vitaospedaliera vitaospedaliera - Provincia Romana Fatebenefratelli

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VITAOSPEDALIERA
Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana
POSTE ITALIANE S.p.A. - SPED. IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, Comma 2 - DCB ROMA
ANNO LXIX - N° 09
SETTEMBRE 2014
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EDITORIALE
S O M M A R I O
RUBRICHE
4
Un nuovo libro di fra Elia
5
Problemi etici e bioetici
nella crisi contemporanea
6
Etnocultura e bisogni di salute
dei bambini
7
The neck femoral fracture team:
significato e ruolo
8
Le principali malattie urologiche
non oncologiche dell’uomo anziano
9
Melograno d’affetto
10
Già approntata alla fine del XIX secolo
una lunga lista dei microbi
XLVI – ...ma trascorrerà altro mezzo secolo,
prima di vincere la relativa battaglia;
il postulato di Koch
11
Schegge Giandidiane N. 45b
Fulgide vite di due perdonati:
Antonio Martín e Pietro Velasco
15
Un nuovo amico in cielo
16-17
A.F.Ma.L.:
Una giornata importante
DALLE NOSTRE CASE
18
Istituto San Giovanni di Dio - Genzano
In ricordo di fra Antonio Fedele
19
Ospedale Sacro Cuore
di Gesù - Benevento
Il Counseling psicologico come supporto
professionale e personale agli operatori sanitari
20-21
Ospedale San Pietro - Roma
Inaugurazione della nuova risonanza magnetica
nucleare allʼOspedale San Pietro Roma
22
Ospedale Buccheri La Ferla - Palermo
La gestione delle emergenze emorragiche
23
Newsletter - Filippine
VITA OSPEDALIERA
Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana
ANNO LXIX
Sped.abb.postale Gr. III-70%- Reg.Trib. Roma: n. 537/2000 del 13/12/2000
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Mariangela Roccu, Maria Pinto, Raffaele Sinno,
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Di Camillo
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Sostenitore 26,00 Euro
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Finito di stampare: settembre 2014
In copertina: Padre Gabriele Russotto ringraziando
Paolo VI per il decreto del 12 giugno 1978 con cui
proclamò Venerabile fra Riccardo Pampuri.
LA FUGA
IN EGITTO
L
eggendo dell’incessante flusso di
gruppi in fuga dagli inumani conflitti africani e che spesso incontrano una morte tragica nel tentativo di
traversare il Mediterraneo con natanti inadeguati, siamo grati a Papa Francesco che ci
ha ricordato con fermezza l’obbligo cristiano di essere ospitali con i migranti, superando ogni prevenzione o pregiudizio e passando con coraggio da una cultura dello
scarto a una cultura dell’incontro e dell’accoglienza; ma gli siamo anche grati che, nel
Messaggio che quest’anno ha rivolto a tutti noi in occasione della Giornata Mondiale
del Migrante e del Rifugiato, abbia aggiunto una parola di conforto per i migranti di
fede cristiana, invitandoli a “non perdere la speranza, riflettendo a come anche la Santa Famiglia di Nazaret abbia vissuto l’esperienza del rifiuto all’inizio del suo cammino: Maria «diede alla luce il suo primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7). Anzi, Gesù, Maria e
Giuseppe hanno sperimentato che cosa significhi lasciare la propria terra ed essere
migranti: minacciati dalla sete di potere di Erode, furono costretti a fuggire e a rifugiarsi in Egitto (cfr Mt 2,13-14). Ma il cuore materno di Maria e il cuore premuroso
di Giuseppe, custode della Santa Famiglia, hanno conservato sempre la fiducia che
Dio mai abbandona. Per la loro intercessione, sia sempre salda nel cuore del migrante e del rifugiato questa stessa certezza”.
Questo invito ai migranti cristiani di riflettere sulla fuga della Madonna in Egitto e di
confidare in Lei per una felice conclusione del viaggio, fa tornare alla mente un episodio accaduto a Firenze. Una donna costretta a fuggire di città per la peste, promise un voto alla Madonna perché la facesse tornare salva. Fu esaudita e sciolse il suo voto pagando 10 scudi nel 1525 ad Andrea del Sarto perché affrescasse, in una lunetta del Chiostro
della Basilica dell’Annunziata, la fuga in Egitto: l’opera - che divenne nota come Madonna del sacco perché mostra una sosta nella fuga, con san Giuseppe appoggiato al sacco da viaggio e leggendo la Bibbia per conforto -, fu da tutti considerata un capolavoro,
specie dal grande Tiziano, che non si stancava mai di elogiarla. Molti per secoli ne vollero avere copie, specie a Firenze, e tra questi anche il Priore del nostro Ospedale in Borgo Ognissanti che, quando nel 1780 iniziò la decorazione del Chiostro, in una lunetta fece posto a una fedele copia su tela, acquistata per 12 zecchini ed eseguita nel 1732 durante una sosta a Firenze dal pittore Sebastiano Conca, allora assai celebre e di cui ricorre
giusto il primo di questo mese il 250° anniversario della morte. Poiché sia l’affresco originale, sia la tela del Conca, trovandosi in chiostri esposti alle intemperie, si sono assai
deteriorati, riproduciamo qui una nitida copia su tela, eseguita nel 1775 da Irene Parenti
Duclos per il Granduca di Firenze.
Chi oggi visiti il Chiostro di questo nostro antico Ospedale, noterà come tutti gli affreschi riguardino la vita di San Giovanni di Dio e dei suoi frati, sicché si chiederà perché in
una lunetta del Chiostro sia dipinta la Madonna del sacco e magari ipotizzerà che sia solo
per l’orgoglio dei fiorentini di vivere in quella che è nota come Città d’Arte, grazie ai tanti capolavori che l’adornano e di cui, quando possibile, amano avere copie in casa. In realtà, anche se gli storici indicano il nostro Santo come il fondatore dell’Ospedale moderno,
la sua concezione dell’Ospedale era molto più inclusiva di quella moderna e prevedeva anche una zona di accoglienza per i migranti. Non a caso, l’Ospedale iniziale che aprì a Granada nel 1539 non lo chiamò Ospedale, ma Casa di Dio, volendo con tale espressione significare che era destinato a chiunque fosse in stato di bisogno, cioè non solo chi necessitava di cure mediche, ma anche chi necessitava di cibo o di indumenti o di un rifugio per
la notte, poiché Dio è misticamente presente in ogni tipo di bisognoso e accetta come offerto a Lui, quanto offriamo a essi. È proprio in tale visione che, ad esempio, nel nostro
Ospedale Generale di Palermo funziona già da anni un Servizio di accoglienza per immigrati e si spera d’inaugurare entro l’anno una più capiente e attrezzata palazzina dove ospitare durante la notte i senza tetto. Meriterà dipingere anche lì una Madonna del sacco!
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CHIESA E SALUTE
UN NUOVO LIBRO DI FRA ELIA
“Si avvisano i lettori che da questo numero sarà pubblicato nella rivista l’intero testo di questo nuovo libro di fra Elia Tripaldi “Ospitare Dio, Ospitare l’uomo”.
Salvino Leone
L
’ospitalità, prima ancora di essere
concettualmente identificata dal
pensiero greco come specifica virtù morale, collegata essenzialmente con
la virtù cardinale della giustizia, era di fatto considerata come intrinseca doverosità
etica, soprattutto nell’area semitica e
presso le culture nomadi. È il punto di partenza di questo interessante libro di fra
Elia Tripaldi. In esso l’autore cerca di offrirci in una ragionevole sintesi il percorso storico, etico, antropologico e teologico dell’hospitalis sfociando ovviamente
(e non potrebbe essere diversamente data
la sua specifica appartenenza) al carisma
ospedaliero di san Giovanni di Dio e dei
Fatebenefratelli.
Nelle culture antiche, in mondi intessuti di precarietà esistenziale, accogliere
l’altro diventava per certi versi l’unica certezza e la base della stessa convivenza
umana. Sta in questo la considerazione
persino “sacra” dell’ospite presso i Greci.
Alcune interessanti tracce semantiche di
tale antica attitudine sono sopravvissute
fino a oggi, almeno nelle lingue neolatine,
che alla cultura greca sono riconducibili.
Come evidenzia fra Elia nel suo testo la
prima riguarda la duplice valenza che assume la parola ospite che ha significato sia
attivo che passivo. “Ospite”, infatti, è sia
chi ospita sia chi viene ospitato. È un interessante segno di reciprocità che la traccia
terminologica rivela in quanto, in effetti,
l’ospitalità è virtù reciproca che stabilisce
un nuovo legame tra due o più persone, una
nuova rete di relazionalità.
La seconda traccia consiste nella derivazione del termine ospite (in latino hospes)
dalla comune radice di hostis che significa
nemico. È il segno, cioè, di una comune
estraneità e “ostilità” di partenza, la percezione dell’altro come minaccia al sé che però, nell’ospitalità, viene radicalmente tra-
4
sformata in amicizia: l’ostis diventa hospes.Tutto questo non poteva che trovare
una facile presa nel Cristianesimo sia per la
sua originaria contestualizzazione semitica
sia per il successivo confronto con la cultura ellenistica. Per di più non si trattava solo
di recepire e rileggere un orizzonte culturale ma di richiamarsi direttamente alla Parola di Dio. Gesù, infatti, elenca esplicitamente tra i criteri che saranno alla base del
giudizio escatologico quello dell’ospitalità
(“…ero forestiero e mi avete ospitato”Mt
25, 35). Gli faranno eco gli scritti neotestamentari che esorteranno all’ospitalità ormai
chiaramente percepita come virtù morale
(Rm 12, 13; 1 Tm, 5, 10; Eb 13, 2; Gc 2, 25;
1 Pt 4, 9). Sulla base di questi presupposti,
in epoca patristica, comincerà a prendere
corpo una codificazione delle “opere di misericordia” che, durante il Medioevo e soprattutto nei catechismi della Controriforma, verranno definitivamente fissate nel
classico duplice “settenario” (opere di misericordia corporale e spirituale). Nella lettura che ne fa san Tommaso la virtù dell’ospitalità viene inserita nell’ambito dell’elemosina (quest’ultima riconducibile alla sua
radice etimologica che, appunto, si richiama alla misericordia) per ciò che concerne
ELIA TRIPALDI
O
spitare Dio,
O
spitare l’uomo
Ospitalità nel mito, nella storia, nel carisma
Pubblicazioni dell'Istituto di Studi Bioetici "Salvatore Privitera"
specificamente l’habitaculum (S. Th. Q 32,
a2, n.4). Non si tratta, cioè, di un semplice
atteggiamento interiore nei confronti dell’altro ma nella concretezza di un’accoglienza che si fa struttura fisica di alloggio.
Questo, da un lato, pone le premsse in ordine al passaggio dall’ospitalità individuale a quella istituzionale, dall’altro costituisce un importante riferimento fondativo per
le opere dell’Ordine ospedaliero la cui ragion d’essere non può prescindere da questa dimensione socio-istituzionale dell’ospitalità. Ed è per questo che fra Elia collega intelligentemente la “storia culturale”
dell’ospitalità, se così possiamo definirla,
all’ospitalità come carisma specifico dell’Ordine ospedaliero di san Giovanni di
Dio. Questa poi, oltre che carisma fondativo diventa mission, come si ama dire oggi.
Come tale deve essere condivisa non solo
dall’Ordine ma da tutti coloro che partecipano alla sua operatività: dipendenti, collaboratori, volontari, benefattori, ecc. Non a
caso, quando mi è stato chiesto di scrivere
questa Presentazione ho accettato ben volentieri, non solo e non tanto come direttore della collana editoriale ma proprio come,
ormai quasi trentennale, collaboratore dei
Fatebenefratelli con i quali ho lavorato sia
a livello “locale” che nell’ambito della Curia generalizia. Come tale, pienamente investito dalla realtà di un carisma che, come
ci insegna la Chiesa, è per sua natura expansivus sui cioè si incarna in tutte le persone che, a vario titolo, ne partecipano.
Proprio per questo il libro non si pone come semplice e dotto saggio storico quanto
piuttosto come testimonianza carismatica
che, nel suo breve invito conclusivo, apre
le porte verso un orizzonte futuro in cui il
carisma dell’ospitalità, forte delle sue radici storiche e della sua testimonianza esistenziale nei Fatebenefratelli, possa continuare a esprimersi nei modi e nelle forme
in cui lo Spirito, che lo ha suscitato, vorrà
manifestarlo.
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BIOETICA
PROBLEMI ETICI E BIOETICI
NELLA CRISI CONTEMPORANEA
Raffaele Sinno
N
el nostro tempo assistiamo a una
crisi sistemica difficilmente definibile e interpretabile che sta investendo tutte le attività umane in un clima crescente d’instabilità economica, politica, sociale, tanto che gli antropologi
parlano apertamente di periodo di crisi
globale. Le motivazioni che hanno condotto a tale situazione sono complesse e
di tipo concentrico.
Le difficoltà economiche, con un cambiamento mondiale delle politiche di produzione e commercializzazione dei prodotti, hanno ampliato la crisi d’identità
sociale con la perdita di autonomia e libertà a causa di una tecnocrazia sempre
più invadente. Il sistema antropologico è
diventato “indeterminato“, e le stesse
strutture umane sono passate dalla fase
della dinamicità a quella dell’imprevedibilità. Tutto rapidamente cambia, si rinnova, spesso senza una programmazione
apparente, ogni cosa diventa precaria, insicura, l’intera struttura umana è in crisi.
Nelle coscienze si sedimentano esperienze negative che generano ansie, apprensione per il futuro, un senso d’impotenza
che rende ognuno vulnerabile, fragile,
con tendenza alle nevrosi egocentriche e
l’instaurarsi di modelli pessimistici che
propongono soluzioni che risultano peggiori della stessa crisi.
La disoccupazione dilagante genera
inoltre solitudine con perdita dell’autostima generazionale, ciò indebolisce una salute mentale e fisica sempre più precaria,
con la conseguenza di isolarsi in una vita
privata autoreferenziale che non accetta
più il confronto con gli altri. Tali aspetti
coinvolgono direttamente la filosofia delle politiche economiche e sociali, investendo la programmazione globale del futuro di tutta l’umanità. Un’economia priva di norme etiche, la dilagante massificazione consumistica dei modelli comportamentali, le derive ideologiche, una
scienza che si è trasformata in tecno-
scienza, hanno contribuito a una progressiva perdita dei valori fondamentali nella
vita. Per questi motivi una diretta conseguenza della crisi globale è stata lo smarrimento delle coscienze, il dilagare di una
cultura del pessimismo, l’instaurarsi di
una precarietà strutturale. La stessa organizzazione mondiale del lavoro (I.L.O.
Agenzia dell’Onu) ha brillantemente
evidenziato queste interdipendenze dichiarando che: “Le forme di occupazione
sono molto cambiate in questi ultimi decenni, comportando anche la genesi di
nuovi rischi per tutti i lavoratori e per la
popolazione in generale.
Le riorganizzazioni aziendali, le riduzioni del personale, le delocalizzazioni, la
concorrenza sfrenata senza limiti o misure etiche di controllo, le riduzioni immotivate in molti casi del personale, hanno
reso più difficile ottenere un sano equilibrio tra lavoro e vita privata, tra esigenze
personali e quelle collettive. Insieme ad
altri fattori, queste variazioni hanno causato un aumento enorme dello stress da lavoro e per il lavoro, con diversi disturbi
psicologici, in un periodo che non può essere solo definito di crisi economica”1.
Per affrontare con successo queste problematiche è opportuno rimodellare le necessità e i bisogni umani, modificando i
falsi archetipi che hanno retto le nostre
scelte nelle società contemporanee. Si
tratta di preferire scelte che siano più consapevoli con il mutare dei tempi, in modo
particolare sfatare l’idea che solo l’individualismo capitalistico o la massificazione collettivista possano essere le soluzioni ai problemi della postmodernità.
La crisi, come ha affermato di recente
Papa Francesco, “non è solo finanziaria
ed economica, ma affonda le radici in una
crisi etica e antropologica che mette gli
idoli del potere, del profitto, del denaro,
al di sopra del valore della persona umana, dimenticando che prima degli affari e
della logica dei parametri del mercato, c’è
l’essere umano che per la sua dignità deve poter ben vivere dignitosamente“2. Di
fronte a tale declino antropologico è necessario ripensare i modelli di organizzazione della vita individuale e collettiva, in
modo che il profitto non sia l’unico strumento d’azione. La dimensione della crisi inoltre non trasmette solo concetti negativi del pericolo, piuttosto propone anche nuove possibilità, in modo che il futuro preveda la costruzione di una nuova
stagione di solidarietà, in cui “l’uomo non
sia oggetto di manipolazione, ma divenga
consapevolmente responsabile del suo
ruolo nel creato”3.
Tenendo presente queste premesse il
mercato globale potrà svolgere una sua
precisa funzione, a condizione che i suoi fini siano conformi ai valori del benessere
dell’intera società umana. Il mercato non
può trovare in se stesso il principio della
propria legittimazione. Spetta alla coscienza individuale e alla responsabilità
pubblica stabilire un giusto rapporto tra
mezzi e fini. Se il libero mercato diventa
funzionale al bene integrale dell’uomo,
può considerarsi legittimo, mentre l’inversione tra mezzi e fini può farlo degenerare
in un’istituzione disumana e alienante, con
ripercussioni incontrollabili4.
_________________
International Labour Office, Word of
Work Report 2010, in www. Ilo.org/
wordlwork_2010.pdf
2
Papa Francesco, Incontro Internazionale con la Fondazione Centesimus Annus.
Convegno “Rethinking Solidarity for
Employment: The Challenges of Twenty
First Century”, Roma 25 marzo 2013
3
R. Sinno, Corso di Bioetica, Bari 2014
4
Compendio della Dottrina Sociale della
Chiesa n.348
1
5
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SANITÀ
ETNOCULTURA E BISOGNI DI
SALUTE DEI BAMBINI
“Il neonato umano ha molte più competenze emotive e conoscitive di quanto si pensasse in passato. Gli studi moderni attestano infatti che i neonati umani vengono al mondo preparati
a percepire eventi dell’ambiente circostante, a seguire movimenti con carattere di intenzionalità, a mantenere rapporti
emotivi e motivati con persone e oggetti”( F. Baldissera).
Mariangela Roccu
A
pprendere nelle diverse culture, i
diversi modi attraverso i quali
avviene il processo di inculturazione che permette agli esseri umani di
appartenere a una cultura o a una società,
rappresenta un settore fondamentale nell’infermieristica transculturale.
Ogni individuo nasce in un contesto
culturale di cui resta intriso e di cui egli
stesso è un prodotto della cultura in ragione delle concezioni possedute e tramandate attraverso la sua nascita, il suo
sviluppo, la sua educazione.
Il processo di inculturazione varia tra le
culture occidentali e quelle orientali nelle pratiche che si compiono nel corso della vita, nel modo in cui gli esseri umani
vengono allevati e nel modo in cui questi
si sviluppano. Gli studi delle culture non
occidentali evidenziano importanti differenze e nuove informazioni relative a modelli e processi legati durante la vita. Nel
corso della crescita, infatti, il bambino non
sarà uno spettatore passivo, ma parteciperà attivamente alla sua cultura e contribuirà ai processi di revisione, modifica e cambiamento in risposta alle necessità dell’ambiente, poiché la relazione personacontesto è caratterizzata da dimensioni di
interdipendenza e di reciprocità.
L’azione della cultura sullo sviluppo
del bambino si attua soprattutto attraverso le modalità di allevamento e di cura da
parte dei suoi genitori che esercitano
un’influenza significativa sullo sviluppo
non solo fisico, ma anche cognitivo, linguistico, emotivo e sociale.
6
Queste caratteristiche, fortemente correlate alla salute, a causa dell’aumento demografico dei minori stranieri immigrati
in gran parte dei paesi industrializzati, sono stravolte e l’azione culturale di provenienza dei genitori unita alle difficoltà linguistiche, economiche e di integrazione,
sono spesso causa di impedimento della
promozione e dello sviluppo fisico e psichico nel bambino.
Le suddette considerazioni mettono in
evidenza le differenti condizioni sociali
tra i bambini stranieri che possono influenzare negativamente la loro salute,
benché diversi studi non mostrino differenze sostanziali nei loro bisogni di assistenza: i profili epidemiologici ricalcano
sostanzialmente quelli dei loro coetanei
dei paesi ospitanti.
Relativamente al nostro Paese, anche in
altri ambiti della pediatria i dati epidemiologici di bambini stranieri e italiani
sono pressoché sovrapponibili (es. endocrinopatie, intolleranze alimentari). Alcune diversità riguardano i casi di rachitismo che appaiono legati a condizioni di
vita difficile: scarsa esposizione ai raggi
solari, allattamento da mamme a loro volta poco esposte ai raggi solari. Un’ulteriore diversità rispetto ai bambini autoctoni riguarda la prevalenza di patologie di
tipo traumatico tra i piccoli stranieri, descritta e spiegata, con le condizioni abitative disagevoli, in particolare con il fatto
di non essere sorvegliati a sufficienza da
parte degli adulti a causa dell’assenza per
lavoro da parte dei genitori e senza un’adeguata presenza adulta per sorvegliarli.
Una delle cause di tale situazione può
essere individuata nella modifica del modello che l’etnopediatria definisce ad alto contatto, modello più diffuso nella storia dell’umanità, determinato dalle cure
parentali, sostituito in tempi recenti nel
mondo occidentale, da quello a basso
contatto.
Il metodo a basso contatto nasce da necessità pratiche, non misurate sui bisogni
del bambino, ma su necessità socio-economiche e si basa su motivazioni ideologiche (opportunità di indurre rapidamente una presunta autonomia del piccolo).
È bene, quindi, prendere in considerazione i fattori sicuri per lo sviluppo del
bambino, perché basati su dati scientifici
evidenti; agire in modo da armonizzare le
diverse conoscenze nei vari metodi, modulandoli nel rispetto e nello scambio delle alterità.
Per quanto concerne la promozione e la
prevenzione della salute soprattutto nei
neonati e nei bambini, possono verificarsi problemi etici e morali molto seri se il
personale sanitario formula ipotesi o
prende decisioni basate su pratiche concepite per le persone occidentali e non
compatibili con le altre culture.
Anche se gran parte della medicina preventiva non è conosciuta dai genitori immigrati, perché provenienti da paesi dove
la prevenzione non esiste, tutte le culture
prevedono norme considerate salutari, in
grado di promuovere la crescita e il benessere dei bambini. Tutto ciò potrebbe
costituire per tutti gli operatori sanitari,
una preziosa occasione di apprendimento
di qualcosa di nuovo e di utile alle nuove
generazioni.
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SANITÀ
THE NECK FEMORAL FRACTURE TEAM:
SIGNIFICATO E RUOLO
Antonio Piscopo
G
li autcomes della chirurgia nelle
fratture dell’estremo prossimale
del femore nell’anziano valutano
essenzialmente due parametri: sopravvivenza entro il primo anno e ripristino funzionale.
Correlando i parametri prima citati con
il timing della chirurgia, dalla letteratura
si evince che un ritardo maggiore di 48 ore
dall’intervento conduce a un incremento
della mortalità entro il primo anno rispetto a quelli trattati entro le 48 ore; inoltre il
ritorno a una autonomia nelle attività della vita quotidiana nel postoperatorio è più
precoce e probabile in un paziente operato precocemente (entro le 48 ore) e diviene sempre meno veloce e probabile con il
procrastinare di più giorni la chirurgia.
Ma quali sono le cause che spesso conducono a ritardare la chirurgia oltre le 48 ore?
Due ordini di categorie vengono frequentemente individuate:
1) cause legate a motivi di ordine medico e quindi legate allo stato clinico
del paziente al momento del ricovero;
2) problematiche legate a motivi organizzativi: attesa di indagini mediche, attesa di consulenze mediche, attesa delle decisioni dei familiari, indisponibilità delle sale operatorie o dei
chirurghi, attesa dei devices per l’approccio chirurgico per stoccaggio in
magazzino deficitario.
Ritardare la chirurgia per stabilizzare le
comorbidità (problematiche cardiologiche
ed emocoagulative, diabete scompensato,
anemizzazione post fratturativa, ipo-iperkaliemia) è inevitabile in alcuni pazienti,
ritardare la chirurgia per motivi logisticoorganizzativi e l’aspetto dove attraverso un
rigoroso lavoro di squadra è possibile realizzare l’ intervento entro le 48 ore.
Presso l’Ospedale Sacro Cuore di Gesù–Fatebenefratelli di Benevento, attraverso il sopracitato “lavoro di squadra”,
vengono attuate tutte le procedure atte alla realizzazione precoce della chirurgia.
A questo braccio procedurale è stato coniato l’appellativo di “neck femoral fracture team” al fine di evitare che questa patologia rappresenti un’urgenza solo per il
chirurgo ortopedico. Si tratta di un gruppo di professionisti coordinati che va dal
medico dell’accettazione in pronto soccorso, l’ortopedico, l’anestesista, il cardiologo, l’internista, gruppo ben formato
e consapevole dell’importanza di portare
il paziente nelle migliori condizioni e nel
più breve tempo possibile ad affrontare
l’intervento chirurgico.
Il “neck femoral fracture team” è coordinato dall’anestesista e dall’ortopedico.
L’anestesista prende in carico il paziente
dopo poche ore dall’ospedalizzazione, ne
valuta lo stato fisico in relazione agli esami di routine già effettuati, valuta l’opportunità di ulteriori esami strumentali ed
eventuali consulenze specialistiche anche
in relazione alla tipologia dell’intervento
chirurgico. Una volta raccolte tutte queste
indagini preliminari esprime quanto segue:
1) operabilità o non operabilità,
2) quantizzazione del rischio operatorio,
3) timing della chirurgia,
4) eventuali misure terapeutiche correttive,
5) colloquio con parenti,
6) scelta della tecnica anestesiologica
più appropriata.
Parallelamente l’ortopedico prende in
carico il paziente dall’ammissione in ospedale, il suo ruolo è rivolto a:
1) valutazione clinica all’ingresso e richiesta di esami strumentali,
2) presa visione delle Rx ed eventuali
prescrizioni di ulteriori indagini strumentali (TAC, RMN...),
3) ricovero in reparto di ortopedia, stesura della cartella clinica e prescrizione di farmaci e di tutte le misure atte
a ottimizzare il nursing del paziente,
4) allerta il neck femoral fracture team,
5) indica la tipologia dell’intervento,
6) controllo dello stoccaggio in magazzino,
7) esecuzione dell’intervento chirurgico.
Esiste un ruolo predominante tra l’ortopedico e l’anestesista? Nel nostro team
non c’è un ruolo predominante, sono due
mani che si intrecciano e che rimangono
intrecciate fino alla dimissione del paziente ognuno per le proprie specifiche
competenze.
L’apporto delle svariate professionalità
(medico di pronto soccorso, ortopedico,
radiologo, anestesista, cardiologo, internista) è di fondamentale importanza, ma
è evidente che il ruolo della Direzione Sanitaria è determinante affinché questo
braccio procedurale funzioni senza intoppi. La perfetta organizzazione di tutti quei
servizi tanto da realizzare protocolli e
procedure operative per garantire tempestività e fluidità di percorso è la “conditio sine qua non“ per portare il paziente al
tavolo operatorio entro le 48 ore dall’ingresso in ospedale o quanto meno assicurare una precoce chirurgia ai pazienti con
comorbidità importanti. Se è vero, comunque, che gli autcomes di questa chirurgia si correlano con il timing della stessa, non bisogna dimenticare che è altrettanto vero che gli autcomes necessariamente vanno correlati alla bontà del trattamento chirurgico che alla precocità deve associare rigore ed efficacia tanto da
assicurare una precoce levata dal letto in
questi pazienti particolarmente a rischio
per l’età avanzata.
7
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PA G I N E D I M E D I C I N A
LE PRINCIPALI PROBLEMATICHE
UROLOGICHE NON ONCOLOGICHE
DELL’UOMO ANZIANO
Franco Luigi Spampinato
G
li studi epidemiologico-statistici
hanno evidenziato che la popolazione di individui al di sopra di
65 anni è destinata ad aumentare significativamente nei prossimi 25 anni. Uno
studio prospettico eseguito negli Stati
Uniti ha dimostrato che, in tale paese,
questo tipo di popolazione, nel 2050 salirà a 87 milioni e costituirà il 20,7% del totale. Come conseguenza i sistemi sanitari
dovranno far fronte a un drammatico aumento delle patologie correlate alla terza
età, come tumori, malattie vascolari cerebrali e cardiache, vasculopatie, malattie
metaboliche e da disfunzioni ormonali,
osteoporosi con aumento di artropatie e di
fratture. Un elemento clinico di comune
rilievo nel paziente anziano è la diminuita produzione di testosterone.
Tale ormone è prodotto, sotto il controllo della Gonadotropina ipofisaria LH,
dalle cellule di Leydig del testicolo, e in
minima parte dalle cellule della Corteccia
surrenalica. Il testosterone influenza in
maniera importante la funzionalità di
molti organi e apparati. Nel cervello può
modulare in maniera determinante i processi cognitivi, l’aggressività, la sessualità. É stato dimostrato che nel paziente anziano la terapia integrativa con testosterone migliora i processi cognitivi, la memoria, i rapporti spaziotemporali, gli
8
aspetti caratteriali. Tale ormone stimola
anche la produzione renale dell’eritropoietina e cellule staminali nel midollo
osseo. Il trofismo muscolare è inoltre favorevolmente influenzato da detta sostanza.. Il testosterone aumenta il deposito di calcio nelle ossa, ostacolando l’osteoporosi, causa a sua volta di gravi patologie ortopediche.
Altri importanti effetti favorevoli sono
una diminuzione del grasso viscerale e
cutaneo, vasodilatazione coronarica, aumento della produzione delle siero proteine epatiche, della resistenza fisica. Un
basso tasso di testosterone è associato in
modo significativo a ipertensione, profili
lipidici aterogenici, fattori protrombotici,
diabete tipo 2, tutti relazionati al rischio
cardiovascolare. Tuttavia, è bene precisare che, malgrado questa associazione con
i fattori di rischio cardiovascolare, non sono disponibili ancora ampi studi che dimostrino in maniera inequivocabile che la
terapia sostitutiva con testosterone alteri
la morbilità e la mortalità delle malattie
cardiovascolari.
Un paziente che presenta deficit di testosterone riferisce principalmente diminuzione della libido, astenia e perdita di
massa muscolare. I segni clinici principali possono essere rappresentati da dolenzia mammaria e ginecomastia, diminuzione
della massa corporea e
del volume muscolare,
pallore, anemia, rallentamento dei processi
ideativi e cognitivi,
osteoporosi, diminuzione di volume degli
organi sessuali secondari. A tali disturbi possono essere associate
tutte le altre patologie
dell’anziano. Oltre agli esami ematochimici e a quelli per diagnostica d’immagine, è da sottolineare l’importanza della
mineralometria ossea, la quale determina
il grado di perdita di calcio nel sistema
scheletrico, fondamentale per la diagnosi
e la conseguente terapia della osteoporosi. Il trattamento sostitutivo con testosterone deve essere estremamente accurato.
Le terapie orali sono state abbandonate
per la loro evidente epatotossicità. Attualmente si preferisce, per la sua semplicità, la somministrazione transdermica
con pomate, gel o cerotti. Possono essere
impiegati anche impianti sottocutanei o
iniezioni deposito.
Lo scopo della terapia deve essere sostitutivo e i livelli ematici di testosterone
devono essere periodicamente controllati
per evitare somministrazioni eccessive.
In generale, la terapia è semplice e ben
tollerata, con rapido ed evidente miglioramento dei sintomi legati alla deficiente
produzione endogena di tale ormone. Esistono naturalmente alcune controindicazioni; le principali sono costituite dal carcinoma prostatico, dall’iperplasia prostatica ostruente, dal carcinoma mammario,
dal melanoma, dalle cardiopatie gravi,
dall’ipertensione arteriosa, dall’obesità,
dalle broncopneumopatie croniche gravi.
É bene precisare tuttavia che attualmente
la terapia sostitutiva con testosterone, a
causa degli studi ancora non completamente esaustivi, rimane di fatto una terapia “empirica “, giustificata solo nei casi
di livelli sierici di testosterone molto bassi in presenza di importanti sintomi e segni associati a tale stato patologico.
VO n° 09 settembre 2014_VO n° 09 settembre 2014 18/09/14 11.55 Pagina 9
ANIMAZIONE GIOVANILE
MELOGRANO D’AFFETTO
Giandomenico D’Alessandro, Fra Massimo Scribano o.h.
C
arissimi Lettori, in questo mese
molti avvenimenti sono avvenuti
qui nella casa di Genzano attraverso le Esperienze di servizio. Molti giovani di tante parti d’Italia si sono cimentati in un percorso di preghiera e servizio.
L’articolo che segue è stato redatto da
Giandomenico, un ragazzo partecipante a
questa esperienza.
“Ognuno di noi, con diversa sensibilità, ha almeno una volta nella vita provato
il desiderio di impegnarsi gratuitamente
per un’altra persona e, forse, è anche riuscito a farlo nella sua misura; ma quante volte nel corso della nostra giornata incrociamo segnali e richieste d’aiuto, che
poi scivolano via senza nemmeno accorgercene? Così, tra impegni, imprevisti ed
“equivoche necessità” tendiamo sempre
più a individualizzarci, a mettere da parte le relazioni, a contenere le nostre emozioni, a evitare ogni forma di condivisione per mirare a obiettivi di sicurezza a discapito della nostra felicità, guardando
l’altro anche con maliziosa rivalità. Ma
per fortuna, basta fermarsi un momento e
ragionarci su per capire che vivere è una
cosa meravigliosa se lo si fa con uno spirito sincero di amore, di amicizia e, se si
riesce, anche di carità; e questo è proprio
quello che è successo a un gruppo di giovani che durante la prima settimana di
agosto ha deciso di aderire all’Esperienza
di servizio organizzata nell’Istituto san
Giovanni di Dio di Genzano, la struttura
che accoglie persone affette da patologie
psichiatriche.
Si tratta di ragazzi provenienti dal Molise e dalla Sicilia, principalmente studenti universitari di discipline socio-sanitarie che, rinunciando alla ben più gradita vacanza al mare, hanno prestato servizio presso i reparti dell’istituto e nei vari
laboratori riabilitativi, tra cui arte, ono,
sport e orto terapia, coadiuvando il lavoro dei numerosi operatori. È facile intuire
come il primo incontro con i malati abbia
potuto generare timore e diffidenza nei
confronti di coloro che sono stati per anni emarginati dalla società dei sani, ed è
invece difficile immaginare come nel giro di pochi minuti, il tempo di una partita
a bocce, loro abbiano superato tutte le
paure, eliminando ogni forma di barriera
con un bel sorriso stampato sul viso, tra
gli abbracci, le strette di mano e l’affetto
ricambiato da ogni ospite. Nel corso dell’Esperienza sono stati presenti e regolari anche i momenti di preghiera, la messa
del mattino specialmente, che hanno rinvigorito la fede di chi prima di partire si
definiva non praticante, ma non sono
mancati anche spazi di condivisione, gite
fuoriporta e soprattutto abbondanti e gustosissimi pasti.
Chi ha partecipato ha imparato che in
queste strutture non si trattano cartelle o
casi clinici, bensì persone, il prossimo!
Che non esiste una “normalità”, al contrario questo concetto può rivelarsi un artificio pericoloso per la dignità umana!
Perciò, se si dovesse riassumere tutto
quello che hanno appreso e vissuto basterebbero solo tre parole: servire - Cristo insieme. Perché nel corso delle giornate
si sono adoperati il più possibile per servire il loro prossimo, Cristo, con profondo atteggiamento di rispetto e carità, condividendo gioia e fatica!
Si può concludere, quindi, riconoscendo il grande merito dei Fatebenefratelli
che qui e in tutto il mondo operano con lo
zelo e l’amore che li contraddistinguono,
perché come il frutto del melograno, sono capaci di unire i chicchi, persone e vite diverse, sotto la stessa corteccia dell’amore di Dio”.
Ringrazio di vero cuore Giandomenico per questo articolo e
rinnovo a tutti l’impegno di fare
il bene, facendolo bene come ci
invita il nostro fondatore san
Giovanni di Dio.
Per informazioni sulle Esperienze o su discernimento vocazionale, la Comunità Formativa
di Genzano offre la possibilità a
tutti di fare esperienze di orientamento. Contattateci al numero
06.93738200, all’indirizzo vocazioni@fbfgz.it o sulla pagina
Facebook: Centro Giovanile Vocazionale Fatebenefratelli.
Partecipanti all'Esperienza di servizio dal 4 al 10 agosto scorso.
Al centro: fra Massimo e a destra fra Lorenzo
Buon cammino!
9
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IL CAMMINO DELLA MEDICINA
GIÀ APPRONTATA
ALLA FINE DEL XIX SECOLO
UNA LUNGA LISTA DI MICROBI
XLVI – ...ma trascorrerà altro mezzo secolo, prima
di vincere la relativa battaglia; il postulato di Koch.
Fabio Liguori
S
fruttando l’affinità dei batteri verso coloranti (come l’anilina, base
che si lega agli acidi nucleici delle cellule batteriche), l’istopatologo tedesco Karl Weigert aveva finalmente trovato (1872) il mezzo di contrasto che permettesse di osservare microrganismi altrimenti invisibili ai normali microscopi.
Ciò che consentirà a Robert Koch e Louis
Pasteur d’isolare l’agente patogeno del
carbonchio (1876), a Neisser di scoprire
il gonococco della blenorragia (1879), e a
Pasteur e Stemberg di descrivere il pneumococco della polmonite (1881). L’agente batterico della peste bubbonica (Yersinia pestis, famiglia degli enterobatteri) sarà invece individuato a Hong Kong (1894)
nel corso di una violenta epidemia.
mentali ricerche gli faranno attribuire
(1905) il premio Nobel per la Medicina,
mentre passerà alla Storia della medicina
il postulato di Koch (1883) che definitivamente formula i criteri per comprovare
se un determinato microrganismo è responsabile (o meno) di una malattia:
- il germe deve essere sempre osservato in quella specifica malattia;
- deve essere possibile isolarlo e coltivarlo;
- re-inoculato in un animale sano da
esperimento, deve riprodurre in tutto
la malattia;
- dall’animale reinfettato deve essere
di nuovo possibile isolare il germe.
Entro la fine del XIX secolo sarà approntata una lunga lista di microbi: dal batterio della difterite al vibrione del colera
(1883), dall’agente causale della febbre tifoidea al tetano (1884) e alla lebbra. Il batterio responsabile dell’infezione sifilitica
(treponema pallidum, o spirocheta per la
sua forma a spirale) verrà individuato nel
1905, mentre già nel 1889 l’olandese Martinus Beijerinck aveva aperto la porta alla
conoscenza dei virus, anche se al tempo non si sospettava
trattarsi di una specifica classe di agenti
infettivi la cui principale caratteristica è il
totale parassitismo
endocellulare. S’inquadreranno, infine,
vie e mezzi di diffusione degli agenti
causa di infezione
(acqua, aria, animali,
cibo, contatto diretto
Postulato di Koch (1883)
da portatori e cose).
L’anilina aveva permesso a Koch d’identificare anche (1882) l’agente della tubercolosi (la più grave malattia dell’epoca), che da lui prenderà il nome (bacillo
di Koch); e sarà la messa a punto di particolari terreni di coltura (trasparenti e solidificabili) a consentirgli di dimostrare il
ruolo di causa-effetto del batterio nell’insorgenza della malattia. Queste fonda-
10
La prima radiografia (Roentgen, 1895)
La batteriologia poneva così le basi per
la difesa dalle malattie infettive: 1) tenere
sotto controllo ogni contesto a rischio; 2)
conferire immunità inoculando sieri (Pasteur, Yersin e altri proseguivano nello
sperimentare vaccini diversi). Ma la battaglia contro le infezioni continuerà a essere priva di vere armi fino al 1939-45
quando, per la prima volta, si farà ricorso
all’uso sistematico del primo farmaco della classe dei cosiddetti antibiotici (la penicillina, una delle armi vincenti nella seconda guerra mondiale), di cui oggi si fa
un pericoloso abuso.
Altri passi compiuti dalla medicina del
tempo: la vaccinazione viene estesa alla
rabbia (1881), al carbonchio e al tetano,
chiarendo che i globuli bianchi agiscono
difendendo l’organismo, e tale difesa è favorita dal siero degli individui vaccinati
(sieroterapia).
Vengono prodotte le prime lenti a contatto di vetro (1887), e G. B. Grassi individua l’agente della malaria (1898). In
questo periodo la farmacologia ha un lento sviluppo, anche se sarà rilevante il brevetto (1899, ormai ultracentenario) dell’aspirina. Si realizzano strumenti come il laringoscopio, l’oftalmoscopio, il gastroscopio e il cistoscopio; mentre Wilhelm
Conrad Roentgen scopre i rivoluzionari
raggi X (1895), e Scipione Riva Rocci presenta lo sfigmomanometro per la misurazione della pressione arteriosa (1896).
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Schegge Giandidiane N. 45b
Fulgide vite di due perdonati:
Antonio Martín e Pietr o Velasco
Nel gestire l’Ospedale egli non
godeva di rendite fisse, sicché per
saldare i perpetui debiti che, come
ci confida nel suo Epistolario, “gli
cavavano gli occhi”, era di continuo
alla questua ma, nel suo indefesso
muoversi per Granada, mai e poi
mai l’assillo di cercare benefattori
gli faceva spegnere quella sorta di
radar interiore col quale intuiva i
disagi delle persone che incrociava per strada e perfino di quelli che
non avevano modo di varcare l’uscio. Oltre ai casi individuali, che
usava soccorrere a domicilio, due
erano i gruppi che privilegiava: le
povere donne che, molto spesso
per bisogni economici, se ne stavano recluse nella Casa di Tolleranza, e gli infelici rinchiusi nel
Giovanni con il solo brandire un crocifisso riusciva a portare le anime a Dio e
Dio alle anime
prio nel presente autunno ricorre
il 475° Anniversario del loro pentimento e della loro decisione di
unirsi a lui, per così consacrarsi al
Signore nel servizio ai bisognosi.
Come spiegai nel mio notiziario
virtuale “Il Melograno” del 27 agosto 2000, le prime due biografie di
San Giovanni di Dio, scritte da
Castro e da Celi, nonché la commedia “Juan de Dios y Antón Martín”, che Lope de Vega compose
nel 1607, offrono solo cenni parziali e talora imprecisi su tali due
insigni confratelli, il cui primo discreto schizzo biografico comparve
solamente nella terza biografia di
San Giovanni di Dio, pubblicata
nel 1624 da Govea, che vi dedicò
uno speciale capitolo alla conversione di Martín e un altro alla sua
nuova vita da frate, dicendosi convinto che si trattava di un personaggio di tal rilievo, che avrebbe
meritato dedicargli un libro intero. Credo meriti trascrivere qui tali due capitoli in una mia traduzione dall’edizione iniziale spagnola,
in cui però distano tra di loro di
ben cento pagine sicché, per agevolare il lettore, Govea vi inserì alcune frasi d’identico argomento; a
evitare ripetizioni, ho perciò deciso di fondere i due capitoli in un’unica narrazione, per cui ho prelevato dal primo dei due capitoli
unicamente la parte sulla conversione e l’ho inserita nell’altro capitolo; ho inoltre eliminato per
brevità alcune considerazioni devozionali, ma ho riportato tutte le
restanti frasi con la massima fedeltà, aggiungendovi di mio giusto
F.G.M. : Schegge Giandidiane. N. 45b – Fulgide vite di due perdonati: Antonio Martín e Pietro Velasco
In tali due gruppi egli intendeva
essere, come ha puntualizzato Papa Francesco nel n. 114 della Esortazione Apostolica “Evangelii
Gaudium”, “fermento di Dio in mezzo all’umanità, annunciando la
Chiesa come luogo dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e
incoraggiati a vivere secondo la vita
buona del Vangelo”. Nel visitare tali persone, egli col solo brandire un
crocifisso riusciva a portare le anime a Dio e Dio alle anime. Fu grazie a questo suo premuroso apostolato che San Giovanni di Dio si
guadagnò i primi due discepoli:
Antonio Martín e Pietro Velasco.
Fu un vero prodigio di grazia, che
merita qui raccontare poiché pro-
Carcere della Cancelleria e in
quello della città, accanto alla
Cattedrale.
233
L
a Chiesa ha scelto due santi
insieme, San Giovanni di
Dio e San Camillo de Lellis,
come Patroni Universali dei malati, degli Ospedali e degli infermieri, ossia in pratica di tutto il mondo sanitario ma, leggendo la biografia di San Giovanni di Dio, si
scopre che la sua carità era simile
a un iceberg di cui l’ospedale, che
lui aveva fondato, corrispondeva
solo alla piccola parte emergente
sulla distesa del mare e perciò più
visibile; infatti, il suo slancio caritativo non si limitava ai malati ma,
al contrario, scrutava di continuo,
in spirito di cristiana solidarietà,
qualsiasi bisogno sociale e perfino
qualsiasi affanno interiore, e se ne
faceva carico, poiché la fede lo
portava a scorgere in chi era in difficoltà la mistica presenza di Cristo, che implorava aiuto.
VO n° 09 settembre 2014_VO n° 09 settembre 2014 18/09/14 11.55 Pagina 12
Mira: targa sulla casa natia di Martín
qualche nota, qualche ritratto,
specie dei più antichi, e qualche
veduta dei luoghi.
MARTÍN NARRATO DAL GOVEA
234
F.G.M. : Schegge Giandidiane. N. 45b – Fulgide vite di due perdonati: Antonio Martín e Pietro Velasco
Antonio Martín nacque a Mira1
da Pietro de Aragón ed Elvira Martín2 de la Cuesta. Quando fu concepito, suo padre, che era un contadino, una sera dal campo tornando a casa con le bestie, s’imbatté con un uomo in abito da pellegrino che gli disse: - Pietro de
Aragón, vostra moglie è incinta d’un
Conversione di Martín
_________________
1
Nato il bambino3, gli dettero nome Antonio, desiderando così di
riverire il Signore. Il padre morì
qualche anno dopo, lasciando un
altro figlio, che come lui si chiamò
Pietro de Aragón. La madre passò
a seconde nozze e i due figli, divenuti adulti, lasciarono casa cercando sistemazione: Antonio
Martín a Requena4; e Pietro de
Aragón a Guardahortuna, vicino a
Granada, dove prestò servizio per
alcuni anni in una fattoria, accumulando un gruzzolo e del bestiame e comportandosi tanto a modo
che il suo padrone vagheggiò di
dargli in sposa una sua figlia nubile; ma analogo intento ebbe anche
un prete del luogo, che aveva pure
lui una figlia nubile5 e tanto fece
che alla fine Pietro de Aragón, rifiutando la figlia del suo padrone,
si sposò con quella del prete. Il padrone se la prese tanto a male che
assieme ad un suo figlio, chiamato
Pietro Velasco, decise di dargli
morte e così in effetti fecero.
Ne vennero a conoscenza la madre dell’ucciso e il di lui fratello,
Antonio Martín, che accorse a ricuperare i beni del fratello e a re_________________
È in Castiglia, in Provincia di Cuenca.
Fino al 1870 si era liberi di adottare
uno dei cognomi dei genitori, sicché
Antonio scelse per sé il cognome materno di Martín, mentre suo fratello Pietro,
citato più avanti, adottò quello paterno
di de Aragón.
2
maschietto. Così Dio vi protegga che
quando nascerà lo chiamiate Antonio. Detto questo, il pellegrino seguì per la sua strada e il buon Pietro, pensandoci su, lo considerò
straordinario e appena a casa lo
raccontò a sua moglie. Lei gli riferì che il medesimo pellegrino era
venuto alla sua porta per chiederle un’elemosina e, dopo che gliela
aveva data, le aveva detto le stesse parole che a lui. Davvero misterioso!
Quando nel 1596 la salma fu traslata
nella Chiesa del suo ospedale di Madrid,
nella lapide lo indicarono nato nell’anno 1500.
4
Requena, pur vicina a Mira, è in Provincia di Valencia.
3
clamare giustizia per la morte del
fratello: la prima cosa la risolse in
pochi giorni e, quanto all’omicida,
riuscì a farlo gettare in carcere.
Martín aveva trentotto anni quando lasciò la sua terra e venne a Granada6 per seguirvi la causa contro
Pietro Velasco, che poi si chiamò
Pietro Peccatore7, cui imputava
d’avergli ucciso un fratello e non si
diede tregua finché non lo fece rinchiudere in carcere: tenendo dietro
al procedimento penale con tanta
foga e impegno che senza dubbio il
disgraziato doveva finir sulla forca.
Granada: Via della Colcha
_________________
Questo prete quando fu ordinato era
vedovo e con un’unica figlia.
6
Era infatti la Cancelleria di Granada ad
avere competenza sui crimini punibili
con pene corporali.
7
Govea riporta pochi dettagli di Velasco, ma i testi del Processo di Beatificazione, oltre ad attestarne la santità di
vita quando si convertì, ci dicono che
usava andare alla questua scalzo, a capo
scoperto e cantando inni ai Santi, alla
Madonna e al Bambino Gesù, del quale
aveva nelle mani un’immagine; e che
mentre Martín era alto e robusto, Velasco era piccolo di corpo e quasi calvo; e
che fu sepolto a Granada nel nostro
Ospedale di Porta San Girolamo (cf.
José Luis Martínez Gil [a cura di], “Proceso de beatificacion de San Juan de Dios”,
Madrid, BAC, 2006, pp. 125, 246 e
346).
5
VO n° 09 settembre 2014_VO n° 09 settembre 2014 18/09/14 11.55 Pagina 13
rispondeva in mal modo a Religiosi e personalità o, quanto meno, si
negava a coloro cui non riteneva
poter mancar di rispetto
Madrid: targa in ricordo di Martín dove
sorgeva l’ospedale da lui fondato
Riconciliazione con Velasco, ormai libero
_________________
Ogni venerdì il Santo incontrava qualche prostituta, cercando di convertirla e,
se vi riusciva, l’aiutava a cambiar vita.
9
In quel tempo, nei delitti d’onore la
pena era condonata, se l’assassino era
perdonato dai parenti dell’ucciso.
8
vostro avversario: riflettete al molto
che avete commesso contro di Lui,
acciò vi dimentichiate di quello che è
stato commesso contro di voi. Badate che pur essendo infinita la misericordia di Dio, non l’userà per chi non
l’usa col proprio prossimo. Se il vostro nemico ha sparso il sangue di vostro fratello, per le mie e le vostre colpe ha sparso codesto Signore il suo:
valga dunque di più il grido del sangue del Figlio di Dio perché gli concediate perdono, che quello di vostro
fratello per garantirgli vendetta.
Furono tanto efficaci le parole
che il servo di Dio gli disse e in esse il Signore pose tanta grazia, che
il cuore indurito di Antonio Martín non potette evitare di arren-
Estasi di Antonio Martín
dersi e con grande commozione interiore gli disse: - Fratello Giovanni
di Dio, non solo perdono a chi finora
considerai come nemico, ma fin d’ora m’offro a lui come amico e a voi
come compagno, supplicandovi che
come a lui avete dato destro di non
perder la vita, lo diate a me che non
perda quella dell’anima. Io vi condurrò al Carcere, per formalizzare il
perdono al prigioniero, e voi mi condurrete al vostro Ospedale perché vi
sia compagno nel servizio a Dio ed ai
poveri: se le vostre parole hanno potuto convertirmi, il vostro buon esempio potrà farmi perseverare.
E con ciò lo levò da terra e si diressero insieme al Carcere, dove
Antonio Martín firmò il perdono
concesso a Pietro Velasco e gli si
offerse come amico, per dimostrare che lo perdonava non solo agli
effetti legali, ma anche dinanzi a
Dio. Pietro Velasco, riconoscente
della grazia che Dio gli aveva concesso, volle spendere a Suo servizio la vita che gli pareva d’aver
nuovamente ricevuta in dono e
così si offrì anche lui come compagno del benedetto Giovanni di
Dio. Costui, sapendo ciò che entrambi sarebbero divenuti, li accettò. Ottenuta la libertà del prigioniero, li portò entrambi nel suo
Ospedale ed avendoli vestiti col
suo stesso abito10, li menava con sé
F.G.M. : Schegge Giandidiane. N. 45b – Fulgide vite di due perdonati: Antonio Martín e Pietro Velasco
Venne a sapere tutto ciò il nostro
benedetto Giovanni di Dio, cui
non sfuggiva necessità alcuna, e,
dopo aver affidata l’impresa a Dio
e confidando nella sua protezione,
lo cercò con impegno e lo incontrò in via della Colcha. Inginocchiatosi a suoi piedi, cavò dalla
manica un crocifisso, che recava
sempre seco, e con gli occhi fissi in
esso, gli disse: - Affinché codesto Signore vi perdoni, fratello Antonio
Martín, vi supplico che perdoniate il
235
Andando la causa assai per le
lunghe, Antonio Martín s’imbarcò
in attività assai pregiudizievoli per
la sua salvezza: la più pericolosa era
il suo essersi inserito come ruffiano nel postribolo cittadino, nel
quale aveva alcune protette che gli
fruttavano il denaro con cui sfoggiare vestiti lussuosi. Nonostante
coltivasse tanto interesse nel perseguire l’esecuzione di Pietro Velasco e tanto disinteresse per la propria salvezza, nutriva però devozione per Giovanni di Dio ed aveva piacere a dargli elemosina le
volte che l’incontrava8, a tal punto che ormai il servo di Dio lo considerava suo amico e devoto (il che
si direbbe che fu il mezzo di cui si
servì il Signore per predestinargli
salvezza) e come tale certamente
lo raccomandava a Dio quale benefattore dei suoi poveri. S’avvicinava il tempo di venir resa pubblica la sentenza, per la quale abbiamo visto quanto Antonio Martín
brigasse, e pertanto molte persone,
mosse a compassione del carcerato, lo sollecitavano a perdonarlo9,
ma non ci riuscì nessuno e anzi egli
VO n° 09 settembre 2014_VO n° 09 settembre 2014 18/09/14 11.55 Pagina 14
Nel ritratto, risalente a circa il 1616, il
cartiglio dice: Antonio Martín, il Bambino
Gesù giocava sovrano con voi e con soave
intento vi tirava frecce d’amore
236
F.G.M. : Schegge Giandidiane. N. 45b – Fulgide vite di due perdonati: Antonio Martín e Pietro Velasco
a questuare in città, restando tutti
stupiti ed edificati della vicenda; e
il nostro Giovanni di Dio godendo di tanto credito per merito delle sue opere.
Antonio Martín imitò così bene il benedetto Giovanni di Dio,
che costui morendo gli affidò il
suo Ospedale e i poveri. Antonio
Martín, seguendo lo stile di Giovanni di Dio, non trascurò mai
nessuno e non v’era bisogno cui
non cercasse di portar sollievo,
così come usava fare il suo maestro. Dato che i bisogni crescevano e le risorse non bastavano, decise d’andare a Corte, che frattanto s’era trasferita a Madrid,
ottenendo sovvenzioni dal Principe Filippo e dalla Principessa
Giovanna, sua sorella. Rimanendo edificate dal suo comporta_________________
L’imposizione dell’abito non fu immediata, tanto che al Processo di Beatificazione il teste oculare Antonio Rodríguez
precisa che Martín all’inizio usava andar
in giro “con in capo un berretto colorato” e
solo in un secondo tempo vide Giovanni e compagni indossare un medesimo
abito (cf. J. L. Martínez Gil, op. cit., pp.
49-50); e avendo un altro teste oculare,
Felipe de Laiz, chiesto a Giovanni il perché di tale abito, n’ebbe in risposta che
glielo aveva imposto il vescovo di Tuy
(Idem, p. 98), sicché ne deduciamo che
ciò fu entro i primi mesi del 1540.
10
mento e dalla fama della sua virtù e della sua carità con i poveri
del suo Ospedale, varie persone
devote presero ad auspicare di
vederne sorgere uno simile in
Madrid, per cui insistettero con
lui affinché, sistemate le cose in
Granada, ritornasse per fondarvelo. Cosa che eseguì con tanto
impegno e con l’appoggio e le
elargizioni di Principi e Signori
titolati e altre persone devote
che aiutarono con molta generosità un progetto così santo e necessario e di tanto vantaggio per
la Corte; ed è cosa degna di stupore che questo servo di Dio, pur
non essendo sopravvissuto al suo
maestro più di tre anni interi, riuscì a far tanto sia nell’Ospedale
di Granada sia nel fondare quello di Madrid.
Come ben dice Seneca, la vita
è breve, quando è ben impiegata.
Questo servo di Dio spese tutta la
sua vita a servizio Suo e dei poveri, lasciando esempio a molti
che poi lo seguirono. La sua penitenza fu ammirabile, forgiata su
quella del suo maestro: non si coprì mai il capo e andò sempre
scalzo. Si vestiva di tela di sacco,
buona per coprirsi ma non per difendersi da caldo o freddo. E finché visse, portò sulla nuda pelle
un ruvido cilizio, che mai si tolse
finché visse e glielo tolsero solo
dopo morto. Il suo nutrimento
ordinario era pane e acqua, per
cui è da pensare che osservasse
sempre un rigoroso digiuno.
Amava i poveri come fratelli e li
chiamava suoi immediati signori.
Nell’orazione era assai assiduo e
ricevette in essa insigni favori dal
Signore, tra cui uno assai grande
ed assai toccante che non gli riuscì di nascondere (ancorché ci
riuscì per molti altri) e fu che il
Bambino Gesù, fattosi autentico
Dio d’Amore, con arco e frecce
prese a saettargli il cuore11.
Sopraggiunse un’infermità, che
pose termine alla sua vita. Ricevette i Sacramenti e fece testamento, in cui nominò suo successore nel governo dell’Ospedale fra
Giovanni González, assegnandogli quattro altri compagni affinché
attendessero al servizio degli infermi con ogni diligenza. Rese il suo
spirito al Signore il 24 dicembre
1543, all’età di 53 anni: era la Notte Santa, segno sicuro che andò a
godere in eterno giorni santi.
Nel testamento che lasciò, supplica che gli diano sepoltura nel
Convento di San Francesco, dove in effetti rimase sepolto per 42
anni. Il funerale ebbe la solennità che meritava la carità di tale
anima.
Nel 1596 la salma fu riportata
nel suo Ospedale con una solennità tra le maggiori che vide la
Corte e tumulata nella Cappella
maggiore dal lato del Vangelo12.
Madrid: l’attuale tomba di Martín
_________________
Questa visione mistica divenne l’elemento iconografico distintivo dei ritratti di Martín, in cui il Bambinello Gesù
volteggia come un Cupido, tirandogli
frecce nel cuore, perché s’infiammi sempre più d’amore per i poveri.
12
Vi restò fino al 15 marzo 1944, quando
la Chiesa fu demolita e la salma trasferita nel nostro Ospedale San Raffaele.
11
VO n° 09 settembre 2014_VO n° 09 settembre 2014 18/09/14 11.55 Pagina 15
“I L M E L O G R A N O ”
UN NUOVO AMICO IN CIELO
Fra Giuseppe Magliozzi o.h.
Q
uando era ancora un Minutante
della Segreteria di Stato, il futuro Paolo VI ebbe alloggio nell’appartamento attiguo a quello dei nostri
Confratelli della Farmacia Vaticana e per
pregare veniva nella nostra Cappella, credo non tanto perché vicina all’alloggio assegnatogli, quanto piuttosto per un forte
legame con noi, che poi da Papa dettagliò
più volte e che ora ci rende lieti della sua
imminente Beatificazione il 19 di ottobre,
poiché siamo sicuri che egli non mancherà di intercedere per noi dal Cielo.
Poco dopo la sua elezione a Papa, egli il
6 luglio 1964 volle venire in forma privata a visitare la nostra Comunità Vaticana,
per rivedere la Cappella e confidare ai frati il suo legame con noi, che illustrò di nuovo il 18 maggio 1965 nel suo primo incontro pubblico con noi, quando ricevette
nella Sala del Concistoro i frati che avevano partecipato al Capitolo Generale.
Appena letta la prima frase del discorso
ufficiale diretto a noi, in cui si compiaceva che la nostra denominazione popolare
di Fate bene fratelli ben sintetizzasse il
nostro programma di fare il bene per i fratelli che soffrono, fece una digressione,
confidando che il suo dire era influenzato
da “alcune conoscenze personali, che abbiamo avuto con la vostra Famiglia religiosa. Ne ricordiamo un nostro cugino che
si chiamava Fr. Gaudenzio, che dev’esser
morto, ma molti anni fa, qui all’Isola Tiberina; e ricordiamo certe Case vostre,
dovunque il nostro carissimo fratello da
tanti anni offre la sua opera ed è tanto ben
accolto e ben amato. Grazie e avanti”.
Laboratorio Clinico del nostro Ospedale
bresciano di Sant’Orsola, eccellendovi
per l’impegno professionale e caritativo,
tanto che nel 1960 fu affiliato al nostro
Ordine; e va aggiunto che anche il padre
del Papa si era reso benemerito dell’Ospedale nel 1884, creandovi delle Cucine
Economiche per aiutare i meno abbienti.
Fra Fabiano Secchi ci ha inoltre narrato
che quando Paolo VI lo ricevette in udienza privata, oltre a citargli il cugino e il fratello, gli disse anche che la madre, morta
nel 1943, era stata ricoverata nel nostro
Ospedale.
Anche nell’Udienza del 28 ottobre
1970 il Papa, interrompendo il testo ufficiale, che poi L’Osservatore Romano
pubblicò il giorno dopo, confidò ai frati
convenuti a Roma per il Capitolo Generale: “Noi abbiamo avuto occasione di
conoscervi anche da vicino: nella Diocesi di cui Noi siamo nativi, avete una bella Casa da tanti anni, e poi di Milano, dove avete bellissime istituzioni. E allora
abbiamo, direi, una simpatia precostituita per la vostra famiglia religiosa. E vorremmo che lo slancio della dedizione di
carità, da cui partite e dell’Uomo pieno
di fuoco, (l’incendio famoso di San Giovanni di Dio – non è vero?), si destasse
nelle vostre anime. Avete scelto una vocazione che vi chiede davvero un grande
dono di sé, continuo. Non si può vivere
mediocremente la vostra vocazione. E vi
auguriamo appunto che la possiate sempre vivere con grande amore, che va dal
sacrificio generoso, tranquillo, silenzioso, metodico, e oggi scientifico; perché
non si può fare più la carità a qualche modo, bisogna farla con i mezzi e la sapienza della cultura e della scienza moderna;
e vi auguriamo che possiate davvero compierla sempre con questa generosità, e vi
assista lo Spirito del Signore, facendovi
sostenere sempre con gioia e generosità i
sacrifici inerenti alla vostra missione”.
Terminato poi il testo ufficiale e prima
d’impartire la Benedizione Apostolica ai
frati capitolari, egli aggiunse:“Con essa
vorremmo chiamare tante grazie del Signore sopra le vostre persone, le vostre
istituzioni, le vostre case di cura, e con la
quale vi assicuriamo anche l’assistenza della nostra
preghiera”.
Riguardo al cugino fatebenefratello, si
tratta di fra Gaudenzio Uberti, figlio di
Laura Montini, zia del Papa. Entrò nella
Provincia Romana nel 1893 e morì il primo dicembre 1916 nell’Ospedale dell’Isola Tiberina che, per inciso, il Papa poi
visitò il primo novembre 1968.
Riguardo al medico Francesco Montini, fratello del Papa e che morirà il 10 gennaio 1971, fin dal 1934 aveva diretto il
I frati attorno al Papa mentre lascia l’Ospedale dell'Isola Tiberina
Su questa sua preghiera per noi, contiamo ancor di più
ora che potremo invocarlo come Beato
e chiedergli d’impetrarci dalla misericordia di Dio la grazia di vivere la vocazione ospedaliera
con la generosità
che egli ci suggerì a
Roma da Papa.
15
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A.F.MA.L .
A.F.MA.L.:
UNA GIORNATA
IMPORTANTE
Ornella Fosco
U
n’A.F.Ma.L. in costante crescita
proiettata con slancio verso traguardi ambiziosi, forte di un
ruolo già preminente in ambito sanitario,
sociale ed emergenze: questa l’immagine scaturita dall’Assemblea dei Soci che
nella mattinata di giovedì 3 luglio scorso si è svolta nella sala conferenze del
Centro Direzionale della Provincia Romana dei Fatebenefratelli. Il presidente,
fra Pietro dr. Cicinelli, ha ricordato il lavoro svolto dal Consiglio Direttivo Nazionale negli ultimi quattro anni di gestione e ha auspicato la possibilità per
l’Associazione di continuare nel cammino intrapreso. Nel quadriennio scorso
l’A.F.Ma.L. ha operato, in collaborazione con alcune istituzioni pubbliche e private locali, in Africa: Madagascar, Senegal, Ghana, Togo, Tanzania; in Oceania:
Isole Salomone; in Asia: India e Filippine; Sud America: Argentina, Cile, Bolivia e Ecuador.
Fra Gerardo e Stefania Sandrelli
Nino Taranto
Così come negli anni precedenti, particolare attenzione è stata riservata all’organizzazione di attività di medicina di base e al miglioramento dei servizi sociali e
ospedalieri nelle aree marginali urbane e
nelle aree rurali, alla realizzazione di adeguate infrastrutture e alla formazione del
personale locale come operatori sociali,
personale medico, infermieristico, ausi-
liario e tecnico. In Italia ha continuato
l’attività con il servizio di Protezione Civile, ricevendo la conferma d’iscrizione,
a novembre scorso, nell’elenco centrale
delle organizzazioni di volontariato della
Protezione Civile, in qualità di “Struttura
Operativa Nazionale”. L’apprezzamento,
nei riguardi delle attività dell’Associazione, da parte di singoli cittadini, viene co-
Nuovo Consiglio e Altri
16
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gliere), dr. Francesco
Guarano (consigliere),
fra Massimo Villa (consigliere).
- Collegio dei Revisori:
dr. Mario Panvini, dr.
Giovanni Mattia, dr.
Antonello Di Giovannandrea.
- Collegio dei Probiviri:
fra Angelico Bellino,
dr.ssa Carla Borgia, sig.
Mario Sanna.
- Direttore: dr. Antonio
Barnaba
Fra Gerardo dà il benvenuto agli Ospiti
stantemente riconfermato anche mediante donazioni e lasciti da parte di privati per
dare sostegno e nuovo impulso nell’impegno negli aiuti umanitari a favore delle
persone più deboli e bisognose.
Sono seguite le elezioni per il rinnovo
delle cariche sociali quadriennio 20142018, dalle quali sono risultati eletti:
- Consiglio Direttivo Nazionale: fra
Pietro Cicinelli (presidente), fra Gerardo D’Auria (vice presidente e segretario generale), fra Giampietro
Luzzato (consigliere), dr. Carlo Dalia
(consigliere), arch. David Tursi (consigliere), dr. Pierluigi Casa (consigliere), fra Alberto Angeletti (consigliere), dr.ssa Antonia Galluccio (consigliere), dr. Gianpiero Seroni (consi-
Fra Pietro presenta i progetti e la nuova programmazione
Al Presidente, ai Consiglieri e a tutti i membri
neo eletti, vanno gli auguri da parte dei soci, affinché il prossimo quadriennio sia soddisfacente e con proficuo lavoro
per tutti.
Nella serata, si è svolta, nell’incantevole cornice dei giardini della curia Fatebenefratelli, la consueta “Festa d’Estate –
XIII edizione”.
Tutti i fondi raccolti, grazie alla generosità dei numerosi partecipanti, ai singoli donatori e di tanti sponsor, dedotte le
spese della serata, saranno interamente
devoluti per la costruzione della nuova scuola a
Manila nelle Filippine,
che accoglierà bambini
con gravi patologie invalidanti (cerebrolesi, audiolesi, ecc.). Un ringraziamento particolare va
alla incantevole Stefania Sandrelli, testimonial della serata e un sincero ringraziamento va
inoltre a Nino Taranto e
Francesco Mauro che
hanno allietato la serata
con le risate e la musica
e a tutti i Volontari:
Gianluca, Carla, Massimo, Emanuela, Piero
e tantissimi altri che come sempre, hanno collaborato per la riuscita di
questa iniziativa.
GRAZIE!
17
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ISTITUTO SAN GIOVANNI DI DIO - GENZANO
IN RICORDO DI
FRA ANTONIO FEDELE
Una testimonianza esemplare del carisma di san Giovanni di Dio
nell’affrontare la malattia di Alzheimer
Massimo Marianetti
L
a demenza non è una malattia, bensì una sindrome, cioè un insieme
di sintomi, che comporta l’alterazione progressiva di memoria, pensiero,
ragionamento e personalità di severità tale da interferire con gli atti quotidiani della vita. La demenza può essere causata da
diverse patologie: la malattia di Alzheimer, che ne rappresenta il 50-60%, è un
processo degenerativo che colpisce le cellule cerebrali provocando una perdita progressiva e ineluttabile delle funzioni cognitive e del comportamento. Ogni singola persona affetta è colpita in modo diverso, è difficile prevedere quali saranno i
sintomi e l’ordine con cui appariranno:
inizialmente possono essere così lievi da
passare inosservati sia al malato sia ai suoi
familiari. Il malato di Alzheimer può preparare un pasto e scordare di averlo fatto,
può perdere la strada di casa, può vestirsi
in modo inappropriato, per esempio indossando un accappatoio per andare a fare la spesa, può non riconoscere i propri
cari e scambiarli addirittura per nemici.
Attualmente la malattia di Alzheimer non
è guaribile. Ci sono alcuni farmaci che possono rallentarne la progressione migliorando alcuni sintomi cognitivi e altri che consentono di ottenere un discreto controllo dei
disturbi comportamentali che possono comparire durante la malattia; le stesse finalità
sono condivise anche da numerosi approcci
riabilitativi (riabilitazione cognitiva, musicoterapia, pet-therapy, ecc). In assenza di risposte terapeutiche efficaci la famiglia e il
contesto più generale dell’ambiente di vita
e relazionale del malato rivestono un ruolo
chiave nell’assistenza quotidiana. Le famiglie che si trovano ad affrontare la gestione
di questa patologia hanno grosse necessità
emotive, il confronto con gli altri e la testimonianza di chi ha vissuto o sta vivendo
un’esperienza analoga sono fondamentali.
18
Nel 2002 ho iniziato a prestare il mio
servizio professionale presso l’Ospedale
san Pietro di Roma per effettuare le valutazioni neuropsicologiche, presidio indispensabile per la diagnosi di malattia di
Alzheimer. Dopo pochi mesi mi è stato
chiesto di visitare un religioso ospite della struttura che iniziava ad avere “piccoli
disturbi di memoria e linguaggio e stranezze caratteriali”: fra Antonio Fedele.
Non nascondo che ero un po’ emozionato,
perché avevo sentito parlare di fra Antonio
come esempio di rigore e morigeratezza,
ma non avevo mai avuto il piacere di incontrarlo, ed era anche la prima volta che
somministravo i miei test cognitivi a un religioso. Il quadro che mi trovai di fronte
era quello di una malattia di Alzheimer iniziale, in questa fase di patologia in genere
la consapevolezza è mantenuta e così era
anche per fra Antonio che si accorgeva
spesso durante l’esame di sbagliare e chiedeva scusa. La malattia ha avuto per lui un
decorso molto lento, ma inesorabile. Gradualmente i disturbi del comportamento
sono diventati prevalenti sui disturbi cognitivi, ansia e apatia si sono affiancate ai
disturbi di memoria e linguaggio. Ricordo
quel periodo come il più doloroso per fra
Antonio, a volte si accorgeva di comportarsi in modo anomalo e aveva paura, come diceva, di “dare un cattivo esempio per
l’abito che indosso”. Ho continuato a occuparmi di lui come Responsabile del
Centro Alzheimer anche quando l’ingravescenza della patologia ha reso necessario il ricovero presso il nostro Istituto San
Giovanni di Dio a Genzano di Roma. La
sua capacità di autocritica non lo ha mai
abbandonato, la demenza pian piano ha
spento anche il suo sistema motorio e fra
Antonio ha smesso quasi del tutto di camminare e di parlare, ma continuava a comunicare con lo sguardo. La percezione
che la sua forza d’animo si mantenesse sal-
da oltre le sofferenze fisiche è sempre stata netta per tutti. Il 14 luglio scorso fra Antonio si è spento in modo sereno e austero, così come ha vissuto. La sua pazienza
e la sua incommensurabile dignità nell’affrontare il cammino lungo e difficile
dell’Alzheimer è stata di esempio e supporto per la sua famiglia e per tutte le persone che sono entrate in contatto con lui
in questi anni. Noi tutti non possiamo fare altro che ringraziarlo per questa grande
testimonianza di vita.
Notizie biografiche
Fra Antonio Fedele è nato a Delianuova (RC) il 15 gennaio 1931. Entrato nel
postulantato della Provincia il 15 giugno
1959 e nel noviziato a Genzano il 28 novembre 1959. Ivi ha emesso la prima professione l’8 dicembre 1960 e la professione solenne il 5 gennaio 1964 all’Ospedale san Pietro di Roma. Ha esercitato il carisma dell’Ospitalità in varie case
della Provincia, con vari incarichi: superiore e vicario. Religioso mite e accogliente, ha testimoniato nel silenzio il servizio ai poveri e malati. Il 6 ottobre 2010
è stato trasferito dalla Comunità dell’Ospedale san Pietro a quella di Genzano di
Roma, perché affetto da grave malattia di
Alzheimer. Dopo lunga degenza è piamente ritornato alla Casa del Padre il 14
luglio 2014. Il 15 luglio il feretro è stato
trasportato nella chiesa dell’Ospedale san
Pietro in Roma per il solenne rito funebre
e dopo la salma è stata tumulata nella cappella del Provincia religiosa nel cimitero
di Prima Porta a Roma.
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OSPEDALE SACRO CUORE DI GESÙ - BENEVENTO
IL COUNSELING PSICOLOGICO
COME SUPPORTO
PROFESSIONALE E PERSONALE
AGLI OPERATORI SANITARI
Antonio Febbraro
I
l counseling rappresenta oggi una tematica di forte interesse all’interno del
vasto panorama delle professioni dell’aiuto. In quest’ottica tale intervento si costituisce come strumento di comunicazione interpersonale che offre uno spazio di
ascolto e di riflessione e la possibilità di sostegno e sviluppo delle potenzialità personali allo scopo di superare una situazione di
emergenza. Considerando la relazione
d’aiuto non possiamo non considerare il counselling all’interno del mondo sanitario.
Nel tradizionale orientamento centrato sul
cliente, condiviso dalla maggior parte delle professioni socio-sanitarie, il focus è
quasi del tutto centrato sul cliente, senza
che si ponga sufficientemente attenzione
agli stress cui va incontro l’operatore. In
questo determinato settore lavorativo la
professione sanitaria non costituisce una
semplice produzione ed erogazione di beni
e servizi, ma è caratterizzato dalle relazioni che s’intrecciano tra gli operatori e gli
utenti, con tutte le implicazioni psicofisiche
che ciò comporta. Infatti, da un lato i pazienti sono portatori del loro vissuto doloroso di malattia, dall’altra gli operatori sanitari devono inevitabilmente fare i conti
con le loro emozioni e con la loro influenza sull’attività professionale e sulla vita privata. Devono confrontarsi con il dolore,
con i loro timori, i sensi di colpa e con i sentimenti di impotenza. Col tempo, tutto ciò
può logorare lo stato d’animo dell’operatore e determinare un circolo vizioso, sfociando in quella che viene definita sindrome da burnout.
Il burnout, nato agli inizi degli anni ’70,
è una sindrome che colpisce i lavoratori
soggetti a forte stress continuativo. Deriva
dall’interazione di variabili individuali e organizzative e si manifesta con esaurimento
emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale. Il burnout è una sin-
drome multifattoriale data dall’insoddisfazione, l’irritazione quotidiana, dal senso di
delusione e d’impotenza di molti lavoratori che li conduce a diventare apatici, cinici
con i propri clienti, indifferenti e distaccati
dall’ambiente di lavoro. Fondamentalmente sembra che il burnout sia uno squilibrio
tra gli investimenti del soggetto nella sua attività e i risultati negativi ottenuti sia dagli
utenti (che non riconoscono l’appoggio e la
fatica degli operatori) sia dall’organizzazione (lavoro precario e poco retribuito, assenza di prospettive per un avanzamento di
carriera, ecc.).Si distingue sia dallo stress,
che può eventualmente essere concausa del
burnout, sia dalle varie forme di nevrosi, in
quanto disturbo non della personalità ma
del ruolo lavorativo. Il termine burnout, che
traducendo letteralmente dall’inglese significa bruciato o scoppiato, fu applicato per la
prima volta nel giornalismo sportivo anglosassone negli anni trenta per descrivere
il brusco calo di rendimento di un atleta che
dopo molto tempo di successi, pur essendo
in perfetta forma fisica, si “brucia” e si consuma esaurendo le proprie risorse. Coniato
per la prima volta da Freudenbergerer nel
1974, le ricerche successive hanno introdotto tale sindrome in ambito professionale, associandolo in particolare alle professioni socio-sanitarie, per poi estenderlo a
tutte le professioni dell’aiuto (helping profession), ossia in quegli ambiti in cui è centrale il rapporto con l’utenza. Possono essere medici, psicologi, infermieri che intervengono in situazioni particolarmente coinvolgenti come ospedali, reparti oncologici con pazienti terminali, comunità per soggetti affetti da AIDS, carceri, servizi per le
tossicodipendenze, pazienti psichiatrici
cronici, anziani, ecc.
Cristine Maslach (1981), una delle prime
studiose del fenomeno, ha elaborato un
questionario, il Maslach Burnout Inven-
tory, che ha identificato tre componenti
fondamentali del burnout:
- esaurimento emotivo: è la sensazione
di essere esausti e privi di energie nello
svolgere il proprio lavoro;
- depersonalizzazione: l’operatore mostra scarsa sensibilità, comprensione e
partecipazione ai problemi degli utenti.
I sintomi includono l’utilizzazione di
linguaggio denigratorio, risposte comportamentali negative e/o sgarbate,
pause e conversazioni prolungate con i
colleghi. L’operatore tenta così di sottrarsi al coinvolgimento limitando la
qualità e la quantità dei propri interventi
professionali, sino al punto di sfuggire
alle richieste di aiuto e di sottovalutare
i problemi dell’utente;
- ridotta realizzazione personale: sensazione di minore competenza, scarsa
considerazione dei risultati ottenuti e un
minor desiderio di migliorarsi a livello
professionale. Tale percezione negativa
è data dal fatto che il professionista si
sente in colpa per il disinteresse e l’intolleranza che dimostra verso la sofferenza degli altri e per le relazioni distaccate che ha instaurato con i destinatari delle sue prestazioni. Di qui una caduta dell’autostima e della fiducia nelle proprie capacità personali e professionali.
Si possono facilmente trarre le conclusioni che il processo di burnout se non
prevenuto né contenuto può gradualmente cristallizzarsi in una vera e propria
entità clinica, tale da incidere fisicamente e psicologicamente sull’individuo e
sui suoi rapporti relazionali. Dal 1994 inserito dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità nella Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-10), anche
se non è stata ufficializzata come tale dal
DSM IV-TR (classificazione internazionale delle patologie psichiatriche).
Sembra fondamentale, in questo panorama descritto, l’importanza dell’utilizzo di strategie specifiche di counseling
per supportare empaticamente l’operatore e attivare i processi motivazionali e
funzionali al mantenimento/accrescimento del benessere.
19
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OSPEDALE SAN PIETRO - ROMA
INAUGURAZIONE DELLA
NUOVA RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE
ALL’OSPEDALE SAN PIETRO ROMA
Giovanni Pimpinella
I
l 20 giugno 2014 nel Servizio di Diagnostica per Immagini dell’Ospedale
san Pietro si è inaugurato il nuovo impianto di Risonanza magnetica Toshiba
mod. Vantage Titan WM Power.
tivazioni che hanno portato a impiantare
la nuova moderna apparecchiatura e la
strategia attuata.
All’inaugurazione sono intervenuti il
superiore provinciale fra Gerardo D’Auria, il direttore generale fra Pietro Cicinelli, il presidente della Fondazione Roma prof. Emmanuele F.M. Emanuele, il
superiore fra Michele Montemurri, il direttore sanitario dott.ssa Rosalia Fiore, il
direttore amministrativo dr. Giuseppe
Salsano, il responsabile del Servizio di
Radiologia prof. Fanucci.
La Provincia Religiosa di san Pietro
dell’Ordine ospedaliero di san Giovanni
di Dio Fatebenefratelli, nell’esigenza del
continuo miglioramento dell’offerta di
servizi sanitari alla popolazione sia dal
punto di vista quantitativo che qualitativo,
ha individuato nel potenziamento e aggiornamento della U.O. di Diagnostica
per Immagini in particolare per il Settore
Risonanza Magnetica e Diagnostica Tradizionale gli ambiti che maggiormente rispondono a tale esigenza.
Il Superiore Provinciale nel porgere i
saluti al Presidente della Fondazione Roma e agli intervenuti, ha ricordato le mo-
Infatti la diagnostica con tecnologia di
Risonanza Magnetica (RM) rappresenta
un accertamento strumentale fondamen-
tale alla luce dell’ampliamento delle indicazioni cliniche e dei campi di utilizzo. La
tecnologia è diventata sempre più sofisticata e i tomografi RM di ultima generazione, particolarmente quelli con un campo magnetico da 1.5 tesla (o da 3 tesla),
consentono di svolgere tutta l’attività diagnostica assistenziale: esami angiografici, esami cardiaci, esami neuroradiologici, ecc.
La nuova strumentazione RM Vantage
Titan WM Power della Toshiba, consentirà quindi non solo l’esecuzione di esami
con più alta risoluzione ovvero con immagini più definite, ma potranno anche
essere sviluppate tecniche avanzate di indagine (spettroscopia, perfusione e attivazione corticale) le quali consentiranno
studi approfonditi della patologia neoplastica, vascolare, degenerativa,
sia nella fase di diagnostica iniziale della malattia che nel monitoraggio dopo terapia; inoltre
sarà possibile effettuare indagini
in campi di applicazione sinora
non utilizzati come a esempio lo
studio della patologia cardiaca.
La nuova strumentazione permette inoltre di ampliare l’offerta di risonanza magnetica non
solo per i pazienti ricoverati ma
anche per gli utenti esterni.
Una risonanza magnetica di
ultima generazione con le specifiche successivamente descritte,
oltre a una riduzione significativa del tempo di esame e un ampliamento delle indicazioni all’esame stesso, permette innovazioni di applicazioni cliniche significative, riduzione di artefatti “da movimento” con:
Da sinistra: fra Pietro, prof. Emmanuele F.M. e fra Gerardo
20
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- Possibilità di eseguire esami sia su
pazienti pediatrici che su pazienti che
presentano movimenti non controllabili;
- Eliminazione degli artefatti da movimento peristaltico e da flusso;
- Minimizzazione degli artefatti da suscettività magnetica nell’immagine in
diffusione pesata;
- Riduzione della necessità di sedazione paziente.
È per altro da evidenziare anche il notevole miglioramento della rispondenza della Tecnologia al comfort per il paziente durante l’esecuzione della prestazione, considerata la significativa ampiezza del diametro del gantry, che riduce notevolmente l’eventuale sensazione di claustrofobia.
Targa della Fondazione Roma
Risonanza Magnetica Vantage Titan WM Power 1.5 Toshiba
Da sinistra: prof. Fanucci, fra Gerardo, prof. Emmanuele,
dott. Rossi, fra Pietro, dott.ssa Ghisalberti.
In considerazione dell’importanza
dell’opera e del notevole impegno richiesto, è stato richiesto anche il sostegno della Fondazione Roma, attiva nel settore della Sanità e sostegno di ospedali e
strutture sanitarie
pubbliche e private
non profit, sia con
iniziative proprie
che con la promozione e collaborazione in attività che
rispondano e rispettino (i suoi)
obiettivi e standard
qualitativi.
La Fondazione
Roma, che rappresenta la più grande
fondazione di natura associativa del
nostro Paese, orientata a sostenere la
crescita in settori
strategici come la
sanità e la ricerca
scientifica, nella persona del prof. Emanuele ha accolto
con favore l’istanza
dell’Ospedale san
Pietro, riconoscendo l’importanza del
progetto sia dal punto di vista scientifico che per la rispondenza ai biso-
Momenti dell’inaugurazione
gni del territorio e concorrendo con notevole impegno economico alla realizzazione dell’opera.
Ci rifacciamo in ultimo al principio
chiave che guida l’opera di Giovanni di
Dio di “fare il bene, facendolo bene; vale
a dire non limitarsi alla semplice assistenza, dimenticando la qualità, ma coniugare la giustizia con la carità cristiana per offrire ai malati e ai bisognosi un servizio
efficiente e qualificato, sia a livello scientifico che tecnico”.
Dipartimento di Radiodiagnostica per
immagini e Radiologia interventistica
21
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O S P E D A L E B U C C H E R I L A F E R L A - PA L E R M O
LA GESTIONE DELLE
EMERGENZE EMORRAGICHE
Cettina Sorrenti
I
n Italia sono oltre un milione i pazienti
che utilizzano la Terapia Anticoagulante Orale (TAO), che rappresenta un
trattamento terapeutico o profilattico efficace in numerose condizioni cliniche:
trombosi venosa, embolia polmonare, fibrillazione atriale, valvulopatie, protesi
valvolari cardiache, infarto del miocardio,
ictus cerebrale. Questa terapia è gravata
da un’alta incidenza di complicanze
emorragiche o tromboemboliche che può
essere drammaticamente ridotta se il paziente viene seguito in una struttura adeguata in termini di competenza e di organizzazione. In questo Ospedale dal 2006
è stato attivato l’ambulatorio di TAO, gestito dal dott. Tommaso Gristina, responsabile dell’Unità Operativa Semplice di
Ematologia. Attualmente vengono seguiti all’incirca 700 pazienti ed effettuati
11.000 controlli annuali. Gli anticoagulanti orali servono a mantenere il sangue più fluido così da ridurre il rischio di
formazione di trombi e coaguli dei vasi
sanguigni. La loro azione è basata sull’interferenza con l’attivazione di alcune sostanze (fattori della coagulazione) che
servono per la formazione di un coagulo;
queste, infatti, per essere attive hanno bisogno della vitamina K. Gli anticoagulanti orali inibiscono l’azione di questa vitamina, e quindi, indirettamente rendono il
sangue meno coagulabile. L’effetto della
TAO tradizionale (Coumadin) è molto variabile tra i diversi individui e nel tempo
22
può cambiare anche per lo stesso individuo. La quantità di farmaco necessaria per
persona può essere molto diversa, e necessita di un monitoraggio costante (attraverso un prelievo di sangue) per la prescrizione del dosaggio adeguato.
Il 4 luglio, in Ospedale è stato organizzato dal dott. Tommaso Gristina e dal dott.
Vincenzo Minutella, dirigente medico del
Pronto Soccorso un Corso di formazione
dal titolo: “Le emergenze emorragiche”
destinato ai medici di pronto soccorso a
tutte le figure sanitarie del laboratorio
analisi, con lo scopo di fare un punto della situazione e aggiornare i professionisti
sull’uso dei Nuovi Farmaci Anticoagulanti (NAO), sui loro benefici e sui possibili effetti avversi. Mentre gli anticoagulanti di vecchia generazione presentano
una serie di criticità che impattano sensibilmente sulla vita quotidiana del paziente, la necessità di controlli costanti dei
paramenti della coagulazione, il continuo
adeguamento del dosaggio, l’alto potenziale di interazione con gli altri farmaci o
con i cibi, i nuovi farmaci non interferiscono sulle abitudini quotidiane del paziente e non necessitano di monitoraggio.
“La formazione del personale – spiegano
gli organizzatori del Corso – è fondamentale per la gestione del paziente emorragico in Pronto Soccorso che sta diventando
sempre più complessa, in parte per le nuove acquisizioni in campo di farmaci antitrombotici, in parte per le nuove conoscenze sui deficit della coagulazione che si verificano nel paziente critico. Alla classica
terapia anticoagulante, si sono recentemente aggiunti i nuovi anticoagulanti orali, che, sfruttando diverse modalità di anticoagulazione, necessitano di uno specifico
approccio nella gestione delle complicanze
emorragiche. Allo stesso tempo, la rapidità con cui tali eventi emorragici possono riverlarsi fatale per il paziente pone in capo
al medico di pronto soccorso una grande
responsabilità: individuare, misurare e
trattare nel più breve tempo possibile l’evento emorragico, non delegando a momenti successivi indagini e trattamenti.”
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MISSIONI FILIPPINE
NEWSLETTER
UN ALTRO BRUTTO TIFONE
A metà luglio un tifone, localmente
chiamato Glenda, ha flagellato le Filippine con venti di spaventosa violenza,
abbattendo alberi, case e pali della
luce, nonché causando la morte di un
centinaio di persone, nonostante ne
fossero state evacuate per prudenza un
mezzo milione. A Manila abbiamo dato
il nostro piccolo aiuto, offendo rifugio
in casa a 29 senzatetto. Ad Amadeo le
nostre serre sono state sconquassate e
sono caduti vari alberi, causando danni
ai nostri edifici.
PARTENZA DI FRA VITTORIO
All’alba del 30 luglio fra Vittorio
Paglietti è partito da Manila per trattenersi in Italia alcune settimane con tre
obiettivi: primo, ritemprare lo spirito,
partecipando a un corso di Esercizi
Spirituali predicato a Napoli dai Gesuiti di Villa Cangiani; secondo, verificare
il proprio fisico con qualche controllo
medico all’Ospedale San Pietro, così
da affrontare al meglio i sedici anni che
gli mancano per tagliare il traguardo
dei cent’anni nel luglio 2030; terzo, far
sprizzare dal suo cuore messaggi di
fede e di speranza tra i parenti e gli
amici che avrà modo d’incontrare in
patria.
ed è Responsabile del Noviziato Interprovinciale delle Suore del Cenacolo,
la quale ha messo a fuoco come la Vita
Religiosa debba essere solidamente
fondata su un forte rapporto interiore
con Gesù, in modo che ogni attività e
ogni difficoltà siano affrontate con Lui
e per Lui. Alla fine del Convegno c’è
stata una visita di studio al Noviziato
Interprovinciale dei Fratelli delle Scuole Cristiane.
Hanno partecipato al Convegno di
Amadeo: fra Giuseppe Smith, della
Provincia dell’Oceania e Presidente
della Commissione Regionale; padre
Giovanni Jung, già Superiore Provinciale della Corea nello scorso quadriennio e che da gennaio sarà il Direttore del nascente Centro Interprovinciale di Quezon City; fra Ignazio
Topno, Maestro dei Postulanti nella
Provincia Indiana; ben tre Formatori
della Provincia Vietnamita, ossia padre
Pietro Nguyen Minh Thang, fra Domenico Cao Quang Tinh e fra Bernardo
Buy Sy Chinh; due Scolastici delle
Delegazione Provinciale della Papua
Nuova Guinea, ossia fra Riccardo
Tawamana e fra Lorenzo Wamugl; e
cinque Formatori della Delegazione
Filippina, ossia fra Firmino O. Paniza,
padre Ildefonso L. de Castro, fra Rocco
T. Jusay, fra Raffaele L. Benemerito e
fra Ramiele A. Guinandam.
PRIMA PROFESSIONE
Ad Amadeo il 28 agosto per la festa di
Sant’Agostino, di cui osserviamo la
Regola, si son riunite le due Comunità
della Delegazione per partecipare alla
solenne Eucaristia, che ha presieduto alle
dieci del mattino mons. Teodoro J.
Buhain, ausiliare emerito di Manila e
affiliato al nostro Ordine; con lui hanno
concelebrato i fatebenefratelli padre Ildefonso L. de Castro, padre Pietro Nguyen
Minh Thang e padre Giovanni Jung.
Durante il Rito il Delegato Provinciale della Papua Nuova Guinea, fra
Cristoforo Kasoni, ha ricevuto la Prima
Professione del Novizio fra Tommaso
Asei, fungendo da testimoni fra Giuseppe Smith e fra Romano M. Salada.
Hanno partecipato alla festa diverse
suore della zona e di Manila, nonché
alcuni collaboratori e, ovviamente, i
partecipanti al Corso per Formatori e
perfino uno Scolastico della Papua
Nuova Guinea, fra Patrizio Yeii, venuto a Manila con fra Cristoforo.
CONVEGNO PER FORMATORI
Nelle Filippine col prossimo anno
scolastico prenderà il via a Quezon
City (Metro Manila) un apposito Centro Interprovinciale di Formazione per
i Confratelli professi della Regione
Asia Pacifico. In attesa che tale Centro
sia ufficialmente inaugurato, s’è svolto
nel Noviziato di Amadeo dal 25 al 27
agosto un Convegno Interprovinciale
per i nostri presenti o futuri Formatori
delle nuove leve dei Fatebenefratelli
nella Regione Asia Pacifico, animato
da suor Malen Java, che è docente nell’Istituto per la Vita Consacrata in Asia
Prima Professione di fra Tommaso Asei: la foto ricordo assieme ai Confratelli
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VO n° 09 settembre 2014_VO n° 09 settembre 2014 18/09/14 11.56 Pagina 24
I FATEBENEFRATELLI
ITALIANI NEL MONDO
I Fatebenefratelli d'ogni lingua sono oggi presenti in 52 nazioni con circa 290 opere.
I Religiosi italiani realizzano il loro apostolato nei seguenti centri:
CURIA GENERALIZIA
www.ohsjd.org
• ROMA
Centro Internazionale Fatebenefratelli
Curia Generale
Via della Nocetta 263 - Cap 00164
Tel 06.6604981 - Fax 06.6637102
E-mail: segretario@ohsjd.org
Ospedale San Giovanni Calibita
Isola Tiberina 39 - Cap 00186
Tel 06.68371 - Fax 06.6834001
E-mail: frfabell@tin.it
Sede della Scuola Infermieri
Professionali “Fatebenefratelli”
Fondazione Internazionale Fatebenefratelli
Via della Luce 15 - Cap 00153
Tel 06.5818895 - Fax 06.5818308
E-mail: fbfisola@tin.it
Ufficio Stampa Fatebenefratelli
Lungotevere de' Cenci, 5 - 00186 Roma
Tel.: 06.6837301 - Fax: 06.68370924
E-mail: ufficiostampafbf@gmail.com
• CITTÀ DEL VATICANO
Farmacia Vaticana
Cap 00120
Tel 06.69883422
Fax 06.69885361
• PALERMO
Ospedale Buccheri-La Ferla
Via M. Marine 197 - Cap 90123
Tel 091.479111 - Fax 091.477625
www.ospedalebuccherilaferla.it
• MONGUZZO (CO)
Centro Studi Fatebenefratelli
Cap 22046
Tel 031.650118 - Fax 031.617948
E-mail: monguzzo@fatebenefratelli.it
• ALGHERO (SS)
Soggiorno San Raffaele
Via Asfodelo 55/b - Cap 07041
• ROMANO D’EZZELINO (VI)
Casa di Riposo San Pio X
Via Cà Cornaro 5 - Cap 36060
Tel 042.433705 - Fax 042.4512153
E-mail: s.piodecimo@fatebenefratelli.it
MISSIONI
• FILIPPINE
San Juan de Dios Charity Polyclinic
1126 R. Hidalgo Street - Quiapo 1001 Manila
Tel 0063.2.7362935 - Fax 0063.2.7339918
E-mail: ohmanila@yahoo.com
http://ohpinoy.wix.com/phils
Sede dello Scolasticato e Postulantato
della Delegazione Provinciale Filippina
San Ricardo Pampuri Center
26 Bo. Salaban
Amadeo 4119 Cavite
Tel 0063.46.4835191 - Fax 0063.46.4131737
E-mail: fpj026@yahoo.com
http://bahaysanrafael.weebly.com
Sede del Noviziato della Delegazione
PROVINCIA ROMANA
PROVINCIA LOMBARDO-VENETA
www.provinciaromanafbf.it
www.fatebenefratelli.it
• ROMA
Curia Provinciale
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.33553570 - Fax 06.33269794
E-mail: curia@fbfrm.it
Centro Studi e Scuola Infermieri Professionali “San Giovanni di Dio”
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.33553535 - Fax 06.33553536
E-mail: centrostudi@fbfrm.it
Sede dello Scolasticato della Provincia
Centro Direzionale
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.3355906 - Fax 06.33253520
Ospedale San Pietro
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.33581 - Fax 06.33251424
www.ospedalesanpietro.it
• GENZANO DI ROMA
Istituto San Giovanni di Dio
Via Fatebenefratelli 3 - Cap 00045
Tel 06.937381 - Fax 06.9390052
www.istitutosangiovannididio.it
E-mail: vocazioni@fbfgz.it
Sede del Noviziato Interprovinciale
• BRESCIA
Centro San Giovanni di Dio
Via Pilastroni 4 - Cap 25125
Tel 030.35011 - Fax 030.348255
centro.sangiovanni.di.dio@fatebenefratelli.it
Sede del Centro Pastorale Provinciale
Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico San Giovanni di Dio
Via Pilastroni 4 - Cap 25125
Tel 030.3533511 - Fax 030.3533513
E-mail: irccs@fatebenefratelli.it
Asilo Notturno San Riccardo Pampuri
Fatebenefratelli onlus
Via Corsica 341 - Cap 25123
Tel 030.3501436 - Fax 030.3530386
E-mail: asilonotturnopampuri@libero.it
• CERNUSCO SUL NAVIGLIO (MI)
Curia Provinciale
Via Cavour 2 - Cap 20063
Tel 02.92761 - Fax 02.9241285
Sede del Centro Studi e Formazione
Sede Legale
Milano: Via San Vittore 12 - Cap 20123
e-mail: prcu.lom@fatebenefratelli.org
Centro Sant’Ambrogio
Via Cavour 22 - Cap 20063
Tel 02.924161 - Fax 02.92416332
E-mail:a s.ambrogio@fatebenefratelli.it
• SAN COLOMBANO AL LAMBRO (MI)
Centro Sacro Cuore di Gesù
Viale San Giovanni di Dio 54 - Cap 20078
Tel 037.12071 - Fax 037.1897384
E-mail: scolombano@fatebenefratelli.it
• SAN MAURIZIO CANAVESE (TO)
Beata Vergine della Consolata
Via Fatebenetratelli 70 - Cap 10077
Tel 011.9263811 - Fax 011.9278175
E-mail: sanmaurizio@fatebenefratelli.it
Comunità di accoglienza vocazionale
• SOLBIATE (CO)
Residenza Sanitaria Assistenziale
San Carlo Borromeo
Via Como 2 - Cap 22070
Tel 031.802211 - Fax 031.800434
E-mail: s.carlo@fatebenefratelli.it
Sede dello Scolasticato
• TRIVOLZIO (PV)
Residenza Sanitaria Assistenziale
San Riccardo Pampuri
Via Sesia 23 - Cap 27020
Tel 038.293671 - Fax 038.2920088
E-mail: s.r.pampuri@fatebenefratelli.it
• VARAZZE (SV)
Casa Religiosa di Ospitalità
Beata Vergine della Guardia
Largo Fatebenefratelli - Cap 17019
Tel 019.93511 - Fax 019.98735
E-mail: bvg@fatebenefratelli.it
• VENEZIA
Ospedale San Raffaele Arcangelo
Madonna dellʼOrto 3458 - Cap 30121
Tel 041.783111 - Fax 041.718063
E-mail: s.raffaele@fatebenefratelli.it
Sede del Postulantato e dello Scolasticato
della Provincia
• CROAZIA
Bolnica Sv. Rafael
Milosrdna Braca Sv. Ivana od Boga
Sumetlica 87 - 35404 Cernik
E-mail: frakristijan@fatebenefratelli.it
MISSIONI
• NAPOLI
Ospedale Madonna del Buon Consiglio
Via A. Manzoni 220 - Cap 80123
Tel 081.5981111 - Fax 081.5757643
www.ospedalebuonconsiglio.it
• ERBA (CO)
Ospedale Sacra Famiglia
Via Fatebenefratelli 20 - Cap 22036
Tel 031.638111 - Fax 031.640316
E-mail: sfamiglia@fatebenefratelli.it
• ISRAELE - Holy Family Hospital
P.O. Box 8 - 16100 Nazareth
Tel 00972.4.6508900 - Fax 00972.4.6576101
• BENEVENTO
Ospedale Sacro Cuore di Gesù
Viale Principe di Napoli 14/a - Cap 82100
Tel 0824.771111 - Fax 0824.47935
www.ospedalesacrocuore.it
• GORIZIA
Casa di Riposo Villa San Giusto
Corso Italia 244 - Cap 34170
Tel 0481.596911 - Fax 0481.596988
E-mail: s.giusto@fatebenefratelli.it
• TOGO - Hôpital Saint Jean de Dieu
Afagnan - B.P. 1170 - Lomé
Altri Fatebenefratelli italiani sono presenti in:
• BENIN - Hôpital Saint Jean de Dieu
Tanguiéta - B.P. 7