più giovani: la famigerata gamma medio bassa non è in primo piano e il dettaglio sugli acuti è molto buono ma rimane più morbido rispetto ai Fighter. Il primo effetto è quello di un auricolare da usare tranquillamente per molto tempo, godendosi la musica preferita. Rispetto al Fighter si nota anche maggiore tolleranza verso gli MP3 più scadenti, ammorbidendo registrazioni troppo pompate. Ottimo anche l’ascolto in streaming da Spotify, con un ottimo fuoco sulle voci e soprattutto una tridimensionalità spesso sconosciuta dai concorrenti anche di lab prezzo superiore. Passando all’ascolto di brani Flac fino a 192 kHz, le impressioni di ascolto variano poco, gli Smarter tendono a smussare gli estremi banda per migliorare la resa con gli MP3 e lo streaming piuttosto che restituire ogni dettaglio di musica a maggiore risoluzione ma assai minore diffusione. Tuttavia si apprezza sempre un’ampia tridimensionalità che molti altri auricolari tendono inesorabilmente a togliere dalla riproduzione. La gamma bassa continua ad essere piuttosto arretrata, un dettaglio che non piacerà a chi frequenta le discoteche, ma che rende ascoltabili anche i brani più pompati. Promossi per un “sano” ascolto quotidiano Dobbiamo concludere che lo Smarter non è un auricolare per giovani? No, anzi i più giovani potrebbero imparare da questi Ubsound come andrebbe ascoltata la musica, soprattutto per il bene futuro delle proprie orecchie. Per il resto gli Smarter ci sono sembrati ottimi auricolari, con un rapporto qualità/prezzo molto elevato e ideali per l’uso quotidiano con il proprio smartphone. Non strizzano l’occhio alle mode passeggere ma sono fatti per durare a lungo. torna al sommario
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