n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 Non blocchiamo i figli ma formiamo i genitori A sentire qualcuno, pare che la tecnologia vada a braccetto con il diavolo. Ma come spesso accade quando si invoca Satana e compagni, alla base di tutto c’è scarsa informazione. E questa sì che va a braccetto con la scarsa capacità educativa: non si possono insegnare i buoni principi in maniera astratta; proprio come non si può insegnare una guida sicura e responsabile se non si ha la patente, solo ripetendo “frena, frena!”. Il rapporto tra tecnologia e giovani non è mai stato così messo in discussione come in questo momento; e non solo per le recenti polemiche sui videogame violenti e la categorizzazione PEGI. Al centro della discussione ci sono anche gli smartphone e l’uso compulsivo che i ragazzi ne fanno, caricando sui social – e quindi di fatto rendendo di possibile dominio pubblico – tonnellate di informazioni potenzialmente sensibili per la loro sicurezza e per quella delle loro famiglie. E spesso creandosi involontariamente una “web reputation” tutt’altro che invidiabile, che probabilmente tornerà, proprio come la meno digeribile delle cipolle, a farsi viva più avanti, nei momenti meno opportuni. Il tema del “parental control” è uno dei più dibattuti da anni ed è di certo quello, nella sfera della cultura digitale, riguardo al quale abbiamo fatto i più piccoli passi avanti, soprattutto in Italia. Le soluzioni non sono certo le suite anti-virus che ingessano un PC e la sua possibilità di comunicare con l’esterno; men che meno le privazioni: un ragazzo lasciato fuori dal “loop” dei social oggi rischia l’emarginazione digitale e – cosa assai più grave – l’analfabetismo digitale. Oramai è chiaro a tutti che non è certo la scuola ad insegnare la cultura digitale ma si tratta oggi prevalentemente di un rischioso “learining by doing”, una formazione sul campo che procede per tentativi ed errori. L’obbligo di vendita delle sigarette ai maggiorenni non ha frenato il fumo giovanile; allo stesso modo non basterà rendere vincolante il codice PEGI per sensibilizzare nei confronti dei videogame violenti. Anzi, li renderà qualcosa di “proibito” e quindi ancora più ambito. Se volessimo davvero far passi avanti, bisognerebbe investire nella formazione dei genitori: nessuno chiede che riescano a battere i propri figli nei videogame, né che siano più veloci di loro nel comporre un messaggio su WhatsApp. Quello che si richiede è che abbiano quegli strumenti cognitivi che permettano loro di dare anche in ambito digitale quell’educazione di base che eviterà ai propri figli grossolani errori, cocenti delusioni e coinvolgimenti smodati. Dobbiamo avere il coraggio di dire che bisogna interrompere la formazione al digitale fatta a scuola da docenti del tutto analogici e formati alla bell’e meglio i corsi “instant” da 40 ore: non serve a nulla. I ragazzi vano mandati in “gita” nelle Web Agency e nelle software house proprio come una volta si andava al Museo; e vanno coinvolti in progetti di sviluppo, tanto da poter arrivare alla fine del curriculum di studi con una capacità di programmazione di base e con una sensibilità almeno elementare sulle user interface: sarà un gran viatico nel loro nel percorso professionale. I genitori devono invece essere coinvolti in corsi di alfabetizzazione informatica e digitale che permetta loro non certo di diventare utenti provetti, ma almeno osservatori capaci di interpretare i possibili effetti delle innovazioni, sia quelli positivi che quelli negativi. E questo a prescindere dalle loro passioni: imparare e ridurre il divario digitale con i propri figli deve rientrare categoricamente nei doveri genitoriali. Solo così finirà l’inutile caccia alle streghe alla “tecnologia brutta e cattiva” (come la penosa campagna contro GTA di queste settimane) e inizierà una fase in cui sarà possibile mettere in condizione i genitori di dare consigli e regole credibili ai propri figli. Che andranno avanti a sbagliare, ma meno e in maniera meno grave. E soprattutto imparando davvero dai propri errori. Gianfranco GIARDINA torna al sommario MAGAZINE Sky TG 24 Tutto sui nuovi e più Ecco le super reflex ora trasmette attesi smartphone Canon5Ds e 5Ds R e la anche le serie TV 11 in arrivo 16 mirrorless EOS M3 20 Lo voglio piatto! In anteprima i dettagli del TV OLED con schermo flat 08 Ha un pannello ad alta luminosità a 10 bit e prestazioni al top. È atteso nella seconda metà del 2015 Proviamo a parlare in arabo usando Google Translate Abbiamo utilizzato l’app Google di traduzione in un divertente dialogo italiano - arabo Alla fine qualcosa ci abbiamo capito... IN PROVA 30 Samsung Gear VR È arrivato e costa 199€ 31 Che bello stampare in 3D Ma (ancora) non è per tutti Ci siamo divertiti a utilizzare una stampante 3D Hamlet per capire quanto è consumer e cosa ci può fare un tecno appassionato 35 03 Panasonic FZ1000 La bridge Ultra HD 38 13 33 Netgear ReadyNAS 102 Il NAS per tutti n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE MERCATO I comunicati FIMI e AIE ci raccontano di un mercato italiano che vuole allontanarsi sempre più dal supporto fisico Streaming ed ebook in crescita: l’Italia sta cambiando? Lo streaming musicale è cresciuto dell’80% nel 2014, gli ebook a quota +40%. Ma CD, vinili e libri di carta tengono duro L di Emanuele VILLA eggendo parallelamente due comunicati stampa, quello di FIMI sul mercato musicale e di AIE (Associazione Italiana Editori) per i libri, si ha veramente il quadro di un’Italia che sta cambiando, anche se più lentamente di quanto possa prevedere un appassionato di nuove tecnologie. Mentre FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) pone giustamente l’accento sulla crescita generale del 4% trainata dai servizi di streaming, segnala poi come il 62% del mercato sia ancora del supporto fisico, che rallenta il suo calo grazie all’impennata del vinile. Quest’ultimo, pur di nicchia con il 3% del mercato, cresce esponenzialmente di anno in anno e fa registrare un +84% nel 2014 rispetto al 2013. APP WORLD Tidal a breve anche in Italia Il servizio di streaming Tidal comunica la prossima espansione in 22 paesi entro il primo trimestre del 2015, Italia compresa. La notizia arriva a pochi giorni dall’annuncio che la parent company di Tidal è stata acquisita dalla società della nota star hip-hop Jay-Z. Il nuovo lancio porta il servizio praticamente in tutta Europa più Turchia e Sud Africa, per un totale di 30 paesi. Il servizio si distingue per offrire musica in streaming in formato lossless, motivo per il quale Tidal sta raggiungendo accordi con diversi produttori di elettroniche Hi-Fi per l’integrazione della piattaforma. Tidal dichiara un catalogo di 25 milioni di brani e ha già stretto accordi con le tre principali major del disco e diversi consorzi di etichetti indipendenti, offre app per Windows, Mac, Android e iOS ed è già compatibile (in beta) con il sistema multi-room Sonos. torna al sommario In pratica, la musica diventerà di sicuro un mondo di streaming, ma l’orizzonte temporale è ancora abbastanza lungo: nel frattempo, il mercato italiano ha fatto registrare nel 2014 122 milioni di euro di sell-in e il secondo anno consecutivo di crescita dopo 11 anni col segno meno. Trainanti i servizi di streaming: solo nel 2014 quelli gratuiti sostenuti da pubblicità sono cresciuti dell’84% mentre quelli a pagamento hanno fatto registrare un +82%; dati di crescita importanti che dimostrano quanto la tariffa mensile (che solitamente è di circa 10 euro) sia perce- pita come più che adeguata all’offerta di milioni e milioni di brani dei vari Spotify, Deezer, Google Music ecc. Sempre in calo, e non di poco, il download con un -15% rispetto al 2013: prima o poi Apple dovrà prendere posizione in merito, cosa che presumibilmente farà a breve trovando una soluzione sinergica tra iTunes (Re incontrastato del download musicale) e Beats Music. Gli italiani ascoltano molta musica ma leggono anche tanto. Per tornare al tema del cambiamento di cui sopra, AIE fotografa il fenomeno dichia- rando che da un lato la spesa degli italiani per i libri è rimasta identica rispetto al 2013 (+0,1%), dall’altro si assiste a un crollo del lettori occasionali (-10% di lettori tra il 2010 e il 2014) e soprattutto alla lenta (anche qui) sostituzione dei libri di carta con gli ebook, che prendono terreno. Mentre infatti la produzione di libri tradizionali è calata del 5,1% rispetto al 2012, si stima che nel 2014 siano stati prodotti 53.739 titoli in digitale (esclusi i gratuiti) con un incremento dell’88,4% rispetto al 2012. Ma questo non deve trarre in inganno: se è vero che il fatturato degli ebook è cresciuto del 39,4% sul 2013, ciò rappresenta attualmente il 4,4% del mercato del libro, che resta nelle mani del “caro e vecchio” libro di carta. Ma anche qui, la trasformazione è più che avviata. MERCATO Escono dal paniere Istat 2015 DVD, impianto Hi-Fi, navigatore e corsi di informatica Hi-Fi e DVD escono dal paniere Istat per il 2015 Al loro posto entrano car sharing e bike sharing Il vecchio impianto stereo non rientra più nelle abitudini di spesa delle famiglie italiane di Robertp PEZZALI istituto di statistica fotografa i cambiamenti dei consumi degli italiani togliendo alcuni beni che sono ormai considerati superflui e occasionali. L’impianto stereo e il DVD, che fino a qualche anno fa erano presenti in ogni famiglia, non sono più validi indicatori del benessere e dei consumi famigliari ed escono pertanto dall’elenco dei prodotti che contribuiscono, mediante il controllo dei loro prezzi, a determinare l’andamento dei consumi e l’inflazione. Una scelta che non deve stupire più di tanto: al loro posto infatti entrano car sharing e bike sharing oltre a nuove categorie alimentari come i prodotti senza glutine. Che l’Hi-Fi classico fosse passato di moda lo si era capito, così come ormai si è capito che gli smartphone hanno cannibalizza- L’ to i navigatori satellitari. Quello che invece dispiace è la sparizione sempre dal paniere dei corsi informatica: gli italiani, che non sono certo un popolo evoluto tecnologicamente, avrebbero bisogno di corsi di formazione per colmare il divario tecnologico con gli altri paesi soprattutto per quelle fasce d’età e quelle persone che non hanno a che fare abitualmente con la tecnologia. Ma anche qui, tuttavia, ci sarebbe da aprire un bel discorso: ai corsi pagati dagli individui andrebbero affiancati corsi aperti a tutti e organizzati a livello municipale. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE MERCATO Le clausole dei contratti tra editori e rivenditori di ebook sono compatibili con le norme sulla concorrenza? Ebook: secondo esposto di Altroconsumo all’Authority A seguito della nostra inchiesta, Altroconsumo ha chiesto all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di indagare N di Emanuele VILLA ella nostra inchiesta sui prezzi degli e-book, che realizzammo a seguito dell’abbassamento dell’IVA al 4% (e a cui rimandiamo per un approfondimento), alcuni editori ci dissero che “Amazon, Apple e Kobo avrebbero inserito delle clausole contrattuali che impegnano l’editore a garantire loro il miglior prezzo sul mercato”. La logica conseguenza di quanto sopra è un livellamento nel prezzo al pubblico degli ebook: lo stesso libro ha un prezzo identico ovunque lo si compri, come se si trattasse di un prezzo imposto. L’imposizione arriva dall’editore stesso, certo, ma questo limita il diritto dei rivenditori di farsi una giusta concorrenza operando sulla leva più sensibile, quella del prezzo. A seguito dalla nostra inchiesta, Altroconsumo ha inviato all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mer- cato, una seconda addenda rispetto alla prima segnalazione, con la quale chiede di indagare sulle condizioni contrattuali che legano editori e distributori online, con una particolare attenzione per la clausola di cui sopra, ovvero quella con cui essi di riservano il diritto di pareggiare il prezzo più basso applicato (si parla di Clausola della Nazione più Favorita o Most Favoured Nation). Più in dettaglio, Altroconsumo ritiene che non sia possibile escludere che questa clausola abbia un effetto restrittivo nei confronti dalla libera concorrenza, con ripercussioni negative soprattutto per i distributori più piccoli. “[...] per effetto delle clausole MFN” - si legge nel documento - “gli editori ita- MERCATO Procede a rilento l’integrazione di Beats Music all’interno di iTunes, iOS e OS X Convivenza difficile per Beats Music e iTunes Il nuovo servizio slitta, probabile lancio al WWDC? Secondo indiscrezioni, ci sarebbero state tensioni tra i team di sviluppo di Beats e Apple di Paolo CENTOFANTI I l lancio del servizio di streaming musicale di Apple si fa sempre più lontano e con ogni probabilità non verrà annunciato prima del prossimo WWDC, che usualmente si tiene a giugno. Lo riporta 9to5mac, secondo le cui fonti il processo di integrazione di Beats Music all’interno dei prodotti Apple starebbe procedendo lentamente e con fatica. L’idea di Apple sarebbe infatti quella di fondere tutte le funzionalità di Beats Music all’interno dell’app Musica di iOS, in iTunes su Windows e OS X e all’interno di una nuova app per Apple TV. Sul tavolo ci sarebbe anche una nuova app per Android, mentre scomparirà la versione per Windows Phone. Si parla anche di un prezzo per il nuovo servizio che sarà a quanto pare di 7,99 dollari, contro i 9,99 di praticamente tutti i concorrenti e gli attuali utenti Beats Music torna al sommario potranno fondere il proprio account con un Apple ID. Il problema è che la nuova versione del servizio sarebbe tutt’altro che soddisfacente e starebbero crescendo le tensioni tra il team di sviluppo di Beats, entrato in Apple in seguito all’acquisizione dell’azienda, e gli ingegneri di Cupertino, tanto che almeno un dirigente avrebbe gettato la spugna e abbandonato il pro- getto. Quello che è certo è che il lancio, che doveva essere a marzo, per il momento è stato rimandato a data da destinatari. Curiosamente, Apple avrebbe inoltre intenzione di continuare a offrire, parallelamente al nuovo servizio di streaming, anche iTunes Radio e iTunes Match nonostante le evidenti sovrapposizioni che le varie offerte avranno l’una con l’altra. liani non hanno interesse a mettere in concorrenza tra loro i distributori online, dal momento che i distributori principali (e in modo particolare Amazon e Apple) potrebbero pareggiare quasi istantaneamente il prezzo più basso eventualmente consentito dall’editore al distributore online più piccolo”. La conseguenza principale cui giunge Altroconsumo è che “risulta chiaramente che la clausola MFN imposta dai principali distributori online (quali ad esempio, Amazon e Apple) agli editori italiani ha l’effetto (ed evidentemente anche lo scopo) di consolidare la posizione dominante di questi principali distributori online, escludendo o limitando l’accesso al mercato italiano degli ebook ai distributori online più piccoli”. Per questo motivo, Altroconsumo chiede che Agcm indaghi anche sulla compatibilità di queste condizioni contrattuali con le norme sulla concorrenza. Vedremo come andrà a finire... MERCATO Sony in recupero Sony ha fornito indicazioni di massima che dimostrano un lento recupero: parliamo di circa 700 milioni EUR di profitto netto nella stagione natalizia. Cresce anche il profitto d’esercizio e crescono i ricavi, che per tutto il gruppo si posizionano a circa 19 mld EUR. Il problema resta la divisone mobile: i conti dell’azienda dichiarano un piccolo profitto (70 mln EUR, circa) a causa della forte ristrutturazione prevista, ma è annunciato il taglio di 2.100 posti di lavoro entro marzo 2016, che comprendono i 1.000 precedentemente previsti. PlayStation 4 continua ad andare bene e la divisione TV è in nero trainata dal buon trend dei display 4K che fa registrare un utile di circa 70 mln EUR; infine, Sony ha inserito a budget 15 mln USD per portare a termine le indagini e completare le operazioni di rimessa in esercizio dei sistemi informatici messi a repentaglio dall’attacco hacker a Sony Pictures, divisione che nonostante tutto ha fatto registrare un piccolo profitto di circa 19 mln EUR nonostante una prevista forte riduzione dei ricavi. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE MERCATO Associazioni di categoria e compagnie telefoniche dicono no alla neutralità di rete Le telco non ci stanno e ribadiscono il no (fuorviante) al concetto di neutralità di rete Ma alcune delle argomentazioni addotte appaiono decisamente prive di fondamento U di Paolo CENTOFANTI n comunicato congiunto da parte di organizzazioni che insieme danno voce essenzialmente a tutte le principali aziende di telecomunicazioni europee, lancia un messaggio forte e chiaro: le telco europee non vogliono la neutralità di rete attualmente in discussione in seno al Consiglio Europeo. In breve, dove eravamo rimasti: il Parlamento Europeo ha approvato in prima lettura nella passata legislatura il pacchetto ora chiamato Digital Single Market, che punta alla creazione di un mercato unico delle telecomunicazioni in Europa e che mette dei punti fermi su alcuni principi basilari di Internet, quali appunto la neutralità di rete. Il testo è ora al vaglio del Consiglio Europeo, che esprime la voce degli Stati Membri dell’Unione, all’interno del quale il dibattito è ancora aperto e lontano da un accordo proprio su questioni come la neutralità di rete (oltre al delicato discorso del roaming all’interno dell’Unione Europea). “Non è tecnologicamente efficiente né un beneficio per gli utenti, che tutto il traffico sia trattato ugualmente. Non lo è mai stato” ETNO, Cable Europe, GSMA, Make the NetWork”. Il comunicato rilasciato dalla European Telecommunications Network Operators Association, GSMA, Make the NetWork e Cable Europe, si inserisce nel dibattito sostenendo che non tutto il traffico di Internet deve e soprattutto può essere trattato allo stesso modo, pena prestazioni peggiori per tutti e freno all’innovazioni e agli investimenti sulla banda larga. Ricordiamo che per neutralità di rete si intende il principio secondo cui le reti di telecomunicazioni devono essere totalmente “neutrali” nei confronti dei dati che trasmettono: un pacchetto dati, l’unità fondamentale nelle moderne reti di trasmissioni IP, è un pacchetto come un altro indipendentemente da quello che i dati contengono/rappresentano e come tale non deve essere “discriminato” in funzione del suo contenuto. L’obiezione delle telco è che non tutto il traffico è uguale e, ad esempio, lo streaming video pesa molto di più sul- torna al sommario la rete rispetto allo scambio di email, e pertanto andrebbe gestito in modo diverso. Se non che, obiettano i sostenitori della neutralità di rete, “gestire” potrebbe voler dire anche tariffare in modo diverso o magari “filtrare” o “limitare in banda” anche al fine di spingere servizi di connessione premium a costi maggiori. L’argomento, come si può ben immaginare, è complesso. Il tutto si riduce però alla fine a una semplice questione: soldi. Le telco, anche in modo comprensibile, non vogliono infatti ritrovarsi a pagare da sole il costo della crescita dei servizi “over the top”, come vengono chiamati i vari YouTube, Netflix, iTunes, che pesano con i loro dati sulle reti di telecomunicazioni che vanno costantemente aggiornate. L’altra campana sottolinea invece come proprio questi servizi spingono gli utenti a sottoscrivere le più costose linee a banda larga e ultra larga, senza bisogno che vengano create delle differenziazioni artificiose nei servizi di connettività. Un esempio, giusto per essere chiari, potrebbe essere quello di un Internet Service Provider che può offrire un abbonamento Internet base che non dà accesso a servizi di video on demand, che sono invece sbloccabili solo pagando una tariffa superiore. Oppure ancora un operatore potrebbe decidere di limitare a prescindere un certo tipo di traffico sulla sua rete (cosa che in alcuni casi già avviene tra l’altro). C’è da dire che il comunicato rilasciato da queste associazioni fa buon viso a cattivo gioco, dichiarando la propria adesione all’Open Internet ma allo stesso tempo utilizzando anche argomenti al limite del “truffaldino”. Un passaggio in particolare, presente sulla pagina web di Make the NetWork ha catturato la nostra attenzione: “Tecnologie che oggi aggiustano e ottimizzano automaticamente la banda del traffico video diretto al piccolo schermo di un tablet, rispetto a quella destinata a un grande TV in alta definizione, [con la neutralità di rete] diventerebbero discriminatorie.[...] Le inefficienze nel carico della rete aumenterebbero drammaticamente poiché troppi dati sarebbero pompati verso i tablet, sovraccaricando la sua connessione alla rete e impedendo al servizio di funzionare”. Un’affermazione totalmente falsa e anche tecnologicamente parlando priva di qualsiasi fondamento. A parte il fatto che ormai i tablet hanno una definizione superiore a quella di un TV in alta definizione, per cui non ci sarebbe alcuno spreco di bit, in questo caso le telco stanno facendo passare per gestione del traffico quella che è invece la codifica scalabile di un video che avviene a monte e quindi prima ancora della trasmissione sulla rete stessa del contenuto e che pertanto è una pratica che non è toccata minimamente dal concetto di neutralità. Quello che invece la neutralità vuole proprio impedire è che un operatore possa decidere che quel video pesa troppo e quindi non abbia “diritto” di finire anche su un tablet, magari agganciato a una rete mobile. Non allo stesso prezzo comunque. Yahoo torna a crescere Google scende ai livelli del 2008 Per la prima volta dal 2008, Google torna sotto la quota di mercato del 75% tra i motori di ricerca negli Stati Uniti Yahoo cresce più del 2% grazie a Firefox di Paolo CENTOFANTI La scelta di Mozilla di passare a Yahoo come motore di ricerca predefinito di Firefox, ha avuto il suo impatto negli Stati Uniti. Secondo i dati di CounterStat, infatti, Google a gennaio 2015 è sceso sotto la quota di utilizzo del 75%, cosa che non accadeva dall’estate 2008. Yahoo aveva già effettuato un balzo a dicembre, quando era passato da una quota dll’8,6% in novembre al 10,4%. Questo incremento era in qualche modo atteso proprio per via dell’uscita della nuova versione di Firefox con Yahoo come default. Quello che gli analisti si aspettavano, però, era per il mese successivo un ritorno di molti utenti a Google e invece il trend positivo di Yahoo non si è fermato e ora ha chiuso il primo mese del 2015 con una quota del 10,9%. Aggiungiamoci anche un +0,3% da novembre per Bing e Google scende al 74,8%. Restringendo il campo a solo chi usa il browser di Mozilla, Yahoo ha fatto un balzo del 18,4% da novembre a oggi, tutto a scapito di Google, e con un aumento di quasi il 4% solo da dicembre a gennaio. Viceversa, escludendo gli utenti Firefox, le statistiche sono rimaste pressoché invariate. Ciò a quanto pare è la dimostrazione che conquistare la posizione di motore di ricerca predefinito su uno dei browser più utilizzati, è una strategia che paga. Mozilla ha siglato l’accordo con Yahoo attualmente solo per gli Stati Uniti, mentre in Europa, per il momento, Google continua a rimanere il motore di ricerca di default. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE MERCATO L’azienda chiude il trimestre facendo registrare il miglior bilancio di sempre Apple da record: è una macchina da soldi I numeri sono impressionanti: 74,5 milioni di iPhone venduti e 18 miliardi di dollari di utile N di Roberto PEZZALI on c’è spazio per nessuno: c’è chi piange parlando di mercato in contrazione per gli smartphone di fascia alta, di impossibilità di guadagnare e di vendite ormai direzionate ai prodotti più economici, e chi invece ride e continuerà a farlo per molto. Apple è una macchina inarrestabile e chiude il trimestre con il record di tutti i tempi, guidato da quell’iPhone 6 Plus che all’inizio sembrava un errore. Sono 74,5 milioni gli iPhone venduti, 10 milioni in più del previsto e più del triplo di tutti gli smartphone di fascia alta venduti al mondo, segno che sopra i 500 euro c’è un solo marchio che riesce a vendere bene. Apple ha guadagnato molto di più dello scorso anno, merito anche di un prezzo medio di 50 dollari più alto rispetto al modello dello scorso anno e del doppio modello, con margini di profitto pari al 39,9%. Il fatturato trimestrale di Apple ha toccato i 74,6 miliardi di dollari, con un utile netto di 18 miliardi di dollari, una crescita enorme se paragonata ai 57,6 miliardi dello scorso anno. Pesano molto Cina, India e gli altri paesi: il 65% del fatturato infatti arriva dall’estero, anche se Apple tiene ancora in mano il mercato Usa. Se gli iPhone hanno fatto il botto, Mac e iPad mantengono le promesse: 5.5 milioni di Mac venduti e 21.4 milioni di iPad hanno eguagliato le stime degli analisti. Il futuro per Apple sembra ancora più roseo, non tanto per Watch, che uscirà ad aprile ed è al momento una incognita, quanto per Apple Pay: solo in America con 750 banche e enti finanziari associati Apple sta gestendo due dollari ogni 3 spesi per acquisti contactless. Tutto lascia pensare che il mondo dei pagamenti in mobilità, dopo lo Store, sarà il prossimo terreno fertile di Apple. Scendono ancora i profitti per Samsung Divisione mobile in calo del 60%, per risollevarsi Samsung scommette sul Galaxy S6 S amsung ha pubblicato la solita trimestrale con numeri “enormi” relativi a ricavi e profitti, ma che in realtà mostra un calo significativo rispetto allo scorso anno, soprattutto a causa di una divisione mobile vacillante. Samsung ha infatti annunciato ricavi per 52,73 trilioni di won (42 mld EUR) e un utile operativo di circa 4,2 mld EUR, numeri che da un lato dimostrano lo stato di salute del colosso coreano, ma dall’altro anche una flessione importante rispetto ai 59,28 e 8,31 trilioni dello scorso anno. Parliamo infatti, sui nume- torna al sommario Con 59,1 milioni di smartphone venduti nel 2014, il bilancio del colosso coreano è notevole: profitti per 475 milioni di dollari di Michele LEPORI MERCATO Samsung dichiara un ulteriore calo dei profitti rispetto agli anni precedenti di Emanuele VILLA LG a gonfie vele trainata dagli smartphone ri di ricavi e profitti, di una contrazione del 36% e dell’11% rispettivamente. Inoltre, il profitto netto è in costante calo negli ultimi 4 trimestri. Il fiore all’occhiello della trimestrale Samsung è senza dubbio la divisione dei semiconduttori che ha generato profitti per 2,7 trilioni di Won nel trimestre (2,1 mld EUR, il miglior risultato in più di 4 anni) e dalla quale l’azienda si aspetta risultati eccellenti anche nel 2015. La domanda di memorie è cresciuta mentre quella dei PC è rimasta stabile, e in tutto questo gli SSD mantengono una posizione di spicco. In questo segmento peserà senza dubbio la decisione di Samsung di puntare sempre più sui propri componenti (leggasi, chip e memorie) per i suoi prodotti mobile, che pur in calo rappresentano sempre il core dell’offerta (e del bilancio) del produttore coreano. Inoltre, si vocifera che Samsung diventi il principale fornitore di chip A9 per il prossimo iPhone, ma per il momento nessuno conferma la cosa. Il problema è la divisione mobile. Samsung ha dichiarato un ricavo complessivo di 26,29 trilioni di Won (21 mld EUR) e un profitto di 1,96 trilioni Won, il che rappresenta un calo di più del 60% rispetto ai 5,47 trilioni Won dello scorso anno. E tutto questo nonostante le vendite di Note 4 pare non vadano affatto male: presumibilmente in questo risultato pesano molti fattori, tra cui un Galaxy S5 non all’altezza delle aspettative (in termini di vendite), la concorrenza spietata in tutte le fasce di mercato, con Apple che dal canto suo dichiara la miglior trimestrale di sempre. Samsung, dal canto suo, pensa di riportare la divisone alla crescita tramite prodotti basati su “nuovi materiali, un design innovativo e feature esclusive”. Non possiamo sapere se Galaxy S6 sarà in grado, da solo, di riportare Samsung ai vecchi fasti, ma di sicuro sarà determinante. 474,81 milioni di dollari di profitto netto, + 125% di crescita anno su anno e un totale di 59,1 milioni di smartphone venduti, +24% rispetto al 2013: questi numeri sono quanto di buono fatto da LG nel corso dello scorso anno. Una crescita importante che lascia il segno, sia che la si compari con i risultati di LG nel 2013 sia affiancando questi numeri a quelli della concorrenza. A bilancio, però, ci vanno anche delle voci di perdita e quella più importante segna un -189,41 milioni di dollari alla voce chiusura della linea Plasma. Nonostante ciò, la divisione Home Entertainment fa anch’essa registrare un buon risultato, con tanto di +31% nel profitto d’esercizio rispetto allo scorso anno: parliamo di circa 480 milioni di dollari US. I risultati della sola LG mobile dichiarano vendite per 14,26 miliardi equivalenti ad un +16% rispetto allo scorso anno, mentre se ci limitiamo al solo - redditizio - Q4 il segno positivo è del 5%, pari a 3,48 miliardi di dollari. Ma LG non vuole dormire sugli allori ed è consapevole che il 2015 sarà un anno pieno di sfide, con la competizione nel settore smartphone pronta a farsi davvero agguerrita specie nel mercato cinese. LG si concentrerà sul consolidamento del marchio, sul contenimento degli sprechi e su alcuni mercatichiave, così un portavoce LG sulle linee-guida che tracceranno la strada nel 2015. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE MERCATO In un’intervista al Messaggero, l’AD di Telecom Italia ha annunciato il progetto Telecom: 1 miliardo per l’ultrabroadband al Sud Motorola rivede la luce La banda ultralarga verrà estesa al Centro e al Sud Italia; tempi di realizzazione brevi G di Emanuele VILLA razie a un investimento da 1 miliardo di euro, Telecom Italia punta a cablare il Sud Italia e il Centro-Sud intensificando la presenza della banda ultralarga in Calabria, Basilicata, Molise, Puglia, Lazio, Sicilia e Campania. L’ha dichiarato l’AD di Telecom Italia Marco Patuano in un’intervista al Messaggero, ricordando che l’azienda ha vinto i bandi per lo sviluppo e la diffusione del broadband in tutte le regioni citate. Il progetto è co-finanziato con Fondi Europei (Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR)) e verrà ripartito in due aree principali, quella delle infrastrutture (che riceverà oltre 500 milioni) e quella dei servizi necessari per portare nelle case degli italiani la banda larga con velocità tra 30 e 100 mb/s. Si stima che l’operazione porterà la banda ultralarga a circa 10 milioni di persone. In attesa della presentazione del nuovo piano industriale (19 febbraio), le tempistiche previste fanno ben sperare: secondo Patuano, infatti “Si tratta di investimenti che saranno operativi in tempi brevissimi. L’operazione sara’ chiusa entro metà 2016. La prima regione a essere ultimata sarà la Campania, entro fine anno”. Grazie al Jobs Act, inoltre, Patuano (che ha indirizzato parole di apprezzamento nei confronti dell’operato del Governo Renzi) prevede l’assunzione di 4.000 lavoratori in forma diretta e la creazione di altrettanti posti di lavoro in modalità indiretta. Lenovo quando decise di acquistare Motorola da Google per quasi 3 miliardi di dollari aveva un progetto ben strutturato, i cui primi frutti si vedono oggi. Lenovo ha comunicato di aver distribuito 10 milioni di smartphone nel corso dell’ultimo trimestre 2014 (l’acquisizione è avvenuta a ottobre), facendo schizzare verso l’alto le entrate (oltre 1,9 miliardi di dollari) e facendo segnare un +118% rispetto alle rilevazioni dell’anno precedente. Secondo Lenovo, Motorola tornerà ad avere un bilancio in nero nell’arco di 12-18 mesi. Il merito però non sarebbe tutto di Lenovo: l’opera di risanamento avviata da Google a inizio 2012 e continuata da Lenovo sarebbe alla base dell’attuale momento roseo di Motorola. Il resto è da attribuirsi ai buoni dispositivi usciti in questi ultimi 24 mesi: si pensi ai vari Moto E, Moto G e Moto X. Il prossimo passo sarà quello di rientrare nel mercato cinese. MERCATO L’impianto che doveva produrre il vetro in zaffiro per iPhone 6 sarà riconvertito Apple converte la fabbrica di zaffiro in data center MAGAZINE Estratto dal quotidiano online www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Simona Zucca, Maria Chiara Candiago, Alessandra Lojacono Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni dday@dday.it Per la pubblicità adv@dday.it torna al sommario L’energia necessaria al funzionamento del data center sarà prodotta da fonti rinnovabili B di Andrea ZUFFI loomberg riporta una notizia secondo cui Apple avrebbe deciso di investire 2 miliardi di dollari per la riconversione di un proprio impianto produttivo in Arizona precedentemente destinato alla realizzazione di display anti-graffio in zaffiro. Alla base della decisione ci sarebbe la mancata adozione degli schermi in zaffiro su iPhone 6 che, lo scorso ottobre ha portato alla bancarotta GT Advanced Technologies. La società, di cui ora Apple è proprietaria, non avrebbe infatti rispettato gli accordi e avrebbe consegnato a Apple schermi allo zaffiro di qualità non idonea a essere impiegati sull’ultima versione di iPhone. Invitiamo comunque a leggere tutta la vicenda nel nostro precedente articolo Insieme alla tecnologia allo zaffiro sembrava fallito anche il tentativo di riportare negli Stati Uniti una parte della produzione di dispositivi, ma Apple ha comunque deciso di utilizzare l’edificio da 100.000 mq di Mesa (vicino a Phoenix, AZ) come sede di un proprio data center che servirà da centro di comando per il network della casa di Cupertino. Saranno così creati 150 nuovi posti di lavoro e saranno impiegate 300 - 500 persone per la realizzazione del data center stesso. “Ho avuto l’impressione che Apple volesse fare la cosa giusta e siamo entusiasti che abbia deciso di farlo qui in Arizona” - ha dichiarato il governatore Doug Ducey”. L’energia necessaria a far funzionare il nuovo data center sarà interamente prodotta da fonti rinnovabili proveniente anche da una imponente installazione di pannelli solari in grado di fornire energia anche a 14.500 abitazioni presenti nella zona. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE TV E VIDEO Ripetuto l’errore marchiano compiuto da “Il Fatto Quotidiano” nei giorni scorsi e ampiamente segnalato da DDAY.it Travaglio e DVB-T2, errore bis a Servizio pubblico Lettera aperta del nostro direttore a Marco Travaglio: il rinvio dell’obbligo DVB-T2 non ha nulla a che vedere con Mediaset C di Gianfranco GIARDINA arissimo Travaglio, nel suo seguitissimo editoriale all’interno della trasmissione TV “Servizio Pubblico” dello scorso 29 gennaio, ha ritenuto di reiterare l’incredibile svista nella quale è incappato “Il Fatto Quotidiano” di domenica 25 gennaio, il quotidiano dal lei condiretto. Come DDAY.it aveva già ben chiarito prima a novembre 2014 e poi la vigilia di Natale, dopo l’approvazione del decreto Milleproroghe, il rinvio dell’obbligo DVB-T2 riguarda i televisori e non le frequenze o le trasmissioni; e nulla ha a che vedere con la destinazione della banda dei 700 MHz, decisione che è in capo all’Europa. Chi volesse trasmettere nel digitale di seconda generazione potrebbe farlo sin da subito; ma soprattutto nessun Governo di nessun colore in questi anni ha mai neppure lontanamente progettato uno switch off al DVB-T2 (francamente impensabile) né fissato nessuna data per il passaggio “di legge” alle nuove trasmissioni. Lei invece ha equivocato, come il suo giornalista qualche giorno fa, facendo quella che non ho timore a chiamare cattiva informazione. Nei giorni scorsi, l’errore del suo giornale è stato chiaramente segnalato da DDAY.it e ampiamente notificato via Twitter al Fatto e all’autore dell’articolo di prima pagina. Non le elenco qui i motivi per i quali il rinvio dell’obbligo DVB-T2, che non ha nulla a che vedere con Mediaset, era ampiamente richiesto dagli operatori informati e anche dalle associazioni dei consumatori: di questo ho già torna al sommario scritto in diverse occasioni e se avrà modo e tempo potrà prenderne visione (qui e qui, per esempio). L’Italia, non le sarà sfuggito, è in fondo a tutte le classifiche dei paesi sviluppati in quanto ad alfabetizzazione digitale; il mercato dell’elettronica di consumo italiano, nello specifico, ha il peggior mix di prodotto tra tutti i paesi europei e questo, non solo per la condizione economica nazionale ma in larga parte per la scarsa preparazione degli utenti nel saper valutare la portata delle innovazioni tecnologiche. L’Italia ha bisogno di buona informazione in ambito tecnologico, anche e soprattutto da parte dei mezzi generalisti; una buona preparazione sul digitale che, tra l’altro, è un fattore chiave – come ormai è chiaro a tutti - che non riguarda più solo gli “appassionati” ma chiunque voglia avere nel ventunesimo secolo un ruolo attivo in un mondo del lavoro. In molti si aspettavano da parte de Il Fatto Quotidiano una rettifica, anche in forza della nota emessa dal Viceministro Giacomelli prima ancora che del nostro articolo, ma nulla è successo. Ora, non solo non ci sono state correzioni di tiro, ma l’errore viene reiterato addirittura in una seguitissima trasmissione TV, e da un giornalista autorevole come lei. I casi sono due: o non è stato affatto informato dalla sua squadra della “topica” sulla prima pagina del Fatto di domenica scorsa, e allora dovrebbe chiedere conto a chi tra i suoi, per nascondere qualche svista professionale, la espone a brutte figure come quella in questione; oppure – ma ri- video lab Marco Travaglio Editoriale a “Servizio Pubblico” sulta davvero difficile crederlo – sapeva e, visto che poi si tratta di “tecnicismi” che il grande pubblico non segue, ha pensato che comunque potesse farle gioco gridare ancora una volta a uno scandalo che – almeno questa volta – non c’è. Un’interpretazione originale da parte sua credo sarebbe assai gradita dall’opinione pubblica. In ogni caso, un peccato: basta una sola balla in mezzo a molte verità per far derubricare tutto come “falso e tendenzioso”. E quella sul digitale terrestre da lei raccontata – mi creda – è una balla al di là di ogni fantasia interpretativa. Noi di DDAY.it siamo al servizio della buona informazione in ambito tecnologico finalizzata alla costruzione di un mercato più sano, a vantaggio di consumatori e Paese. In questo senso, le rinnovo l’invito, già fatto alla sua redazione: siamo a sua disposizione (come in passato è già successo con molte redazioni generaliste) per rispondere ad eventuali domande su questioni legate al mondo digitale, laddove nello svolgere la sua attività di informazione, vi si imbattesse. Cordiali saluti Gianfranco Giardina n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE TV E VIDEO Emergono i dettagli del primo TV piatto OLED in arrivo sul mercato europeo LG EF950V: può diventare il TV dell’anno Completo e con pannello ad alta luminosità a 10 bit, arriverà nella seconda metà del 2015 S di Roberto PEZZALI egnatevi il nome: LG EF950V, OLED 4K e schermo piatto. Quando abbiamo mostrato i TV OLED che arriveranno nei negozi nel corso dell’anno l’attenzione è caduta sul bellissimo TV piatto Flat Art Slim Design, con soundbar wireless e linea super sottile. Per questo modello si dovrà attendere qualche mese (seconda parte dell’anno), ma LG ha un’altra freccia al suo arco. Ci sarà infatti in Europa un secondo modello piatto, l’EF950V, versione “raddrizzata” dell’EG9600 (o EG960V): sarà un TV flat di tutto rispetto con una buona quantità di feature, a partire dal processore video a 8 core per arrivare al pannello a 10 bit e 100 Hz sempre realizzato con tecnologia WRGB. LG ha lavorato molto sul pannello e pare sia riuscita a ottenere una luminosità di picco molto più alta di quella degli attuali OLED: i primi dati parlano infatti di 800 cd/m2, un valore notevole per un OLED e proprio per questo sembra che sia stata inserita anche una modalità simil HDR. Non ci sarà, sempre che in queste settimane non vengano apportate modifiche, la gestione dello spazio colore Rec.2020 dell’Ultra HD: è proprio questa mancanza ad aver bloccato l’ingresso degli OLED UHD nella Telesystem lancia due decoder DVB-T2 (ma senza HEVC) Il TS7701 T2HD sarà compatibile Infinity e Premium Play e sarà anche uno dei primi ad avere il tuner DVB-T2 Manca, tuttavia, il decoder HEVC di RoberTo PEZZALI Ultra HD Alliance. Quella dello spazio colore Rec.2020 sembra l’unica assenza degna di nota, perché per il resto il TV ha molti punti a suo favore: per la connettività infatti sono presenti HDMI 2.0 con HDCP 2.2 e MHL 3.0, a bordo ci sono bluetooth e Wi-fi e non mancano DLNA, Plex, accesso al cloud per lo streaming e WiDi Intel oltre ovviamente a MHP e supporto Tivusat. LG ha anche rivisto interamente WebOS: la nuova versione gestisce riconoscimento vocale e gestuale (la camera è esterna) e pare sia stato aggiunto anche un server per la condivisione delle registrazioni fatte con il PVR usando il doppio tuner DVB-T2 e DVB-S2. Completa la compatibilità per i formati file, sia da rete sia da USB: MKV 4K HEVC, VP9, MP4 4K HEVC, DivX HD, TS, AVI, MP4, MP3, WMV e WMA, AAC e DTS saranno supportati, il tutto con sottotitoli esterni. Come per gli altri TV LG 2015 ci sarà la possibilità di controllo con app iOS, Android e Windows Phone e sarà supportato anche lo streaming dei canali della TV. LG non ha ancora definito il prezzo per questo modello, ma lo aspettiamo nella seconda metà dell’anno a circa 4500 / 5000 euro nella sua versione da 55”. Molte delle caratteristiche, in ogni caso, saranno presenti anche sui modelli curvi e sui modelli top LED: chi compra un TV nel 2015 porta a casa un TV all-inclusive. TV E VIDEO Dalla Francia arrivano indiscrezioni sui prezzi dei nuovi TV Samsung S-UHD Samsung, i possibili prezzi della gamma TV S-UHD Chi deve acquistare un nuovo decoder per il digitale terrestre oggi può scegliere un modello DVB-T2: Telesystem ha infatti inserito a listino i due nuovi TS6700 T2HD e TS7701 T2HD, due modelli di decoder dotati di tuner di nuova generazione. Paradossalmente la presenza del tuner next gen è la cosa meno interessante dei due decoder: l’assenza di HEVC e di trasmissioni DVB-T2 rende infatti inutile questa funzionalità in Italia. Si parte da 1790 euro; il top di gamma Full LED arriverà solo in tagli grossi, superiori ai 65” di Roberto PEZZALI S amsung lavora a ritmi serrati per portare la serie S-UHD in Europa. Abbiamo ricevuto la conferma che in Italia arriveranno le tre serie viste a Las Vegas, con il top di gamma torna al sommario JS 9500 dotato di pannello Full LED a 10 bit e di HDR. Samsung comunque non avrà solo la gamma S-UHD: resterà una line up di TV HD e UHD piatti e curvi che andranno a coprire la fascia media del mercato. Dalla Francia arrivano intanto le prime indiscrezioni di prezzi della nuova gamma, difficile dire se i modelli saranno gli stessi di quelli italiani, ma solitamente i prezzi sono allineati tra le filiali europee. Samsung quest’anno cercherà di tenere, almeno sulla gamma alta, una fascia di prezzo “protetta” per evitare una svalutazione rapidissima dei prodotti. Quello che potrebbe non piacere agli appassionati è la scelta di tagli molto grandi per la serie top, quella dotata di illuminazione Full LED: si partirà infatti dal 65” e non ci sarà il classico 55”, previsto solo in versione Edge LED. Ecco di seguito i primi prezzi francesi, ancora da confermare: • Samsung UE48JU7500: € 1790 • Samsung UE55JU7500: € 2290 • Samsung UE65JU7500: € 3990 • Samsung UE78JU7500: € 9990 • Samsung UE48JS9000: € 2790 • Samsung UE55JS9000: € 3290 • Samsung UE65JS9500: € 5990 • Samsung UE78JS9500: € 9990 • Samsung UE88JS9500: € 24.990 Il modello 6700 è il modello base con una sola funzionalità aggiunta, ovvero la registrazione su porta USB che può essere usata anche per riprodurre files multimediali. Più interessante lo “smart box” TS7701: è sempre DVB-T2 (privo di HEVC) ma è dotato di porta di rete, è MHP e permette l’accesso ad applicazioni come Infinity e Premium Play. La presenza della rete, inoltre, permette la fruizione di contenuti anche con client DLNA. Il TS7701 è in vendita a 99 euro, mentre il TS6700 costa 49 euro.nti prospettive future. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE TV E VIDEO In anteprima le caratteristiche di alcuni modelli di TV LG in arrivo quest’anno LG: ecco la gamma di TV LED 4K per il 2015 Prezzi in discesa, ma per LG si tratta di modelli di fascia media e medio alta: al top c’è l’OLED C di Roberto PEZZALI hi comprerà un TV nel 2015 farà sicuramente un affare: i prezzi sono in caduta libera e, soprattutto in casa LG, l’arrivo dell’OLED comprimerà ulteriormente la gamma media che offrirà, quindi, ad un prezzo molto interessante tutte le features che ormai ci si aspetta da un top di gamma. La linea italiana è ancora in fase di definizione, ma siamo riusciti a capire quali saranno alcuni dei modelli che arriveranno da noi e come si posizioneranno. La presenza di WebOS 2.0 e del pannello 4K è un comune denominatore, così come l’integrazione di un decoder DVB-T2 con HEVC: LG per differenziare i modelli lavora su ColorPrime (il nome scelto per la tecnologia Quantum Dots), sull’audio harman/kardon e sul design. La serie UF9500 sarà la top di gamma: pannello a 200 Hz, Color Prime, WebOS 2.0 e un design super slim i punti di forza, con una base che ricorda molto quella dei TV OLED. Arriverà nei tagli da 55” e 65”. Un modello analogo, ma privo di Color Prime e curvo, sarà disponibile con la sigla UG8700 e, con design standard (quindi niente pannello ultra sottile) sotto i nomi UF8600 e UF8500. Tra i questi due modelli cambiano soprattutto la linea e le dimensioni: l’UF8600 infatti sarà disponibile da 55”, 65” e 79”, ma per i mercati europei potrebbe arrivare anche qualche taglio più piccolo. L’UF7700 sarà il TV da battaglia: pannello 4K, HEVC e WebOS 2.0 ad un prezzo super aggressivo. L’assenza di dettagli e caratteristiche precise dei nuovi TV lascia trasparire come anno dopo anno sia sempre più difficile realizzare una line up con caratteristiche differenti, come accadeva invece qualche anno fa. La differenza è il design, con i modelli top che hanno un profilo davvero sottile, ridotto a pochi millimetri. Toshiba dice addio alla produzione di TV La fabbricazione diretta verrà mantenuta solo per alcuni modelli di TV per il Giappone T di Paolo CENTOFANTI torna al sommario Panasonic si prepara ad abbandonare il mercato TV in Cina e pensa di interrompere le attività anche in USA L’Europa per ora è salva di RoberTo PEZZALI TV E VIDEO Il brand sarà dato in licenza ad altri produttori, i partner saranno annunciati in aprile oshiba ha annunciato la chiusura della divisione TV almeno, per quanto riguarda il mercato internazionale: continuerà a produrre televisori ma solo per il Giappone. Le prime avvisaglie della difficile scelta si erano avute alla vigilia del CES di Las Vegas, quando Toshiba aveva annunciato l’uscita dal mercato nordamericano. In futuro ci saranno ancora TV marchiati Toshiba, ma saranno prodotti da aziende terze con diritto di sfruttamento del brand in licenza, una strada seguita negli ultimi anni da altri marchi (si pensi ai vari Telefunken, Grundig, Normende, ma anche JVC, Thomson e, ultima in or- Panasonic Basta TV in Cina e USA dine di tempo, Sharp per quanto riguarda l’Europa). Il primo produttore a utilizzare il marchio Toshiba sarà Compal Electronics, azienda con base a Taiwan, che ha acquistato i diritti per gli Stati Uniti e che comincerà a commercializzare i primi prodotti già a marzo. Per conoscere chi produrrà TV a marchio Toshiba in Europa occorrerà aspettare aprile 2015. Con l’uscita di scena di Toshiba, a mantenere alta la bandiera dei TV “made in japan” a livello internazionale sono rimaste solo Panasonic e Sony, con quest’ultima, tra l’altro, in fase di valutazione di un’eventuale vendita della sua divisione TV. C’è da dire che Toshiba negli ultimi anni aveva inanellato una serie di passi falsi. Il suo disco HD DVD perse contro il Bluray Disc, investì tantissimo nella Cell TV, prodotto che anticipò l’era delle smart TV ma che non decollò mai, per poi tentare il tutto per tutto con il 3D senza occhiali, tecnologia che fu travolta dal flop generalizzato delle tre dimensioni. Panasonic è pronta a ridimensionare ulteriormente il segmento TV: a giorni infatti è attesa la trimestrale e secondo alcuni media giapponesi Panasonic potrebbe dare un ulteriore giro di vite al rubinetto TV, che ancora perde nonostante l’eliminazione dei TV al plasma dalla line up. A farne le spese saranno il mercato cinese, dove Panasonic cederà il brand a produttori locali in cambio di royalties, e quello americano, anche se quest’ultima ipotesi è ancora da confermare. Nel corso di una intervista ad un quotidiano inglese Craig Cunningham, product manager dei TV Panasonic per l’Inghilterra, ha infatti dichiarato che Panasonic America vende meno TV di Panasonic UK, e questo dopo l’abbandono del plasma: gli americani erano innamorati (come tutti) di questa tecnologia e hanno voltato le spalle a Panasonic, preferendo altri brand in campo LCD LED. Panasonic potrebbe annunciare nei prossimi giorni la chiusura della fabbrica messicana, che produce circa 500.000 TV all’anno. L’Europa al momento sembra salva, ma ormai è chiaro che il TV per Panasonic non è più una priorità: molto meglio le batterie delle Tesla, sia per i maggiori guadagni che per le più allettanti prospettive future. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE TV E VIDEO Rilanciato il servizio di registrazione dei programmi TV in cloud: sarà la volta buona? È tornato VCast, il videoregistratore online Si gestisce da web, i programmi vengono salvati come file nello spazio cloud degli utenti Il sistema è ben fatto, ma mancano ancora molte funzioni e resta l’ombra sulla sua legalità di Roberto PEZZALI I l videoregistratore “cloud” VCast è pronto al rilancio. Dopo qualche piccola controversia negli anni passati (VCast non piaceva a Mediaset) il servizio è ora disponibile in una forma completa e rinnovata con GuidaTV e tre livelli di fruizione, due dei quali “Premium” da 3,99 euro e 4,99 euro. VCast è un videoregistratore “online”: scegliete quello che volete registrare e automaticamente il file verrà caricato su uno spazio cloud a scelta tra Google Drive o One Drive. Una possibilità che permette non solo di guardare la registrazione in streaming ma anche di scaricare fisicamente il file e riprodurlo su un TV da chiavetta. VCast al momento gestisce i canali in chiaro del digitale terrestre e ha una serie di funzionalità dei recorder più evoluti come la possibilità di registrare automaticamente le Serie TV e di variare la qualità di registrazione e il tipo di file. Al momento in cui l’abbiamo provato, molte funzioni ancora non sono attive e lo saranno solo nei prossimi mesi quando arriveranno anche le app native. I profili di abbona- mento sono legati quasi esclusivamente alle ore di registrazione negli ultimi 30 giorni: la versione Free, con pubblicità, offre 16 ore di registrazione che diventano 32 ore nella Premium e 64 nella Premium Plus, che abilita HD a 720p per i canali che ovviamente sono HD nativi. Fino al termine della fase beta i profili Premium e Premium+ sono acquistabili in promozione rispettivamente a 25 e 30 euro annui e i 12 mesi di abbonamento decorreranno effettivamente solo da quando Vcast chiuderà ufficialmente la fase di beta testing. Resta da capire se VCast resisterà, perché il nodo è sempre legale: da una parte il servizio afferma che si tratta di videoregistrazione privata e senza scopo di lucro, tuttavia c’è una differenza sostanziale tra VCast e altri videoregistratori quali possono essere un DVD Recorder o un NAS con chiavetta tuner. In questi ultimi casi infatti l’utente paga il compenso SIAE che serve proprio a indennizzare gli autori della registrazione fatta per uso privato; VCast, utilizzando il cloud, non sembra dare compenso agli autori. Il servizio in ogni caso è utile e interessante, peccato per i limiti delle ore di registrazione; ricordiamo che un sistema simile è realizzabile anche da un utente utilizzando un tuner USB e un NAS Synology o Qnap. TV E VIDEO Mediaset è pronta a lanciare la versione con Chromecast dell’app Premium Play Premium Play: Chromecast è sempre più vicino Potrebbe arrivare anche una sorpresa: basta esclusiva Samsung e app su Google Play M di Roberto PEZZALI anca poco all’arrivo di Chromecast per Premium Play: l’applicazione compatibile con la chiavetta di Google è infatti pronta e il lancio è solo questione di settimane, il tempo di ricevere l’approvazione da parte dei vari store. Con Chromecast, come già successo con Infinity, si potrà portare Premium Play su tutte le TV non compatibili al costo della sola chiavetta HDMI, in vendita a 35 euro nei principali negozi. Chromecast per funzionare ha bisogno ovviamente di iOS e Android, e nel caso di Android come sappiamo, al momento è disponibile solo l’applicazione per tablet Samsung Galaxy Tab. Premium, scaduto l’accordo commerciale con Samsung, è pronta a lanciare l’app universale su Google Play Store anche se non sappiamo, al momento, se il lan- torna al sommario cio avverrà contestualmente alla release della compatibilità Chromecast o se si dovrà attendere ancora. La questione, in questo caso, è legata alla compatibilità con i dispositivi presenti sul mercato: nel panorama Android sono presenti ormai un numero altissimo di piattaforme per tablet e il sistema di protezione dei contenuti usato da Mediaset dev’essere compatibile con tutte. Proprio per questo Mediaset sta prendendo un po’ di tempo per assicurarsi che Premium Play, su Android, vada senza problemi sia su device ARM sia su device con SoC Intel, sempre più diffusi grazie alla spinta di HP e Asus. Apple ci prova ancora: in arrivo una Web TV fatta in casa? Tim Cook sarebbe al lavoro per convincere le emittenti USA a concedere alcuni show a una nuova Web TV. Apple è pronta ad entrare in questo nuovo mercato? di Vittorio Romano BARASSI Secondo quanto riportato da Re/Code, Apple starebbe lavorando per lanciare una nuova Web TV a pagamento da mettere in diretta concorrenza (in USA) con Sling TV di Dish e con il prossimo servizio analogo che verrà offerto da Sony. I colloqui gli operatori e produttori di contenuti sarebbero già avviati da tempo e nei prossimi mesi potremmo assistere al lancio della piattaforma. L’intenzione di Apple di entrare in questo segmento è nota da molto tempo ma, finora, tutti i tentativi fatti in questa direzione sono risultati di scarso appeal. Nel 2009 Apple provò ad offrire ai suoi clienti un servizio in abbonamento (basato su iTunes) a 30 dollari al mese e nel corso degli ultimi anni, in diverse occasioni, ha provato a percorrere strade simili ma senza particolare convinzione. Il 2015 potrebbe essere l’anno della svolta: Tim Cook & Co, infatti, starebbero da tempo discutendo con produttori di serie TV, film ed eventi, così da scavalcare i classici ostacoli - soprattutto economici - derivanti dalle discussioni con i vari Network televisivi. Al momento si tratta solamente di un rumor che come tale va preso con le pinze, ma l’eventuale entrata di Apple nel mondo della televisione (americana) potrebbe rappresentare una svolta. Vista la complessità della questione (intorno ai diritti TV c’è un business enorme) è peraltro probabile che il debutto non sia poi così prossimo. Staremo a vedere... n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Sky ha iniziato a trasmettere la serie TV House of Cards sul canale 27 del DT SkyTG 24 è un cavallo di Troia: arrivano le serie TV A seguire arriverà anche un’altra serie TV: a marzo infatti è atteso Romanzo Criminale di Roberto PEZZALI ky TG 24 è arrivato sul digitale terrestre, ma non sarà un canale allnews. Le regole infatti imposte dal ministero dello Sviluppo Economico per i canali semigeneralisti prevedono una copertura con le news inferiore al 70% del palinsesto giornaliero complesso in onda, quindi se Sky vuole restare nella posizione in cui è deve trovare altro da trasmettere. E lo ha trovato: Sky TG 24 infatti, nonostante il nome, ha iniziato a trasmettere in chiaro le serie TV. House of Cards, l’acclamato thriller politico che ha spopolato negli Usa, per la prima volta visibile in chiaro sul canale 27 l’8 febbraio e quindi tutte le domeniche alle 21, con replica il sabato successivo alle 23. Un’ottima novità che segna la nuova tendenza cross platform di Sky: l’obiettivo è raggiungere il maggior numero di perso- Mediaset Premium si prepara a rivedere l’offerta e i suoi servizi in vista del prossimo anno. La Champions sarà il piatto forte da servire in esclusiva. Si punta sulla qualità, dando spazio a nuovi canali HD S di Roberto FAGGIANO ne sfruttando tutti i mezzi a disposizione e il digitale terrestre è uno di questi. La prima stagione di House of Cards sarà trasmessa su Sky TG 24 in attesa che, in esclusiva per gli abbonati a Sky, prenda il via su Sky Atlantic la terza serie. Sky non si fermerà però qui: a fine marzo inoltre, il canale 27 del DTT trasmetterà anche Romanzo Criminale – La Serie. E pare sia solo l’inizio. ENTERTAINMENT Telecom Italia rilancia il servizio di video in streaming evoluzione di CuboVision Telecom scommette sullo streaming con TIMvision Il servizio multi piattaforma Telecom ha ora un catalogo che si arricchisce di nuove esclusive T di Paolo CENTOFANTI elecom Italia rinnova la sua intenzione di diventare uno dei principali protagonisti della scena dello streaming italiano, rilanciando il suo servizio TIMvision. Evoluzione dell’esperienza pionieristica di CuboVision e dopo una fase un po’ incerta, Telecom ha lanciato una nuova versione del servizio di streaming che vede una nuova veste grafica e maggiori investimenti sul fronte dei contenuti. I dati sembrano dar ragione alla strada intrapresa da Telecom Italia, visto che il 2014 ha visto TIMvision in forte crescita: la base utenti è cresciuta del 64% anno su anno raggiungendo quota 260.000 abbonati, che utilizzano anche molto di più il servizio, con il doppio di visualizzazioni rispetto all’anno precedente. A piacere di più agli utenti di TIMvision sono soprattutto le serie TV (+310%) e la programmazione per i più piccoli (+340%), motivo per cui Telecom Italia intende espandere il proprio catalogo proprio in questa direzione e giocando ancora di più sulle esclusive. Nei primi mesi del 2015 arrivano su TIMvision la torna al sommario Mediaset Premium per la Champions più canali HD nuova serie Intruders (da uno dei principali produttori di X-Files) e soprattutto la conclusione dell’ultima stagione di Mad Man, di cui sono disponibili anche tutti gli episodi. L’offerta di TIMvision continua a essere declinata su più fronti, con da una parte lo streaming illimitato di TIMvision TV, attualmente in promozione a 5 euro al mese per gli abbonati Telecom Italia che si registrano entro fine marzo 2015 (ma ci sono offerte simili anche per chi si abbona da app per smartphone e tablet), dall’altra il classico Videostore per il noleggio e l’acquisto delle ultime novità. TIMvision resta nel panorama italiano anche l’unico a offrire dei contenuti gratuiti fruibili senza abbonamento, in particolare con la catch up TV di RAI, La7 e MTV Italia. L’asso nella manica di Telecom Italia continua a essere però il calcio, grazie a un accordo con Sky Italia, con le partite della Serie A e di Champions League disponibili però unicamente da smartphone e tablet e con un abbonamento a parte. TIMvision è aperto a tutti e non solo ai clienti di Telecom Italia o TIM, anche se quest’ultimi hanno degli innegabili vantaggi come il decoder in comodato gratuito, la fatturazione in bolletta di abbonamenti e acquisti sullo store e soprattutto il traffico dati gratuito per l’utilizzo dell’app TIMvision da rete cellulare TIM, cosa che (finché è lecita in assenza di norme specifiche sulla neutralità) rende il servizio di Telecom maggiormente sfruttabile in mobilità rispetto a Infinity o Sky Online. TIMvision è disponibile per tutte le principali piattaforme: web, Smart TV Samsung ed LG, smartphone e tablet Android, iOS e Windows Phone 8. Dal prossimo anno Mediaset Premium, salvo cambi di programma degli ultimi mesi, avrà la Champions League in esclusiva. Un evento questo che di fatto spinge (e costringe) l’emittente pay a rivedere interamente i suoi piani e le sue strategie, con la necessità di fornire una offerta adeguata anche a coloro che migreranno da Sky proprio per vedere il grande calcio. Mediaset ad oggi non è un modello da seguire per l’alta definizione, anzi: Premium Cinema HD e Premium Calcio HD sono gli unici canali HD e questo ovviamente non può bastare se si vuole proporre una offerta dignitosa in vista della Champions. Il digitale terrestre non ha lo spazio e la banda del satellite, pertanto sarebbe impossibile proporre una offerta calcio interamente in HD, tuttavia a Cologno Monzese si sta lavorando per portare più canali in alta definizione rivedendo interamente l’offerta. Ad oggi non siamo in grado di dire esattamente cosa cambierà e quanti saranno i canali HD in arrivo: la nuova “Premium” verrà presentata quest’estate e voci di corridoio parlano di una revisione globale che porterà non solo a miglioramenti qualitativi e dell’offerta ma anche ad una revisione del servizio interattivo Premium Play. Aspettiamo impazienti. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Infinity festeggia il primo anno alzando il bitrate dei contenuti HD. ll servizio arriverà presto anche sui TV Panasonic Infinity: arrivano Super HD, app Tizen e Panasonic. E il 4K... Parte del catalogo inizierà a beneficiare di un nuovo encoding a risoluzione più elevata. E si prepara l’app per TV Tizen di Roberto PEZZALI I nfinity non sarà il servizio perfetto che tutti desiderano (e che sicuramente non esiste), ma è indubbio che l’azienda sta cercando costantemente di migliorare e andare incontro alle esigenze di tutti, con un catalogo più ampio e titoli anche più recenti. Esigenze che spesso richiedono anche una maggiore qualità, ed è per questo che sta per iniziare la transizione a quello che viene definito “super HD”, una versione meno compressa dell’HD. Nome che profuma molto di marketing, è chiaro, ma purtroppo siamo consapevoli che un flusso a 720p o 1080p in streaming non ha la stessa resa di un blu-ray (ma e neppure lo stesso datarate). Infinity sta iniziando a sostituire i master con nuovi master compressi con qualità più elevata, anche se ricordiamo che il sistema di streaming adattivo modifica la qualità a seconda della banda disponibili. Ad oggi i titoli che sono già (o che lo saranno a brevissimo) nel nuovo formato sono questi: • Gladiatori di Roma • Tutta la saga “Il signore degli anelli” • 10.000 A.C. • The Bourne Ultimatum • Repo men • Vicino a te non ho paura • Sole a catinelle • Tarzan • The Twilight saga • Gattaca • Cloud atlas • Blood and bone • La lista dei clienti • Chelsea on the rocks • Molto forte, incredibilmente vicino • L’incredibile storia di Winter il delfino •La furia dei Titani • Provetta d’amore • Un milione di modi per morire nel West • Boxtrolls - Le scatole magiche • Un’estate pazzesca • Men, women & children • Tutte le stagioni di Spartacus • The night shift 1 • Weeds 6 • Hell on wheels 2 e 3 Arrivano novità anche sotto il profilo dei dispositivi supportati: a breve infatti arriverà la compatibilità con i TV Panasonic e in lavorazione c’è l’applicazione per i nuovi TV Samsung Tizen. Tutto senza però dimenticare il 4K: Infinity ci sta lavorando e ancora non c’è una data certa, ma siamo certi che entro la fine dell’anno lo streaming 4K sarà realtà anche in Italia, ovviamente per chi ha una banda in grado di supportarlo. ENTERTAINMENT Quasi tutti i film di uno dei più frequentati siti di film pirata in streaming sono ospitati da Google sui suoi server I film di un noto sito di streaming pirata sui server di Google Spazio e banda sono garantiti, ma la situazione, proprio per il coinvolgimento di “Big G”, è quantomeno imbarazzante lucrare poi con la pubblicità. Il caso dei 124 siti di streaming oscurati dalla Guaron si può battere la pirateria senza dia di Finanza su denuncia di Sky, visibili il grosso aiuto del burattinaio del nuovamente utilizzando DNS pubblici web, Google, ma si hanno ancora come quelli di Google, dimostra che senmeno speranze se Google, anziché resta- za un impegno globale c’è davvero poco re neutrale, dà implicitamente una mano da fare. Di Google e pirateria torniamo a a coloro che allestiscono siti pirata per parlare dopo aver scoperto e analizzato verybellofim.it (questo il titolo di fantasia con il quale chiameremo questo sito, che abbiamo volutamente oscurato). Si tratta di un sito che sembra essere uno dei più utilizzati oggi dai fruitori di contenuti pirata per guardare in qualità “HD” (solo a parole) film recenti appena usciti in sala. Un sito ben fatto, tutt’altro che amatoriale, molto frequentato a giudicare dalla quantità di commenti; e anche gestito con furbizia, se si guarda la quantità di film disponibili e la quantità di pubblicità che invoglia a premere “download”, quando invece il download non è possibile. Il legame tra VeryOttenendo il link del file è possibile scaricare BelloFilm.it e Google non è anche l’MP4: non solo streaming, anche download. difficile da scoprire: tutti i film di Roberto PEZZALI N torna al sommario sono infatti stati caricati su Picasa come video per poi essere riprodotti tramite un player HTML, JWPlayer, dalle pagine del sito. Gli indirizzi delle schermate sono chiari: a fornire questi film è la linea CDN di GoogleVideo. La scelta di Picasa è ovvia: non è presente il Content ID (il sistema per controllare la presenza di contenuti protetti da copyright) come su YouTube, viene visto come un “cloud” privato e lo spazio aggiuntivo costa relativamente poco, 10 $ per 1 Terabyte. L’unica limitazione è la dimensione massima dei file, 1 GB, ed infatti tutti i film caricati sono compressi per non superare la dimensione massima. Google probabilmente non è a conoscenza della cosa, o forse semplicemente non è organizzata per fare controlli di questo tipo, ma la sostanza non cambia: centinaia di film pirata sono caricati sui server di Google e da questi vengono inviati in streaming a migliaia di utenti, il tutto in forma illegale e con lucro, visto il carico di pubblicità presente. Google ha un ruolo primario nello sviluppo del web, ma, da buon leader, ha anche un ruolo di responsabilità: per trovare contenuti da scaricare basta usare Google, per andare sui siti che vengono censurati da Agcom e GDF bastano i DNS di Google, per caricare film e mandarli in streaming si usano i server di Google. Non si può vincere la guerra alla pirateria senza l’aiuto di Google: cari amici di “Big G”, non è il caso di provvedere? Oppure Mountain View è troppo lontana dall’Italia per preoccuparsi di queste cose? n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Sky ha diffuso il calendario 2015 dei Gran premi di Formula 1 e di Moto GP che trasmetterà in esclusiva Formula 1 e Moto GP, ecco come vedere le gare 11 Gran Premi di Formula 1 su 20 verranno trasmessi in esclusiva da Sky, per gli altri 9 visione libera in HD sui canali RAI Per la Moto GP 8 gare sulle 18 totali saranno trasmesse in chiaro su Cielo, curiosamente concentrate nel periodo estivo S di Roberto FAGGIANO ky ha reso noto il calendario delle gare di Formula 1 e della Moto GP che diffonderà in esclusiva per i propri abbonati. Partiamo dalla F1, per gli eventi non in esclusiva sarà possibile seguire prove e gare in diretta in HD anche in chiaro dalla RAI. Da notare le novità rispetto alla passata stagione: il nuovo GP del Messico, che sarà un’esclusiva Sky, e la trasmissione in diretta anche dalla RAI dell’emozionate GP di Monaco che l’anno scorso fu trasmesso in differita. Per quanto riguarda le gare in differita deve essere rispettata la clausola di far passare almeno tre ore dal termine della gara; la Rai non ha ancora resi noti gli orari definitivi delle differite ma in linea di massima le gare disputate in notturna (ora italiana) saranno riproposte alle 14 da Rai 1, mentre quelle pomeridiane saranno trasmesse in differita alle 21 su Rai 2. Anche le differite dovrebbero essere disponibili in alta definizione sul canale di Rai HD. Le alternative legali per vedere in diretta tutte le gare sono poche e per pochi: chi abita nelle vicinanze del confine svizzero potrà seguire tutte le gare (in SD) su RSI La2, chi abita nei pressi del confine sloveno potrà seguire le gare sulla TV slovena, chi abita nelle provincie di Trento e Bolzano potrà seguire le gare (in HD) sul canale austriaco ORF ritrasmesso in digitale terrestre per accordi locali. Sul satellite invece l’alternativa è il canale svizzero tedesco RTL, che però trasmette solo da Astra (19,2° Est). Moto GP 2015: il calendario delle gare in chiaro su Cielo Gli appasionati di motociclismo potranno seguire 8 gare in chiaro su Cielo, canale 26 del digitale terrestre. Questa stagione vedrà il passaggio di Guido Meda da Mediaset a Sky, con i commenti che saranno trasmessi anche da Cielo. Se tutto sarà come lo scorso anno il commento originale di Sky sarà interrotto su Cielo per la pubblicità, con gara visibile in un riquadro. Confermata purtroppo anche la trasmissione in definizione standard, con l’HD riservata agli abbonati Sky. Per le gare in differita di circa 3 ore rispetto alla diretta è prevista un’ampia sintesi della gara di Moto GP che comprenderà anche le gare minori di GP2 e GP3. Curiosa la scelta delle gare trasmesse in chiaro anche su Cielo: tra i primi nove Gran Premi solamente una gara sarà in chiaro mentre nel periodo estivo quasi tutte le gare saranno in chiaro. Anche in questo caso, per chi volesse seguire legalmente le gare in diretta senza l’abbonamento a Sky, le alternative sono pochissime: l’unica possibilità è quella di essere vicini alle zone di confine e seguire le gare sui canali svizzeri della RSI (in SD) oppure abitare in provincia di Trento e Bolzano e seguire i canali austriaci ORF anche in alta definizione. FORMULA 1 - CALENDARIO 2015 MOTO GP - CALENDARIO 2015 15 MARZO, ore 06:00 - AUSTRALIA, ESCLUSIVA SKY 29 MARZO, ore 09:00 - MALESIA, ESCLUSIVA SKY 12 APRILE, ore 08:00 - CINA, DIRETTA SKY E RAI 19 APRILE, ore 17:00 - BAHRAIN, ESCLUSIVA SKY 10 MAGGIO, ore 14:00 - SPAGNA, ESCLUSIVA SKY 24 MAGGIO, ore 14:00 - MONACO, DIRETTA SKY E RAI 7 GIUGNO, ore 20:00 - CANADA, ESCLUSIVA SKY 21 GIUGNO, ore 14:00 - AUSTRIA, ESCLUSIVA SKy 5 LUGLIO, ore 14:00 - G. BRETAGNA, DIRETTA SKY E RAI 19 LUGLIO, ore 14:00 - GERMANIA, ESCLUSIVA SKY 26 LUGLIO, ore 14:00- UNGHERIA, DIRETTA SKY E RAI 23 AGOSTO ore 14:00 - BELGIO, ESCLUSIVA SKY 6 SETTEMBRE, ore 14:00 - ITALIA, DIRETTA SKY E RAI 20 SETTEMBRE, ore 14:00 - SINGAPORE, DIRETTA SKY E RAI 27 SETTEMBRE, ore 07:00 - GIAPPONE, ESCLUSIVA SKY 11 OTTOBRE, ore 13:00 - RUSSIA, ESCLUSIVA SKY 25 OTTOBRE, ore 20:00 - USA, DIRETTA SKY E RAI 1 NOVEMBRE, ore 20:00 - MESSICO, ESCLUSIVA SKY 15 NOVEMBRE, ore 17:00 - BRASILE, DIRETTA SKY E RAI 29 NOVEMBRE, ore 14:00 - ABU DHABI, DIRETTA SKY E RAI 29 MARZO, ore 20:00 - GP QATAR, ESCLUSIVA SKY 12 APRILE, ore 21:00 - GP AMERICAS, ESCLUSIVA SKY 19 APRILE, ore 19:00 - GP ARGENTINA, ESCLUSIVA SKY 3 MAGGIO, ore 14:00 - GP SPAGNA, ESCLUSIVA SKY 17 MAGGIO, ore 14:00 - GP FRANCIA, ESCLUSIVA SKY 31 MAGGIO, ore 14:00 - GP ITALIA, DIRETTA CIELO E SKY 14 GIUGNO, ore 14:00 - GP CATALOGNA, ESCLUSIVA SKY 27 GIUGNO, ore 14:00 - GP OLANDA, ESCLUSIVA SKY 12 LUGLIO, ore 14:00 - GP GERMANIA, ESCLUSIVA SKY 9 AGOSTO, ore 20:00 - GP STATI UNITI, DIRETTA CIELO E SKY 16 AGOSTO, ore 14:00 - GP REP. CECA, DIRETTA CIELO E SKY 30 AGOSTO, ore 14:00 - GP GRAN BRETAGNA, DIRETTA CIELO E SKY 13 SETTEMBRE, ore 14:00 - GP SAN MARINO, DIRETTA CIELO E SKY 27 SETTEMBRE, ore 14:00 - GP ARAGONA, DIRETTA CIELO E SKY 11 OTTOBRE, ore 07:00 - GP GIAPPONE, DIRETTA CIELO E SKY 18 OTTOBRE, ore 07:00 - GP AUSTRALIA, ESCLUSIVA SKY 25 OTTOBRE, ore 09:00 - GP MALESIA, ESCLUSIVA SKY 8 NOVEMBRE, ore 14:00 - GP COM. VALENCIANA, DIRETTA CIELO E SKY torna al sommario n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE MOBILE Con una mossa decisamente a sorpresa, Microsoft entra tra gli investitori di Cyanogen Inc. Microsoft investe milioni di dollari in Cyanogen L’azienda punta a creare una versione di Android completamente slegata da quella di Google Q di Paolo CENTOFANTI ualche giorno fa, il CEO di Cyanogen aveva rilasciato una dichiarazione forte, svelando l’intenzione di “scippare Android a Google”, cioè creare una versione del sistema operativo mobile che non dipenda più dai contributi del gigante californiano e quindi dall’obbligo di utilizzare i suoi servizi e app. Ora, stando a quanto ha scritto il Wall Street Journal, Cyanogen ha trovato un nuovo alleato nella sua battaglia niente meno che in Microsoft, che ha deciso di investire la considerevole cifra di 70 milioni di dollari nella startup. La mossa, se confermata, non può che far alzare qualche sopracciglio. Microsoft è impegnata a lanciare Windows 10, sistema operativo che girerà anche sugli smartphone, ma il fatto che dalle parti di Redmond si voglia far fronte all’avanzata di Google foraggiando un possibile concorrente Secondo le ultime indiscrezioni, Samsung avrebbe deciso di alleggerire la sua versione di Android eliminando tutto quello che può essere installato come app in un secondo tempo è una strategia che definire bizzarra è poco, anche come potenziale piano B per il mancato decollo di Windows Phone. Come dire: “il nemico del mio nemico è mio amico”. Da parte sua Cyanogen si dice convinta di arrivare in un paio d’anni alla completa indipendenza da Google. Cyanogenmod, la versione di Android realizzata dalla startup, è già utilizzata da 50 milioni di utenti, stando ai dati ufficiali, e nonostante il sodalizio con OnePlus sia ormai naufragato, Cyanogen sta lavorando con diversi partner hardware per rilasciare il suo Android preinstallato su nuovi dispositivi, soprattutto per quanto riguarda i mercati emergenti, dove Google ha più difficoltà ad entrare. MOBILE Un successo che ha addirittura superato gli Android Wear venduti fino ad oggi Apple Watch tira la volata allo smartwatch Pebble Pebble ha venduto oltre un milione di smartwatch; batteria e design sono fondamentali A di Roberto PEZZALI dicembre Pebble ha passato il milione di smartwatch venduti, un vero successo per l’azienda che, nata come startup, ha saputo inventare un prodotto vincente senza voler esagerare. Un numero che non impressiona se si calcolano le persone che hanno uno smartphone (e quindi potenziali acquirenti), ma che stupisce se si guarda al mercato degli altri orologi intelligenti che ad oggi è davvero una nicchia. Il dato più significativo è l’impennata di vendite dei Pebble dopo l’annuncio di Apple Watch: da 400.000 unità a marzo c’è stato un crescendo fino a settembre, dove negli ultimi mesi torna al sommario Galaxy S6 è più leggero Samsung ridimensiona la sua TouchWiz dell’anno si è tagliato il traguardo del milione, merito anche della disponibilità world wide. L’uso di un display e-ink, la batteria ad elevata durata, il funzionamento cross platform e soprattutto un continuo aggiornamento del sistema operativo per aggiungere funzionalità sono sicuramente i punti di forza di un prodotto ben funzionante e molto apprezzato. Il messaggio è chiaro: lo smartwatch non deve fare troppo, anzi, nella sua utilità non deve essere una preoccupazione per l’utente, cosa che forse non hanno capito tutti coloro che stanno lavorando a sistemi dotati di schermo OLED o LCD. Ed è proprio questa la sfida più difficile per Apple e il suo Watch: riuscire a creare un oggetto utile, discreto e con una batteria che non dà preoccupazioni. di Paolo CENTOFANTI Non è un mistero che una delle critiche principali mosse agli ultimi modelli di smartphone Samsung è l’eccessivo numero di funzionalità aggiunte a TouchWiz, la versione personalizzata di Android del produttore coreano. Negli ultimi anni Samsung ha cominciato ad aggiungere via via sempre più funzioni custom e app preinstallate, fino ad arrivare, secondo alcuni, a un sistema operativo un po’ troppo appesantito. Secondo le ultime informazioni ottenute da SamMobile (blog solitamente piuttosto affidabile), Samsung ha deciso di correre ai ripari adottando un nuovo approccio in vista dell’imminente lancio del Galaxy S6: via dal terminale nuovo e ancora imballato tutto ciò che può essere installato in un secondo tempo con un’app apposita. A parte alcune applicazioni di forte richiamo come S Health, dunque, tutto il resto potrà essere installato opzionalmente dallo store di app di Samsung, alleggerendo così l’impronta di TouchWiz anche in termini di spazio occupato dal sistema operativo. Rimarranno chiaramente l’interfaccia grafica custom e quei servizi di sistema che sono integrati direttamente da Samsung all’interno di Android, anche se qualcuno obietterà che forse sono proprio questi ultimi quelli che appesantiscono maggiormente gli smartphone. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE MOBILE I gestori cominciano a tremare: ormai è chiaro che siamo vicino alla partenza ufficiale WhatsApp, ecco in arrivo anche le telefonate L’ultima versione dell’applicazione per Android integra la funzionalità per le chiamate Voip di Roberto PEZZALI hatsApp sta iniziando a provare su larga scala le chiamate Voip: la versione 2.11.508 dell’applicazione per Android è già predisposta per trasformare il famoso client di messaggistica istantanea in un sistema per chiamare. Dopo aver demolito economicamente il sistema degli SMS, WhatsApp si prepara a fare lo stesso con la voce, facilitando le telefonate tra utenti e tra gruppi di utenti, utilizzando appunto il web ed entrando in competizione con Skype e tutti gli altri sistemi che offrono già qualcosa di simile. Al momento, per far funzionare il sistema devono essere soddisfatte due condizioni: entrambi gli utenti devono avere la stessa versione dell’app oltre alla funzione di chiamata attiva e soprattutto si deve appartene- W Samsung sta lavorando all’aggiornamento Android 5.0 per Galaxy Note 4, ma non ha ancora fissato una data di release. La colpa è di Gear VR, che pare non funzioni così bene con Lollipop. Oculus VR e Samsung sono al lavoro... re a una cerchia di utenti invitati direttamente da WhatsApp. Senza l’invito la “cornetta” non appare. In realtà si è scoperto che, con lo smartphone Android e i privilegi di root, è possibile lanciare WhatsApp con la funzione di chiamata attiva utilizzando una determinata stringa per lanciarla: “am start -n com.whatsapp/com.whatsapp. HomeActivity”. Sicuramente roba da smanettoni, sia chiaro, ma questa è la dimostrazione che la funzione esiste. MOBILE L’1 marzo Samsung presenterà Galaxy S6 1 marzo 2015: Samsung presenterà a Barcellona gli smartphone di nuova generazione, tra cui molto probabilmente il Galaxy S6. I rumor stanno diventando troppo insistenti per essere fasulli, e oltre ad essere comparse le prime custodie che ne confermano il design, ora arrivano anche i primi inviti all’Unpacked dell’1 marzo, pubblicati dal sito vietnamita Tinhte. Questa volta il teaser è davvero oscuro: un profilo curvo e smussato che potrebbe identificare un prodotto concreto oppure manifestare il concept su cui Samsung imposterà il Mobile World Congress di quest’anno. I rumor sembrerebbero identificare due Galaxy S6, una versione standard e una S Edge con doppio bordo smussato e che sarebbe l’erede naturale dell’attuale Galaxy Note Edge (forse più piccolo...). Nulla, invece, è possibile dedurre dal claim dell’invito, un What’s Next che non ci dice niente sul contenuto della presentazione, se non che sarà un evento determinante per il 2015 dell’azienda coreana. torna al sommario Lollipop ritarda su Galaxy Note 4 e la colpa è di Gear VR MOBILE Si sa ancora poco ma pare sarà basato su Lollipop OnePlus decide di fare da sé È in arrivo il nuovo Oxygen OS O di V. R. BARASSI nePlus One continua a riscuotere un buon successo tra gli utenti Android, e stando alle ultime indiscrezioni OnePlus Two sarà un dispositivo ancora migliore; il pacchetto fatto di specifiche tecniche azzeccate, design piacevole e ROM CyanogenMod, però, pare essere giunto al capolinea poiché OnePlus ha annunciato di essere ormai pronta a distribuire una sua versione custom di Android. L’annuncio arriva direttamente dal forum ufficiale di OnePlus dove si parla del prossimo aggiornamento software destinato ad equipaggiare gli attuali One e i prossimi Two; il nuovo sistema operativo si chiamerà Oxygen OS e sarà svelato ufficialmente il 12 febbraio. Al momento si sa poco o niente sulle principali caratteristiche ma pare certo che sarà basato su Android 5.0 Lollipop. La scelta di abbandonare CyanogenMod è stata dettata dalla volontà di staccarsi definitivamente da sviluppatori esterni e team di terze parti; potrebbe essere un discorso di controllo, magari la ricerca di nuove sinergie oppure più semplicemente l’insoddisfazione per un lavoro ritenuto imperfetto (in molti paesi CyanogenMod non è particolarmente apprezzata): resta il fatto che d’ora in poi OnePlus realizzerà in casa il suo Android. di Emanuele VILLA Chi ha acquistato un fiammante Galaxy Note 4 è in attesa dell’aggiornamento ad Android Lollipop 5.0. Un caso piuttosto particolare, considerando che Samsung ha già effettuato l’upgrade al predecessore Galaxy Note 3 e sta invece temporeggiando sull’ultimo nato della famiglia, che offre caratteristiche hardware da vero primo della classe. Ci si aspettava, infatti, che Note 4, che fino all’arrivo di Galaxy S6 è il terminale “top” dell’azienda coreana, fosse il primo a ricevere l’upgrade. Ma così non è stato. Un tweet di Faryaab Sheikh (SamMobile) dà una spiegazione attendibile dell’accaduto: Samsung aggiornerà a breve Galaxy Note 4 ad Android Lollipop, ma sta ritardando il tutto a causa dell’incompatibilità con Gear VR, il visore di realtà virtuale che nasce proprio come completamento del Note 4. Il tweet dichiara che Oculus VR è al lavoro per sistemare il tutto “ritoccando” il kernel del telefono, cosa che avrebbe senso considerando che c’è proprio Oculus dietro lo sviluppo del visore per la realtà virtuale. I tecnici dell’azienda vogliono assicurarsi che il visore funzioni perfettamente anche dopo l’aggiornamento del telefono alla versione più recente di Android, e per questo non è stata annunciata alcuna data di rollout. Più fonti, ma si tratta di rumor, parlano di circa un mese. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE MOBILE Abbiamo raccolto tutti i rumor più attendibili per avere un quadro esaustivo: siete pronti a rompere il vostro salvadanaio? Vuoi cambiare smartphone? Ecco i modelli più attesi Da Samsung Galaxy S6 all’Xperia Z4 di Sony, ecco gli smartphone più importanti che arriveranno in tempi brevi nei negozi di Emanuele VILLA S tiamo vivendo il solito periodo dell’anno contraddistinto da un’infinità di rumor su smartphone, tablet e accessori vari. Il perché è presto detto: si avvicina la fiera di riferimento del settore, il Mobile World Congress di Barcellona, ovvero l’occasione più propizia per presentare i terminali “top” che poi verranno lanciati sul mercato i mesi successivi. Tra l’altro una cosa interessante che riguarda il mercato mobile è la scarsa distanza temporale che di solito intercorre tra la presentazione e il lancio del prodotto, per cui possiamo ritenere che tutti i telefoni che citeremo arriveranno in commercio a breve, sicuramente entro l’estate. Se dunque avete in programma di cambiare smartphone con un modello di ultimissima generazione, è giusto sapere che a breve ci sarà una vera invasione nei negozi e che, complice un mercato sempre più competitivo, questa “invasione” potrebbe anche essere abbordabile. Galaxy S6 e Galaxy Edge, la coppia d’assi Visto che Apple non è in nessun modo coinvolta in questi eventi, è ovvio che tutti gli occhi siano puntati su Samsung, che ha già confermato un evento Unpacked per il 1 marzo. Le ultimissime novità in proposito confermano che Samsung presenterà due telefoni, un Galaxy S6 che è la naturale evoluzione dell’attuale top di gamma, e Galaxy Edge, che è la versione “compatta” del Note Edge con lato smussato e display curvo. Ma andiamo per gradi: entrambi i telefoni avranno una dimensione di schermo analoga e simile a quella dell’attuale Galaxy S5, per cui possiamo supporre un 5,1’’ o 5,2’’, con display Amoled, di risoluzione Quad HD (2560x1440) e con frame interamente metallico che rappresenta il principale punto di rottura col passato; d’altronde Samsung ha in Galaxy Note 4, Galaxy Alpha e nella serie A dei precedenti importanti cui attingere. La differenza principale tra i due telefoni, Galaxy S6 e Galaxy Edge, riguarda uno dei due lati, che in Galaxy Edge sarà curvo e smussato esattamente come nel Note Edge. Se le immagini di CNET Korea sono attendibili (foto sotto), sembrerebbe che questa volta il lato scelto sia il sinistro (in Note Edge è il destro) e che l’ipotesi dei doppio lato curvo sia ormai sfumata. Sempre a livello di design, Galaxy S6 cercherà di ridurre al massimo lo spessore, che arriverà a 6,91 mm e, per questo motivo, mostrerà una fotocamera leggermente sporgente. Si attendono conferme per quanto concerne il comparto hardware, ma anche qui alcuni punti fermi ci sono: si sa, infatti, che l’azienda punterà sui propri processori Exynos anzichè affidarsi ai Qualcomm, proponendo un processore octa-core con architettura 64 bit per ottimizzare l’impiego di Android 5.0 su cui Samsung proporrà le solite personalizzazioni di TouchWiz. L’azienda ha inoltre annunciato il rilascio del primo modulo di memoria ePOP (embedded package on package) comprendente 3 GB di DRAM LPDDR3 e 32 GB eMMC per lo storage: si suppone che Galaxy S6 e Galaxy Edge siano proprio i primi telefoni top di gamma a farne uso, il che sarebbe inoltre confermato da altre specifiche che escludono la presenza di una versione del telefono da 16 GB. In pratica, Galaxy S6 e Galaxy Edge saranno disponibili da 32, 64 e 128 GB con prezzi leggermente superiori rispetto a quelli di Galaxy S5: si dovrebbe partire da 749 euro. Esclusa la possibilità che il telefono utilizzi Tizen, avremo sicuramente Lollipop a bordo con una personalizzazione TouchWiz “più leggera possibile”: nonostante non si abbia alcuna conferma sotto questo profilo, diversi rumor hanno dichiarato l’intenzione di Samsung di “eliminare le funzioni non essenziali” per rendere l’esperienza d’utilizzo più semplice, fluida e piacevole. Infine, il modulo fotografico sarà quasi certamente un 20 mpixel: notizie attendibili dichiarano che anche Note 4 avrebbe dovuto integrare un modulo da 20 mpixel, ma alla fine Samsung optò per quello da 16 al fine di contenere dimensioni e costi. Molto probabilmente sarà un modulo stabilizzato, ma non ci sono conferme in merito. Sony Xperia Z4: essere o non essere? La maggior parte dei dubbi si concentrano sul telefono Sony, Xperia Z4. D’altronde Sony sta vivendo un periodo piuttosto complesso, ed è proprio la divisione mobile quella che crea i maggiori grattacapi all’azienda. Per questo motivo, così come siamo certi (e come non esserlo?) che Xperia Z4 sia la next big thing in casa Sony Mobile, non ci sono certezze circa la sua presentazione a inizio marzo. Sony ha ultimamente rinnovato la propria gamma con cadenza semestrale, causando non poche lamentele e grattacapi ai propri utenti: questo, unita alla possibilità che l’azienda non organizzi neppure un even- torna al sommario to stampa al Mobile World Congress, fanno pensare a molti che la kermesse spagnola venga usata da Sony per presentare piuttosto Xperia Z3 Tablet e smartphone minori, mentre per Xperia Z4 si debba attendere settembre con l’IFA. Fatto sta che nelle ultime settimane le foto, i disegni, brevetti e rumor relativi ad esso sono esplosi, facendo presagire che ci sia ancora speranza di vederlo a breve in negozio. Tra l’altro, proprio a metà gennaio, Xperia Z4 è stato approvato dalle autorità giapponesi per l’immissione sul mercato domestico, il che significa SONY XPERIA Z4 che la sua commercializzazione non è lontana. Vi è quasi la certezza sulle dimensioni: Sony dovrebbe puntare su un display da 5,5’’ con una risoluzione sia Full HD che Quad HD. Spieghiamoci meglio: al fine di commercializzare il suo terminale top nel maggior numero di mercati, Sony intenderebbe realizzarne due versioni, una più potente per i mercati di riferimento (Giappone, USA ed Europa), una meno brillante per quelli in via di sviluppo. Tra le due versioni cambierebbero non solo il display ma anche le specifiche tecniche, mentre il design, sempre ispirato all’OmniBalance della serie Z, sarebbe identico, ancora più sottile e morbido di Z3: al momento non si fa cenno a una versione Z4 Compact, che com’è noto dovrebbe proporre caratteristiche tecniche analoghe al fratello maggiore ma in uno chassis più compatto. Sono anche comparse immagini rubate dal recente hack di segue a pagina 17 n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE MOBILE Vuoi cambiare smartphone? segue Da pagina 16 Sony Pictures che ritraggono uno Z4 (ammesso che sia lui) da utilizzare nel prossimo film di James Bond. Da valutare il rumor secondo cui di Z4 potrebbe uscire anche una Walkman Edition, ovvero una versione compatibile con audio HD e pensata per esaltare la qualità dell’ascolto musicale. Considerando che una delle chicche Sony al recente CES era proprio un walkman di nuovissima concezione, l’ipotesi è tutt’altro che fantasiosa: più probabile, però, il fatto che Sony realizzi un solo Z4 con caratteristiche tecniche al top sotto il profilo musicale. Sicuramente la scelta del processore ricadrà su Qualcomm: l’indiziato n.1 sembrerebbe essere lo Snapdragon 810 da 2.8 GHz, un processore con architettuta 64 bit sul quale girerà un Android Lollipop personalizzato da Sony. Più fonti parlano di 4 GB di RAM, taglio base di memoria di 32 GB e un nuovo sensore Exmor RS per la fotocamera, sensore da 20,7 mpixel con autofocus a ricerca di fase e HDR già annunciato da Sony (IMX230) e che uscirà sul mercato ad aprile. Prezzo elevato: occorrerà sborsare circa 600/700 euro per portarselo a casa. HTC One M9, Plus e anche Windows A breve (fine marzo, secondo i rumor più recenti) sarà possibile acquistare il top di gamma HTC della stagione 2015: HTC One M9. E se state pensando a un terminale potente, ampio e dal look davvero premium, il flagship HTC è sicuramente un’ipotesi da considerare. La presentazione è prevista per il 1 marzo e verrà mostrato in due varianti: quella standard e quella più grande, che dovrebbe chiamarsi HTC One Plus. L’azienda taiwanese è solita realizzare più versioni dei propri terminali di punta, ma la presentazione contemporanea sarebbe inedita. Terminale premium con prezzo adeguato, ovviamente: si parla di una partenza da 729 euro, tale e quale a quella del predecessore del 2014, e anche il look sarà molto simile: al posto del bilanciere del volume troveremo due tasti separati e quello di accensione sarà spostato sul lato destro, ma l’impatto estetico sarà sostanzialmente lo stesso, con tanto di scocca in alluminio nelle versioni silver e gold. Tutto ciò sembrerebbe confermato da fonti autorevoli quali Forbes, che ritiene M9 semplicemente HTC ONE M9 E ONE PLUS torna al sommario un “update” di M8 le cui principali novità riguarderanno il software e l’interfaccia di Sense 7. Le due versioni saranno piuttosto simili nelle specifiche tecniche ad eccezione del display: mentre per la versione “regolare” HTC ha optato per un display da 5’’ Full HD, per il fratello maggiore è stato scelto uno schermo da 5,2” o 5,4’’ Quad HD, il tutto supportato dal medesimo processore Qualcomm Snapdragon 810 con 3 GB di RAM e 32 GB di storage come taglio base. La versione Plus ha un pulsante fisico in più ma questo, lungi dall’essere un tasto “home” (anche se sembrerebbe tale), è il sensore per le impronte digitali, assente nella versione da 5’’. Grosse novità, infine, sul fronte della fotocamera: la Duo Camera è sparita e al suo posto c’è un modulo unico e quadrato che dovrebbe essere basato su sensore Sony da 20,7 mpixel; la tecnologia UltraPixel tanto cara ad HTC dovrebbe essere riservata al modulo frontale, da 5 mpixel. LG G4, niente display 3K e bisogna attendere maggio G3, attuale top di gamma dell’offerta LG, è un ottimo terminale e ha aiutato molto l’azienda a ottenere risultati finanziari brillanti. Assolutamente certo il lancio del successore G4, anche se l’ipotesi più probabile è che si debba attendere la primavera inoltrata: lo scorso anno, infatti, LG presentò G3 a Londra in un evento dedicato e si suppone che lo stesso accada anche quest’anno. Inoltre, l’azienda ha appena presentato G Flex 2 al CES di Las Vegas e l’ipotesi che proponga un nuovo top di gamma a poco più di un mese è quanto meno improbabile. Il grosso mistero è legato al display: pare che LG voglia mantenere inalterata la dimensione di 5,5’’, ma gli scorsi giorni sono trapelate indiscrezioni circa una possibile risoluzione 3K (2.880 x 1.620 pixel): in realtà, l’ipotesi più probabile (confermata da fonti attendibili) è che sotto questo profilo non ci siano novità rispetto al modello dello scorso anno, che come ricordiamo fu il primo basato su un display con risoluzione Quad HD. Abbiamo avuto modo di sottolineare più volte quanto il Quad HD rappresenti una scelta addirittura sovrabbondante, non permettendo di distinguere i singoli pixel a occhio nudo, e l’ipotesi di andare anche oltre sarebbe poco più di un esercizio di stile. Anche perché tutto il resto dell’hardware andrebbe modulato di conseguenza: più pixel ci sono, più potenza ci vuole, meno autonomia si ottiene. G3 è un ottimo terminale, ma migliorabile. Qualche rallentamento in situazioni di forte stress potrebbe essere risolto mediante l’upgrade a un processore Snapdragon 810 a 64 bit, cosa già prevista per G4 (c’è anche la possibilità che LG usi un suo processore, ma a differenza di Samsung questa ipotesi è molto meno attendibile), mentre nessuno ha ancora notizie circa la batteria che LG utilizzerà sul terminale di nuova concezione, batteria chiamata ad assicurare uno o due giorni di autonomia. A livello di specifiche tecniche si parla anche di 4 GB di RAM e di 32 GB di storage di base, con possibilità per una versione da 64 GB. La fotocamera con autofocus laser dovrebbe subire un importante upgrade a 20,7 mpixel mantenendo l’ottima stabilizzazione ottica del modello attuale. E poi c’è tutta una serie di altre ipotesi, che però potremo definire più “fantasiose”: si parla di display curvo sul lato sinistro come l’Edge di Samsung, del fatto che possa includere un pennino (cosa che, invece, probabilmente sarà riservata a una variante di G4), op- LG G4 pure del primo telefono totalmente borderless attorno al display, ma l’ipotesi più probabile è che G4 sia una versione perfezionata di G3, magari con lo stesso prezzo di listino aggressivo di 599 euro di partenza. Non sarebbe male per uno smartphone no compromise. Microsoft attende Windows 10 Nokia non c’è più, ma Microsoft farà di tutto per non farne sentire la mancanza. Ultimamente i rumor circa il lancio di nuovi terminali Lumia si sono intensificati, anche se rispetto ad altre aziende, la coltre di mistero è un po’ più fitta. Ricordiamo che l’anno scorso Nokia presentò in questo periodo il top di gamma Lumia 930, ma l’ipotesi che Microsoft approfitti del Mobile World Congress per lanciare il successore Nokia 940 è quanto meno fantasiosa. E questo perché pare che Nokia 940 possa essere il primo terminale mobile con Windows 10 a bordo, e per questo si fa l’ipotesi che il lancio avvenga poco prima dell’estate (o subito dopo). Oppure, altra ipotesi attendibile, Microsoft presenterà effettivamente Lumia 940 a Barcellona, ma per acquistarlo bisognerà mettere da parte i soldi ancora per qualche mese. Si prospettano invece buone notizie per chi cerca un terminale di fascia media: gli ultimi report parlano di due nuovi Lumia in uscita a fine marzo, uno dei quali dovrebbe essere l’atteso successore del Lumia 1320. Stiamo parlando di un terminale (nome in codice RM-1062) molto ampio, con dimensione del display da 5,7’’ ma caratteristiche tecniche di fascia media a partire dalla risoluzione di 1280x720, processore Qualcomm di fascia media (400), fotocamera principale da 13 mpixel, 5 per la frontale e 32 GB di storage. Secondo i rumor più attendibili, il secondo telefono che uscirà di qui a un mese è una versione abbordabile del Lumia 830, con hardware sostanzialmente identico alla versione di base (display da 5’’ 720p, Snapdragon 400, 1 GB di RAM) ma con una fotocamera principale da 8,7 megapixel con tecnologia PureView. I GB di storage saranno 8 a differenza dei 16 della versione base di Lumia 830, mentre per quanto riguarda il prezzo di listino si vocifera sia intorno ai 250 dollari. NUOVO NOKIA LUMIA n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE MOBILE I modelli si adattano al tipo di allenamento e al tipo di smartphone a cui sono abbinati Sennheiser 686 Sports, auricolari per atleti Sono state studiate le interazioni tra i movimenti durante gli allenamenti e la resa sonora C di Roberto FAGGIANO hi si allena e va in palestra tutti i giorni sa bene come è difficile trovare un auricolare per l’ascolto musicale che faccia bene il proprio lavoro, che rimanga saldo al suo posto e che non venga danneggiato dal sudore o dalla pioggia. Per queste persone Sennheiser ha creato la nuova serie 686 Sports, studiando attentamente non solo i materiali con i quali sono costruiti ma anche quali influenze possono avere i movimenti rapidi e bruschi sulla qualità sonora. La nuova gamma è disponibile in diversi modelli che si adattano al tipo di allenamento, se all’aperto o in palestra, e anche al tipo di smartphone cui andranno abbinati. Tutti i modelli della nuova serie hanno in dotazione dei gommini adattatori realizzati in materiale antibatterico SteriTouch, resistente ai lavaggi. Il cavo ha invece un’inedita sezione ovale con funzione anti aggrovigliamento rinforzata. Il modello MX686 Sports (60 euro) e il PMX686 Sports (90 euro) sono indicati per gli allenamenti all’aperto e sono meno isolanti verso i rumori esterni, in modo da poter avvertire eventuali pericoli lungo il percorso. Entrambi assicurano la tenuta salda durante i movimenti ma il modello PMX, per ulteriore sicurezza, integra un archetto di sostegno; PMX 686 è anche disponibile in una versione dedicata agli iPhone per una migliore interfaccia in caso di Microsoft conferma la fine della produzione del Nokia 2520, l’ultimo tablet con Windows RT. E ora largo a Windows 10 telefonate. Il modello CX686 Sports (60 euro) e l’OCX686 Sports (90 euro) sono invece più indicati per l’attività in palestra perché la configurazione chiusa aiuta ad attenuare i rumori provenienti dall’esterno, per un migliore ascolto della musica e delle telefonate. Per l’OCX è stato sviluppato un particolare sistema di fissaggio ad aggancio flessibile che evita i fastidiosi rumori causasti dal movimento del cavo; anche questo modello è disponibile in una versione specifica per iOS. Massima cura per il dettaglio perfino nella piccola sacca protettiva per il trasporto in dotazione, realizzata in un tessuto traspirante ad asciugatura rapida. MOBILE Tra i pochi dettagli emersi si sa che potrà essere utilizzato per effettuare micropagamenti Swatch prepara il suo smartwatch, in arrivo tra 3 mesi Il dispositivo si connetterà a Internet e avrà applicazioni dedicate per Android e Windows G di Paolo CENTOFANTI li smartwatch fino ad ora sono stati “esplorati” più che altro dai grandi produttori hi-tech, mentre gli storici nomi dell’industria orologiera possiamo dire che siano ancora alla finestra, forse in attesa di capire se si tratta davvero della prossima grande rivoluzione o solo una moda passeggera. A rompere davvero gli indugi potrebbe essere Swatch, visto che il produttore svizzero ha annunciato che nel giro di tre mesi arriverà sul mercato con il suo primo smartwatch. Al momento non si sa molto di come sarà questo dispositivo. Nick Hayek, CEO di Swatch, ha rivelato pochissimi dettagli: lo smartwatch potrà essere utilizzato per effettuare pagamenti in mobilità (via NFC?), sarà compatibile con Android e Windows (si presume torna al sommario tramite delle applicazioni) e sarà in grado di connettersi a Internet “gratuitamente”. Quest’ultimo passaggio in particolare è dubbio, visto che non si capisce se voglia dire che sfrutterà la connessione di uno smartphone oppure se ci sarà qualche sorta di accordo per cui si collegherà gratuitamente a una rete cellulare (la frase esatta è stata “The device will communicate via the Internet without having to be charged”, espressione che qualcuno ha anche interpretato invece come un riferimento all’autonomia della batteria). Sta di fatto che il prodotto a quan- Windows RT è morto, viva Windows 10 to pare è ormai vicinissimo al lancio che, volutamente o meno, coinciderà con l’uscita dello smartwatch di Apple, prodotto che il mercato aspetta al varco come benchmark (commerciale) per l’intera categoria. I numeri fino ad oggi sono ancora piuttosto piccoli e nonostante se ne parli molto, di smartwatch ai polsi se ne vedono ancora molto pochi. di Emanuele VILLA Sia pur in modo indiretto, Microsoft mette la parola fine all’esperienza di Windows RT, il sistema operativo “gemello” di Windows 8 pensato per tablet e PC convertibili basati su processore ARM. Dopo l’abbandono del terreno di gioco da parte di aziende quali Lenovo, Samsung e Asus, Microsoft era rimasta sola a difendere il proprio sistema operativo con un’offerta di dispositivi che comprendeva Surface 2 e il tablet Nokia 2520. Poi il primo è uscito di produzione e ora Microsoft conferma a The Verge che anche il Nokia 2520 ha subìto il medesimo trattamento, pur essendo (logicamente) ancora disponibile nei negozi e nello store online di casa Microsoft. Con la scomparsa di Nokia 2520, Microsoft stacca la spina a un sistema operativo che, in effetti, non ha mai entusiasmato. La necessità di app “proprie”, la limitata diffusione dell’hardware, la confusione con Windows 8 e una strategia ultra-frammentata da parte di Microsoft, che per lungo tempo ha proposto un sistema operativo per PC, uno per tablet e uno per i telefoni, hanno così fatto la prima vittima, nell’attesa che Windows 10 unifichi tutto in un unico ecosistema. A influenzare il declino di Windows RT non sono stati solo limiti intrinseci ma anche un mercato tablet che, dopo un primo periodo brillante, ha mostrato segni di cedimento e ora rallenta in modo deciso. Dal canto suo, Microsoft si consola con i dati positivi di Surface Pro 3, che dimostrano che il segmento da coltivare è quello dei tablet di alto profilo basati su processore Intel. Windows 10 arriverà anche lì... n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE FOTOGRAFIA Rumors confermati: Canon ha presentato le reflex top di gamma della famiglia 5D Canon 5Ds e 5Ds R: super reflex da 50 Mpixel La novità è il sensore da 50 Mpixel che le rende fotocamere le più risolute nella loro categoria di Roberto PEZZALI I rumors degli scorsi giorni sono confermati: Canon ha lanciato le due nuove ammiraglie della serie 5D, la 5Ds e la 5Ds R. Due reflex virtualmente identiche, se non fosse che la 5Ds R è priva del filtro passa basso sul sensore, una scelta che sicuramente piacerà a chi scatta in studio still life e soggetti che non sono solitamente soggetti a problemi di moire. Canon con le due 5Ds ha realizzato le due full frame con la maggiore risoluzione presente sul mercato, adottando un nuovo sensore da 50.6 megapixel con tutti i pro e i contro che una scelta così esasperata comporta. Più si aumentano i pixel in un sensore, a parità di dimensione, e più aumenta il rischio di rumore: Canon assicura di essere riuscita con la nuova 5Ds a migliorare la resa ad alti ISO rispetto alla 5D Mark III, raggiungendo un livello di granulosità dell’immagine simile a quello della nuova 7D Mark II. La differenza, tuttavia, è una sensibilità che è stata fissata a 6400 ISO massimi (nativi), un blocco probabilmente inserito da Canon con la consapevolezza che a ISO maggiori un sensore così risoluto avrebbe avuto troppi problemi. La nuova reflex è chiaramente una fotocamera particolare: il doppio processore Digic 6 è al servizio della fotografia, perché sotto il profilo video la 5Ds riprende al massimo a 1080p@30 fps, quindi niente 4K. Non eccezionali neppure le doti di velocità: solo 5 fps. Confermati anche gli altri dati, come il sistema di messa a fuoco a 61 punti, la presenza di USB 3.0 e Wi-Fi, NFC a bordo per facilitare il pairing e doppio slot SD/CF. La 5Ds è una reflex particolare che va a soddisfare una sola esigenza: la risoluzione elevata. Chi è alla ricerca di altro può guardare alle altre reflex della gamma Canon, dalla Mark III che resta in gamma alla nuova 7D MK II. Siamo in attesa dei prezzi italiani, ma in dollari siamo a 3700$ e 3900$. Curio- so, come sempre, che la versione senza filtro costi di più: in realtà il filtro non viene rimosso fisicamente ma vengono aggiunti elementi che annullano il filtro, quindi è una rimozione “virtuale”. Togliere il filtro avrebbe obbligato Canon a ridisegnare interamente la macchina. Qui le foto realizzate da Canon con la 5Ds e qui quelle della 5Ds R. Insieme alle nuove reflex Canon ha anche presentato un nuovo zoom ultra wide: l’11-24 f/4L, uno dei grandangoli più spinti mai realizzati per una full frame. Per mettere in corredo questo gioiellino serviranno però ben 3000$. Canon torna nel mondo mirrorless con la EOS M3 Ha un sensore Hybrid CMOS III da 24 Mpixel e ghiere per agevolare lo scatto manuale C anon porta in Italia la sua terza generazione di mirrorless, l’azienda ha scelto di puntare nuovamente su questo segmento per catturare gli utenti alla ricerca di qualcosa di leggero da portare a spasso senza sacrificare qualità e funzionalità. EOS M3 è un misto tra G1X Mark II e 750D: il sensore infatti è lo stesso 24 megapixel Hybrid torna al sommario CMOS AF III a 49 zone e, nel caso della EOS M3, questo è l’unico sistema AF disponibile, essendo la macchina priva di specchio e di sensore di messa a fuoco tradizionale. EOS M3 guadagna anche il nuovo processore Digic 6 e, dalla G1 X, eredita anche tutto il sistema di ghiere per mettere a portata di dito tutti i controlli manuali. Canon ha aggiunto alla M3 alcuni elementi che mancavano alla prima M come il flash integrato, tuttavia per mantenere un corpo compatto l’oculare è esterno e opzionale-. Il monitor, fondamentale per una mirrorless, è un 3” touch screen basculante da 1 milione di punti che può essere orientato su tre assi fino a 180°. EOS M3 integra una serie di funzionalità creative, ripresa video Full HD a Erede della NX300 la NX500 è un vero e proprio salto di qualità che la avvicina alla più professionale NX-1 senza incidere troppo sul prezzo di Michele Lepori FOTOGRAFIA Presentata la fotocamera compatta a ottiche intercambiabili Canon EOS M3 di Roberto PEZZALI Samsung NX500 è la mirrorless 4K per tutti 1080@30p massimo e Touch AF Focus per spostare il punto di fuoco in fase di ripresa semplicemente sfiorando l’area dello schermo da mettere a fuoco. Canon non ha voluto osare inserendo la tecnologia Dual Pixel, un vero peccato perché su una mirrorless sarebbe stata perfetta, tuttavia ci assicurano che il nuovo Hybrid CMOS AF III è molto più reattivo del modello precedente. EOS M3 ha una slitta per accessori standard e può montare flash esterni, mentre per gli obiettivi si è vincolati all’attacco EF-M; con l’adattatore è possibile montare tutti gli obiettivi del sistema EOS, rinunciando però alla compattezza. La nuova mirrorless integra Wi-Fi e NFC per il controllo remoto da smartphone e il trasferimento file veloce sulla nuova base station cloud Canon. EOS M3 sarà disponibile a partire da maggio 2015 al prezzo indicativo suggerito al pubblico di 775 € Iva inclusa. NX500 è la nuova mirrorless Samsung, andrà a sostituire la NX300, ma il cuore e l’estetica indicano la precisa volontà di avvicinarsi alla top di gamma NX-1. NX500 ha a bordo un processore DRIMeV che promette - in accoppiata con il sensore APS-C da 28 Megapixel - perfetta riproduzione dello spettro colore e buona riduzione del rumore. Dal lato video il fiore all’occhiello è la registrazione di filmati in qualità 4K a 24 fps. NX500 è una Smart Camera fatta e finita, visto che non mancano Wi-Fi, Bluetooth e NFC oltre ad un tasto mobile che permette l’associazione di uno smartphone per il trasferimento delle foto. Sangmoo Kim, Senior Vice President delle divisioni IT & Mobile Communication di Samsung Electronics spiega: “Siamo ben consapevoli dell’importanza di una fotografia nelle nostre vite, ecco perché Samsung ha costruito una macchina per i fotografi del quotidiano. Stiamo rivoluzionando quello che è possibile fare dai fotografi non-professionisti con macchine non-professionali e stiamo offrendo a tutti l’abilità di catturare i propri momenti più importanti con un semplice scatto”. Sul mercato americano la Samsung NX500 arriverà a marzo in 3 colorazioni, nero bianco e marrone al prezzo di 799 dollari in kit con un obiettivo 16-50m. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE FOTOGRAFIA È arrivata OM-D E-M5 Mark II, l’evoluzione della E-M5, con tantissime novità Olympus OM-D E-M5 Mark II: scatti a 40 Megapixel Tecnologia di stabilizzazione sul sensore a 5 assi e modalità di scatto ad alta risoluzione di Paolo CENTOFANTI a OM-D E-M5 è stata una delle fotocamere mirrorless di maggiore successo per Olympus e ora arriva la sua evoluzione, la E-M5 Mark II. Il DNA è lo stesso dell’originale, look vintage e tanta concretezza, e anche se molte caratteristiche tecniche sono apparentemente rimaste le stesse, in realtà le novità sono tantissime. Innanzitutto, Olympus annuncia di aver ulteriormente migliorato quello che era già uno dei migliori stabilizzatori di immagine del mercato. La tecnologia di stabilizzazione sul sensore a 5 assi è stata infatti raffinata per arrivare a offrire fino a 5 EV di margine nello scatto a mano libera e in condizioni di scarsa luminosità. Soprattutto in combinazione con ottiche tele si tratta di un vantaggio non da poco. Ma il nuovo stabilizzatore entra in gioco anche per quella che è la novità più grande introdotta con la Mark II, cioè la modalità di scatto ad alta risoluzione. Il sensore Live MOS in formato quattro terzi rimane sempre fermo alla risoluzione di 16 Megapixel, ma Olympus L ha implementato un ingegnoso sistema che permette di scattare fotografie da 40 Megapixel: in pratica la macchina scatta 8 foto diverse ottenute spostando il sensore in orizzontale e in verticale, prima di un pixel e poi di frazioni di pixel. In questo modo la scena inquadrata viene scansionata non solo a una risoluzione più elevata, ma anche raccogliendo le informazioni cromatiche complete, superando i limiti del filtro di bayer utilizzato negli scatti tradizionali. Chiaramente si tratta di una funzionalità pensata per vasti panorami oppure per fotografia di oggetti o prodotti completamente immobili, visto che il soggetto non può muoversi da uno scatto all’altro, ma troverà sicuramente uso in un’ampia rosa di ambiti (una tecnica simile è utilizzata da alcune macchine medio formato). La nuova E-M5 Mark II presenta un corpo macchina sempre in lega di magnesio e sempre tropicalizzato, per l’utilizzo in ogni condizione climatica, ed è leggermente più piccola e leggera del modello originale e quasi più simile alla E-M10. L’otturatore passa finalmente da 1/4000 secondi di velocità massima a 1/8000 con funzionalità di shutter elettronico a 1/16000, ed è stato nettamente mi- gliorata la versatilità sul fronte della registrazione video, con maggiore flessibilità di frame rate (24, 25, 50 e 60p) e con bitrate massimo di 77 Mbit/s per le riprese in full HD (niente 4K dunque). C’è il nuovo display da 3 pollici orientabile a 360°, mirino elettronico con risoluzione quasi raddoppiata rispetto alla generazione precedente e tutte le funzioni software che sono state introdotte con la E-M1 e la E-M10 lo scorso anno. La Olympus E-M5 Mark II sarà disponibile a partire da fine febbraio in versione solo corpo a 1099 euro (con estensione della garanzia di 6 mesi) o in kit con l’obiettivo M.ZUIKO ED 12-50mm 1:3.5-6.3 EZ (1299 euro) o con l’eccellente M.ZUIKO 12-40mm 2.8 PRO (1799 euro). In più Olympus ha annunciato l’arrivo in estate del nuovo obiettivo fisheye M.ZUIKO 8mm F1.8, il cui prezzo non è ancora stato rivelato. FOTOGRAFIA Presentata la nuova Air di Olympus, molto simile alle proposte QX di Sony Olympus AIR: si controlla via Wi-Fi con lo smartphone Air è provvisto di sensore da 16 Megapixel e ha un aggancio per obietivi micro quattro terzi di V. R. BARASSI onostante in giro si vedano poche fotocamere Sony della serie QX, c’è chi ha deciso di riproporre qualcosa di simile. Infatti, Olympus ha annunciato il prossimo arrivo sul mercato giapponese di Air, una fotocamera sprovvista di mirino, display e lenti, controllabile via Wi-Fi e sulla quale vanno montati obiettivi con attacco Olympus Micro Quattro Terzi. Air non è niente male se si considerano le specifiche tecniche: nel compatto corpo cilindrico troviamo un sensore Quattro Terzi da 16 megapixel, un sistema autofocus da 81 punti e un otturatore che garantisce 10 scatti al secondo alla velocità massima di 1/16000s. Come anticipato, N torna al sommario il dispositivo è interamente controllabile via Wi-Fi tramite un device smart grazie all’apposita applicazione. Olympus rilascerà presto le API per lo sviluppo di applicazioni di terze parti e in futuro fornirà anche adattatori per permettere l’attacco di altre tipologie di obiettivi. Air sarà lanciato in Giappone a marzo (anche in kit con l’obiettivo M.Zuiko Digital ED 14- 42mm F3.5-5.6 EZ); al momento non si hanno informazioni sulla eventuale commercializzazione in Europa, che potrà avvenire in un secondo momento. Olympus TG-860 robusta e impermeabile con Wi-Fi e GPS La nuova compatta rugged Olympus è impermeabile fino a 15 metri e resiste a urti e cadute. Rispetto al modello precedente si arricchisce di Wi-Fi e GPS, e di display che ruota di 180 gradi per fare selfie sott’acqua di Andrea ZUFFI Stylus Tough TG-860 è la nuova compatta di Olympus resistente a polvere, spruzzi, urti e gelo. Le novità principali rispetto al modello precedente (TG-850) sono la connettività Wi-Fi, il GPS la migliorata resistenza all’immersione e qualche ritocco estetico come la presenza di due pulsanti, uno sul fronte e uno sul retro con funzioni configurabili. La caratteristica distintiva della gamma Tough rimane la resistenza ai maltrattamenti; la TG-850 è infatti impermeabile fino a 15 metri secondo gli standard IPX-8 e può sopportare una compressione equivalente a 100 kg (IPX-6). Olympus inoltre dichiara che la scocca sarà in grado di “sopportare” cadute da un’altezza di 2,1 m e di funzionare fino alla temperatura di -10°C. Le specifiche fotografiche sono sensore CMOS da 1/2,3”, ottica stabilizzata 21105 mm (zoom 5x) per scatti fino a 16 Mpx e video Full HD a 60p. Sul retro è presente un display da 3” che ruota di 180° per garantire i selfie anche durante le immersioni. Grazie al Wi-Fi si possono condividere gli scatti e i video con tablet e smartphone sia iOS che Android. Disponibile a partire da aprile. Al momento è noto solo il prezzo USA: 280 dollari. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE GAMING Per riprodurre contenuti in 4K basta l’APU Kaveri, sempre che non si vogliano 60 Hz e HDR Per il 4K non servono nuove PS4 o Xbox One Secondo Forbes e Netflix, Microsoft e Sony stanno lavorando a nuove versioni di PS4 e Xbox Slim di Roberto PEZZALI Schermo 3200 x 1800 16 GB di RAM, scheda video e processore di ultima generazione Prezzo a partire da 2000$ S ony e Microsoft stanno davvero realizzando una nuova versione di console per la visione di contenuti 4K? La voce sta girando da un po’, rilanciata da Forbes dopo le dichiarazioni del direttore tecnico di Netflix, ma potrebbe essere il frutto di un grosso malinteso. Secondo Neil Hunt, Chief Product Officer di Netflix, Sony avrebbe “promesso” una revisione della PS4 per facilitare la riproduzione di contenuti 4K in streaming, tuttavia in un secondo momento lo stesso Hunt avrebbe ritrattato asserendo di non poter parlare della lineup di prodotti di un’azienda di cui lui non fa parte. Sony, e allo stesso modo Microsoft, non avrebbero bisogno di alcun aggiornamento hardware per riprodurre lo streaming di Netflix in 4K: le console sono dotate di porta HDMI 1.4 che ha la banda passante necessaria per poter trasmettere video Ultra HD a 30 fps. Resterebbero fuori gli streaming a 60 fps e quelli ad alta dinamica HDR, che comunque rientrano nelle idee di Netflix ma rappresentano una microscopica percentuale di contenuti sui pochi contenuti 4K disponibili. Inoltre, è bene ricordarlo, la PS4 è nata più come console da gioco che come centro multimediale e difficilmente il video in 4K rappresenta l’elemento di spinta alla creazione di una nuova versione di console: più probabile, invece, che si punti a ridurre i consumi, migliorare l’efficienza e abbassare i costi. L’APU AMD Kaveri, su cui sono basati i SoC delle due console, può gestire una decodifica accelerata hardware dell’H.265 e sia Telestream sia Strongene hanno realizzato dei codec capaci di decodificare, sfruttando Open CL, i flussi video compressi con il codec next gen. Se Sony e Microsoft volessero potrebbero fin da subito aggiornare le loro console alla riproduzione sia degli stream sia dei file HEVC da chiavetta e da rete, senza la necessità di una nuova revisione hardware. E siamo certi che Microsoft, al lavoro da tempo sulla parte multimediale di Xbox e in procinto di inserire proprio il supporto nativo HEVC in Windows 10, non si farà scappare l’occasione per integrare anche questa feature. Una cosa è certa: se mai usciranno una nuova Xbox e una nuova PS4 sarebbero sicuramente dotate di HDMI 2.0 ma solo perché i controller 1.4 ormai non esistono quasi più. I nuovi ipotetici modelli potrebbero anche torna al sommario Razer fa sognare i gamer con un portatile “monstre” di Roberto PEZZALI essere in grado di gestire streaming HDR, ma lo farebbero senza penalizzazioni per i clienti dei primi modelli che potrebbero guardare in ogni caso la versione 4K “liscia”: tutti gli stream sono adattivi e possono veicolare più versioni dello stesso flusso. Per i giochi in 4K, invece, non c’è niente da fare, l’unica possibilità resta il cloud gaming: Xbox One e PS4 non sono pronte al gaming Ultra HD (Xbox pare nemmeno al Full HD) e difficilmente Sony e Microsoft andranno a creare una pericolosa frammentazione con una versione “4K” delle console. Mai dire mai però: in questi anni abbiamo visto di tutto, anche scelte apparentemente illogiche. GAMING Le previsioni e i dati sono della società DAU UP App di mobile gaming su Android La reddittività è uguale a iOS A di Andrea ZUFFI d oggi il sistema operativo di Google è il più diffuso nel mercato dei dispositivi mobili e ha una quota di mercato superiore a quella di iOS. A dispetto di questo, però, gli sviluppatori preferiscono dedicarsi all’ecosistema di Apple perché qui la realizzazione di app è più favorevole in termini di profitto. In un futuro nemmeno troppo lontano le cose potrebbero cambiare. A prevederlo è DAU UP, una società che si occupa di marketing nel settore dei videogiochi. Analizzando il trend dell’ARPU (parametro che definisce il ricavo medio per utente derivante dalla vendita delle app di gaming) per il mondo Android e raffrontandolo con quello di iOS risulta che il rapporto è passato dal 20% di gennaio 2014 al 65% di dicembre 2014. Questo indicatore, unito al fatto che i costi per la pubblicità sui dispositivi Android sono dal 20% al 50% più bassi rispetto a quelli su iPhone e iPad, rende la redditività per gli sviluppatori che scelgono come target il sistema di Google equiparabile a quella di iOS. Ricordiamo che i dati di DAU UP si riferiscono solo alle app di mobile gaming ma il fenomeno potrebbe estendersi a tutte le app in generale. Razer ha presentato la versione 2015 del Razer Blade, il notebook da gioco super “carrozzato” con design elegante e dotazione tecnica di assoluto livello. Il design è simile a quella del vecchio MacBook Pro (ma nero), con uno spessore di 1.7 cm a fronte di un peso di 2 Kg. L’elemento più interessante è il nuovo schermo da 14” e da 3200 x 1800 pixel, realizzato con tecnologia IGZO e con una risoluzione di 262 ppi: si tratta di uno schermo touch con consumo ridotto. Per chi non vuole spendere troppo Razer ha pensato anche l’opzione Full HD. Razer ha cambiato un po’ tutto: la GeForce GTX870M è stata sostituita dalla GTX 970M con 3GB di memoria GDDR5, mentre il processore Intel Core i7-4702HQ è sostituito dal nuovo Core i7-4720HQ. Cresce anche la memoria, 16 GB, mentre per il disco la scelta parte da 128 GB SSD per arrivare a 512 GB nella configurazione massima. Il prezzo di partenza è di 1999 dollari (più tasse) per la versione Full HD e di 2199 dollari per quella QHD+, ma chi vuole 512 GB di SSD dev’essere pronto a spendere anche 2600$. Purtroppo al momento Razer non vende in Italia i suoi notebook e anche l’acquisto all’estero potrebbe essere un problema per la tastiera americana. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE PC Docking senza fili e display pilotati con WiDi; per la ricarica wireless manca ancora un po’ Intel dice addio definitivamente ai cavi Con il lancio di vPro di 5a generazione, Intel avvera il sogno di postazioni di lavoro wireless di Roberto PEZZALI avorare senza fili è possibile, e Intel con il lancio della nuova famiglia di processori di quinta generazione Core vPro fa un ulteriore passo avanti verso quello che dovrebbe essere il futuro del business. Senza cavi vuol dire ovviamente non solo rete wireless, ma anche display wireless, docking wireless e anche ricarica wireless, con la possibilità di ricaricare il portatile semplicemente appoggiandolo alla scrivania. Recentemente, Intel ha ufficializzato la nuova piattaforma per notebook, tablet e ibridi destinata all’utente professionale, che utilizza i nuovi processori Broadwell con architettura a 14 nanometri: l’obiettivo è fornire ai partner la base per prodotti ancora più sottili, leggeri e sicuri. VPro è una “piattaforma”, o meglio un insieme di tecnologie che permettono ai vari componenti di dialogare meglio tra loro fornendo soluzioni sotto il profilo dell’autenticazione utente o della gestione remota dei computer. Il lato più interessante della nuova piattaforma vPro, tralasciando gli aspetti più “enterprise”, è la sezione wireless: grazie a un nuovo modulo, infatti, i computer con piattaforma vPro avranno accesso e autenticazione automatica a docking wireless esterne. Questo vuol dire che basterà arrivare alla scrivania, appoggiare il computer e automaticamente la docking riconoscerà il notebook, accenderà mouse e tastiera e si connetterà. Una vera Presentato al Sundance Film Festival, l’anti MacBook Pro Retina di Dell punta tutto su display touchscreen 15” a risoluzione 4K e una “developer’s edition” su base Ubuntu L piccola rivoluzione della mobilità, alla quale manca solo la ricarica wireless per raggiungere la perfezione: la docking è WiGig, quindi 802.11 ad con 7 Gbps di banda. A questo si aggiunge anche Pro Wireless Display (Intel Pro WiDi): l’evoluzione della tecnologia WiDi permetterà non solo di gestire schermi wireless multipli in maggiore sicurezza ma anche conferenze in remoto con possibilità di screen sharing e streaming tra partecipanti. Quanto ci metteranno queste soluzioni “pro” ad arrivare nel mondo consumer? La docking station wireless Dell, da poco presentata, sarebbe sicuramente utilissima a tutti coloro che utilizzano un notebook come computer abituale, a casa e in mobilità. PC In rete cominciano a comparire le prime lamentele; ma ha senso un desktop così piccolo? Con Windows 10 niente desktop sotto gli 8 pollici Microsoft nega l’accesso all’interfaccia desktop di Windows 10 ai device di taglia piccola di Massimiliano ZOCCHI U niformare sì, ma senza forzare. Il prossimo sistema operativo di Redmond, Windows 10 ha come scopo principale quello di unire il mondo PC e quello mobile, ma alcune piccole differenze resteranno. Osservando l’immagine a lato possiamo notare come Microsoft non mostri mai l’interfaccia desktop nei device di taglia minore. Addirittura nel convertibile in posizione stand la schermata è divisa in due per mostrare le due possibilità, ma torna al sommario Dell Precision M3800, 4K e Ubuntu per registi e grafici la cosa non è mostrata poi nei modelli minori. Questo perché i dispositivi sotto gli 8” non avranno accesso all’interfaccia desktop. Quindi chiunque possederà un device da 8” avrà a tutti gli effetti un PC completo con possibilità di usare le app win32 e di avere un mini desktop. Chi opterà per un prodotto più piccolo, o aggiornerà al nuovo SO, avrà qualche funzione in meno. La scelta ha senso: quanto sarebbe utilizzabile un desktop pensato per mouse e tastiera su uno schermo da 5”? Questo creerà una naturale distinzione tra i prodotti aiutando a scegliere, oppure farà confusione come fu per Windows RT? di Michele LEPORI La sede del Sundance Film Festival in quel di Park City nello Utah è l’occasione buona non solo per gustare in anteprima le più promettenti pellicole indipendenti della settima arte, ma è anche il palcoscenico ideale in casa Dell per presentare una macchina dichiaratamente indirizzata a registi, fotografi e chi lavora nel mondo delle arti grafiche. Il Precision M3800 è un laptop 15” con certificazioni ISV creato sulla base dei feedback ricevuti dagli utenti sul modello precedente: luce verde, quindi, a risoluzione 4K e una nuova developer’s edition su base Ubuntu che si affiancherà alla canonica edizione con sistema operativo Windows. A livello tecnico, il Precision M3800 monta di serie il processore Intel i7 di ultima generazione, scheda grafica Nvidia Quadro K1 100M e 16 GB di memoria RAM con 2 TB di hard disk (optional l’archiviazione SSD da 1 TB). Dell annuncia anche la presenza di una presa Thunderbolt 2 e la possibilità di editare i filmati 4K RAW mentre se ne gestisce in parallelo il backup dell’originale. Al netto delle modifiche applicabili sullo store online, il prezzo del Precision M3800 partirà da 1700 dollari: basterà a “rubare” clienti al rivale di Cupertino? n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE PC A tre anni di distanza dal precedente Pi B+, ecco la nuova versione dalle ottime performance Raspberry Pi 2, ora è sei volte più potente Nuovissima versione del mini PC più famoso al mondo e apprezzato dagli “smanettoni” Processore ARMv7 da 900 MHz e 1 GB di RAM. Costa 35 $ e funzionerà con Windows 10 di V. R. BARASSI quasi tre anni dall’annuncio della prima versione arriva Raspberry Pi 2, versione tutta nuova del mini PC più apprezzato e amato dagli “smanettoni”; il computer ha lo stesso form factor e le stesse porte del recente Raspberry Pi B+ ma è equipaggiato con il doppio della memoria RAM (1 GB a 450 MHz) e soprattutto porta in dote un nuovo SoC Broadcom BCM2836, nel quale figurano un processore quad-core ARMv7 da 900 MHz (con possibilità di facile overclock a 1100 MHz) e un comparto grafico VideoCore IV. Il pacchetto è capace di performance nettamente migliorate rispetto al passato poiché si parla di prestazioni sei volte superiori; tutti gli “extra” conciliabili con il primo Raspberry Pi saranno compatibili al 100% con Pi 2 e, nonostante il cambio di processore, non vi saranno stravolgimenti neppure dal A punto di vista software. Come al solito, il sistema operativo va caricato su scheda microSD, le porte USB a disposizione sono quattro e non mancano Ethernet 10/100 e uscita HDMI (ma c’è anche un jack 3.5mm per il solo audio). Dopo il grande lavoro fatto in questi anni per ottimizzare le principali librerie destinate a funzionare su Raspberry Pi, gli sviluppatori si stanno attualmente concentrando su un nuovo ambizioso obiettivo: portare il sistema operativo Windows 10 sul nuovo Pi 2. Si tratta ancora di un work in progress ma il semplice fatto di parlarne sta facendo sicuramente discutere e non poco. Il mini PC Raspberry Pi 2 è già disponibile al solito prezzo di 35 dollari. Attenzione però: le scorte si stanno già esaurendo abbastanza in fretta. GADGET Il dubbio è che possa essere pericoloso ma la società assicura la totale sicurezza Il battery pack “definitivo” funziona a gas La startup tedesca eZelleron è al lavoro su una batteria portatile che si alimenta a gas in 3” Non avrà bisogno di prese di corrente e potrà ricaricare ogni dispositivo dotato di presa USB S di Michele LEPORI pulciare le pagine di Kickstarter, il noto sito di crowd funding, è un’esperienza sempre più vicina all’apertura di una finestra sul futuro: parliamo di Kraftwerk e della batteria portatile che non ha bisogno di corrente. Batteria e corrente vanno a braccetto, indispensabili l’un l’altro per poter adempiere al lavoro a dovere, ma adesso eZelleron, pionieristica startup tedesca decisamente proiettata nel futuro, presenta al pubblico Kraftwerk, una batteria portatile di dimensioni estremamente ridotte che si ricarica a gas in 3 secondi e ci permette di dire addio alla corrente. Una ricarica di gas alimenta 11 volte un iPhone 6. Immaginate la scena: smartphone praticamente morto, siamo in metropolitana e dobbiamo fare una telefonata urgente. torna al sommario Il gas di un’accendino, tanto per fare un esempio, può essere usato per ricaricare Kraftwerk e rendere di nuovo operativo lo smartphone. Vera e propria fantascienza che sta per diventare realtà, come illustrato nel video di eZelleron sulla propria pagina Kickstarter. eZelleron, consapevole delle potenziali “paure” degli acquirenti, conferma la totale sicurezza del dispositivo garantendone l’utilizzo in aereo e il trasporto comodamente in tasca: bersaglio centrato al primo colpo dato che la risposta del pubblico è stata massiccia e a fronte dei 500.000 dollari richiesti per dare luce verde al progetto, oggi siamo vicini a quota 1.000.000 di dollari e il primo “stretch goal” a portata di mano. Le spedizioni partiranno tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 ma oggi - a 30 giorni dal termine del progetto - è ancora possibile ordinare la propria copia al prezzo di 99 dollari e un pack da 12 tubi di gas-ricarica a 49 dollari. Enko, le scarpe sportive che sembrano uscite da un film Stanchi di sprecare energie per scarpe inefficienti e cattivi materiali? Enko presenta le Running Shoes di Massimiliano ZOCCHI Le calzature sportive sono state spesso oggetto di invenzioni e applicazioni tecnologiche. Enko aggiunge la meccanica applicata alla dinamicità dei movimenti unita a una completa personalizzazione. Il tutto per ottenere, secondo loro, la scarpa da running perfetta. Le Enko Running Shoes hanno un meccanismo perfettamente visibile, con parti mobili il cui cuore è l’ammortizzatore. Il concetto alla base del progetto è semplice: le scarpe normali assorbono l’impatto dissipando l’energia a terra, mentre Enko si propone di immagazzinare questa energia e restituirla durante il movimento, diminuendo la fatica e aumentando le prestazioni. La scarpa è dotata di un selettore per diversificare l’azione, dalla camminata alla corsa. Enko dichiara di essere l’unica che personalizza le calzature in base alle caratteristiche del cliente, il che significa non solo dimensioni e colore preferito, ma anche componenti ottimizzati in base al proprio peso per ottenere il massimo livello di ammortizzazione. La mente dietro al progetto è Christian Freschi, appassionato di running e ingegnere francese di origini italiane. Se volete possedere queste scarpe potete dare un contributo alla campagna su Indiegogo.com. Per agosto 2015 potrete avere il vostro paio al prezzo promozionale di 290$, oppure 390$ se volete essere tra i primi che le riceveranno. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE SOCIAL MEDIA WEB Sony chiude Music Unlimited e lancia PlayStation Music insieme a Spotify PlayStation è sempre più il futuro di Sony PlayStation Network diventerà un nuovo ed unico hub pensato per offrire tutti i servizi di Paolo CENTOFANTI n un ottica di razionalizzazione dei costi, Sony annuncia la chiusura del servizio di streaming illimitato di musica Sony Music Unlimited, lanciato nel lontano 2010, all’epoca sotto il brand Qriocity. Nato esclusivamente per i prodotti di home entertainment di Sony, in particolare Playstation e TV, il servizio era stato poi portato anche su Android e iOS. Ma dal 29 marzo Music Unlimited verrà chiuso in tutti i paesi in cui è attualmente disponibile. Non si tratta della fine dello streaming targato Sony comunque. In primavera partirà infatti un nuovo servizio chiamato PlayStation Music e realizzato in collaborazione con Spotify. Di fatto catalogo e infrastruttura saranno quelle di Spotify, si utilizzeranno lo stesso account e lo stesso abbonamento Premium, con accesso anche all’interno di PlayStation Music delle proprie playlist preferite. L’integrazione consentirà però di ascoltare la musica di Spotify anche mentre si gioca su PlayStation. Il servizio sarà lanciato in 41 paesi, compresi i 19 in cui è oggi disponibile Music Unlimited, inizialmente su PS3, PS4 e dispositivi Android Sony, ma poiché l’account sarà I unico, chi si iscrive da PlayStation Music potrà comunque ascoltare Spotify su tutti i dispositivi per i quali è disponibile il servizio. Music Unlimited è però solo l’inizio. Sony ha infatti annunciato un cambio di denominazione anche per il suo store di film e serie TV, Video Unlimited, che passerà anche questo a far parte dell’ormai grande famiglia PlayStation Network o PSN. In pratica, ancora una volta, Sony decide di cambiare strategia multimediale, abbandonando il Sony Entertainment Network in favore di un’unificazione che punti su quello che è il prodotto di mag- giore successo del momento di Sony, la console PlayStation per l’appunto. Sotto l’ombrello PSN avremo ora il PlayStation Store (giochi, film e serie TV su console), PlayStation Music (streaming via Spotify), Playstation Video (il “vecchio” Video Unlimited sui TV Sony), PlayStation Now (giochi in streaming in abbonamento) e, per ora solo negli Stati Uniti, PlayStation Vue (catch-up TV in streaming). Continua a rimanere un mistero la scelta di offrire contenuti video in due store diversi, ma per lo meno comincia a emergere un po’ di razionalità all’interno della ampia gamma di servizi di Sony. YouTube dice addio a Flash: si passa ad HTML 5 Chi utilizza una versione aggiornata del browser vedrà comparire di default il nuovo player L a notizia è di quelle prettamente per appassionati di tecnologia e magari gli utenti normali di primo acchito non si renderanno conto della differenza, anche se la novità di cui stiamo parlando porterà a benefici come pagine web meno pesanti per i PC. YouTube ha infatti annunciato l’abbandono di Adobe Flash per il suo player web desktop in favore di HTML 5. L’utilizzo del più moderno linguaggio web non è del tutto una novità, visto che era già in uso in versione beta, ma l’utente doveva andare ad attivare di suo questa modalità su una pagina apposta. Ora, invece, chi usa una versione aggiornata di Google Chrome, Internet Explorer, Safari o una delle ultime beta torna al sommario A quasi due mesi dal raid che ha tolto dalla rete il famoso motore di ricerca di torrent, The Pirate Bay ritorna online con il simbolo della fenice e al suo solito indirizzo di Roberto PEZZALI SOCIAL MEDIA WEB YouTube ha annunciato un cambiamento che, a suo modo, è epocale di Paolo CENTOFANTI The Pirate Bay è già risorto dalle ceneri di Firefox, vedrà comparire di default il nuovo player HTML. A suo modo si tratta di un passaggio storico, perché segnerà per Adobe Flash un netto calo nel numero di utilizzatori, ponendo fine a un dominio nel mondo del video online che è durato quasi quanto l’età stessa del world wide web. Di fatto HTML 5 era già utilizzato da YouTube nella versione mobile e per Smart TV, e all’appello mancava ormai solo la versione desktop. Tra le svolte tecnologiche che hanno reso possibile il passaggio definitivo, YouTube cita il supporto per il suo codec VP9, l’adaptive bitrate streaming, la gestione dei media criptati e la migliore compatibilità negli ultimi browser con la modalità a tutto schermo. L’abbandono di Flash consente al player di essere più leggero (di fatto viene utilizzato per la riproduzione il lettore nativo del browser e non un ulteriore programma esterno) con benefici immediati soprattutto per i computer portatili, che vedranno meno carico sulla PC e quindi maggiore autonomia della batteria. The Pirate Bay è risorto dalle ceneri, come la proverbiale fenice che capeggia sulla home page del celeberrimo sito che funge da motore di ricerca di torrent. Sono passati quasi due mesi dall’ultima volta che il sito era raggiungibile online, dal giorno cioè in cui i server di The Pirate Bay furono sequestrati in un raid delle forze dell’ordine nel data center, che ospitava le macchine anche di altre popolari destinazioni di chi cerca contenuti online. Il nuovo sito è in realtà quello di sempre, anche se al momento mancano banner pubblicitari e a quanto pare il vecchio staff di moderazione è stato tagliato fuori dalla gestione del nuovo sito. Al momento c’è un po’ di confusione su chi gestisce questa versione di The Pirate Bay, che però utilizza il solito dominio. I vecchi moderatori dicono di essere al lavoro per portare online quello che sarebbe il “vero” sito, mentre in risposta al sequestro dei server dello scorso dicembre, altri gruppi avevano iniziato indipendentemente la realizzazione di cloni basati sullo stesso codice dell’originale. La notizia è comunque una sola: come volevasi dimostrare, chiudere un sito come questo, è più facile a dirsi che a farsi. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE SOCIAL MEDIA E WEB YouTube è di nuovo oggetto di critiche da parte degli artisti indipendenti Nuovo scontro tra etichette indipendenti e YouTube Via i video dal servizio di Google per chi non accetta di inserire la sua musica su Music Key di Paolo CENTOFANTI a scorsa estate, era nata una polemica riguardante il trattamento riservato alle etichette indipendenti da parte di YouTube, relativamente a quello che poi è diventato YouTube Music Key: il servizio di streaming musicale integrato nel portale video. Il consorzio IMPALA si era rivolto all’Unione Europea e ora rilancia l’appello, dopo le rivelazioni delle condizioni imposte da YouTube sui piccoli artisti portate alla luce dall’indipendente Zoë Keating (nella foto in apertura). Oggetto delle critiche sono i nuovi termini di utilizzo per chi decide di rivendicare i diritti sulla propria musica su YouTube, che essenzialmente impongono la partecipazione “forzata” anche a YouTube Music Key. YouTube, per chi non lo sapesse, utilizza un sistema denominato Content ID che permette agli artisti di rivendicare e quindi monetizzare sui video caricati dagli utenti che sfruttano le loro composizioni musicali. Con il lancio di Music Key, da quanto rivelato da Zoë Keating, che ha pubblicato il contenuto della trattativa con un rappresentate di YouTube, ora il servizio di streaming video impone che se l’ar- Avvistato un mezzo di Apple con sistema di videocamere simile a quello di Google per la mappatura fotografica di Street View. Funzione simile in arrivo anche sulle mappe di iOS? L di Paolo CENTOFANTI tista vuole continuare a ricevere compensi per l’utilizzo dei suoi brani deve necessariamente sottoscrivere anche la partecipazione a Music Key, non solo per i brani caricati direttamente dall’artista, ma anche per quelli generati dagli utenti, pena la rinuncia ai compensi, ma anche alla chiusura del proprio canale ufficiale. Anche se il nuovo servizio dà agli artisti una nuova fonte di guadagni, i nuovi termini di utilizzo non piacciono a tutti, perché verrebbe meno il controllo da parte degli autori su quello che YouTube può offrire o meno all’interno di Music Key, cosa questa che infasti- disce soprattutto gli indipendenti che fanno ampio uso di strategie di autopromozione. IMPALA ha lanciato una proposta in 10 punti per un rilancio del mercato musicale in Europa che essenzialmente chiede maggiore trasparenza da parte dei player dominanti come YouTube, norme che assicurino che non vi siano disparità di trattamento in base al “peso” dei vari attori, più controllo su dati e la privacy da parte dei cittadini europei e uno stop alla “concentrazione” del mercato della musica in Europa, che attualmente vede tre multinazionali controllare l’80% del settore. APP WORLD L’app di Tesla controllerà serrature, fari, batteria, clima, autonomia e posizione Le prime app per Apple Watch saranno limitate Informazioni arrivano da parte dello sviluppatore dell’app per Apple Watch per le auto Tesla Con la prima versione del software dello smartwatch, molti limiti per gli sviluppatori di Paolo CENTOFANTI pple lo aveva anticipato: app complete per Apple Watch arriveranno solo in un secondo tempo e all’inizio gli sviluppatori potranno realizzare più che altro estensioni di quelle per iPhone. Cosa questo significhi nel dettaglio è stato spiegato da un post dello sviluppatore Elks Labs, che si sta occupando della realizzazione dell’app per Apple Watch di Tesla. Essenzialmente Apple Watch funzionerà come una sorta di secondo schermo per l’app principale installata sull’iPhone e, stando almeno all’attuale versione beta di WatchKit, la piattaforma di sviluppo per Apple Watch, gli sviluppatori hanno un accesso molto limitato alle funzionali- A torna al sommario Apple si prepara a lanciare il suo street view? tà dello smartwatch. In particolare, spiega lo sviluppatore, le app non possono utilizzare accelerometro, giroscopio, microfono, speaker, Bluetooth (che è riservato esclusivamente al pairing con lo smartphone), notifiche a vibrazione e persino il touchscreen sarebbe limitato esclusivamente al Force Touch (la pressione lunga dello schermo). Insomma, quasi tutte le risorse hardware di Apple Watch, ripetiamo, almeno in questa prima incarnazione di WatchKit, sono “proibite” agli sviluppatori. Del resto, dice Apple, l’interazione con Apple Watch dovrà misurarsi in secondi e non in minuti come sulle app per smartphone o tablet, a ribadire che lo smartwatch, nella visione di Apple, è appunto un complemento allo smartphone e non un device “principale”. L’app di Tesla, a giudicare dal video, sembra comunque ben fatta e permette di controllare le serrature, i fari, lo stato di carica della batteria e l’autonomia in chilometraggio, il climatizzatore e, funzione forse tra le più utili, la sua posizione. Uno dei fiaschi più grandi della storia recente di Apple è stato il lancio dell’applicazione Mappe con iOS 6. Annunciata in pompa magna come soluzione alternativa a Google Maps, contestualmente alla “guerra nucleare” contro Google voluta da Steve Jobs, l’app si rivelò ben presto piena zeppa di buchi nella copertura, errori grossolani e un’esperienza d’uso lontana da quella a cui gli utenti iOS erano abituati. L’app è migliorata negli ultimi anni, ma ormai la nomea di servizio di serie B è rimasta, e comunque ancora mancano molte funzionalità di Google Maps. Una di queste è Street View, la vista fotografica che permette di muoverci tra le mappe come se fossimo realmente in strada. A quanto pare Apple si starebbe apprestando a portare questa modalità anche nel suo servizio. Negli Stati Uniti, infatti, in California intorno a San Francisco, è stata avvistata una vettura intestata ad Apple e dotata di un sistema di fotocamere sul tetto, che sembrerebbe essere fatta apposta per la mappatura delle strade. Ci sarebbe anche un’altra interpretazione: l’auto è praticamente identica infatti a una monovolume con guida autonoma avvistata nel 2014 a Brooklyn. Su cosa sta lavorando davvero Apple? Per ora è un mistero, ma la mappatura delle strade ci sembra più verosimile. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE AUTOMOTIVE Il progetto prevede fino a quaranta colonnine dislocate in altrettante Eni Station Prima stazione Fast Recharge Plus Enel-Eni Ricarica in 30 minuti tutte le auto elettriche Enel ed Eni hanno inaugurato a Pomezia la prima stazione di ricarica Fast Recharge Plus Permette di ricaricare ad alta velocità qualsiasi auto elettrica grazie ai diversi standard di Massimiliano ZOCCHI I naugurazione in grande stile per la prima stazione di ricarica Fast Recharge Plus, una colonnina multistandard per la ricarica di auto elettriche, installata da Enel all’interno della Eni Station al km 31,384 di via Pontina a Pomezia. Si tratta della prima installazione derivante dall’accordo tra Enel ed Eni, siglato nel marzo 2013, per il supporto della mobilità sostenibile da parte dei due colossi energetici. Accordo strategico da entrambi i fronti. Enel accrescerà la sua infrastruttura di ricarica che attualmente vanta numerose colonnine sul territorio, ma tutte in ricarica lenta o semi veloce in corrente alternata, migliorando la copertura e offrendo un servizio top class. Eni invece si introduce in punta di piedi in un settore nuovo che, anche se in concorrenza con il mercato del petrolio, contribuirà a farla restare leader nel mondo dei rifornimenti e stazioni di servizio. Il taglio del nastro è avvenuto alla presenza di tutte le principali autorità coinvolte: Salvatore Sardo, Chief Officer di Eni, Francesco Storace, AD di Enel, coadiuvati da rappresentanti politici, Fabio Refrigeri, assessore della Regione Lazio e Fabio Fucci, sindaco di Pomezia. Non poteva mancare il ministro alle Infrastrutture e Trasporti, Maurizio Lupi, che si è presentato con una Tesla Model S fiammante. A onor del vero il mi- torna al sommario Con CarVi la tua vecchia auto diventa Smart È iniziata la raccolta fondi per CarVi, che trasforma qualsiasi auto in una Connected Car Analizza la strada in tempo reale, avvisa di eventuali pericoli e a fine giornata ti dice se sei stato un buon guidatore di Massimiliano ZOCCHI nistro Lupi è sempre stato molto attento alle tematica di mobilità sostenibile, ed ha pazientemente atteso che tutti gli attori trovassero i giusti accordi. A livello tecnico, la mastodontica colonnina è la prima di Enel con diversi standard di ricarica. Questo perché non tutte le vetture in commercio utilizzano le stesse tecnologie, e quindi per offrire un servizio a 360 gradi è obbligatoria una struttura come questa. Dai due diversi lati la colonnina propone la ricarica fast nei sistemi più diffusi e scelti come standard dalla Comunità Europea. La fast AC in corrente alternata, utilizzabile ad esempio dalla Renault Zoe, dalla Smart ED o dalla Tesla Model S, oppure la carica DC in corrente continua. Quest’ultima si divide in ChaDeMo, utilizzata dai mezzi Nissan e asiatici in genere, e COMBO CCS, in dotazione alle auto tedesche, e candidato ad essere il connettore futuro di tutte le auto EV. Con le potenze elettriche erogabili, fino a 50 Kw, in circa 30 minuti si può fare “il pieno”, giusto il tempo di una pausa all’Eni Café, cosa in cui Eni spera vivamente in modo da incrementare gli utili delle aree di sosta. In particolare l’area di Pomezia è stata scelta poiché è un punto strategico, sia a livello industriale, intercettando il flusso pendolare con la capitale, sia per il passaggio turistico in direzione delle località balneari laziali. In questo modo i cittadini della zona vedono estendersi di molto il raggio d’azione dei loro veicoli elettrici. Per questo stesso motivo, le future installazioni saranno tutte in aree di forte passaggio, tendenzialmente tutte extra- urbane, superstrade e autostrade, per consentire agli automobilisti di spingersi anche fuori città con i propri mezzi a zero emissioni. Non sono ancora state rilasciate informazioni dettagliate, ma pare che l’autenticazione alle colonnine avverrà con la tessera rfid del servizio EnelDrive, sottoscrizione dedicata alle colonnine Enel su tutto il territorio, che propone sia abbonamenti flat mensili, sia a consumo, pagando in base al numero di Kwh prelevati. Questo genere di impianti è la norma in molti Paesi europei già da diversi anni, e l’Italia è un po’ il fanalino di coda, ma qualcosa inizia a muoversi seriamente. Nel 2015 vedremo nuovi modelli di vetture elettriche un po’ da tutti i costruttori, ci saranno aggiornamenti di quelli già presenti sul mercato e l’infrastruttura di ricarica crescerà molto grazie anche all’impegno delle amministrazioni regionali, Lombardia e Toscana prime tra tutte. È arrivato finalmente il momento della mobilità elettrica italiana? CarVi è una campagna appena partita su Indiegogo.com per un accessorio da installare in zona specchietto retrovisore, che trasformerà la vostra timida utilitaria in una Connected Car. Il modulo CarVi ha un design accattivante, si attacca al parabrezza e dalla parte rivolta verso la strada ha una telecamera per analizzare istantaneamente il percorso. Si collega allo smartphone iOS o Android tramite app, e nel caso rilevi un pericolo emette avvisi visivi e sonori. Tiene d’occhio le linee stradali per cambi di corsia accidentali, si accorge di manovre repentine di altri guidatori e monitora le distanze di sicurezza. Il sistema analizza le abitudini di guida e a fine giornata vi assegna uno Skor, una valutazione, indicando ciò che avete fatto e ciò su cui dovete lavorare per migliorare al volante. Mentre scriviamo CarVi ha raggiunto 35.000 dollari sul totale di 100.000 preventivato in soli 3 giorni. Potreste avere il modulo aggiuntivo al prezzo promozionale di 249 dollari, che salirà a 274 dollari, fino al prezzo definitivo di 299 dollari. Se la campagna avrà successo, le spedizioni dovrebbero iniziare ad agosto 2015. Clicca qui per il video di presentazione. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE AUTOMOTIVE L’auto sarà in vendita dal mese di maggio a un prezzo che partirà da 32.900 euro Renault Espace, concentrato di tecnologia La nuova Renault riunisce soluzioni tecnologiche per aiutare la guida e il comfort a bordo Il tutto controllabile da uno schermo touch verticale di 8,7” sospeso davanti alla plancia di Roberto FAGGIANO enault presenta la nuova Espace, con una linea più filante da crossover ma sempre colma di nuove idee e con una tecnologia all’avanguardia. L’abitacolo è ampio e accogliente grazie alle dimensioni del corpo vettura (4,85 m di lunghezza) con una soluzione originale: una console centrale rialzata tra i due sedili anteriori che ospita il cambio e il grande display verticale di controllo di molte funzioni della vettura. Il sistema di intrattenimento si chiama R-Link2 e comprende un pannello touch di origine LG con schermo da 8,7’’ alla destra del guidatore nell’inusuale posizione verticale, ma non incassato nella plancia bensì poggiato sul tunnel centrale sospeso verso l’alto. Oltre al pannello ci sono tradizionali manopole di regolazione per l’impianto di climatizzazione. I widget della schermata iniziale sono personalizzabili dall’utente secondo i gusti e si possono memorizzare sei diversi profili se i guidatori sono più di uno. Oltre alle funzioni già integrate come il navigatore TomTom con funzione Live e la lettura vocale degli SMS, se ne possono aggiungere altre dal portale dedicato R-Link store di Renault. Tra le connessioni disponibili c’è il Bluetooth con vivavoce per lo smartphone e numerose prese USB posizionate nell’abitacolo, anche per i passeggeri seduti R Scoperto un bug nel software ConnectedDrive delle auto BMW che consente a potenziali malintenzionati di sbloccare le serrature BMW ci mette la pezza sul divano posteriore, e uno slot per SD card. Il display verticale è predisposto per mostrare diverse funzioni su una sola schermata o per sdoppiare le indicazioni del navigatore 3D integrato, per meglio visualizzare un dettaglio del percorso. Il cruscotto è di tipo digitale e può indicare il contagiri o il tachimetro secondo le preferenze di chi guida. Ulteriore tocco di tecnologia è l’Head Up Display sopra il volante che riporta ulteriori informazioni sul veicolo, sui segnali stradali e sul percorso da seguire. Dalla versione intermedia Intens c’è anche la videocamera posteriore per facilitare le manovre. Sulla versione più lussuosa Initiale Paris è di serie anche un sistema di Paolo CENTOFANTI audio firmato Bose con 12 altoparlanti sparsi nell’ampio abitacolo, contro gli 8 delle altre versioni. Tra i tanti gadget disponibili perfino la possibilità di regolare il colore dell’illuminazione dell’abitacolo tra diverse sfumature. Renault Espace sarà in vendita da maggio con prezzi a partire da 32.900 euro; i motori disponibili sono due 1.600 cc, a benzina TCe o a gasolio dCi con diversi livelli di potenza. Tre i gradi di finitura: Zen, Intens e il top di gamma Initiale Paris, con cambio automatico o manuale. AUTOMOTIVE Se la notizia fosse vera, potrebbe creare un certo imbarazzo tra Google e Uber Google sta lavorando al taxi a guida autonoma? Pare che Google stia studiando a un servizio simile a Uber con auto a guida autonoma di Massimiliano ZOCCHI ber, compagnia che offre un sistema che si potrebbe definire un ibrido tra car sharing e taxi privato, sta avendo una buona diffusione a livello mondiale, tanto che David Drummond, Vice Presidente di Google, nel 2013 è entrato a far parte del consiglio direttivo. La notizia di qualche giorno fa, riportata da Bloomberg, potrebbe creare imbarazzo nei rapporti tra le due aziende: Drummond avrebbe informato il direttivo Uber che Google sta sviluppando un sistema simile, che andrebbe ad appoggiarsi al progetto di automobile selfdrive già visto U torna al sommario BMW tappa la falla che permetteva agli hacker di aprire le auto nei mesi scorsi: un servizio di taxi a guida autonoma che pattugliano il quartiere in attesa che qualcuno ne richieda i servigi per ridurre i tempi di attesa. Una fonte anonima all’interno di Uber ha dichiarato che esiste già l’applicazione e gli impiegati di Mountain View la stanno testando. Dal canto suo, il Wall Street Journal cerca di stemperare molto la tensione: secondo una sua fonte attendibile, il fatto che Google stia sviluppando un’app in aperta concorrenza a Uber è un’ipotesi “sproporzionata”; l’azienda sta semplicemente testando un’app di carpooling per i suoi dipendenti. Uber ha già intrapreso una contromossa e ha annunciato una collaborazione con l’Università Carnegie Mellon per studiare un proprio sistema di selfdriving. E a buttare ulteriore benzina sul fuoco è arrivato l’annuncio di Google sul futuro inserimento di spot e informazioni di aziende terze all’interno di Google Now. Tra i fornitori sono stati citati Pandora, AirBnb, e Lyft, che offre un servizio simile a Uber, che non è stato menzionato. L’ADAC, l’analogo tedesco dell’ACI, ha scoperto una falla di sicurezza nella piattaforma ConnectedDrive di BMW, che consente potenzialmente a dei malintenzionati di forzare il sistema di autenticazione e accedere a funzionalità come l’apertura remota delle serrature delle portiere. In un comunicato stampa, BMW fa sapere di aver preparato un apposito aggiornamento software, che verrà automaticamente scaricato dalle vetture dotate di ConnectedDrive (sistema che utilizza una SIM integrata nell’auto) e precisa che non è al corrente di alcun caso di effettiva violazione, ma il punto rimane: quando tutto è connesso, fino a che punto possiamo fidarci? Nel caso specifico, ConnectedDrive al momento non permette di accedere ai sistemi di guida, ma può essere utilizzato per salire materialmente sul veicolo aprendo le serrature, il che di per sé è un rischio. Ma l’accesso ai sistemi di bordo potrebbe anche permettere di risalire a dati personali dell’utente, o ancora magari allo storico delle destinazioni del navigatore satellitare se non agli stessi percorsi effettuati. Insomma, meglio prepararci a un’era in cui la sicurezza informatica riguarderà ogni aspetto della nostra vita. IL PIÙ SEMPLICE IL PIÙ SMART *LG G2 vincitore del premio Best Phone 2013 di Cellulare Magazine. Now It’s All Possible Cosa c’è di meglio di LG G2, eletto migliore smartphone del 2013*? La sua sorprendente evoluzione. Nuovo LG G3. Il più semplice, il più smart. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE TEST Con il visore saranno visibili filmati, brevi concerti e si potranno esplorare diversi spazi come gallerie, abitazioni e musei Samsung Gear VR è in arrivo in Italia a 199 euro Il visore per la realtà virtuale firmato Oculus sarà acquistabile sul sito Samsung. Le nostre impressioni del modello definitivo di Roberto PEZZALI S amsung è pronta a portare in Italia il suo visore di realtà virtuale da associare al Galaxy Note 4: realizzato con la tecnologia Oculus VR, il Gear VR sarà disponibile tra pochi giorni a 199 euro in versione “solo visore” e a 249 euro nella versione con il joypad. Samsung, al momento, non ha previsto una versione abbinata al Galaxy Note, pertanto lo smartphone è da acquistare a parte. Gear VR sarà dimostrato e presentato nei negozi ma per la vendita Samsung sfrutterà il suo sito web, con il visore che sarà acquistabile nella versione italiana esclusivamente sul sito Samsung. Abbiamo avuto modo di provare la versione che arriverà in Italia, non tanto come hardware quanto per il software. L’applicazione Oculus si installa non appena si aggancia il Samsung Galaxy Note alla base: all’interno sono presenti una serie di applicativi gratuiti divisi in categorie, dai giochi alle experience. L’utente può scaricare qualche breve concerto, qualche filmato (decisamente bello quello dello spettacolo degli artisti del Cirque du Soleil) e può esplorare alcuni spazi come canyon, gallerie, abitazioni e musei, ma ovviamente vista la natura ancora un po’ sperimentale del sistema non ci si può certo aspettare un ecosistema completo. L’unica mancanza di un certo livello, rispetto alla versione americana, sarà Milk VR: l’app per la realtà virtuale con un nuovo contenuto ogni giorno non sarà disponibile sul mercato europeo per questioni legate ai diritti dei film, quindi chi acquisterà il visore avrà meno contenuti dei cugini americani. Va comunque detto, in ogni caso, che quanto viene dato da Samsung basta per farsi un’idea di quello che è il VR e soprattutto che il visore può essere usato anche per vedere filmati in 2D e 3D con la stessa impressione di una visione cinematografica. Le impressioni generali sono quelle di Oculus: bellissimo per chi non lo ha provato, forse un po’ fastidioso per chi è sensibile alla visione attiva 3D. Il gamepad del Samsung Gear VR incluso nella versione da 249 euro. torna al sommario video lab Un gadget divertente per Galaxy Note Nonostante il pannello OLED 2K del Galaxy Note, la resa video lascia ancora un po’ a desiderare, con una risoluzione forse troppo bassa per poter godere completamente della visione: servirebbe un pannello 8K, ma ovviamente è fantascienza su uno smartphone (anche per questione di consumi). Gear VR a 199 euro è sicuramente un divertente gadget per chi ha un Galaxy Note e, realtà virtuale a parte, può trasformarsi nel sistema perfetto per potersi godere un film sull’aereo o a letto, su uno schermo gigante e in perfetta tranquillità. L’unico consiglio che ci sentiamo di dare è di provarlo prima nei negozi: c’è chi non avverte il minimo fastidio a indossarlo, trovando la visione piacevole e appagante, e chi invece dopo qualche minuto inizia a sentirsi disorientato con un leggero senso di nausea. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE TEST Al momento Google Translate è utile per richiedere informazioni veloci, meno per una vera conversazione in tempo reale Davvero parlare arabo senza conoscerlo si può? Abbiamo messo alla prova Google Translate L’idea di conversare in una lingua sconosciuta affidandoci totalmente a Google Traduttore ci ha sempre affascinato Ecco un test di questa app, alla prova anche in un dialogo italiano-arabo: alla fine, qualcosa ci abbiamo capito... di Emanuele VILLA idea di affidare a uno smartphone la traduzione in tempo reale delle nostre conversazioni con gli stranieri è affascinante e utile. Perché in poche parole significa che oggi, o al massimo domani, potremo dialogare tranquillamente con persone che non conoscono la nostra lingua senza conoscere la loro; sarà come avere un interprete in tasca da consultare (gratuitamente) ogni volta che vorremo. Non è una novità di oggi, ma lo spunto per approfondire l’argomento e per verificarne lo stato dell’arte ce lo offre Google con l’aggiornamento della sua app dedicata alle traduzioni (Google Traduttore, disponibile per Android e iOS) che, oltre a miglioramenti vari in termini di riconoscimento e traduzione, permette ora a chiunque di parlare liberamente nella sua lingua lasciando a Google il compito di riconoscerla e tradurla. L’ Italiano e inglese Where is the problem? Strumenti per la traduzione del materiale scritto e vocale ne esistono a bizzeffe, ma per quanto il meccanismo di funzionamento possa sembrare semplice (riconoscimento vocale affidato a Google e al suo cloud e traduzione nei due sensi con contestuale riproduzione vocale), un sistema ben funzionante deve valutare mille variabili complicatissime: espressioni locali, dialetti, modi di dire, parlata veloce o stentata, punteggiatura ma soprattutto l’ortografia, ovvero l’insieme di norme che regolano il modo corretto di scrivere. Questa cambia da idioma a idioma ed è il motivo per cui la costruzione della frase non può in alcun modo replicare quella di partenza. Molti di noi hanno una conoscenza teorica dell’inglese, ma quanti sono in grado di avventurarsi in una conversazione che non scada nel comunicare a gesti o usare quelle 10 parole che ricordiamo dalle due settimane passate a Londra? video Una delle difficoltà più grosse in questi casi è proprio il non poter usare le medesime regole ortografiche di partenza, col risultato che un’ottima conoscenza del vocabolario non ci rende in alcun modo capaci di sostenere un (buon) dialogo in una lingua straniera. E per i sistemi automatici il problema è lo stesso: affinato il riconoscimento delle parole, tradurle e riproporle in una frase corretta a livello ortografico è una sorta di incubo, da cui il fatto che la strada per la perfezione è ancora lunga. Poi c’è tutto il discorso della punteggiatura, che in un dialogo dipende dall’intonazione: come fa un sistema automatico a capire che questa è una domanda? Semplice: bisogna dirglielo, pronunciando “punto interrogativo” al termine della frase. E questo è già un primo limite. Aggiornata l’app su iPhone, abbiamo subito provato a usarla in diversi modi e con svariate combinazioni, ma con l’ovvia predilezione per il rapporto italiano–inglese, che supponiamo sia il più usato. Il meccanismo di funzionamento è semplicissimo: si imposta la coppia di lingue su cui si vuole basare la conversazione e poi si decide se la traduzione debba avvenire da lab materiale scritto, da una conversazione orale o dall’inquadratura della fotocamera, che è una novità importante dell’ultima versione. Scartata l’ipotesi della traduzione di materiale scritto, ci addentriamo in una conversazione italiano–inglese con la collaborazione di un amico che abita Oltremanica e che contattiamo via Skype. Il risultato si spiega in poche parole: siamo sulla buona strada e l’app è molto utile, ma prima che le facoltà di lingue chiudano per inutilità sopravvenuta passerà un bel po’ di tempo. Dove il sistema è pressoché perfetto è il riconoscimento della lingua: tra italiano e inglese, il sistema non ha mai avuto dubbi. Niente male la gestione delle frasi in italiano, dove i limiti restano la punteggiatura (che come detto va scandita a voce, altrimenti il sistema “impazzisce” con una certa facilità), il fatto di dover parlare lentamente e di spezzare le singole frasi, un po’ più problematico il riconoscimento delle frasi in inglese a causa della limitata qualità della trasmissione, ma tutto sommato non ci si può lamentare. Considerando che il sistema è fatto per persone che si parlano direttamente, possiamo affermare che il riconoscimento dei termini, a patto di scandire bene le parole e parlare con una certa tranquillità, è buono. Anche perché se la frase di partenza non è riconosciuta in modo perfetto, la traduzione diventa logicamente disastrosa. C’è ancora da lavorare sulla qualità della traduzione, questo sì, ma bisogna dare atto a Google di aver lanciato un’app che è molto utile, consuma non poca batteria ma può essere un toccasana in condizioni di necessità, quando siamo all’estero e non conosciamo la lingua, quando dobbiamo dare delle indicazioni, ecc. Le frasi sono state tradotte in segue a pagina 32 torna al sommario n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE APP WORLD Potrebbe essere l’evoluzione di Cortana? Non molte le informazioni a riguardo Bill Gates è al lavoro su Personal Agent Un progetto cross-platform di assistente personale che promette di non dimenticarsi nulla di Michele LEPORI W indows 10 e tutto il corollario di prodotti e servizi che abbiamo visto alla recente presentazione al mondo non sembrano essere l’unico progetto nei laboratori segreti di Redmond: Bill Gates, ex numero 1 Microsoft, ha dichiarato su Reddit di essere al lavoro su un progetto rivoluzionario, nome in codice (o forse ufficiale) Personal Agent. Secondo il fondatore di Windows, Personal Agent “… si ricorderà di ogni cosa e ci aiuterà a non dimenticare a casa nulla. L’idea che ci sia un’app per ogni cosa da ricordare è sbagliata e non è il giusto modello di efficienza da seguire”, continua Gates prima di glissare sui dettagli e farci capire che ne sentiremo ancora parlare ma forse non a brevissimo. Gates è al lavoro su un assistente vocale sempre vigile e pronto a darci una mano quando interpellato: descritto così, Personal Agent potrebbe benissimo essere il fratellino minore di Siri e Cortana, tant’è che le malelingue già parlano del progetto come implementazione aggiuntiva della neonata assistente Microsoft più che di un progetto ex novo. Dalle parole di Gates, tuttavia, prende corpo l’idea che il progetto sia qualcosa di trasversale agli OS attualmente esistenti e l’idea di una sorta di intelligenza artificiale cross-platform potrebbe non essere troppo ardita. Non sappiamo quando torneremo a sentir parlare concretamente dell’Agente, ma se dovessimo sbilanciarci ci sentiamo di indicare la conferenza degli sviluppatori Microsoft di aprile come occasione buona per qualche aggiornamento. AUTOMOTIVE Autostrada per test veicoli automatici Il ministro dei trasporti tedesco annuncia in un’intervista l’intenzione di aprire una corsia sull’autostrada bavarese A9 (tra i candidati anche la A81) per il test di autovetture automatiche o con guida assistita. I lavori di adeguamento prevedono l’installazione di una rete di comunicazione a cui le auto automatiche o semiautomatiche potranno appoggiarsi per l’interazione con la strada e gli altri veicoli. Il ministro ha posto l’accento sulla necessità da parte dei costruttori tedeschi di sviluppare una piattaforma indipendente dai colossi americani e cinesi. TEST Google Translate segue Da pagina 31 modo che potremo definire “attendibile”: senza perfezione (spesso viene usato il “because” anche nelle domande, la punteggiatura nelle traduzioni latita, il “sentire” italiano, nella sua accezione di “ascoltare”, viene tradotto con “feel”, ovvero “provare”, ecc.), possiamo affermare che ad oggi il nostro interlocutore capisce ciò che vogliamo dire, con almeno un 80% di correttezza lessicale e ortografica. A patto, ripetiamo, che il riconoscimento della frase di partenza sia corretto: se si parla bene e piano, problemi non ce ne sono. Occhio solo a una cosa: ci vuole una connessione dati, quindi all’estero il roaming è pressoché indispensabile. Andiamo sul difficile e tentiamo di comunicare in arabo Ci stiamo prendendo gusto e, visto il risultato apprezzabile con l’inglese, decidiamo di andare sul difficile: l’arabo. Per l’occasione, però, niente Skype o affini: abbiamo invitato in redazione un amico egiziano, Emad, e abbiamo simulato cosa potrebbe accadere se ci trovassimo in Egitto e dovessimo chiedere informazioni basilari a persone del luogo. Per rendere tutto più naturale possibile, Emad non sapeva nulla del nostro esperimento e non si era preparato le risposte, che sono quindi naturali e “imperfette” come in un vero dialogo tra due conoscenti. Il risultato è molto interessante e anche buffo, a tratti. Giungiamo a queste conclusioni: intanto è abbastanza complesso gestire una conversazione con chi non è preparato per via delle modalità stesse di funzionamento dell’app. Se non c’è silenzio assoluto o non lo si stoppa manualmente, il microfono continua ad ascoltare per decine di secondi; visto che in condizioni concrete il silenzio è ben difficile che ci sia, capita di dover fermare a mano più volte, e se il nostro in- torna al sommario terlocutore non è pronto ci si “incasina” tra domanda, risposta e via dicendo. Questo è un aspetto che Google potrebbe affinare senza grosso sforzo ma con ottima soddisfazione per gli utenti. Per quanto riguarda la conversazione, Emad ci ha confermato che la traduzione dall’italiano all’arabo è sempre stata corretta, mentre abbiamo incontrato molte più difficoltà nel verso opposto, anche perché le domande (ita) erano preparate a tavolino mentre le risposte (ara) totalmente improvvisate come in un incontro reale. Il riconoscimento della frase araba resta discreto, soprattutto nei casi più semplici, ciò su cui l’app può migliorare è la traduzione, che effettivamente richiede un discreto sforzo interpretativo da parte dell’utente. In media lo sforzo è contenuto, ma ci sono stati casi, uno in particolare, in cui riconoscimento e traduzione non hanno portato a nulla di comprensibile. Quanto sopra non ha alcuna pretesa scientifica (magari si può parlare meglio, più lentamente, usando forse parole più semplici, ecc.) ed è sempre molto meglio di niente: uno strumento come questo ci permette, infatti, di comunicare e di farci capire da persone con le quali fino a ieri avremmo davvero dovuto comunicare a gesti, ma il concetto stesso di “conversazione” è ancora da affinare. dire, le espressioni dialettali, capiscano una dizione imperfetta e via dicendo, passeranno degli anni. Resta il fatto che la strada intrapresa è quella giusta e già oggi possiamo uscire da situazioni complesse in Paesi stranieri facendoci aiutare da Google o chi per essa. Con Google Translate il nostro interlocutore capisce cosa gli vogliamo dire, e questo è un passo avanti enorme rispetto al passato: magari si metterà a ridere perché la costruzione della frase è quel che è, manca la punteggiatura e parole con più significati vengono tradotte in modo abbastanza casuale, ma almeno otteniamo il risultato nella maggior parte dei casi. Con l’inglese la situazione non è niente male, con l’arabo ci sono stati casi in cui la traduzione era incomprensibile (vedi video) ma vanno messe in conto mille variabili come la pronuncia imperfetta, le frasi lunghe, l’assenza di preparazione e via dicendo. In sostanza, riteniamo Google Traduttore uno strumento utile per chiedere informazioni veloci e da scaricare assolutamente quando dobbiamo andare all’estero, che ci toglie dai guai ma non ancora adatto a una vera e propria conversazione in tempo reale tra conoscenti. Ma la strada è quella giusta... Siamo “nel mezzo del cammin...” Possiamo dunque smettere di studiare lingue all’Università? Non se ne parla. Intanto perché un interprete non sostituirà mai il piacere della conversazione diretta: possiamo supporre che un domani la traduzione sia perfetta e che non ci si debba limitare a una manciata di parole per volta, ma comunque il bello della comunicazione a due sta in quella spontaneità che non si può avere quando ci si mette di mezzo un interprete, umano o smartphone che sia. Chi vuole fare l’interprete può andare tranquillo: prima che strumenti come questo imparino i modi di video lab Google Translate Mettiamolo alla prova con l’arabo n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE TEST Abbiamo provato la stampante 3D Hamlet 3DX100 per capire quanto è “consumer” e cosa ci può fare un tecno appassionato La stampa 3D è affascinante, ma non è per tutti Realizzare modelli da stampare non è affatto facile, alle stampanti 3D per entrare “in casa” servono ancora alcuni anni di Roberto PEZZALI L a stampa 3D affascina: vedere quei piccoli cubi creare, con minuscole estrusioni di filo, oggetti elaborati con una facilità disarmante è un vero piacere. Ma è vero, come dicono molti, che la stampa 3D è ormai pronta per diventare un fenomeno di massa? Abbiamo provato a scoprirlo, mettendoci dalla parte di chi, passeggiando per i corridoi di un centro della grande distribuzione, vede a scaffale tra le normali stampanti anche una stampante 3D oppure di chi, abbagliato dalla pubblicità, ha deciso di intraprendere la costruzione della stampante 3D a fascicoli che DeAgostini ha portato in edicola. L’esperimento è semplice: da appassionati di tecnologia chiediamo una stampante 3D da provare, un oggetto “insolito” per noi e anche la prima prova di una stampante 3D. La stampante è la Hamlet 3DX100, e con la nostra prova non vogliamo provare nello specifico questo modello di stampante ma vedere cosa può fare chi, preso magari da una voglia di shopping compulsivo, decide di spendere un migliaio di euro per un oggetto pensando che sia una normale stampante dotata però di una dimensione in più. Non possiamo testare a fondo la stampante Hamlet per un semplice motivo: è la prima che proviamo e non abbiamo un confronto pratico con quello che offre il mercato, e siamo consapevoli di non avere ancora elementi sufficienti per poter giudicare adeguatamente la qualità dei prototipi stampati relativamente ad altri modelli di prezzo simile. Come funziona una stampante 3D Una stampante 3D non è molto diversa nella tecnica di funzionamento da una stampante inkjet: i modelli più comuni presenti sul mercato sono quelli con tecnologia FDM, ovvero Fused Deposition Modeling. Un filo di materiale plastico viene fuso da un iniettore che lo porta a 200° depositandolo strato per strato su un supporto. Come nella stampante inkjet esiste un braccio che muove la testina avanti e indietro, nella stampante 3D ci sono due bracci per aggiungere la componente video lab verticale sviluppando così la costruzione in altezza. Costruire una stampante 3D non è troppo complesso, e i brevetti sono scaduti: molti produttori lanciano oggi stampanti di tutti i tipi e di tutte le dimensioni, capaci di funzionare anche con materiali alternativi e dotati di ugelli che assicurano risoluzioni di stampa super. Come per la stampante inkjet infatti è la dimensione dell’ugello a fare la risoluzione, accoppiato e legato all’altezza di ogni singolo strato. Abbiamo la stampante, e ora? La stampante Hamlet 3DX100 è un grosso e voluminoso blocco che nasconde tutta la sezione di stampa: esistono stampanti di tutte le forme e dimensioni, e quella di Hamlet è un po’ insolita ma è anche una delle prime uscite sul mercato. L’installazione, seguendo le istruzioni, è abbastanza semplice e l’unica operazione da fare, oltre al caricamento del filo, è la calibrazione del piano riscaldato che serve per far aderire meglio la stampa. La calibrazione assicura che il piano sia perfettamente perpendicolare, condizione questa indispensabile per avere stampe perfette. La stampante si può collegare al computer tramite USB, ma non è affatto necessario: si può anche stampare direttamente da card SD fornendo un file nel formato GCODE. Questo file è in pratica un insieme di istruzione meccaniche per la testina di stampa: la stampante 3D, almeno il modello provato, non importa quindi i modelli ma una serie di istruzioni che vengono create da un software partendo dal modello. Le istruzioni contenute nel file sono proprie della stampante e hanno valori associati al singolo modello: un dettaglio questo che vogliamo sottolineare proprio perché stampare con una stampante 3D non vuol dire “scarico un file 3D, lo carico sulla stampante e lei stampa” ma più precisamente “scarico un file 3D, creo le istruzioni di stampa e lei stampa”. In dotazione con la stampante Hamlet c’è Peak 3D, un programma che si occupa proprio di importare modelli 3D in formati diversi (il più noto è l’SLT) e convertire questo modello in file GCODE. Dobbiamo dire che, se non ci si addentra nelle impostazioni personalizzate, la cosa è abbastanza semplice. Nel menu avanzato si possono comunque variare impostazioni fondamentali come la percentuale di riempimento e lo spessore dei singoli strati: è bene lavorare sul personalizzato per ottenere stampe migliori. segue a pagina 34 video lab DDay stampa in 3D Il modello del nostro bicchiere DDay torna al sommario Il nostro video delle prove di stampa n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA Pioneer ha presentato l’SBX-B30, il suo primo diffusore soundbase: può reggere TV di grande formato Pioneer ha una soundbase per TV in grado di reggere anche 40 kg Ha una potenza totale di 130 watt, il subwoofer è integrato e c’è il collegamento Bluetooth, ma manca l’ingresso HDMI di Roberto FAGGIANO l diffusore SBX-B30 è la prima “speaker base” Pioneer, si tratta di uno di quei diffusori che si può utilizzare come supporto del televisore e che integra già il subwoofer. Tra le caratteristiche salienti il collegamento senza fili Bluetooth e la compatibilità con codifiche Dolby Digital e DTS. Il mobile è in legno e può sopportare televisori pesanti fino a 40 kg, le misure del diffusore sono di 66 x 9,5 x 35 cm (L x A x P). In dotazione c’è un telecomando in formato carta di I credito, che permette di regolare il livello del subwoofer, presente anche il circuito Auto level control che uniforma il volume delle diverse sorgenti. Il diffusore utilizza due larga banda frontali da 7 cm e due subwoofer da 10 cm che diffondono verso il basso, mentre gli sfoghi degli accordi reflex sono posizionati lateralmente. La potenza disponibile complessivamente è di 130 watt (2 x 30 watt ai frontali e 2 x 35 watt ai subwoofer). Per migliorare la resa sonora si possono scegliere tre elaborazioni acustiche: Surround, Night e Dialogue. Ulteriori possibilità operative sono disponibili sull’applicazione Wireless streaming, che permette il controllo del diffusore dallo smartphone o dal tablet. Le connessioni sul pannello posteriore comprendono tre ingressi digitali (due ottici e un coassiale) e un minijack analogico, inoltre si può utiliz- zare il Bluetooth per collegare senza fili lo smartphone e il tablet. Manca la presa HDMI che avrebbe reso più semplice la gestione del diffusore, direttamente dal telecomando del televisore. La Speaker base SBX-B30 sarà disponibile da questo mese, con un prezzo di listino, ancora da confermare, di 249 euro. TEST Stampare oggetti in 3D segue Da pagina 33 Cosa si può stampare La strada più semplice, o comunque la prima da provare, è quella di cercare un modello 3D in formato SLT da stampare. Esistono alcuni siti che offrono modelli a pagamento (belli) e siti che offrono modelli gratis (un po’ meno belli) ma è chiaro che i contenuti pronti da stampare con una stampante 3D sono una percentuale microscopica rispetto ai contenuti tradizionali. Se per la stampa 2D ci sono editor di testo, macchine fotografiche e strumenti per creare contenuti, con la stampa 3D i contenuti si possono creare (sempre che non si voglia acquistare uno scanner 3D) utilizzando software di modellazione 3D e CAD. Questo è forse l’aspetto che la maggior parte delle persone che approcciano alla stampa 3D ignora: non è la stampante l’ostacolo, ma la modellazione 3D che ha una curva di apprendimento davvero molto ripida. Utilizzare alcuni software facili per fare piccole cose non è difficile (abbiamo provato anche noi a generare qualche “mostro”) ma per creare oggetti complessi o, ancora peggio, per ricreare un qualcosa che si è rotto o un piccolo ricambio plastico serve un professionista. Tra i programmi “facili” che è possibile utilizzare ci sono Tinkercad e Autodesk 123D, e sono proprio i due che abbiamo provato a usare noi senza però riuscire a fare nulla di davvero affascinante (r2D2 lo abbiamo scaricato già fatto). Non è un gioco e non è “consumer” Acquistare una stampante 3D oggi senza un obiettivo ben preciso è una chiara perdita di soldi: tolte le poche cose ‘free’ da stampare per sfizio, se l’obiettivo è fare qualcosa di particolare si deve studiare modellazione 3D investendo moltissime ore. La stampa 3D è perfetta per le aziende (che comunque hanno dei professionisti addestrati a usarla) che devono realizzare prototipi e per artigiani digitali che hanno bisogno di pezzi “custom”. Tutte applicazioni che, fatta eccezione per i makers, toccano comunque ambiti professionali. torna al sommario Le stampe eseguite vanno ripulite. Per stampare bisogna considerare diversi fattori anche in fase di creazione del modello: il nostro bicchiere a destra è un esempio di cosa da non fare: troppi dettagli sottili e troppo peso sullo stelo hanno reso le lettere illeggibili. Riguardo all’hobbistica valgono i limiti detti sopra: anche per realizzare un piccolo oggetto che serve una conoscenza approfondita dei programmi, e a questo punto resta più conveniente mandare a stampare un oggetto piuttosto che stamparlo in casa acquistando stampante e materiali. Anche perché, è bene ricordarlo, l’esplosione della stampa 3D sta portando anno dopo anno al miglioramento delle stampanti facendo arrivare anche i primi modelli capaci di gestire più colori (più fili), materiali particolari e con risoluzioni di stampa elevate. In futuro le cose potrebbero cambiare, ma ci vorrà davvero tanto tempo: sensori come Kinect o Intel RealSense permettono già la scansione di oggetti ma il risultato è una base che deve comunque essere lavorata, solo con una migliore precisione di questi strumenti sarà possibile fotocopiare un pezzo di cui abbiamo bisogno. La distanza tra ugello e la base di stampa deve essere di un foglio di carta. n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE TEST In prova la bridge super zoom di Panasonic, con un maxi sensore da un pollice e ottime caratteristiche. Unico neo, il prezzo Panasonic Lumix FZ1000: ambizioni Ultra HD La versatile bridge di Panasonic è dotata di ottica zoom 16x fino a 400 mm e può riprendere video anche in Ultra HD di Paolo CENTOFANTI anasonic non è nuova a esplorare il segmento delle fotocamere bridge, una volta si sarebbe detto appunto il ponte tra le point&shoot e le reflex. Ma con l’avvento delle fotocamere mirrorless a lenti intercambiabili, il ruolo delle bridge si è notevolmente ridimensionato, con sempre più macchine di questo tipo specializzate più che altro nell’offrire obiettivi mega zoom a prezzi molto convenienti. La FZ1000 di Panasonic è un prodotto un po’ particolare, un po’ per il costo e le dimensioni, che la portano a rivaleggiare per ingombro ed ergonomia con le reflex tradizionali, e poi perché Panasonic l’ha spinta soprattutto come la fotocamera bridge capace di riprendere anche video in formato 4K e a tutt’oggi rimane una delle poche fotocamere a offrire questa possibilità, nonché la prima ad essere stata annunciata. Oltre a poter contare su un’ottica piuttosto luminosa per il segmento (F2,8 di apertura massima a 25 mm, equivalente a circa un F7,7 in termini di profondità di campo), la FZ1000 integra anche lo stesso processore di immagine dell’acclamata GH4 e molte funzioni che ne fanno una macchina versatile e completa. P Tutto fuorché una bridge ordinaria Ultima discendente della gloriosa gamma Lumix FZ, la FZ1000 si pone come la bridge più evoluta di sempre di Panasonic e segna il ritorno a un sensore di grossa dimensione, un MOS da 20 Megapixel da 1 pollice in formato 3:2, là dove su questo tipo di macchina usualmente vengono utilizzati sensori ben più piccoli (unica eccezione la Sony RX10, la vera concorrente della Panasonic). L’ottica, come di consueto, è stata disegnata da Leica e realizzata da Panasonic ed è un obiettivo da 9,1 - 146 mm F2,8 - F4,0, che tenendo conto del fattore di crop del sensore è equivalente a uno zoom 25 - 400 mm, un range di focale dunque molto versatile, che copre praticamente la stragrande maggioranza di scenari di utilizzo, oltre naturalmente a offrire un signor tele. L’obiettivo, pur non offrendo un’apertura costante su tutta l’escursione dello zoom come sulla già citata RX10 di Sony, è comunque con ogni probabilità una delle principali caratteristiche che tiene alto il costo video lab 849,00 € Panasonic DMC-FZ1000 MOLTO PIÙ DI UNA BRIDGE, MA NON PUÒ SOSTITUIRE UNA BUONA MIRRORLESS La Lumix FZ1000 è un’ottima fotocamera bridge, ma non basta sicuramente questo per giustificare l’elevato prezzo di listino. Questo “di più” è ripagato dall’ottima qualità di ripresa video in Ultra HD e dalle buone caratteristiche dell’ottica Leica, che oltretutto offre una versatilità di non poco conto per chi non è molto convinto dall’idea di acquistare obiettivi per ogni occasione, come impone una mirroless o una reflex. La FZ1000 è poi una macchina che stupisce per reattività in generale per l’ottimo si sistema di messa a fuoco che non ci ha mai delusi, se non forse in modalità continua nella ripresa video. Come macchina “tutto in uno” è quasi unica sul mercato, fatta eccezione per una controproposta Sony che però non riprende video in Ultra HD. Per il classico utente da fotocamera bridge, la FZ1000 è forse addirittura di più di quello che cerca. Chi invece è disposto a spendere per una macchina dalle buone prestazioni e versatilità senza le complicazioni di una reflex o una mirrorless a lenti intercambiabili, troverà nella soluzione di Panasonic sicuramente un’ottima alternativa. A patto però di rinunciare alla resa in condizioni di luce critiche, in cui le mirrorless ormai sono in grado di eccellere quanto le reflex. 8.3 Qualità 8 Longevità 9 Ottime prestazioni foto/video COSA CI PIACE con buona luce Funzionalità e controlli completi Ottima ottica Design 8 Simplicità 8 D-Factor 9 Prezzo 8 Sopra i 1000 ISO le prestazioni calano velocemente COSA NON CI PIACE Manca un’uscita per le cuffie L’Ultra HD riduce non poco l’autonomia della batteria di questa macchina. L’obiettivo Leica DC Vario - Elmarit è composto da 15 elementi in 11 gruppi con 5 lenti sferiche e 4 lenti ED e ha una stazza che non passa inosservata, con un diametro filtro da 62 mm. Lo zoom è motorizzato con la ghiera sull’obiettivo che può essere configurata con un apposito selettore per regolare o il fuoco o la lunghezza focale, con un ulteriore controllo dello zoom presente in prossimità del tasto di scatto. L’ottica è inoltre stabilizzata con la capacità, dice Panasonic, di compensare i movimenti in cinque direzioni (ma solo per le foto). Il corpo macchina, complice la dimensione dell’ottica, è piuttosto grosso rispetto alle normali bridge e paragonabile più a quello di una fotocamera reflex APS-C o meglio ancora alla stessa GH4 di Panasonic. Anzi, il design è davvero molto simile a quello dell’ammiraglia Panasonic e salvo un paio di particolari non è neppure nemmeno così difficile scambiare una per l’altra. Anche il peso è di quelli che si fa sentire: ben 831 grammi. Il corpo della FZ1000 è in pla- stica con superficie “rugged” e inserti che simulano la pelle, ma il livello di costruzione e ottima e la macchina in mano trasmette tutto fuorché la sensazione di un giocattolo. Non è la solita bridge e lo si capisce subito. Anche la disposizione di tasti e connessioni è molto simile a quella della GH4. Il layout è praticamente lo stesso con le dovute semplificazioni naturalmente. Mancano un paio di tasti funzione dedicati e la rotella per regolare i parametri di scatto è una sola, ma la FZ1000 offre un controllo che raramente è possibile trovare su altre bridge. Prendiamo ad esempio i tasti multifunzione; come sulla GH4 questi sono infatti ben 5 e possono essere riassegnati dal menù di impostazione. Come sull’ammiraglia troviamo le due ghiere per la selezione della modalità di esposizione e scatto (singolo, raffica, bracketing, ecc.), il tasto dedicato di registrazione video, selettore di messa a fuoco con tasto di AF/AE Lock. Per segue a pagina 36 torna al sommario n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 TEST Panasonic Lumix FZ1000 in prova segue Da pagina 35 la regolazione dell’esposizione abbiamo una sola rotella che in modalità manuale controlla sia i tempi che l’apertura del diaframma: basta premere infatti la rotella per passare da un parametro di scatto all’altro. Il pad a crociera consente inoltre di accedere direttamente a bilanciamento del bianco, ISO, area di messa a fuoco e modalità macro. Niente male davvero. Altra caratteristica di rilievo è costituita dal mirino elettronico, in tecnologia OLED e con una risoluzione di 2,36 Megapixel, specifiche ancora una volta simili a quelle della GH4. A ciò si aggiunge il display LCD, completamente orientabile, che a nostro avviso sembra quasi sottodimensionato rispetto alla stazza della fotocamera, avendo una diagonale di appena 3 pollici, con risoluzione di 921.000 punti. La FZ1000 non è però dotata di funzionalità touchscreen. Arrivati fin qui delude un po’ trovare curiosamente una sola mancanza. Considerando che Panasonic ha spinto molto sul fatto che si tratta di una delle prime macchine in grado di riprendere video in 4K, spiace non trovare infatti un’uscita mini-jack per le cuffie, quasi indispensabile per alcuni tipi di utilizzo. Per il resto c’è quasi tutto: un ingresso per microfoni esterni, una slitta accessori compatibile con flash e microfoni, uscita micro HDMI, audio/video analogico, ingresso per telecomando a filo, WiFi con accoppiamento all’app per smartphone via NFC. Tanto in comune con l’ammiraglia GH4 Il layout e alcuni aspetti “morfologici” non sono gli unici punti in comune con la top di gamma di Panasonic. Per poter offrire la ripresa video in risoluzione Ultra HD, la FZ1000 ha bisogno di una notevole capacità di calcolo e così Panasonic ha optato anche in questo caso per il suo Venus Engine, processore specializzato a quattro core; non sappiamo quanto sia simile a quello della GH4, visto che Panasonic parla genericamente di versione riprogettata appositamente per la FZ1000. Sta di fatto che abbiamo la ripresa in 4K (con possibilità di scegliere solo tra un frame rate di 24 o 25p, niente 30p sulla versione “PAL”) con bitrate di 100 Mbit/s, ma anche accensione in meno di un secondo, scatti a raffica a 12 fps e il velocissimo sistema di messa a fuoco DFD o depth from defocus (solo per le foto). Questa tecnica funziona acquisendo due immagini in rapida successione nel momento in cui premiamo a metà MAGAZINE corsa il pulsante di scatto e quindi deducendo la distanza del soggetto dalla variazione della sua nitidezza. In questo modo, la velocità di aggancio del fuoco varia tra gli 0,09 secondi in grandangolo a 0,17 secondi in modalità tele e come tutte le più recenti mirrorless Panasonic anche l’autofocus della FZ1000 è in grado di lavorare in modo ottimale fino a -4EV. L’area di messa a fuoco lavora su un massimo di 49 punti, con possibilità di selezionare anche video video un’area singola grande a piacere, selezionabili con i tasti a crociera. La sensibilità ISO ha invece un range che va da 80 a 25600 in modalità estelab lab sa. Unico neo l’otturatore meccanico, che arriva “solo” Panasonic Lumix FZ1000 Panasonic Lumix FZ1000 Test Video 4K ( by night) fino a 1/4000 secondi, ma in Test Video 4K (daytime) modalità elettronica si spinge fino a 1/16000 secondi. La FZ1000 offre un set di reuna memoria da 8 GB. Da quello che abbiamo visto, il golazioni e funzionalità praticamente analogo a quello problema principale è però l’autonomia della batteria, delle ultime mirrorless micro quattro terzi di Panasonic, dato che in modalità Ultra HD si prosciuga piuttosto velocemente. Dopo una mezz’oretta di riprese, noi con lo stesso menù di impostazioni “a lista unica”, nel ci siamo trovati già con il simbolo della batteria lamsenso che troviamo praticamente un lungo menù scorrevole con tutte le funzioni principali. Tante le funzioni peggiante. La qualità di ripresa, in condizioni di buoevolute della FZ1000 che fanno parte del corredo delle na luminosità, è davvero ottima, sia per qualità della resa cromatica che per dinamica, specialmente con macchine di fascia alta di Panasonic. Troviamo infatti le modalità Cinelike. Due le criticità che abbiamo eviil processing RAW in camera e la possibilità in fase di scatto di scegliere tra diversi profili di immagine con denziato durante la nostra prova. La prima è la ridotta regolazione di contrasto, saturazione, riduzione del ruefficacia dello stabilizzatore di immagine sul video, il che obbliga a utilizzare un cavalletto bello stabile se more e nitidezza. C’è la regolazione di curve per alte si intende utilizzare la massima focale di 400 mm. In e basse luci per foto e video e poi tutta la suite di filtri secondo luogo, l’autofocus, se impostato in modalità creativi che include qualcosa come 22 stili diversi tra continua, perde il fuoco con troppa facilità, motivo per cui scegliere. I tasti funzione, come abbiamo già detto, il quale ci siamo trovati molto più a nostro agio con sono tutti assegnabili da menù per adattare ai propri quello singolo o ancora meglio manuale. Purtroppo gusti il controllo della fotocamera, con in più due banil display LCD è un po’ piccolo e nonostante l’aiuto di chi di memoria per le impostazioni preferiti assegnabili peaking e ingrandimento dell’area di messa a fuoco, alla ghiera delle modalità di scatto. Per quanto riguarda quando si è sul campo non è facilissimo effettuare il video in particolare, vale la pena menzionare anche regolazioni molto precise, che con l’Ultra HD sono i due profili di immagine dedicati, Cineike D e V, che praticamente d’obbligo per ottenere i risultati migliori, offrono una curva del gamma appositamente studiata visto che questa risoluzione non perdona errori. Detto per offrire un’ampia gamma dinamica e un look simile questo, la fotocamera è capace di offrire prestazioni a quella della pellicola. Ci sono funzioni molto utili per davvero interessanti e con una codifica praticamente il video come zebra e focus peaking, per aiutare nel priva di artefatti (vi consigliamo caldamente di scaricasetup corretto di esposizione e fuoco. re il video originale). Nel caso di riprese al buio le prestazioni decadono sensibilmente. Non solo il livello di dettaglio cala in modo anche vistoso (specie sopra i 1600 ISO), ma soprattutto La ripresa video è sicuramente uno degli aspetti più emerge un rumore di fondo che viene poi amplificato interessanti della FZ1000, questo per via naturalmenanche dalla compressione del segnale. Un vero peccate della possibilità di registrare anche in formato Ultra HD, per cui per una volta ci siamo focalizzati prima di to perché, vista la resa in condizioni di luce “normale”, ci aspettavamo davvero molto di più da questo punto tutto proprio sulle funzioni video. Con l’ultima versiodi vista. Qui sopra, un breve video (anche in questo ne del firmware, la FZ1000 può riprendere sia in 24p caso, per farvi un’idea migliore scaricate il video origiche in 25p, ma le impostazioni finiscono praticamente qui visto che c’è un solo preset di qualità disponibinale). Per quanto riguarda l’utilizzo come fotocamera le, 100 Mbit/s. Questo vuol dire che la scheda SD si riempie molto in fretta, circa 10 minuti di ripresa con Stupenda di giorno, un po’ meno di notte La differenza più grande rispetto alle “solite” fotocamere super zoom è data dalla dimensione del sensore MOS della FZ1000. segue a pagina 37 torna al sommario n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE FOTOGRAFIA Canon lancia le nuove 760D e 750D: saranno disponibili a partire dal mese di maggio a 760 e 820 euro Canon EOS 760D e 750D: sensore da 24 Mpixel e Wi-Fi Hanno sensore da 24 Mpixel, Wi-Fi e per il modello 760D anche video HDR e display superiore come i modelli top C di Roberto PEZZALI anon ha annunciato due nuove reflex per il segmento consumer, EOS 760D e EOS 750D. Due modelli sostanzialmente analoghi, con la 760D proiettata verso un pubblico leggermente più evoluto che predilige scattare in manuale servendosi di ghiere aggiuntive e del display LCD superiore, lo stesso che Canon usa sui modelli prosumer. Alla base delle due nuove reflex il sensore da 24.2 Megapixel con processore Digic 6, una dotazione di tutto rispetto per un prodotto che deve competere con l’offerta Nikon che da tempo spinge proprio sulla presenza di 24 Megapixel sul sensore. L’elemento CMOS realizzato completamente da zero ha una gamma ISO estesa da 100 a 12800 ISO e può contare su un nuovo sistema di messa a fuoco ibrido Hybrid CMOS AF III che unisce alla messa a fuoco a ricerca di contrasto anche un array di punti a ricerca di fase sulla superficie stessa del CMOS. Questa modalità funziona ovviamente in fase di ripresa video e live view, per lo scatto tradizionale c’è il sistema AF a 19 punti a croce adattabile ad ogni situazione. Canon ha inserito sui nuovi modelli anche la tecnologia di rilevamento del flickering, introdotta con EOS 7D Mark II, che fornisce sequenze di immagini sempre correttamente esposte sotto la luce fluorescente. Altri elementi comuni tra i due modelli lo schermo LCD basculante, Wi-Fi e NFC, mentre solo per la EOS 760D sono presenti nuove modalità creative, tra le quali il video HDR e nuovi effetti miniatura per simulare le ottiche decentrabili. EOS 760D e EOS 750D saranno disponibili da maggio 2015 rispettivamente al prezzo indicativo suggerito al pubblico di 820 euro e 760 euro IVA inclusa. TEST Panasonic Lumix FZ1000 segue Da pagina 36 non possiamo che confermare innanzitutto la velocità dell’autofocus, davvero istantaneo in quasi tutte le condizioni di scatto e anche spingendo la focale al massimo. Anche in scene molto caotiche come quelle del video sopra, è stato possibile agganciare il soggetto letteralmente al volo e al massimo basta passare dalla modalità 49 zone ad aree via via più ridotte per trovare la giusta impostazione per la sessione del momento, mentre lo stabilizzatore fa finalmente il suo dovere. In questo scatto ad esempio il fuoco ha aggianciato senza problemi i volatili in linea in modo molto rapido, nonostante il diaframma alla massima apertura e una focale intorno ai 200 mm (meno bravo il fotografo, che ha tenuto un tempo di posa un po’ troppo alto per congelare il volo, ma questo è un altro discorso). Questo ci porta a parlare dei controlli, che in modalità manuale, con una sola ghiera a controllare tempi e diaframma, porta a essere un po’ lenti per situazione di scatto molto dinamiche come questa. Una soluzione è lasciare gli ISO in auto e giocare meno sui tempi o i diaframmi per essere più rapidi. Da notare che la funzione di ISO automatico non è disponibile in modalità video. Il motore JPEG è piuttosto buono già con le impostazioni di default e la riduzione del rumore in camera non intacca in modo significativo il dettaglio, se non un leggero appiattimento di qual- torna al sommario che sfumatura sulle ombre. La FZ1000 si distingue per l’elevato livello di dettaglio, garantito anche da quella che è in effetti un’ottima ottica, con aberrazioni limitate e un buon micro contrasto, anche al massimo ingrandimento. Purtroppo, come per il video, la resa è meno convincente in condizioni di scarsa luminosità e con ISO elevati (come nel primo degli scatti seguenti) dove, se il dettaglio più o meno regge, il rumore diventa davvero molto elevato. In generale, sia in modalità foto che video, l’immagine regge bene fino intorno a 1000 ISO, poi soprattutto con poca luce, comincia ad allargarsi il divario rispetto alla resa delle altre mirrorless di Panasonic (e di altri marchi). Resta il fatto che in tutte le altre situazioni, la FZ1000 riesce ad essere una signora fotocamera, non solo come già detto per la sua versatilità (che per molti utenti vuol dire anche praticità), ma appunto per la qualità di immagine che è capace di esprimere. I NOSTRI SCATTI DI PROVA clicca sulle immagini per l’ingrandimento n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 MAGAZINE TEST In prova la piattaforma ReadyNAS OS 6.2 di Netgear, con il sistema operativo aggiornato 6.2 che introduce diverse novità ReadyNAS 102 con OS 6.2, in prova il NAS per tutti Il modello entry level della gamma NAS di Netgear è un dual bay piccolo ed economico, ma non da sottovalutare di Paolo CENTOFANTI opo aver contribuito all’introduzione e alla diffusione dei NAS consumer, Netgear negli ultimi anni è rimasta un po’ indietro su questo fronte rispetto ad aziende come Synology e QNAP. La gamma ReadyNAS è rimasta un po’ troppo a lungo legata a una piattaforma software che, per quanto affidabile, ha cominciato a perdere in versatilità rispetto alla concorrenza. La risposta è arrivata con il nuovo ReadyNAD OS 6, sistema operativo decisamente più moderno e che lo scorso novembre è stato aggiornato alla versione 6.2 che introduce diverse novità. Ne abbiamo approfittato per dare uno sguardo al nuovo ReadyNAS OS, provandolo su quello che è il NAS più economico di Netgear, il ReadyNAS 102, che ha il pregio di trovarsi ormai a prezzi intorno ai 130 euro per la versione senza dischi. D video lab ReadyNAS OS 6.2, viva la semplicità Netgear ha avuto il coraggio di abbandonare completamente la vecchia piattaforma e di utilizzare un approccio completamente diverso, non solo da quanto fatto in passato, ma anche dalla strada seguita dalla concorrenza. Mentre NAS anche consumer di altri produttori ormai sono assimilabili a dei veri e propri PC, con degli ambienti di gestione che sembrano quasi dei sistemi operativi desktop, Netgear ha preferito semplificare al massimo l’interfaccia e utilizzo del NAS, senza però trascurare alcune delle funzioni più di moda oggi, come la sincronizzazione con il cloud. Fin dalla prima installazione tutto si controlla via web da browser, con pagine molto ariose, semplici e senza il bombardamento di informazioni e opzioni che tipicamente troviamo in altre soluzioni. La grafica è semplice e pulita e sembra di navigare tra le pagine di un servizio come Dropbox più che nella configurazione di un NAS (la stessa scelta dei colori probabilmente non è causale). Il readyNAS 102 ha spazio per due unità disco, configurabili in RAID 0, RAID 1 o X-RAID. Quest’ultima soluzione consente di espandere automaticamente il sistema senza dover effettuare un backup dell’intero contenuto del volume. Qualcuno potrebbe obiettare che Netgear forse abbia esagerato nel senso opposto questa volta e in effetti va detto che alcune sezioni (come il monitoraggio dello stato del sistema) sono forse fin troppo concise, ma è un’impostazione che ha anche il pregio di non spaventare chi si avvicina per la prima volta a questo tipo di prodotto, o comunque vuole qualcosa di semplice da gestire. La vista e la gestione delle cartelle condivise è piuttosto semplice a livello grafico, ma comun- La pagina principale di amministrazione è semplicissima que completa. È possibile naturalmente creare e piuttosto intuitiva. utenti e gruppi e assegnare permessi specifici per ogni condivisione, cartella o file. L’interfaccia è semplice, ma per le funzioni avanzate è comunque necessario quanto meno leggersi il manuale se non si è molto esperti nella gestione di questi aspetti. I protocolli supportati sono i soliti: SMB, AFP, NFS, Rsync, FTP, HTTP a cui si aggiungo DLNA, servizio che è già integrato a livello di sistema, e la condivisione iTunes per l’accesso alla libreria musicale tramite il player software di Apple e tutti i dispositivi compatibili. Con la versione 6.2 del sistema operativo, Netgear ha aggiunto anche la possibilità di creare degli account multipli per l’accesso alla gestione del NAS a cui corrisponde anche la creazione di una cartella home privata per ciascun utente e automaticamente visibile solo a lui. Questa funzionalità viene utilizzata ad esempio per creare molteplici backup Time Manchine da Anche la gestione di permessi, utenze e servizi si distinpiù Mac mantenendoli completamente invisibili gue per un’interfaccia semplice e intuitiva. da una macchina all’altra. La piattaforma ReadyNAS consente di creare anche unità LUN per l’utilizzo con sistemi iSCSI, funzione questa che su un prodotto consumer come quello in prova forse stona un po’. Da Per quanto riguarda la configurazione del volume, riinterfaccia di amministrazione è possibile anche sfomane quello che è sempre stato il fiore all’occhiello dei NAS Netgear, cioè la tecnologia X-RAID: si tratta di gliare in stile Dropbox le cartelle disponibili sul NAS e caricare file sul server in drag and drop attraverso la finestra del browser. RAID e protezione dei dati segue a pagina 39 torna al sommario n.105 / 15 9 FEBBRAIO 2015 TEST Netgear ReadyNAS 102 con OS 6.2 segue Da pagina 38 una configurazione RAID proprietaria auto-espandibile, che permette di aggiungere nuovi dischi o hard disk più grandi in un secondo momento per aumentare lo spazio disponibile, senza dover riformattare il sistema. Nel caso del NAS in prova, che è a due bay, il sistema equivale a una configurazione RAID 1. Alternativamente è possibile optare per le classiche modalità RAID 0 (senza ridondanza) o RAID 1 e sui NAS con più di due dischi la piattaforma supporta anche RAID 5, 6 e 1+0. Novità introdotta in ReadyNAS OS 6 è la possibilità di creare delle snapshot delle varie cartelle presenti sul proprio volume. Le snapshot non sono un vero e proprio backup, nel senso che se un disco si guasta i dati sono persi in ogni caso, ma permettono di salvare lo stato di una cartella e del loro contenuto in un’altra zona del disco, in modo tale da poterlo ripristinare nel caso di cancellazione erronea dei file in essa contenuti. Il sistema di snapshot è incrementale e nel caso di esaurimento dello spazio assegnato il sistema cancella automaticamente le versioni più vecchie. Per quanto riguarda il vero e proprio backup aggiuntivo dei dati, è possibile creare dei task programmati per effettuare la copia da cartelle locali verso una periferica USB o eSATA connessa fisicamente al NAS, oppure verso un ulteriore NAS o altra unità di rete presente sulla rete locale. È possibile creare anche dei job inversi, cioè da un PC connesso alla rete locale, oppure da dischi esterni collegati al NAS, verso il volume interno. Anche in questo caso l’interfaccia è semplice e intuitiva e permette di creare in modo rapido dei task molto efficaci. Add-on e servizi cloud più un antivirus integrato La possibilità di aggiungere componenti aggiuntivi era già presente sulla vecchia piattaforma, ma come impone la moda si parla ormai di app anche per i NAS. Attualmente l’ecosistema di Netgear non è così florido come quello della concorrenza, ma comunque non mancano add-on interessanti. Sul fronte multimediale ci sono i server Plex e TVMobili, CMS come Wordpress, Jumla e Drupal, diversi client P2P tra cui Transmission e CouchPotato. Già integrate nel MAGAZINE sistema operativo ci sono poi un antivirus e alcune funzionalità cloud. Innanzitutto è possibile sincronizzare una condivisione sul NAS con il proprio account Dropbox. Si tratta di una funzione utile per effettuare un ulteriore backup dei propri dati dal NAS al servizio cloud, ma ha il limite nell’attuale implementazione di supportare una sola cartella condivisa. Sempre parlando di backup nel cloud c’è il servizio di Netgear ReadyNAS Vault, con diversi piani di abbonamento a seconda dello spazio cloud che si vuole utilizzare (50 GB costano circa 5 dollari al mese). C’è poi il servizio ReadyCLOUD che, senza dover armeggiare con le impostazioni del proprio router/firewall, consente di accedere ai propri file anche dall’esterno della propria rete domestica. Il sistema è davvero molto semplice: basta creare un account, processo che registra automaticamente anche il propio NAS, e il gioco è fatto. Il servizio comprende app per iOS e Android per l’accesso anche da smartphone e tablet, app però che ci sono sembrate fin troppo basiche. Attivando ReadyCLOUD diventa disponibile anche la funzione ReadyDROP, che tramite il programma ReadyNAS Remote per PC e Mac consente di sincronizzare il contenuto di cartelle su computer remoti sul proprio NAS, anche al di fuori della propria rete domestica. Un NAS economico, versatile e ragionevolmente veloce Fin qui abbiamo visto com’è la nuova piattaforma ReadyNAS OS 6.2. L’hardware sul quale l’abbiamo provato è il modello entry level di Netgear, NAS due a bay basato su processore ARM Marvell Armada 370 a 1.2GHz con 512 MB di RAM. Hardware non particolarmente potente dunque (niente transcodifica in real time con Plex ad esempio), ma in grado fare adeguatamente il suo lavoro come abbiamo potuto verificare. Il piccolo NAS è costruito interamente in metallo e ha un ingombro e dimensioni molto simili a quelli del vecchio ReadyNAS Duo di Netgear. Sul retro troviamo due porte USB 3 e un ingresso eSATA per unità disco esterno, oltre naturalmente la porta gigabit ethernet. Sul frontale, oltre ai classici LED di stato, troviamo un’altra porta USB 3 e il tasto backup la cui azione può essere configurata dalla pagina di amministrazione selezionando uno dei job programmati. Il È possibile utilizzare il NAS per il backup automatico dei dati di PC condivisi in rete, oppure, al contrario, aggiungere un ulteriore livello di protezione salvando periodicamente i dati del NAS su altre unità esterne. torna al sommario piccolo NAS si è comportato piuttosto bene durante la nostra prova, con un funzionamento stabile e una buona reattività anche sotto carico: con connettività gigabit ethernet non abbiamo evidenziato particolari rallentamenti nell’interfaccia utente durante il trasferimento di file o lo streaming di contenuti multimediali. Le prestazioni, in termini di velocità di scrittura, sono soddisfacenti per la classe del dispositivo, intorno ai 50 MB/s sulla nostra rete, e in lettura abbiamo riprodotto anche flussi video multipli senza mai incorrere in interruzioni: è più facile saturare la banda di un router domestico senza switch gigabit che il throughput del NAS del resto. La silenziosità del NAS dipende molto dai dischi installati dentro, ma la nuova ventola, disegnata per girare a regimi piuttosto bassi, è sufficientemente silenziosa e può essere udita solo se l’ambiente è davvero tranquillo. In definitiva la nuova piattaforma Netgear ci è piaciuta molto. È vero che non è così completa come quelle di Synology o QNAP, ma ha il vantaggio di essere anche molto più semplice e intuitiva, senza essere appesantita da tantissime funzionalità che però all’utente consumer non serviranno mai. Aggiungiamoci un hardware dal buon rapporto qualità/prezzo e otteniamo un “pacchetto” che può essere sicuramente un ottimo punto di partenza per chi è alla ricerca del suo primo NAS. Anche i NAS ormai non possono più fare a meno delle app.
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