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La Curia di Milano chiede agli insegnanti di religione di compilare
dossier sulle scuole pro gay, poi chiede scusa. Scola Cantorum
Venerdì 14 novembre 2014 – Anno 6 – n° 314
e 1,40 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
LO STATO S’ARRENDE AI FASCISTI
Dopo le violente proteste aizzate da Casa Pound e Lega Nord, il Comune di Roma
sgombera il centro per rifugiati di Tor Sapienza. Il Viminale lancia l’allarme: “Così
si rischia di far esplodere altri focolai”. Intanto stampa e tv regalano passerelle
a Salvini & C. Nessun monito dai vertici delle istituzioni
Calapà, Rodano e Schiesari » pag. 2 - 3
dc
CHI FA FINTA
DI NON VEDERE
di Antonio
Padellaro
ggi a Tor Sapienza, in quel di Roma Capitale, è attesa la visita del senatore leO
ghista Mario Borghezio venuto a cantare vit-
toria, e giustamente visto che lo Stato incapace
di mantenere l’ordine nel quartiere ha deciso di
calarsi le brache procedendo allo sgombero degli extracomunitari dal locale centro di accoglienza, dando così ragione ai violenti e ai facinorosi di ogni colore. Borghezio (già condannato dopo l’incendio dei pagliericci di alcuni immigrati a Torino nel 2000) fa da battistrada al suo leader, Matteo Salvini, star dei
talk show, un simpaticone assurto alla notorietà
nel 2009 quando propose di riservare “alle donne e ai milanesi” appositi vagoni della metropolitana, onde evitare evidentemente
pericolose
contaminazioni con negri e
altre razze inferiori. Quello
stesso Salvini diventato
compagno di merende delle
squadre speciali di Casa
Pound, che almeno non
fanno mistero della loro
quintessenza fascista. Questi personaggi, fino a qualche tempo fa comparse pittoresche della politica minore, oggi fanno molto meno ridere e raccolgono a piene mani la
rabbia collettiva seminata dalla politica maggiore. Non ci occuperemo qui dei torti e delle
ragioni di quella che su Repubblica monsignor
Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma,
ha definito “guerra fra poveri” segnalando “la
spregiudicatezza di politici che cavalcano il
malcontento attirando i gruppi più estremi”.
Ma più grave ancora è il silenzio delle istituzioni, indifferenti di fronte al dilagare di una
guerriglia che nelle borgate romane è caccia
allo straniero, mentre a Milano diventa rissa
quotidiana nelle case popolari occupate. Tace il
governo: e se l’assenza di Alfano non fa più
notizia, per la palese inadeguatezza del ministro dell’Interno (curiosa la protesta del Viminale, quando ormai a Tor Sapienza lo Stato si
era ritirato), l’indifferenza di Matteo Renzi va
misurata con il metro del cinismo. Il premier,
infatti, rifugge dalla realtà soprattutto quando
essa si presenta con effetti sgradevoli (a Genova, per dirne una, aspettano ancora la sua
visita dopo l’alluvione di oltre un mese fa); e
chissà se i suoi addetti alla comunicazione oltre
a provvedere alla “modalità golfino” gli nascondono anche i giornali con le brutte notizie.
Stupisce infine l’assenza di moniti del Quirinale. Abituati ad ascoltare richiami e reprimende sull’universo mondo, si stenta a comprendere come mai questa escalation d’intolleranza
in un corpo sociale devastato dalla crisi susciti
sul Colle così scarso interesse. Il modo migliore
per lasciare campo libero ai razzisti in camicia
verde e ai fascisti in camicia nera
LA CATTIVERIA
Honduras: Minetti e Siffredi
all’Isola dei Famosi.
Le chiamavano Isole Vergini
» www.forum.spinoza.it
y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!#!=!=!&
I cittadini di Tor Sapienza protestano davanti al centro d’accoglienza e la Polizia in assetto anti sommossa Eidon /LaPresse
» JOBS ACT » Contentino alla sinistra Pd sull’art. 18 e l’Ncd si ribella
Renzi, gli accordicchi
per tirare a campare
Possibile il reintegro per i licenziamenti “disciplinari”, ma sarà il governo nel
decreto a decidere in quali casi. Senza contare il Vietnam del Senato Marra » pag. 4
JEAN CLAUDE JUNCKER
Bombe, ricatti
e Licio Gelli:
com’è nero
il passato
di Mr. Europa
Feltri » pag. 5
PLUSVALENZE CON VISTA
SINDROME CAPITALE
ALLA FIERA DELL’EST
Colosseo, stavolta
Scajola vende casa
(sapendolo)
e incassa 1 milione
È la Panda che
si ribella a Marino:
multe, clacson
e strisce pedonali
Contrabbando
di alcol, Moncler
e armi: tutti pazzi
per la Transnistria
Lillo » pag. 6
Disegni e Natangelo » pag. 7
Valdambrini » pag. 13
Sali & Tabacci
di Marco Travaglio
el manicomio organizzato che per comodità
N
chiamiamo politica, la follia passa inosservata perché i matti, com’è noto, non la notano. E
chi dovrebbe notarla, cioè i medici e i paramedici
che ogni giorno stilano le loro cartelle cliniche
credendosi giornalisti, è troppo contagiato dalle
loro turbe psichiche perché si sente parte della
stessa specie subumana. Così nessun giornale sottolinea la singolarità del “comunicato congiunto”
dello Spregiudicato e del Pregiudicato al termine
dell’ottavo vertice a due in otto mesi. Anzitutto
per le firme: il capo del governo e uno dei capi
della (presunta) opposizione parlano a una sola
voce, come Qui, Quo e Qua. Una parola per ciascuno. E ci assicurano che il Patto del Nazareno “è
oggi più solido che mai” sulla legge elettorale.
Purtroppo restano ”le differenze sulla soglia minima di ingresso e sulla attribuzione del premio di
maggioranza alla lista, anziché alla coalizione”:
cioè sulla legge elettorale non c’è nessun accordo,
ma ciò “non impedisce di considerare positivo il
lavoro fin qui svolto e di concludere i lavori in
aula al Senato dell’Italicum entro dicembre e della
riforma costituzionale entro gennaio 2015”, anche se nessuno sa che razza di Italicum e di riforma costituzionale usciranno dal Parlamento,
sempreché ne escano, visto che per il nuovo Senato e il nuovo articolo V della Carta occorrono
altre quattro letture intervallate da 9 mesi e dunque la scadenza di gennaio è una barzelletta. Ergo,
concludono gli squilibrati, “questa legislatura dovrà proseguire fino alla scadenza naturale del
2018”. Anziché chiamare l’ambulanza, i giornaloni lambiccano fumose formule politichesi per
nascondere la realtà manicomiale. Spettacolare
Repubblica: “Renzi-Berlusconi, c’è il patto”. Meraviglioso il Corriere: “Così l’intesa Renzi-Berlusconi”. Strepitoso il Giornale: “Tiene il patto con
Berlusconi, non sull’Italicum”, anzi “nonostante
l’Italicum”: ma allora cos’è che tiene, e su cosa,
visto che i due si son visti per parlare di Italicum?
Il pompiere capo Massimo Franco inventa il “patto diseguale”, che fa impallidire le convergenze
parallele, gli equilibri più avanzati, la terza fase e il
preambolo della Prima Repubblica. I vertici di
maggioranza e le verifiche di governo invece sono
già tornati, grazie alla prorompente forza innovativa del renzismo. Ma anche quelli non li nota
nessuno. Neppure dinanzi alle foto di gruppo dei
cosiddetti “leader della maggioranza” che lunedì
sera, profittando dell’oscurità, hanno incontrato
il premier per la “verifica” sull’Italicum.
Le cronache segnalano che erano in 18. Oltre a
Renzi e a due dispersi che non siamo riusciti a
identificare neppure con i cani da valanga, c’erano i capigruppo Pd Zanda e Speranza; gli Ncd
Alfano, Quagliariello, De Girolamo e Sacconi;
Cesa per l’Udc di Casini (non invitato Mario
Mauro, leader di un fantomatico “Pi”, che potrebbe voler dire qualunque cosa); tali Romano e Dellai, in rappresentanza di un imperscrutabile partito “Per l’Italia” (onde evitare confusione con Per
la Germania, Per la Patagonia, Per il Tibet e cose
così); e i notissimi Susta e Mazziotti, colonne portanti di quel che resta di Scelta Civica (che dovrebbe appartenere a Monti, ma non è sicuro).
Nencini guidava la poderosa falange Psi. E c’era
persino Tabacci, nella sua ultima reincarnazione:
presidente dell’inaudito Cd (pare sia un partito,
non un disco). Zeller troneggiava a nome delle
Autonomie, tutte, peraltro a loro insaputa. Resta
da spiegare le presenza di Pino Pisicchio, ex Dc, ex
Dini, ex Margherita, ex Idv, ex Centro democratico, ex Apl, ex tutto: secondo alcuni, era lì per il
Gruppo Misto; secondo altri l’avevano invitato
per sbaglio; una terza scuola di pensiero sostiene
invece che si sarebbe imbucato, ma nessuno se n’è
accorto, essendo costui ormai considerato parte
dell’arredamento, come le fioriere e i posacenere.
Alla fine, esaurite le presentazioni che han richiesto un paio d’ore, uno dei leader (di cui ci sfugge il
nome) non sapeva dove spegnere la cicca. È stato
allora che s’è udita una voce da sotto una poltrona: “Ma son qui apposta, collega: spegni pure
qua”. Era Pisicchio.
2
RESA CAPITALE
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
Ccentri
osa sono Cie,
per rifugiati
e di primo soccorso
L’ITALIA ha tre tipi di struttura per
“accogliere” e assistere gli immigrati
che arrivano. Conosciamo fin troppo
bene il Cpsa, il Centro di primo soccorso e accoglienza: uno su tutti (e
quattro), quello di Lampedusa. Si
tratta, infatti, di strutture allestite
nei luoghi di maggiore sbarco, dove
il Fatto Quotidiano
gli stranieri ricevono le prime cure
mediche, vengono fotosegnalati,
viene accertata l’eventuale intenzione di richiedere protezione internazionale e vengono smistati verso altri centri. Il Cie, Centro di identificazione ed espulsione, è spesso definito “lager”, per la lunga perma-
nenza al suo interno degli immigrati
e per il fatto che non è loro consentito uscire. Esistono infine i Cara,
Centri di accoglienza per richiedenti
asilo, che in teoria dovrebbero essere occupate per il tempo necessario alla verifica dei requisiti. Le
porte dei Cara rimangono aperte.
Tor Sapienza, si sgombera
Ma lo stupro è un mistero
PORTATI VIA DAL CENTRO ACCOGLIENZA 43 MINORENNI. LA RAGAZZA CHE AVEVA
ACCESO LA MICCIA (“UN NERO VOLEVA VIOLENTARMI”) CI RIPENSA: “ERA RUMENO”
di Alessio Schiesari
A
Tor Sapienza basta
un caffè per tornare
a infiammare gli
animi e alzare le mani. Dopo quattro giorni di bombe carta, pestaggi agli immigrati
e rivolta anti centro di accoglienza, la periferia est di Roma
è ancora in preda a una crisi di
nervi. Ieri, in tarda mattinata,
l’ennesimo episodio: una rissa
tra residenti e rifugiati sfociata
in un lancio di oggetti contro il
Centro di accoglienza. Nemmeno la decisione del sindaco
Marino di piegarsi alla violenza
e trasferire i 43 minori ospiti
della struttura è stata sufficiente
a calmare gli animi.
PROMESSE, presidi e spaccio.
La notte tra mercoledì e giovedì
è trascorsa abbastanza tranquilla, anche perché nel pomeriggio
i residenti hanno incontrato
Marino al Campidoglio che ha
loro promesso di trasferire i migranti. Viale Morandi è comunque una trincea: da un lato il
cordone di polizia misto al presidio dei centri sociali (anche se
questi ultimi se ne andranno
prima delle undici, mentre gli
agenti rimarranno tutta la notte). Dall’altro, i duri e puri della
protesta, una ventina, tutti giovani. Dietro, tra i quattro blocchi di edifici fatiscenti, scene di
ordinario degrado: ragazzi che
bevono, altri che spacciano senza curarsi delle decine di poliziotti dall’altra parte dell’edificio, a un centinaio di metri. Ma,
nei condomini della rabbia italiana, nessuno sembra farci ca-
so: “Qui il 25% degli inquilini è
pregiudicato”, stima un funzionario di polizia.
LE VERSIONI DI AMBRA. La
tensione torna a salire in tarda
mattinata. I ragazzi e operatori
della cooperativa non se la sentono di uscire a prendere la colazione. A portare i caffè ci pensa un gruppo di residenti, alcuni
tra quelli più agitati. C’è anche la
protagonista della rivolta: Ambra, 28 anni, coda di cavallo e un
paio di fuseaux sportivi lucidi. Il
primo assalto, quello di domenica notte, è partito dalla sua denuncia: portavo a passeggio il
cane, un nero mi ha aggredita
per stuprarmi. La pistola fumante sono i segni di violenza
sul collo. Le contraddizioni
emergono nei giorni successivi:
la denuncia presentata con
quattro giorni di ritardo, le accuse alla polizia che l’avrebbe
prima manganellata, poi cacciata dal commissariato. Ieri, secondo gli operatori del centro di
accoglienza, avrebbe ritrattato:
“Ora dice siano stati dei rumeni”, spiega Gabriella Errico, direttrice della onlus Un Sorriso.
CAFFÈ AMARO. Ambra e gli
amici si presentano al centro
con in mano un caffè: “Era un
gesto distensivo. Un negro però
è uscito e ha dato una pizza in
faccia alla ragazza. Poi ne è uscito un altro che ha gridato ‘italiani di merda’”, racconta un
gruppo di ragazze. Secondo Errico invece “il caffè era solo un
cavallo di Troia per tornare litigare”. Manca una versione ufficiale (la polizia non ha fornito
una ricostruzione), ma viale
Morandi torna a riempirsi. Il
parapiglia convince Marino ad
accelerare il trasferimento dei
minori. Dovevano esserne spostati quattro al giorno per non
dare nell’occhio, ieri invece se
ne sono andati tutti e 43. Trasferiti in altre strutture del Lazio, manterranno il loro status:
né rifugiati, né richiedenti asilo,
semplicemente minori non accompagnati di cui si deve occupare lo Stato italiano. Il Campidoglio smentisce, ma sembra
IL DIRIGENTE
DI POLIZIA
Nel palazzo
di fronte a quello
che ospita
gli immigrati,
almeno il 25 per cento
degli abitanti
sono pregiudicati
che anche i 35 rifugiati adulti,
soprattutto afghani e pachistani, saranno trasferiti oggi.
CESTINI NUOVI nella bidonvil-
le. Lo Stato, che qui non s’è mai
visto, è arrivato col richiamo
delle bombe carta. A testimoniarlo ci sono i cestini per le cartacce nuovi, secondo i residenti
installati pochi giorni fa, e la
processione di mezzi per pulire
le strade: passano sette volte in
un pomeriggio, ora che ci sono
le telecamere. La rabbia del
quartiere però non scema. “Non
bastano i neri, devono andarsene tutti: anche rumeni e rom”,
attacca Ramona. Con la mano
indica a sinistra, dove la sera si
riuniscono i trans che poi consumano sotto le sue finestre. A
destra, il campo rom. Dall’altra
parte, la scala degli edifici dove
gli abusivi rumeni occupano i
negozi abbandonati e gli scantinati insieme agli italiani. “A
loro pagano tutto: vitto e alloggio. Io pago la pigione”, grida
Ramona. Lei sì, ma il 50% degli
inquilini dei 495 alloggi popolari dell’Ater è indietro coi pagamenti, il 20% in più della media della Capitale.
UN FUTURO mai iniziato. Ap-
pena fuori dal corridoio degli
occupanti due sorelle, 17 e 21
anni, stanno sedute su una panchina. Sulla colonna a fianco
qualcuno ha scritto i loro nomi,
che campeggiano sullo sfondo
di graffiti con le svastiche e scritte come “Roma ai romani”. Anche loro ce l’hanno con gli immigrati: “Fischiano alle ragazze
e fanno arrivare le guardie. Poi
buttano il cibo che gli paghiamo”, spiega la più piccola. “Vorremmo andarcene da questo
quartiere, ci abbiamo pensato
tante volte, ma non lavoriamo”,
la interrompe l’altra. Ma qualcosa da fare ce l’avete? “Voglio
tornare a studiare, devo ancora
finire la terza media”, dice la più
giovane. Silenzio imbarazzato,
poi risponde la sorella, ma sarà
breve: “Anch’io”.
ADUNATA NEONAZISTA
Skinhead di tutta Europa a Milano
per celebrare (anche) le gesta di Priebke
LE TESTE RASATE di mezza Europa si riu-
niranno a Milano il 29 novembre per
l’Hammerfest 2014. Tra rievocazioni neonaziste, svastiche e slogan razzisti, all’evento suoneranno gruppi come gli ungheresi
Vérszerzodé (messi al bando dalla Svizzera) e gli italiani Gesta Bellica, conosciuti
nell’ambiente per celebrare le gesta del comandante delle Ss Erich Priebke.
NEOFASCISTI SU MARTE
Conferenza “ultrasegreta” di Forza Nuova
contro la base Nato di Vicenza
MASSIMO RISERBO sul luogo e sull’ora esat-
ti in cui si terrà domani la conferenza “Europa, una, libera e fiera”, organizzata dal leader
di Forza Nuova, Roberto Fiore, a Vicenza, in
opposizione alla presenza della base militare
della Nato. Contro la manifestazione si sono
schierati sindaco, l’Associazione Nazionale
Partigiani, capigruppo consiliari e tutte le
forze di centro sinistra.
RESA CAPITALE
il Fatto Quotidiano
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
MAGLIETTA ALLEGRA
LA CALATA DEL SEGRETARIO
Chissà con quale maglietta si presenterà, nella trasferta romana. Dopo il 23
novembre, appena chiuse le urne per le
Regionali in Emilia Romagna, il segretario della Lega Matteo Salvini calerà
nella Capitale, per visitare i quartieri
3
dove sono più forti le tensioni sociali.
“Ho ricevuto molte chiamate, in molti
chiedono la mia presenza e quella della
Lega, ci andrò” assicura Salvini. Nell’attesa, potrà scegliere quale messaggio
scrivere sulla t-shirt o sulla felpa: un
cavallo di battaglia per il leghista. Pronto a invadere l’Urbe.
LA PIAZZA DEI FASCIOLEGHISTI
ROMA S’ARRENDE AI VIOLENTI
IERI GIORGIA MELONI, OGGI BORGHEZIO, FRA QUALCHE GIORNO MATTEO SALVINI
CASA POUND IN PRESIDIO FISSO. VIMINALE IN ALLARME: “LO STATO SI È PIEGATO”
di Tommaso Rodano
L
ILFATTOQUOTIDIANO.IT
Online le testimonianze e i fatti di Tor Sapienza
nei servizi video di Annalisa Ausilio
e Chiara Carbone, anche oggi in presa diretta
sul nostro sito. A fianco, immagini di Tor Sapienza
dopo il trasferimento dei rifugiati minorenni LaPresse
SPARI Tor Bella Monaca
Gambizzato per la casa
rla, forti rumori e uno sparo. Tor Bella MoU
naca, estrema periferia est della Capitale. Nel
pomeriggio di ieri i poliziotti, arrivati in un ap-
partamento in via dell’Archeologia, allertati dai
vicini, hanno ritrovato due uomini, padre e figlio,
entrambi feriti. Il primo, cinquantenne, colpito
con un colpo d’arma da fuoco ad una gamba. Il più
giovane, venticinquenne, con una ferita alla testa,
forse di un’arma contundente, probabilmente il
calcio della stessa che ha ferito il padre. I due sono
stati subito soccorsi e trasportati all’Ospedale Tor
Vergata, dove sono stati ricoverati e non sarebbero
in pericolo di vita. Mistero sui dettagli dell’agguato. Gli agenti indagano sull’effettiva dinamica di
quanto è avvenuto nell’appartamento. Secondo le
prime ipotesi, alla base dell’aggressione di padre e
figlio ci sarebbe una faida per l’occupazione della
casa, dove abita la compagna dell’uomo gambizzato. È probabile che i due siano stati assaliti da
degli occupanti abusivi che, approfittando dell’assenza della donna, si sarebbero temporaneamente
impossessati dell’immobile.
Solo “La Zanzara”
a destra ha scoperto
Tor Sapienza. Il
quartiere abbandonato, all’improvviso,
è il centro di Roma: sul carro armato dell’odio vogliono salire
tutti. La borgata si è trasformata
in uno dei primi palcoscenici
della nuova alleanza fascio-leghista tra il Carroccio e Casa
Pound. Ma non solo. La sfilata
degli onorevoli l’ha inaugurata
Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia.
Oggi tocca al solito Mario Borghezio. C’è da celebrare una
piccola vittoria: i rifugiati
sgomberano. Non tutti, si comincia dai minori: 43 ragazzini,
tutti orfani, arrivati dal nord
Africa sui barconi. Li portano
via dal centro accoglienza per
preservarli dalle violenze, e per
dare in pasto un successo simbolico alla piazza.
Tor Sapienza sono state colpite:
gli agenti feriti in queste notti di
guerriglia sono dodici. Intanto il
quartiere continua a ribollire. La
borgata era abituata alla separazione anche fisica dal resto della
città: un’isola di cemento arrampicata su una lunga salita poco oltre via Palmiro Togliatti, confine
psicologico della periferia est romana. Fino all’altro ieri esisteva
solo per i suoi abitanti. Oggi, dopo quattro giorni di violenze,
scopre le telecamere, i taccuini
dei giornalisti e le passerelle degli
onorevoli. “Qui non è mai venuto
nessun politico e nessuno deve
venire. I partiti non esistono”,
ringhia una voce del quartiere.
Ma quando inizia la sfilata di chi
vuole mettere il cappello sulla
rabbia, la gente si scioglie. Giorgia Meloni è accolta come la sal-
vatrice della patria. È la leader di
Fratelli d’Italia, il partito dell’ex
sindaco Alemanno, che ha amministrato questa città – Tor Sapienza compresa – per cinque
anni. Contraddizione che non
pare disturbare nessuno. La Meloni è circondata dai giornalisti.
I ragazzi del quartiere si spa-
L’ESTREMISTA
Di Stefano: “Noi qui
ci siamo sempre stati
Siamo accanto
alla gente, diamo
una mano al comitato
di quartiere”
IL COMUNE di Roma si giustifi-
ca: “Il centro di viale Morandi è
stato gravemente danneggiato e
al momento in molti dei suoi spazi è inagibile”. Ecco perché ieri i
ragazzi sono stati trasferiti in altre
strutture. Ma la versione più credibile – che rimbalza nei corridoi
del Dipartimento Immigrazione
del Ministero dell’Interno – è che
lo Stato si è piegato alla piazza inferocita. Una resa che spaventa il
Viminale e Angelino Alfano che
ha convocato prefetto e questore
per diramare una nota che scarica tutte le responsabilità sul Comune: “Hanno deciso loro, il primo piano era inagibile”. Ma in
realtà per il Viminale è un precedente gravissimo e una dimostrazione di debolezza. Anche di
fronte alle forze di polizia, che a
OGGI a Tor Sapienza tocca a Mario Borghezio. L’eurodeputato
Giorgia Meloni (FdI), Mario Borghezio (Ln) e Simone Di Stefano (Cp)
Cruciani: “Ognuno può dire ciò che vuole”
Su Radio24: “Fare dei rom cibo per porci”
di Giampiero Calapà
rasmissione “La Zanzara”, Radio24, l’emittente di Confindustria. Tal Giorgio da Genova auspica lo sterminio
T
dei rom, il giornalista Giuseppe Cruciani dice che “ognuno
può dire quello che vuole”. Ecco di seguito l’incredibile dialogo andato in onda il 12 novembre nell’indifferenza generale.
Giorgio da Genova: “Io sono per lo sterminio completo
dei rom e degli zingari, farne del mangime per i maiali
è l’unica soluzione per...”
Giuseppe Cruciani: “È l’unica soluzione per cosa?”
David Parenzo: “Spero che questo pazzo stia scherzando...”
Giorgio da Genova: “No, no, non sto scherzando... Lo
sterminio completo: donne, uomini e bambini”
Giuseppe Cruciani: “Qualcuno c’ha detto, qualcuno ha
scritto, l’avete cassato, l’avete tolto, l’avete buttato via
dalla trasmissione. Noi non lo facciamo questo e ce lo
abbiamo qui in carne e ossa, caro Parenzo: Giorgio da
Genova. Io voglio capire da Giorgio da Genova se veramente vuol fare dei rom mangime per gli animali?”.
Giorgio da Genova: “Io sono tranquillo perché sono
cosciente di quello che dico. Io ho una moglie non
italiana e si è inserita benissimo. Loro non s’inseri-
zientiscono: “Sei venuta qua per
noi o per le telecamere?”. Ma
Tor Sapienza è soprattutto una
delle prime prove di forza della
nuova creatura di Matteo Salvini, la “cosa neroverde” che tiene
insieme i neofascisti di Casa
Pound e gli ex (?) secessionisti
della Lega Nord. Casa Pound in
piazza c’è, pure se si fa vedere
poco. Federico, 46 anni, si definisce un “simpatizzante” del
centro sociale nero. Viene dal
Quarticciolo, borgata dell’altro
lato di via Togliatti. “Dite pure
che è una protesta fascista, ma
non è così, non capite niente”.
Non ha tutti i torti: la regia di
questa piazza magari non è politica. Ma la destra questo furore
lo cavalca, eccome. Simone Di
Stefano, leader di Casa Pound,
non lo nasconde. “Noi a Tor Sapienza ci siamo sempre stati.
Non abbiamo mai governato
questa città e questo territorio,
non ci siamo sporcati la coscienza. Noi siamo accanto alla gente,
diamo una mano al comitato di
quartiere. È un terreno incontaminato: siamo gli unici che possono venire qui senza prendersi
gli insulti. Chi è che può parlare
a questa gente? Marino? Alemanno? Per carità...”.
scono, gli animali... il Mein Kampf se non sbaglio, dice:
un animale se lo addestri cambia, uno zingaro non
cambia. Quindi via: un campo di concentramento, un
autocompattatore, da una parte entrano zingari
dall’altra esce mangime per maiali”
Giuseppe Cruciani: “Io pensavo scherzasse, Parenzo,
questo signore”
David Parenzo: “Questa persona vomitevole che sta
parlando, che addirittura cita il Mein Kampf di Adolf
Hitler alle 19,43 su un’importante radio nazionale, dice delle cose... mi puoi dare il numero di cellulare di
questo signore che lo do alla questura per favore”
Giuseppe Cruciani: “No, ma perché alla questura, adesso che c’entra la questura?”
David Parenzo: “No, no adesso non scherzo più...”
Giuseppe Cruciani: “Ma io non ho scherzato e ti assicuro che non ho concordato nulla con questo signore. Giorgio, lei ha citato il Mein Kampf di Hitler, si rende
conto o no? Ognuno può dire quello che vuole, ma non
è che può prendere come esempio il Mein Kampf di
Hitler...”
David Parenzo: “Io questo signore lo denuncio. C’è da
intervenire subito, andare dai carabinieri e dalla po-
lizia, uno così in libertà non può stare...”
Giuseppe Cruciani: “Vabbè, ma non esageriamo, uno
può dire quello che vuole...”
Giorgio da Genova: “Bravo, bravo Cruciani...”
Giuseppe Cruciani: “E vabbè quello che è, lo denunceranno le associazioni rom, lo denunceranno nazione
rom, questi qua, va benissimo... o denuncialo tu, chissenefrega, se lo vuoi denunciare denuncialo”
David Parenzo: “Mi mandi il numero di questo?”
Giuseppe Cruciani: “Sì, te lo mando, te lo mando”
Giorgio da Genova: “No, no Cruciani, Cruciani non mi
tradisca...”
Giuseppe Cruciani: “No, non è che se la fa sotto lei
adesso amico mio, se ha detto delle cose ne subisce le
conseguenze come tutti (...). Dice queste cose con questa voce tranquilla, tipo Himmler”
David Parenzo: “È questo che lo rende più pericoloso”
Giuseppe Cruciani: “Eh pericoloso dai...”.
Cinque minuti di oscenità con un’abile e furba modalità di
prendere le distanze continuando a far parlare – all’audience
non si comanda – il tal Giorgio quando bastava interrompere
la trasmissione.
gongola: il fascio-leghismo è anche una sua creatura. I voti di Casa Pound l’hanno portato a Bruxelles, la rabbia delle periferie romane gli sta regalando i riflettori.
“Io candidato sindaco per il dopo
Marino? Sarebbe meglio un romano”, si schernisce. “Magari di
Casa Pound”. Soffiare sul fuoco
di un quartiere in fiamme non lo
spaventa. “Queste situazioni non
le abbiamo mica create noi per fare campagna elettorale. Si trascinano da anni. A Corcolle (l’altra
periferia romana esplosa a ottobre, ndr) sono stato accolto da un
cartello: Lega salvaci tu”. È il
mondo alla rovescia. Lorenza,
anziana, capelli rossi e occhiali
sottili, abita in una casa popolare
e strilla contro “le puttane e i culattoni che infestano il quartiere”.
Nel calderone dell’odio non ci sono solo “i negri”. Lorenza è qui
per ascoltare la Meloni, ma sogna
Salvini. Lo grida alle telecamere:
“Addavenì Matteo. Ha promesso
che sarebbe venuto”. Arriverà
anche lui. “Lo aspettiamo, qui ci
vuole la Lega”. Intanto c’è Borghezio. La rabbia è per il territorio
devastato, per le strutture fatiscenti, l’immondizia per strada, i
mezzi pubblici insufficienti, la
città lontanissima. I migranti che
c’entrano? Chiosa Borghezio:
“La questione della cattiva amministrazione ce la sbrigheremo noi
politici. Ma questi qui, i neri, perché non li portano dove abita il
sindaco, a via Condotti o al centro? L’incazzatura di queste persone è sa-cro-san-ta”.
4
DEMOCRATICI
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
U
na scorta
per Taddei, il prof
che riforma il lavoro
LA DECISIONE l’ha presa il Viminale,
sulla base delle indicazioni arrivate
dalla Digos di Bologna dove in questi
mesi è cresciuta la preoccupazione per
Filippo Taddei, il professore della Johns
Hopkins chiamato da Matteo Renzi
all’incarico di responsabile economico
della segreteria del Pd e oggi impegna-
to nell’elaborazione del Jobs Act. Taddei non avrà una scorta vera e propria
ma la cosiddetta “tutela”: sarà seguito
costantemente da un uomo della polizia nei suoi spostamenti, a Bologna
come a Roma e altrove. “Non ci sono
stati episodi né minacce particolari –
spiegano gli addetti ai lavori – ma il pro-
il Fatto Quotidiano
fessore fa esattamente lo stesso lavoro
di Massimo D’Antona e Marco Biagi, le
tensioni sulle questioni del lavoro aumentano e Taddei sembra particolarmente esposto”. Una misura precauzionale, quindi. Taddei preferirebbe
non parlarne ma conferma: “È stata la
polizia a consegnarmi questa misura”.
Matteo Renzi Ansa
IMMACOLATI
di
Giorgio Meletti
Il ponte e la logica
Tutto cambia verso
C’
LA TREGUA DI MATTEO CON I SUOI
MA ADESSO LITIGA CON ALFANO
è ponte e ponte. Quello di destra e quello di sinistra, ovviamente intercambiabili nel nuovo
gioco delle tre carte post-ideologico del renzismo: ponte
vince, ponte perde. E dunque lo sciopero della Cgil proclamato per il 5 dicembre, un venerdì, si unisce velenosamente al sabato e alla domenica e poi al lunedì 8
dicembre, festa dell'Immacolata concezione. Immacolata come la concezione del diritto di sciopero del renzianissimo Ernesto Carbone, che twitta perfido: “Il ponte è servito”. Non importa che il sarcasmo sullo sciopero
per fare vacanza e sulla manifestazione come scampagnata siano vecchi arnesi con cui da sempre la destra
svilisce il conflitto sociale come frutto della pigrizia dei
sudditi. Adesso l’arguzia di Carbone è di sinistra, la Cgil
di destra. E infatti quando la Palazzoli di Brescia ha ospitato in fabbrica l’assemblea degli industriali (ospite
d’onore Renzi) e messo in ferie forzate i lavoratori,
l’azienda ha replicato alle proteste notando che era lunedì 3 novembre e quindi “lo fanno nel periodo dei
morti, quindi gli va anche bene”. E quindi tutti contenti,
carta vince carta perde, il ponte obbligatorio della Palazzoli è di sinistra, perché lo ha deciso un padrone renziano. Il ponte di dicembre invece è di destra perché l’ha
deciso il sindacato. #cambiaverso anche la logica.
SUL JOBS ACT UN CONTENTINO ALLA MINORANZA. NCD: “NON LO VOTIAMO”
di Wanda Marra
N
ella sostanza non
cambia niente: saranno i decreti delegati a scrivere le
vere norme”. Nei corridoi di
Palazzo Chigi la raccontano
(anche) così la mediazione sul
jobs act raggiunta ieri nella
Commissione Lavoro del Pd,
che ha provocato la reazione
minacciosa di Ncd. “La partita
è chiusa, il Parlamento voterà
nelle prossime ore e dal primo
gennaio avremo chiarezza sulle regole", chiarisce Renzi da
Bucarest a chiunque abbia ancora qualcosa da dire, cantando vittoria (“passo importante”). E poi parla di “possibile
fiducia” alla Camera sul testo
modificato. Fiducia che al Senato, dove la legge delega poi
deve tornare, viene data per
scontata.
noranza ridotta in pezzi: l’odg
era stato approvato con 130 voti favorevoli, 11 astenuti (tra cui
Speranza) e 20 contrari (tra i
quali D'Alema, Bersani, Cuperlo, Civati, Fassina, D'Attorre).
“Grande soddisfazione per
l’esito della riunione con il
gruppo del Pd in commissione
Lavoro. È un impulso decisivo
per giungere il più velocemente
possibile all’approvazione definitiva del testo”: ci fanno addirittura una nota congiunta il
vicesegretario Lorenzo Guerini, il presidente dell’assemblea
nazionale Matteo Orfini e Filippo Taddei.
Minoranza, invece, in evidente
e continua difficoltà. Civati
propone per il governo l’hashtag #passodopopassoindietro (ma non sa ancora se voterà
o no la riforma), D’Attorre
plaude al fatto che “Renzi si è
dovuto rendere conto che esi-
ste il Parlamento”, Fassina, notando che “il governo è dovuto
tornare indietro sulla fiducia
sulla delega uscita dal Senato”,
dichiara che prima “legge gli
emendamenti e poi decide”,
Cuperlo pure: “Aspettiamo di
vedere il testo che verrà sottoposto al Parlamento”.
Il jobs act era stato annunciato
come l’ultima frontiera dei ribelli. Al momento, i protagonisti della battaglia non hanno
ancora deciso che fare.
Da chiarire, che un testo preciso ancora non c’è: esistono
quindici emendamenti presentati dal Pd, che più o meno ricalcano il testo dell’accordo.
Ma ancora non è stato scritto
nel dettaglio. E anche una volta
che lo sarà, toccherà al governo
delimitare i casi in cui il licenziamento disciplinare è previsto. Senza contare, che (come
ha deciso ieri la capigruppo alla
Camera) prima si vota il jobs
act, e poi la legge di stabilità che
deve contenere i fondi per gli
ammortizzatori sociali su cui si
basa il contratto a tutele crescenti. A proposito di deleghe
in bianco.
Prima, però, c’è il Senato. Se la
minoranza dem abbassa i toni,
in compenso li alza Ncd. “Non
ci piace, non lo votiamo”, annuncia Sacconi. Poi lui e la De
Girolamo vanno a Palazzo Chigi, dove sono ricevuti dal Sot-
tosegretario, Lotti. “Si tratta”,
dicono all’uscita. La Boschi ha
già detto no a un vertice di
maggioranza, ma ovviamente
ci tiene a chiarire che il confronto parlamentare è continuo. Tratta lo stesso Renzi con
Alfano.
ALLA CAMERA, i numeri per il
governo ci sono. Ma in Senato
sono a rischio: la maggioranza
è fissata a 161 voti, il governo
sulla carta ne conta 166. Ncd ha
31 senatori. E c’è la minoranza
dem. Il governo pensa di risolverla al solito modo: con la fiducia. Convinti tutti, renziani e
non, che alla fine la voteranno
tutti.
TIPI DI OGGI
Speranza, il non-giovane di lungo
corso e di facile conversione
QUELLA che viene venduta co-
me un’importante mediazione,
viene raggiunta dopo l’ennesima trattativa tra il responsabile
economico Dem, Filippo Taddei e il presidente della Commissione, Cesare Damiano
(minoranza Pd). L’accordo
prevede di recepire quanto votato dalla direzione del 29 settembre, in un odg che non aveva trovato traccia nel testo uscito (con fiducia) dal Senato: il
diritto al reintegro per i licenziamenti discriminatori e per
quelli ingiustificati di natura
disciplinare.
Ieri erano tutti pronti a cantare
vittoria, dalla minoranza “dialogante” (dallo stesso Damiano, a Speranza) al governo.
L’esecutivo aveva minacciato la
fiducia sul testo uscito da Palazzo Madama. E va detto che le
concessioni alla minoranza, la
spaccano definitivamente.
Proprio sull’odg ora oggetto di
mediazione, il giorno della direzione c’era stato uno scontro
all’ultimo sangue, con barricate di D’Alema e Bersani. E mi-
FOGLIO IN BIANCO
Comunque vada,
saranno i decreti
delegati a scrivere
le vere norme.
E sul testo modificato
ci sarà la fiducia
di Carlo Tecce
duci bersaniani a redarguire il morente Enrico Letta a
fine gennaio, quand’era lampante che il sindaco fioi sono prove evidenti, inconfutabili, per certifi- rentino stesse calando su Palazzo Chigi: “Tocca a Letcare che pure Roberto Speranza, classe ‘79 da Po- ta apportare le dovute modifiche per adeguare la sua
tenza, capogruppo democratico a Montecitorio, non squadra di governo a questa nuova fase”. Non poteva
è nato bolso, grigio, vecchio. Ma sono prove che non essere esplicito, e dunque se ne guardò, ma voleva far
si possono svelare con immediatezza e poi non sono intuire che la “nuova fase” prevedeva l’uscita di Letta,
così evidenti e inconfutabili a pensarci, allora va bene le dimissioni, perché Letta non poteva servire il rimrievocare il maestro Pier Luigi Bersani che lo richia- pasto col partito in subbuglio. Il fascino di Renzi l’ha
mò a Roma (dove ha studiato) per organizzare le cam- subìto con anticipo, bruciato il mentore Bersani, ripagne elettorali (primarie e politiche) e rassicurò la spondeva con entusiasmo all’ipotesi Matteo presiditta: “Questo è un giovane di lungo corso”. Talmente dente del Consiglio: “Incontra il nostro favore”. Il
lungo che non sembra giovane. Ma Speranza, figlio di “nostro” di chi? Perché la squadra di Montecitorio
non l’ha mai dominata: fu eletto per
un funzionario pubblico socialista, è
una finta acclamazione che si tradusuno scafato tattico di quella politica
se in 200 sì e 84 no incluse le schede
fatta di passettini, impercettibili mobianche. I renziani non l’hanno mai
vimenti, compìti ammiccamenti. Ora
temuto, anzi fu il lucano Speranza, ex
sta lì a Montecitorio a vidimare le leggi, a far girare una macchina burocraconsigliere, assessore al comune di
Potenza e poi segretario dem in Batica che spesso s’ingolfa, a rappresentare una minoranza o una corrente di
silicata, a incontrare un emissario di
sinistra che fa tantissime riunioni e
Matteo – primarie di due anni fa – nei
pochissimi strappi e, guardingo, acpressi di piazza di Pietra per tacitare
le polemiche su regole e clausole,
carezza il renzismo, si trasforma in un
diversamente renziano. Perché dei
proprio mentre lievitava lo scontro
renziani, Speranza, non ha nulla o ha
tra Bersani e Renzi. E la ricompensa,
Roberto Speranza Ansa perché la politica a volte contempla la
di più. Dipende. Fu il primo, dei re-
C
memoria, a Speranza è pervenuta con l’esecutivo renziano: nonostante le ambizioni di Matteo Richetti,
viene confermato a Montecitorio senza tutori intorno, se non altro per agevolarne l’opera. A proposito di
memoria, Speranza non è uomo da tributi pubblici,
però elogiò con fierezza lucana lo “statista” Emilio
Colombo, che da senatore a vita presiedeva l’aula di
Palazzo Madama. E come la migliore sinistra dispersa
in se stessa, un giorno disse ch’era sbagliato essere
“giustizialisti” contro Silvio Berlusconi, un oppositore vissuto come un “complesso”. Potrà mai Roberto
Speranza, che fu giovane senz’altro perché, ecco, fu il
presidente dei giovani di sinistra, inveire contro il
patto del Nazareno? Non è così avventato. Conosce i
tempi del silenzio. Quando fu spedito al Quirinale per
le consultazioni con Enrico Letta e Luigi Zanda, avvolto in un vestito di una taglia in più, non pronunciò
una parola. Non credeva che la fulminea carriera, fra
i conterranei e fratelli Gianni e Marcello Pittella e la
geniale intuizione di Bersani, fosse così generosa. A
volte le canta a Renzi, è quasi un esercizio di automotivazione (come quando litigò con Alessandro Di
Battista): “A Montecitorio non siamo dei passacarte”.
Non vi spaventate, voleva soltanto dire che la riforma
del lavoro può sostenere piccole modifiche. Come?
“Costruendo ponti tra le istanze”. Che grinta, Speranza.
POTERI DEBOLI
il Fatto Quotidiano
Srischia
& P’s: “L’Europa
una terza
recessione “
STANDARD & POOR'S vede aumentare i rischi di un triple dip, ossia di una
terza recessione nell’Eurozona. “Avvicinandoci al 2015 dobbiamo riconoscere che la ripresa economica ha
perso molto slancio e sono aumentati
i rischi di una terza recessione dopo il
2009 e il 2011”. Sono queste le pro-
spettive spiegate dal capo economista Emea di S&P, Jean-Michel Six, intervenendo all’incontro “I rating delle
utilities italiane: le sfide di un mercato
maturo a bassa crescita”. "Anche se
nel nostro scenario base non lo prevediamo, però i rischi non vanno sottovalutati", secondo Six una terza re-
L’INAMOVIBILE
di Stefano Feltri
S
Poche tasse, spie,
bombe e ricatti:
i peccati di Juncker
apete quante tasse paga la filiale inglese
di Amazon? Soltanto 10,7 milioni di
dollari, con un’aliquota dello 0,009 per
cento. Il trucco: dichiara in Gran Bretagna un fatturato di soli 330 milioni di dollari,
mentre la controllata in Lussemburgo ha ricavi
per oltre 12 miliardi. Non lo rivelano i documenti segreti LuxLeax del Centro internazionale
di giornalismo, ma lo scriveva Time Magazine nel
dicembre 2012, quando il Gran Ducato era saldamente in mano a Jean Claude Juncker, oggi
presidente della Commissione europea sotto attacco. Sottraendo gettito fiscale agli Stati Uniti e IL CAPO DELLA COMMISSIONE UE È SOTTO ATTACCO DA PARTE DI QUELLI
agli altri Paesi europei Juncker ha reso il Lussemburgo uno degli Stati più ricchi del mondo: CHE HANNO FINTO DI NON SAPERE COME GOVERNAVA IL LUSSEMBURGO
Pil di soli 35 miliardi, ma reddito pro capite di oltre 100 mila
gence che temevano fosse una mossa del premier
euro, banche che custodiscono
NEL GRAN DUCATO
per avere informazioni privilegiate dallo spioun tesoro di 370 miliardi (senaggio. L’aneddoto è citato dal Financial Times per
condo alcune stime 720), è un
Ha trasformato il suo
sollevare dubbi sullo “stile gestionale” del futuro
centro finanziario ma anche un
presidente della Commissione.
paradiso fiscale, definizione
Paese in un paradiso
Dubbi rafforzati dai documenti
che Juncker ha sempre contefiscale, ma si è
della commissione d’inchiestato. Ma le prime aperture di
sta parlamentare che ha
trasparenza sono arrivate soldovuto dimettere
portato alle dimissioni di
tanto quando, dopo 18 anni,
Juncker e di tutto il suo
Juncker ha perso il potere e al
per i rapporti disinvolti
esecutivo un anno fa. Al
suo posto è arrivato Xavier Betcon l’intelligence
centro c’è lo SREL e un intel, del Partito democratico lotreccio tra spionaggio,
cale, avversario dei conservatoguerra fredda, bombe e riri di Juncker. Bettel, a marzo si è
Il presidente
catti. Il 19 novembre 2012
arreso e ha annunciato l’inizio della fine del sedella
la radio RTL rivela che nel
greto bancario per il Lussemburgo. Ma il ParCommissione
2007 l’allora direttore
lamento lussemburghese limita i danni, Juncker
Europea,
dei servizi segreti Marco
ha lasciato in eredità un progetto di legge per un
Jean Claude
Mille ha registrato (illenuovo tipo di trust che garantisce “un adeguato
Junker
galmente, su un cd criplivello di confindenzialità alle ricchezze private”,
LaPresse
tato) una conversazione
come nota la società KPMG. E a settembre 2014
con Juncker, e anche un
è stato aperto un Freeport, “un deposito in uno
ambiente privo di tasse e di dazi” ottimo per riciclare denaro sporco, denuncia il network di
Ong Eurodad in un report. Anche Juncker sembra beneficiare della discrezione lussemburghese sulle ricchezze private: nelle dichiarazioni
consegnate alla Commissione alle voci “interessi
finanziari” e “patrimonio” non è indicato
nulla. Non un’azione, non una casa,
non un titolo di Stato.
Dalle acciaierie
al potere assoluto
Per capire Juncker bisogna raccontare la sua caduta. Ma anche la sua
carriera: Juncker non è soltanto un
premier del Lussemburgo. È il potere incarnato del Gran Ducato, tuttora è “primo
ministro onorario”. Wikileaks ha rivelato un cablogramma dall’ambasciata Usa in Lussemburgo all’allora segretario di Stato Hillary Clinton
che riassumeva il percorso di Juncker, pronto a
insediarsi con l’ennesimo governo nel quale il
premier conservava la carica di ministro
dell’Economia per non rinunciare alla presidenza dell’Eurogruppo, il coordinamento dei Paesi
della moneta unica. Ecco la sintesi: nasce nel
1954, a Redange-sur-Attert, nel Lussemburgo
occidentale, zona di immigrazione e di sinistra,
suo padre lavora in una acciaieria. Va a Strasburgo, studia legge “senza entusiasmo”, dirà lui
stesso, diventa avvocato ma non esercita, e in
Francia conosce la moglie Christiane Frising
(non hanno figli). Juncker entra in politica nel
1974, con il partito dei Cristiano Sociali CSV e si
afferma “grazie al suo talento di oratore e alla
mente analitica”. Nel 1982 il suo mentore, Jacques Santer (allora ministro delle Finanze e poi
presidente della Commissione europea), convince il primo ministro Pierre Werner a nominare il 27enne Jean Claude sottosegretario al Lavoro, due anni dopo è ministro. Juncker è in
ascesa, ma nel 1989 la sua carriera rischia di finire nel modo peggiore: dopo un incidente d’auto resta in coma per due settimane, poi si riprende quasi del tutto, anche se zoppica un po’. Dal
1989 al 1995 rappresenta il Lussemburgo al Fondo monetario internazionale e alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Finalmente, nel 1995, diventa premier e, dal 2004, guida
l’Eurogruppo. Il suo potere è assoluto: nel 2006
fa assumere il suo storico autista Roger Mandé
dallo SREL, il servizio segreto del Lussemburgo,
nonostante le resistenze dei vertici dell’intelli-
IL CURRICULUM
L’ascesa continua
del figlio dell’operaio
1954. Nasce in Lussemburgo, suo padre è un
operaio nel settore siderurgico, cresce in un
quartiere popolare.
1984. Dopo una laurea in Legge a Strasburgo,
in Francia, viene eletto in Parlamento con il
Partito Cristiano Sociale, lo stesso anno diventa ministro del Lavoro.
1995. Diventa premier e
mantiene la carica di ministro delle Finanze.
2005-2013. È il primo presidente eletto dell’Eurogruppo, il coordinamento
dei Paesi dell’euro, carica
che mantiene fino al 2013,
quando il suo governo cade.
2013. Il suo governo è costretto a dimettersi
in blocco per uno scandalo legato all’uso dei
servizi segreti, lo SREL.
2014. Il Ppe lo sceglie come candidato per la
guida della Commissione alle elezioni. A giugno il Consiglio gli affida l’incarico.
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
5
cessione avrebbe un "effetto deleterio dal punto di vista geopolitico". Per
Six la possibilità che l’Europa schivi la
nuova crisi economica dipenderà dalla "ripresa degli scambi mondiali",
dalla "politica monetaria" della Bce e
dall’andamento dei consumi e dagli
investimenti delle imprese.
incontro del premier con il Gran Duca Henri
Guillaume. Alla commissione parlamentare
Marco Mille rivela che lo SREL ha 300 mila dossier individuali, eredità dello spionaggio ai tempi
della Guerra Fredda. In Lussemburgo ci sono in
totale 500mila persone. Molti cittadini vengono
intercettati, ma lo SREL non ha il controllo pieno
dei destini di queste registrazioni. Mille aveva
una registrazione anche della conversazione di
Juncker e il ministro delle Finanze nel 2007 sul
presunto riciclaggio di soldi dell’ex presidente
del Congo Pascal Lissouba, che aveva in Lussmeburgo un conto con 144 milioni di dollari.
Juncker e Mille parlano di questioni penali, non
di intelligence, e secondo il Parlamento vanno
oltre le loro competenze. Il cd, dice Mille, è stato
distrutto. Chissà.
Gli attentati, Stay Behind
e perfino Licio Gelli
Ma le rivelazioni che turbano di più i lussemburghesi sono quelle sull’affaire Bommeleer, 21
attentati esplosivi che hanno colpito il Lussemburgo tra il1984 e 1986. Nel 2008 Juncker incarica la commissione parlamentare di controllo
sullo SREL di indagare sui possibili rapporti tra
la rete occulta filo-americana della Nato “Stay
Behind” e le bombe. Ma “in nessun momento i
membri della commissione furono informati
che lo SREL aveva sviluppato una sua propria
teoria, consegnata sotto forma di un rapporto e
che il primo ministro ne era al corrente”, si legge
nei documenti parlamentari del 2013 della commissione sullo scandalo SREL. In sintesi: lo SREL
si convince che dietro gli attentati c’era Stay
Behind, che in Italia si è declinata nella struttura
di Gladio, i servizi segreti conducono un’inchiesta che, secondo il Parlamento lussembughese, si
sovrappone all’inchiesta giudiziaria (non si parla
di depistaggio ma il confine è sottile). Juncker sa
tutto, ma non ne informa la commissione parlamentare sulla vicenda che lui stesso ha insediato e nasconde un’informazione che i parlamentari giudicano fondamentale per dimostrare
la responsabilità di Stay Behind : “I membri del
governo sono informati della presenza probabile
di Licio Gelli sul territorio lussemburghese durante gli anni Ottanta”, e il gran maestro della
loggia P2 è sempre stato il referente degli ambienti anticomunisti più estremisti.
Juncker ha anche appoggiato il discusso progetto di un dirigente dello SREL, Frank Schneider,
di usare le informazioni sensibili accumulate negli anni per mettersi in proprio con una società
di intelligence economica privata, Sandstone.
Juncker, da premier, ha organizzato un viaggio
in Kurdistan giustificato come “strategico per
l’economia del Lussemburgo”, ma
“era soprattutto destinato a impressionare un investitore che doveva
diventare un azionista importante
di Sandsone”, scrive la commissione d’inchiesta.
UNIPOLSAI Fusione,
indagati gli advisor
nche la Procura di Torino, che ha ereditato l’inA
dagine iniziata a Milano sulla fusione tra Unipol
e Fonsai-Premafin-Milano Assicurazioni, è convinta
che l’operazione sia stata realizzata a valori truccati:
non soltanto al ribasso per Fonsai e le altre società
dell’ex gruppo Ligresti, ma anche al rialzo per Unipol. Infatti ieri i pm Marco Gianoglio ed Eugenia Ghi
hanno mandato il nucleo Valutario della Guardia di
Finanza di Torino a perquisire gli uffici milanesi di
Ernst&Young, della Gualtieri&Associati e di Boston
Consulting Group. Indagati, per concorso in manipolazione del mercato e falso in bilancio, Paolo Gualtieri, titolare dello studio Gualtieri, ed Enrico Marchi, partner di Ernst&Young. Il primo era il consulente di Unipol che firmò la relazione presentata nelle
assemblee dell’autunno 2013 che decisero la fusione.
Il secondo ebbe l’incarico dal presidente del Tribunale di Torino, su indicazione unanime delle quattro
società fuse, di indicare i valori delle aziende per stabilire i concambi. Entrambi, nell’ipotesi d’accusa, sovrastimarono Unipol e sottostimarono Fonsai-Premafin-Milano Assicurazioni, determinando così valori di concambio falsati. L’inchiesta vede tra gli indagati, per aggiotaggio, anche Carlo Cimbri, ieri numero uno di Unipol e oggi amministratore delegato
di UnipolSai, la società nata dalla fusione benedetta
da Mediobanca dopo la crisi del gruppo Ligresti.
G.B.
L’alcol e l’opposizione
di Cameron
Niente di tutto questo ha però pesato sulla decisione del Partito popolare europeo di scegliere Juncker
come proprio candidato alla Commissione. Le uniche critiche che sono arrivate a giugno, quando il britannico David Cameron e l’ungherese Viktor Orban hanno votato
contro la sua indicazione per la
Commissione, riguardavano la nota
propensione dell’ex premier lussemburghese per gli alcolici. Il suo
successore all’Eurogruppo, Djeroen
Dijssebloem ha detto in un talk show
olandese che Juncker “beve e fuma
pesantemente”. Delle disinvolture
fiscali e di intelligence del Lussemburgo gestione Juncker non interessava a nessuno. Il maestro di Juncker, Jacques Santer, si è dovuto dimettere nel 1999 da presidente della
Commissione dopo “accuse di frode, di cattiva gestione e di nepotismo alla Commissione europea” da
parte del Parlamento Ue.
Chissà se al suo allievo andrà meglio.
Twitter @stefanofeltri
6
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
T
rivellazioni facili,
la Basilicata insorge
contro Sblocca-Italia
LA BASILICATA contro lo Sblocca Italia. Associazioni e movimenti come il
Wwf, il Fai, Legambiente e Marevivo
hanno chiesto agli amministratori regionali e locali di impugnare davanti alla
Corte Costituzionale l'articolo 38 del
decreto emanato dal governo Renzi, non
appena questo diventerà legge. Il testo
UN GIORNO IN ITALIA
il Fatto Quotidiano
dà il via libera alle trivellazioni su tutto il
territorio nazionale, anche off-shore, e la
Basilicata sarebbe una delle regioni a
farne maggiormente le spese. I movimenti ambientalisti hanno spiegato che
“anche dopo le non sostanziali modifiche introdotte alla Camera e il voto di
fiducia al Senato, non è cambiata la por-
tata negativa delle disposizioni dell’articolo 38 del decreto”.
Intanto da alcuni giorni in tutta la Basilicata proseguono le proteste degli
studenti contro il decreto e contro il pericolo delle trivellazioni. Lo Sblocca Italia, per ora, pare non far contento nessuno, se non pochi.
AFFARE SCAJOLA VENDE LA CASA
E CI GUADAGNA UN MILIONE
SCIABOLETTA
Claudio Scajola, 46
anni di Imperia, così
“chiamato” per la
bassa statura come
Vittorio Emanuele
III Ansa
L’EX MINISTRO È RIUSCITO A LIBERARSI DEL “MEZZANINO” AL COLOSSEO PAGATO
IN PARTE A SUA INSAPUTA DA ANEMONE: SPESE 610.000 EURO, INCASSA 1,63 MLN
di Marco Lillo
A
lla fine Claudio
Scajola è riuscito a
vendere la sua casa
al Colosseo. Il 16
ottobre scorso la moglie dell’ex
ministro, con delega del marito, ha firmato davanti al notaio Paolo Becchetti l’atto di
vendita dell’appartamento al
primo piano con vista sui fori
imperiali. Scajola si è messo in
tasca un milione e 630 mila euro, dei quali 50 mila riferiti ai
mobili presenti nell’appartamento. Nel luglio del 2004 l’allora ministro dello Sviluppo
Economico aveva pagato solo
610 mila euro. Quindi a distanza di dieci anni, dopo un
processo per finanziamento illecito chiuso in appello con la
prescrizione dopo l’assoluzione in primo grado, Scajola ha
incassato una plusvalenza di
970 mila euro, escludendo i
100 mila euro dei lavori fatti
dieci anni fa e che sarebbero
stati pagati da Anemone secondo l’accusa, contestata da
Scajola e non accolta in primo
grado. Sono 97 mila euro
all’anno per dieci anni, tutti
esentasse.
È UN PO’ come se qualcuno
avesse pagato un secondo stipendio da 8 mila euro netti al
mese per dieci anni a Scajola
che stavolta non può nemmeno dire che ciò sia avvenuto ‘a
sua insaputa’. Ormai anche lui
avrà compreso che il prezzo
realmente pagato nel 2004, come dichiarato dalle venditrici
alla Guardia di Finanza, è stato
di un milione e 700 mila euro.
Scajola il 7 luglio del 2004 nel
suo ufficio al ministero ha versato di tasca sua per l’appartamento di 180 metri soltanto i
miseri 610 mila euro dichiarati
davanti al notaio Gianluca Napoleone, giunto appositamente al ministero come le venditrici e l’immancabile architetto
Angelo Zampolini che ha tirato fuori gli assegni circolari offerti da Anemone e compagni
per colmare la differenza. Alla
fine il regalo del 2004 della
‘Cricca’ di Anemone arriva
quasi a coprire la plusvalenza
realizzata da Scajola con l’atto
depositato in conservatoria il 3
novembre scorso.
In realtà Scajola era riuscito a
spuntare molto di più. Al Fatto
risulta che il 18 aprile 2012 l’ex
ministro aveva firmato un preliminare con l’imprenditrice
della sanità Jessica Veronica
Faroni, direttore generale del
Gruppi INI, titolare di cliniche
sparse tra Roma, Guidonia e
Grottaferrata. Il prezzo stabilito nel preliminare era di 2 milioni di euro. La dottoressa Faroni consegnò alla firma del
preliminare un assegno circo-
lare Unicredit di 250 mila euro
come caparra però poi si accorse che qualcosa nelle pratiche
urbanistiche non collimava e
iniziò una contesa.
Il 27 marzo 2013 Scajola e Faroni chiudono le liti con una
scrittura privata nella quale si
danno reciproco atto che a
“fronte della mancata corrispondenza dello stato di fatto
dell’immobile rispetto ai dati
catastali e alle planimetrie depositate con particolare riferimento al locale cucina (...) concordavano una riduzione del
prezzo da 2 milioni a un milione e 800 mila euro”. In compenso la promittente acquirente si dichiarava disponibile a
“acquistare tutto il mobilio e gli
arredi presenti nel suddetto
immobile per un importo di 50
mila euro”.
I CONTRATTI
Sopra, l’atto
con la cifra dell’acquisto di Scajola. Sotto, quello con il prezzo
di vendita del 3 novembre
Per cautelarsi dai rischi del
procedimento penale a carico
di Scajola, si concordava di dare mandato al notaio Becchetti
per incassare 1,2 milioni come
deposito “onde scongiurare il
rischio di sequestro dell’immobile”. Nulla di tutto ciò è accaduto e Scajola ha potuto portare a termine la vendita. Però a
comprare alla fine è stata una
società: Italy Hotels and Suites
Srl, costituita il 24 settembre
2014 amministrata da Luca Nicolotti che ne detiene solo una
quota dell’uno per cento mentre il restante 99 per cento è intestato alla Fid. Italia Srl, una
società fiduciaria che scherma
la proprietà. Il prezzo è stato
pagato, come risulta
dall’atto, per 580 mila
euro con assegni circolari di un conto acceso al Monte dei Paschi di Siena mentre un milione e 80
mila euro provengono dai circolari
di un conto acceso
all’Unicredit. Uno
di questo assegni,
pari a 250 mila euro, ha lo
stesso numero di quello consegnato come caparra nel 2012
dalla dottoressa Faroni.
Scajola ha pagato all’agenzia
immobiliare Tevere Srl un
compenso di 76 mila euro e
l’agenzia ha iniziato un contenzioso legale per ottenere il
pagamento di una provvigione
anche dalla dottoressa Faroni,
per il preliminare di vendita.
L’imprenditrice però si è rifiutata e la causa è in corso. A
marzo dovrebbe esserci una
nuova udienza. “Il Tribunale
per due volte ha rigettato la richiesta di decreto ingiuntivo”,
spiega Jessica Veronica Faroni.
CHE FINE faranno ora i soldi?
Al Corriere della Sera nel settembre del 2010 Scajola aveva promesso: “vendo la casa e offro la
differenza in beneficenza”. Poi
nel maggio del 2012, dopo la
firma del preliminare, al Fatto
aveva rettificato: “Sto valutando un gesto ancora più forte,
ma che non vi posso dire adesso, lo dirò nel momento in cui
farò il rogito. Io quello che prometto l’ho mantengo sempre”.
Il Fatto ha provato a contattare
Claudio Scajola, nel frattempo
uscito dagli arresti disposti per
la vicenda Matacena e sottoposto solo all’obbligo di dimora.
Al telefonino risponde la sua
voce registrata: “Non sono al
momento raggiungibile”.
NIENTE CARCERE
Ruby Bis, condanna con sconto
per Fede, Lele Mora e Minetti
di Davide
Vecchi
Milano
ene ridotte, capo d’imputazioP
ne cambiato e l’ammissione
che Emilio Fede aveva ragione a di-
re di non sapere che Ruby fosse minorenne.
Il processo d’appello a carico dell’ex
direttore del Tg4, di Lele Mora e
Nicole Minetti si è concluso ieri con
una condanna che, qualora diventasse definitiva, non dovrà essere
scontata in carcere.
I giudici della terza sezione penale
della Corte d’appello di Milano,
presieduta da Arturo Soprano, hanno abbassato la condanna per Fede
da 7 anni a 4 anni e 10 mesi, assolvendolo per l’induzione alla prostituzione e riqualificando altri fatti contestati.
La pena per l’ex consigliera lombarda Minetti,
invece, è stata portata da
5 anni a 3 anni con il riconoscimento delle attenuanti generiche. Per
l’ex igienista dentale e
showgirl, già in primo
grado nel luglio 2013,
dell’originaria accusa di
induzione e favoreggiamento della
prostituzione, anche minorile, era
rimasta in piedi solo la contestazione del favoreggiamento delle ragazze maggiorenni. Mora, invece, è
stato condannato a 6 anni e un mese, ma nella pena va compresa anche la “continuazione” con il reato
di bancarotta per il crac della sua
società di comunicazione, Lm Management, per il quale ha patteggiato 4 anni e 3 mesi nel 2011.
IN SOSTANZA, l’ex talent scout, che
ha rinunciato a difendersi nel merito chiedendo soltanto uno sconto
di pena, ha evitato un cumulo di
pene di 11 anni e 3 mesi: il Tribunale
per il caso Ruby gli aveva inflitto 7
anni. Avendo già scontato un anno
di detenzione, inoltre, gli basterà
prolungare il periodo di affidamento ai servizi sociali, che avrebbe dovuto concludersi nel 2015.
Dal dispositivo della sentenza, di cui
si avranno le motivazioni tra 90
giorni, è emerso, inoltre, che anche
Fede, così come riconosciuto a Berlusconi, non era a conoscenza del
fatto che Ruby fosse minorenne.
L’accusa di favoreggiamento della
prostituzione della marocchina, infatti, è stata riqualificata in favoreggiamento della prostituzione di una
maggiorenne. Ciò significa che, secondo la Corte, anche Fede non sapeva che la ragazza avesse 17 anni
quando la accompagnò nella residenza dell’allora premier. Favoreggiamento della prostituzione di
EX AMICI
DI B. Da sinistra:
l’ex direttore del Tg4
Emilio Fede, l’impresario Lele Mora e l’ex
consigliere regionale
Nicole Minetti, protagonisti delle “cene eleganti” Ansa/LaPresse
maggiorenni, quindi, Ruby compresa, mentre gli episodi relativi a
Chiara Danese, Ambra Battilana e
Imane Fadil sono stati riqualificati
in tentativo di induzione alla prostituzione perché le giovani rifiutarono di partecipare al bunga-bunga,
diventando poi testimoni chiave
dell’inchiesta.
FEDE RICORRERÀ in Cassazione
ma considerata la sua età, 83 anni,
non trascorrerà un giorno in carcere. Così come Nicole Minetti che,
in caso di conferma della pena in via
definitiva, potrà chiedere l'affidamento ai servizi sociali.
La vicenda Ruby non è del tutto
conclusa. Rimane ancora il terzo capitolo: l’inchiesta che ipotizza il reato di corruzione in atti giudiziari per
cui sono indagate 45 persone, tra cui
molte ragazze, Berlusconi e i suoi
due storici legali Ghedini e Longo.
Inoltre è attesa per fine novembre il
deposito del ricorso in Cassazione
da parte della Procura contro l’assoluzione in secondo grado, quattro
mesi fa, di Berlusconi. L’appello ha
cancellato i 7 anni di carcere inflitti
in primo grado.
d.vecchi@ilfattoquotidiano.it
SOTTO IL CUPOLONE
il Fatto Quotidiano
B
ecchi boccia
Grillo: “Su Consulta
figura de mierda”
di Stefano
F
Disegni
ar muovere oggetti inanimati. Aspirazione antica come l’uomo, sempre desideroso di riuscire là
dove realtà e logica negano
tale possibilità contraria alle
leggi di Madre Natura che se
decide una cosa, tipo che i
bidet non si spostano da soli
a tradimento (sarebbe seccante), che se non trovi le
chiavi non sono loro che
hanno zampine retrattili ma
tu che sei un rincoglionito,
ebbene quella cosa così rimarrà per l’eternità. Eppure.
Eppure alla faccia di Piero
Angela,
nel
cammino
dell’umanità contiamo eccezioni che sono uno schiaffo
in faccia al positivismo
scientifico. I tappeti volanti,
per esempio (No? E perché
un biondo a passeggio sul
Mar Morto sì e i tappeti-elicottero no?). O il gioco del
bicchierino, quello con le
lettere sul tavolo, un bicchiere semovente che fa da tramite coi defunti, un marine
morto a Okinawa che ti dice
che sei uno stronzo e il solito
che dice ‘non dobbiamo, poi
non se ne vanno più’. Oppure la Panda di Ignazio Marino.
Falce e pistone:
la rivolta dell’utilitaria
Con la Panda di Ignazio Marino, Sandro Giacobbo ci farebbe diciotto puntate più le
repliche e il cofanetto da sei
Dvd. La Fiat Panda di Ignazio
Marino, sindaco di Roma
finché il Campidoglio non
verrà assalito da masse con
torce e forconi, è dotata di vita autonoma. E di sentimenti.
Odio in particolare. La Fiat
Panda rossa di Ignazio Marino sindaco di Roma finché il
Campidoglio non verrà centrato da un Patriot pagato
dalla cittadinanza tutta, odia
il suo proprietario e lo sabota.
Pensateci, è l’unica spiegazione possibile. L’unica risposta per il mistero. A meno
che non crediate che uno che
fa il sindaco di Roma (so che il
PRENDE LE DISTANZE da Beppe
Grillo e dal Movimento da lui rappresentato il professor Paolo Becchi.
E lo fa attraverso i 140 caratteri di un
tweet: “Patto del Nazareno più solido che mai e Grillo, con la sua voglia di prendere il posto di Berlusconi, ha fatto solo una figura de mier-
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
da”. Il filosofo del Diritto, genovese
come il comico, non usa mezzi termini: Grillo ha commesso un grande
errore politico a sostenere assieme
al M5S la nomina alla Consulta di
Silvana Sciarra, proposta dal Pd. Ma
per Becchi quella di ieri non è la prima presa di posizione contro i Cin-
7
que Stelle, di cui pure è stato considerato l'ideologo. D’altronde la
scorsa settimana, appena nominata
la Sciarra, lo stesso Becchi aveva
precisato: “Non rappresento in alcun modo il M5S e tutti i miei interventi sono a titolo puramente
personale”.
QUINTA COLONNA
Caso multe, ecco la verità
È la Panda che sabota Marino
STANCA DI BRUTTE FIGURE, L’AUTO DEL SINDACO DI ROMA SI È RIBELLATA AL PROPRIETARIO:
COSÌ HA VIOLATO I VARCHI ELETTRONICI E SI È PARCHEGGIATA DA SOLA IN SOSTA VIETATA
FUORI
POSTO
daco è già tanto colpito dalAccanto, la
la sorte che lo
Panda nel
volle Ignazio
parcheggio
Marino, ha
del Senato.
spinto il tasto
Sotto, in sosta
canc sul pc di
vietata Ansa
Roma Capitale). Quest’uomo che,
senza che un sadico glielo
suggerisca, invece di ringraziare e tornarsene quatto
quatto tra quelli con la faccia
un po’ così, gonfia il petto e
sporge denuncia ai Carabinieri per omissione di dati nel
CAMPIDOGLIO Il Pd intima:
“Paga e chiarisci”
arino a Londra, caos
M
e cattivi pensieri in
Campidoglio. Con la de-
ALL’OPPOSIZIONE
La vettura è dotata
di vita autonoma: detesta
l’ex chirurgo, convinto
che Trilussa sia
un participio passato,
aggettivo di piazza
busto di Pisacane al Pincio è
più attivo, ma lo fa) alla guida
del suo pandino scarlatto e
nel pieno possesso delle sue
facoltà mentali varchi di proposito la Ztl (più proibita del
Palazzo di Pechino, lo sanno
bene i romani non sindaci cui
la Municipale scatena contro
i pit bull) e la varchi in allegria
ben otto volte in due mesi
beccandosi 640 euro di multe. Quest’uomo che di mestiere fa il sindaco di Roma
perché al Pd non sapevano
dove metterlo (le pulizie le fa
sistema informatico così la
mano pietosa ci rimette pure
il culo. Come in un piccolo
Big Bang ce n’è abbastanza
per accendere la scintilla della
vita in un oggetto inanimato
come una Panda. Che, acquisito il self consciousness a furia
di figure di merda, si vergogna di chi la guida e cova in sé
rabbia e desiderio di affrancamento dall’emulo di Pinotto intestatario del libretto di
circolazione, avviando una
strategia di sabotaggio degna
dei Maquis antinazisti nella
Parigi occupata. La Panda si
il maghrebino e al centralino
c’è già D’Alema).
Ignazio, lo schiavista
di pizzardoni
Quest’uomo di Genova tuttora convinto che Trilussa sia
participio passato, aggettivo
di Piazza. Quest’uomo che ha
costretto i pizzardoni a rischiare l’aneurisma in bicicletta. Quest’uomo che scopre, novello Poirot, che i 640
euro di multe non gli sono
mai stati notificati (una manina, consapevole che il Sin-
stra che deposita una mozione di sfiducia e il Pd
che gli intima di riferire in
aula sul caso multe: e di
pagarle. Ieri il sindaco di
Roma era in Gran Bretagna per un convegno su
infrastrutture urbane e vivibilità delle metropoli.
Bocca cucita con i cronisti italiani: “Sono
qui per altro”. Ma il pasticcio multe lo fa
traballare. Ieri il Nuovo Centrodestra ha
depositato una mozione di sfiducia per il
sindaco, e nel pomeriggio ha interrotto i
lavori nell’aula consiliare per invocarne le
dimissioni. Il senatore Andrea Augello
(Ncd): “Quattro multe sono state notificate al sindaco, senza che alcuna procedura di autotutela sia stata presentata al
sposta da sola. Marino la parcheggia? E lei si va a piazzare
in sosta vietata, come è accaduto in via di Santa Chiara
(mica crederete che uno che
fa il Sindaco di Roma finché
non gli murano tutte le uscite
del Campidoglio, uno che è
già sotto i riflettori per la storia della Ztl si mette pure a
parcheggiare in divieto, nessuno è così scemo).
S’alza un grido: lotta dura
senza paura
La Panda di Marino non mollerà. Ha in animo di investire
una suora sulle strisce, di
sgassare in faccia a un bimbo
in carrozzina, di suonare il
clacson a oltranza nel Policlinico, padiglione grandi infartuati. Finché il suo proprietario, notati i cecchini serbi pagati dalla cittadinanza non
mollerà e se ne tornerà a tagliuzzare cristiani, restituendo a lei la dignità di automobile rispettabile e a Roma
quella di Capitale.
prefetto. Resta da capire
chi si trovasse alla guida
della Panda negli otto casi di infrazione rilevati ai
varchi: l’uso del permesso del sindaco è limitato a
motivi istituzionali, l’auto non può essere affidata
ad amici e parenti”. Alessandro Onorato (Lista
Marchini) è pronto a votare la sfiducia, mentre il
M5S annuncia una mozione autonoma. Arrivano segnali foschi anche
dal Pd. “Quanto accaduto nei giorni scorsi - ha
detto in aula il coordinatore della maggioranza, Fabrizio Panecaldo - richiede chiarimenti, quindi come gruppo chiediamo che il
sindaco venga in Consiglio a riferire. Su questa vicenda alcune cose sono chiare, altre
meno”. Marino riferirà in aula martedì. Il segretario del Pd Roma, Cosentino, lo avverte:
“Il sindaco arriva a fine mandato se paga le
multe e se ci mettiamo tutti assieme a lavorare sui problemi veri di Roma”.
8
NEMICO PUBBLICO
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
M
anovra, i sindaci
aprono. Rischio
voto sotto Natale
AL QUARTO round a Palazzo Chigi governo e comuni trovano l’intesa sulla legge di stabilità. I saldi
dei tagli rimarranno invariati - 1,2 miliardi, più altri
300 milioni varati in precedenza a valere sul 2015
- ma ora la manovra, ha sottolineato il presidente
Anci Piero Fassino, "è più compatibile con la situazione economica dei Comuni". Altra novità riguarda la local tax. La nuova misura sul fisco lo-
cale, che sostituirà Imu e Tasi, entrerà in vigore nel
2015 e dovrebbe essere approvata contestualmente alla legge di stabilità (approderà alla Camera il 27 novembre). Il rischio è quindi che si
possa arrivare a votare anche tra Natale e Capodanno per il via libera finale. Per i Sindaci i "risultati
sostenibili" di cui ha parlato Fassino si traducono
in pochi punti, anche se rilevanti: la conferma per il
il Fatto Quotidiano
2015 degli oneri di urbanizzazione della spesa corrente, la possibilità di rinegoziare i mutui con Cdp,
l’impegno dello Stato a farsi carico degli interessi
per i mutui contratti sui nuovi investimenti, l’azzeramento dei vincoli ordinamentali ai Comuni
("riconoscendo così la loro piena autonomia") e il
nullaosta sul Fondo sui residui attivi di difficile esigibilità, con annesso regime di gradualità.
DELLA VALLE ATTACCA MARCHIONNE
PER NASCONDERE I CONTI TOD’S
MENTRE LA SUA AZIENDA CADE IN BORSA, DICE: “INVESTIMENTO IN RCS SBAGLIATO”
di Camilla
Conti
D
Milano
iego Della Valle
torna a tuonare
contro i poteri
“mummificati”,
si pente dell’investimento nel
Corriere della Sera e chiama
“bidone” la Fiat. Niente di
nuovo, insomma. Però l’imprenditore marchigiano sa
bene che certe sparate offrono sempre titoli ghiotti per i
giornali, se non per quello di
via Solferino almeno per tutti
gli altri. E faranno sicuramente finire nelle ultime righe altre notizie come il crollo del titolo Tod’s che ieri a
Piazza Affari ha perso il 5,17
per cento. La Borsa non ha
infatti gradito i conti del
gruppo, diffusi mercoledì pomeriggio a mercati chiusi,
che hanno fatto registrare nei
nove mesi del 2014 un calo
dell’1,5% dei ricavi a 741 milioni e un risultato operativo
in flessione del 26,5% a 123,9
AST Mise: fumata nera
Oggi scioperi e cortei
stato un incontro del tutto interlocutorio, serÈ
vito in buona parte a dare una sponda ai blocchi della A1 del giorno precedente. Sulla Ast di
Terni si torna a discutere oggi, di nuovo presso il
Mise. I sindacati si augurano che il governo giochi
un ruolo più attivo e faccia pressione sull’azienda.
Oggi, intanto, si svolgerà il primo sciopero generale indetto dalla Fiom nel nord del Paese. Otto ore
di fermo nelle fabbriche della parte più produttiva
con una manifestazione centrale a Milano che il
sindacato annuncia come molto importante. Il 21
novembre, poi, si terrà la seconda giornata dei metalmeccanici Cgil con la manifestazione del centro-sud a Napoli. Oggi è anche il giorno dello “sciopero sociale” indetto da centri sociali, collettivi studenteschi e sindacati di base. A Roma, corteo alle
10 in piazza della Repubblica e decine di iniziative
in giro per la città. Cortei si terranno anche a Milano, Torino, Genova, Bari, Salerno, Firenze insieme a iniziative nei luoghi più disparati, dalle sedi
dei ministeri ai supermercati Auchan.
milioni. E poiché la miglior
difesa è l’attacco, assai apprezzato dal gossip finanziario, meglio tornare a caricare
il fucile. Nel mirino, ieri mattina, è finito per primo Rcs,
Ovvero il gruppo che edita il
Corsera di cui Della Valle è il
secondo azionista con il 7,3%
dietro alla Fiat degli Agnelli.
"È stato un investimento tutto sbagliato da parte mia", ha
detto il presidente di Tod's
durante un intervento in un
convegno organizzato da
Pambianco e Deutsche Bank.
“Pensavo di poter portare la
voce dell'impresa nel posto
dei poteri forti, che erano
quasi tutti mummificati e autoreferenziali, una cosa indecente .Non sono riuscito quasi a toccare palla, ma è un
mondo che per fortuna se ne
sta andando”.
INTERPELLATO poi su quale
sarà il destino della sua quota
nel gruppo editoriale, l'imprenditore non ha voluto rispondere. E anche sui conti di
Rcs (pubblicati qualche ora
dopo e chiusi con 93,1 milioni
dai 175,3 milioni di un anno
prima) si è limitato a dire: “Bisogna guardare il lungo periodo”.
Dopo la carta stampata, il secondo round è stato dedicato
alle macchine. E in particolare, all'uscita da Ferrari
dell’amico (nonché socio nei
treni Italo) Luca Cordero
Montezemolo, “il modo è stato vergognoso, il motivo evidente. Ferrari ha salvato quel
-IL5TITOLO
,7%
TOD’S
PUNITO
DAL MERCATO
Il titolo è sceso
dopo i conti non
brillanti del gruppo
SALOTTO BUONO
Dopo l’aiuto del
governo ai suoi treni,
Ntv pone fine alla
polemica con Renzi,
tutti gli insulti sono
per il “bidone Fiat”
bidone che è Fiat”. E ancora:
“Se Ferrari fosse sul mercato
considererei l'uscita di Montezemolo un errore incredibile. Si poteva fare in modo più
educato. L'operazione di
scorporo e sbarco in Borsa di
Ferrari significa depauperare
l'azienda” perché – ha proseguito – “quotare un pezzetto
servirà a coprire i debiti di
Fca”, mentre “il resto se lo
prendono gli azionisti. Assegnare le azioni Ferrari in quel
modo, se anche fosse una pro-
Diego Della Valle di nuovo contro Marchionne LaPresse
cedura lecita – e io andrei a
controllare – eticamente non
lo è”, ha aggiunto Della Valle.
Infine, l’ennesima stoccata
agli Agnelli: “Dobbiamo capire quanto male hanno fatto
queste famiglie al paese”.
A questo giro però mister
Tod’s ha risparmiato, a sorpresa, il premier Matteo Renzi. "Io auspico che si vada a
votare il prima possibile e che
poi chi vince si dedichi alle
emergenze del Paese. Fare altri due anni così significa uccidere il Paese", ha detto l'imprenditore intervistato da
Enrico Mentana sul palco del
convegno Pambianco, sottolineando l'importanza di
completare al più presto la
nuova legge elettorale. Secondo Della Valle, del quale in
settembre si era ipotizzato un
intervento diretto in politica,
“sarebbe meraviglioso anche
eleggere direttamente il presidente della Repubblica. È il
rappresentante del popolo so-
vrano ma lo eleggono i politici: io come cittadino non
sono contento”. I rapporti
con il presidente del Consiglio, quindi? “Sono ottimi.
Non abbiamo sempre la stessa visione, come tutte le persone che pensano, oppure
possiamo avere la stessa visione ma con percorsi diversi.
La mia impressione è che abbia voglia di fare delle buone
cose”.
TIPO GARANTIRE, come è
avvenuto lo scorso 5 novembre, il taglio del 37% al canone
che Trenitalia e Ntv (di cui
Della Valle è socio con Montezemolo) pagano a Rfi per il
pedaggio della infrastruttura
(da 12,8 a 8,2 euro per treno-chilometro). Una riforma
che taglia i costi operativi di
35-40 milioni per Italo e di
65-70 milioni per le Frecce di
Trenitalia. Finalmente una
“buona cosa” fatta dall’amico
(ritrovato) Renzi.
ALLA FIM UN 44ENNE
Cisl, un anti-Landini per dimenticare Bonanni
di Salvatore Cannavò
imenticare Bonanni. Sembra
D
questa la missione che si è data
una parte della Cisl. Pur senza nominare mai l’ex segretario confederale,
Marco Bentivogli, 44 anni, da ieri
nuovo segretario della Fim, i metalmeccanici della Cisl, punta dritto sulla
sfida generazionale: “Senza giovani il
sindacato muore” è il leitmotive che ripete in questa conversazione con il
Fatto. E nelle parole si sente l’eco di
Matteo Renzi anche se in Cisl, dove il
dissenso si muove più per avverbi che
per diverbi, parlare di “rottamazione”
non sta bene. Ma si sente anche la
pressione di una competizione con
“quello che sta al piano di sotto”, Maurizio Landini, leader della Fiom.
accanto a Marchionne, la Fiom contro
la Fiat in una traversata nel deserto che
non si è ancora conclusa. In questo arco di tempo Landini è diventato una
star mediatica, mentre Bentivogli si è
occupato di siderurgia: “Ma a prendere le botte con quelli di Terni c’ero anch'io, anche perché alla Ast la Fim è il
primo sindacato”. La conquista della
segreteria gli permette di dare sfogo a
una voglia di rivalsa che sembra convincere la sua organizzazione. Ieri è
stato votato da un plebiscito con 134
voti a favore e solo 9 schede bianche.
Per il mondo Cisl ha un curriculum
anomalo. “Ho occupato un centro sociale, poi sono stato dentro il movi-
mento studentesco della Pantera”.
Erano i primi anni 90, lui, veneto di
nascita, studiava Scienze politiche e faceva il precario qua e là. Fino a che
Gianni Italia, allora segretario nazionale, lo porta in Fim per affidargli il
coordinamento dei giovani. Fa i primi
passi accanto alla concertazione, di cui
non dà un giudizio positivo: “Quegli
accordi sono stati fatti contro i giovani, la generazione del contributivo
(dalla riforma Dini, ndr)”. Ora l’obiettivo del sindacato è parlare a quelli che,
se vengono alle assemblee sindacali,
“sono seduti in fondo e parlano poco”.
Sembra di sentire Renzi. “Ma noi ab-
NELLA SEDE unitaria, che una volta
ospitava la mitica Flm, il sindacato
unico dei metalmeccanici, Landini ha
l’ufficio al terzo piano, Bentivogli siede
al quarto. Oggi tra Fiom e Fim c’è un
fossato, forse anche maggiore di quello
che divide le confederazioni e che è diventato abissale dopo il famigerato
“accordo di Pomigliano”. Fim e Uilm
Marco Bentivogli, nuovo leader Fim-Cisl Ansa
PASSATO ANOMALO
Bentivogli, l’ex del
movimento studentesco
della Pantera, è il nuovo
leader delle tute blu.
Rilancerà il sindacato
puntando sui giovani
biamo cominciato prima”, assicura.
Bentivogli spera che il tasto generazionale gli consenta di sfidare il primato
della Fiom. Magari riuscendo dove la
Cgil ancora non è arrivata: “Entro poco tempo faremo, come in Germania,
un unico sindacato dell’industria senza più distinzioni tra metalmeccanici,
chimici e quant’altro”. Per i giovani è
disposto a ridiscutere di pensioni
d’oro: “È stato un errore aver detto no
ai prelievi fiscali per le pensioni superiori ai 3.000 euro netti”.
Resta il problema della qualità delle
“piattaforme”. In anni di concertazione, fase che considera “ormai superata”, il sindacato è divenuto parte del
sistema. La risposta del segretario Fim
fa cenno di cogliere, pur non condividendo il grillismo, le esigenze di partecipazione dei meet-up o l’ambizione
delle primarie. E quindi pensa a costruire soluzioni innovative. Per ora,
però, la risposta è tradizionale: “Democrazia, orari, partecipazione”. Nessun ripensamento su Fiat e Marchionne: “Se non fosse stato per noi l’auto in
Italia sarebbe scomparsa mentre ora
Pomigliano è ripartita come anche
Grugliasco e come sarà a Mirafiori. La
nostra responsabilità è stata utile”.
Non è vero che la Fiat se n’è andata,
“oggi resta una multinazionale
dell’auto che continua a produrre in
Italia”.
NESSUN CONTRASTO anche sul Jobs
Act: “Sull’articolo 18 non cambiamo
idea, resta importantissimo. Però
quello scontro rappresenta una tecnica di distrazione di massa”. Ritorna
l’attrazione per Renzi, ma Bentivogli
nega: “Non siamo renziani, l’unico che
finora ha avuto un rapporto diretto
con il presidente del Consiglio è Landini”. Rispunta così la voglia di presentarsi come alternativa alla Fiom. La
filosofia di fondo non sembra molto
diversa dalla Cisl di Bonanni: è il “modello tedesco” quello della cogestione,
a costituire la bussola. E fa leva sulla
“responsabilità” anche nel firmare accordi che sembrano indigesti, come a
Pomigliano. Ma resta l’ambizione di
guardare avanti: “Non dobbiamo coltivare la rappresentazione dell’operaio
disperato, altrimenti resta solo lo
sconfittismo”. L’unica difficoltà è che
nell’Italia del 2014 la disperazione si
occupa ancora degli operai.
ITALIE
il Fatto Quotidiano
V
oli blu di Pinotti:
guerra di querele tra
Aeronautica e M5S
DI BATTISTA denuncia Roberta Pinotti
per “uso improprio di un aereo di Stato”, E
l’Aeronautica lo querela. Ieri il deputato dei
Cinque Stelle e il suo collega Luca Frusone
hanno presentato due denunce, alla Corte
dei conti e alla procura di Roma, contro il
ministro della Difesa. Riguardano il caso
svelato dal Fatto Quotidiano: il 5 settembre
scorso, di ritorno da un vertice Nato, il ministro si fece riportare a casa sua a Genova
da un aereo militare. “Riteniamo - scrive Di
Battista su Facebook - che Pinotti abbia
utilizzato un aereo-blu per farsi accompagnare a casa sua. Lei sostiene di aver usufruito di un volo di addestramento già previsto. Caso strano: un volo partito 10 mi-
“Segnalare le scuole pro gay”
La Diocesi ordina e poi si pente
MILANO, LETTERA AI PROF DI RELIGIONE PER SCOMUNICARE “L’IDEOLOGIA DI GENDER”
di Silvia Truzzi
C’
Milano
era una volta –
qui, nella città
con l'ambizione
di essere una società aperta – un uomo di fede
che ebbe la ventura di guidare
la Diocesi per oltre vent'anni.
Di Carlo Maria Martini – il
cardinale amatissimo – si possono ricordare molte cose.
Oggi vengono in mente le sue
parole sugli omosessuali: “La
Chiesa cattolica promuove le
unioni che sono favorevoli al
proseguimento della specie
umana e tuttavia non è giusto
esprimere alcuna discriminazione per altri tipi di unioni”. E
ancora: “Non è male che due
omosessuali abbiano una certa
stabilità di rapporto e quindi
in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli. Non
condivido le posizioni di chi,
nella Chiesa, se la prende con
le unioni civili”. Non è sempre
vero che il passare del tempo
porta con sé il progresso se siamo qui a scrivere un articolo
sul tentativo di mappare le attività pro gay nelle scuole, da
parte della Diocesi di Milano.
Ne dava notizia ieri Repubblica,
cui è stata girata una lettera. La
missiva inviata da un collabo-
SCUSE TARDIVE
La nota della Curia:
“Formulazione
inappropriata”. Intanto
esplode la polemica
a suon d’interrogazioni
parlamentari
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
ratore di don Rota (il responsabile del settore insegnanti di
religione cattolica) è stata inviata a circa seimila insegnanti
di religione. E così recita: “Come sapete in tempi recenti gli
alunni di alcune scuole italiane
sono stati destinatari di una
vasta campagna tesa a delegittimare la differenza sessuale
affermando un'idea di libertà
che abilita a scegliere indifferentemente il proprio genere e
il proprio orientamento sessuale. Per valutare in modo più
preciso la situazione e l'effettiva diffusione dell'ideologia
del ‘gender’, vorremmo avere
una percezione più precisa del
numero delle scuole coinvolte,
sia di quelle in cui sono state
effettivamente attuate iniziative in questo senso, sia di quelle
in cui sono state solo proposte.
Per questo chiederemmo a
tutti i docenti nelle cui scuole
si è discusso di progetti di questo argomento di riportarne il
nome nella seguente tabella”.
Dal censimento alla censura il
passo può essere breve.
La lettera era stata messa online su un sito cui accedono i
docenti di religione, ma appena si è capito che il contenuto
stava per diventare pubblico è
sparita. Troppo tardi però: le
polemiche erano già iniziate.
L'associazione radicale Certi
Diritti ha inviato un esposto al
ministro dell'Istruzione; undici senatori pd hanno presentato un'interrogazione sempre
a Stefania Giannini, chiedendo “chiarezza sull'iniziativa
della Curia di Milano che ci
appare grave e indebita”. Sono
arrivate, immediatamente, anche le reazioni delle associazioni. Il presidente nazionale
di Arcigay, Flavio Romani, ha
definito l’iniziativa “un abuso
9
nuti dopo l’arrivo della Pinotti a Ciampino e
diretto a Sestri, a casa sua”. Ma l’Aeronautica fa sapere “di aver già dato mandato di
una denuncia - querela a carico dei responsabili della diffusione di comunicazioni
strumentalmente diffamatorie ed infondate, denigratorie del Reparto interessato e
dei militari che in esso lavorano”.
RENZISMI E REALTÀ
di
Alex Corlazzoli
Bambini in classe,
senza bus né mense
L
a “Buona Scuola” è quella che deve fare i conti
con meno scuolabus e con sempre più tagli nelle mense scolastiche, oltre a minor soldi per la manutenzione degli istituti. A denunciare gli effetti
della crisi sull’istruzione è Legambiente che in questi giorni ha presenato il “Rapporto Scuola”: complice la crisi economica e la minore disponibilità
dei comuni calano al 22,5% le scuole dotate di servizio di scuoalbus (contro il 30% del 2013). Altro
dato drammatico è sulle mense: i pasti biologici sono ormai presente solo nel 4,8% delle mense contro
l'8,5% del 2012. Diminuisco anche i fondi destinati
alla manutenzione ordinaria e straordinaria.
inaccettabile, che accende i riflettori su un tentativo, se non
addirittura su una vera e propria pratica di controllo della
scuola pubblica da parte della
lobby ecclesiastica”.
La Diocesi però ha già fatto
un'imbarazzata retromarcia:
“La lettera è formulata in modo inappropriato e di questo
chiediamo scusa. L'intento
originario era esclusivamente
quello di conoscere dagli insegnanti di religione il loro bisogno di adeguata formazione
per presentare, dentro la società plurale, la visione cristiana della sessualità in modo
corretto e rispettoso di tutti”.
Forse le parole di Papa Francesco – “chi sono io per giudicare un omosessuale” – non
erano state ben intese alle latitudini meneghine.
10
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
A
rchivio Pompa,
la Cassazione:
“Processate Pollari”
L’EX DIRETTORE del Sismi, Nicolò Pollari,
deve tornare sotto processo e ripresentarsi
davanti al gup di Perugia che il 2 febbraio
2013 aveva disposto il non luogo a procedere, con l’accusa di aver realizzato un archivio illegale con dossier su magistrati,
giornalisti e politici, negli uffici di via Nazionale, a Roma, assieme al funzionario Pio
UN GIORNO IN ITALIA
il Fatto Quotidiano
Pompa. Lo ha deciso la Cassazione che ieri
ha annullato il proscioglimento deciso in
forza del segreto di Stato, con riferimento
all’accusa di peculato. Ora gli atti tornano al
gup al quale li trasmetterà la VI sezione penale della Suprema Corte. Secondo l’accusa, Pollari e Pompa avrebbero commesso
peculato per avere utilizzato, “per scopi pa-
lesemente diversi” da quelli istituzionali del
Sismi, denaro, risorse umane e materiali del
servizio di intelligence. Tra le vittime del
presunto dossieraggio, magistrati come Armando Spataro e Giovanni Salvi, politici di
centrosinistra ma anche berlusconiani “non
allineati” e giornalisti tra i quali Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio.
“TANGENTI E INCONTRI SEXY
PER 10 MILIONI DI APPALTI”
IN CELLA MAMONE, RE DEI RIFIUTI DI GENOVA, SOTTO INCHIESTA I LAVORI POST ALLUVIONE
AL TELEFONO: “SONO AMICO DEL NUOVO CAPO DI CARIGE”. I RAPPORTI CON I POLITICI
di Ferruccio Sansa
S
Genova
e parlano i Mamone
crolla Genova”, si lascia scappare un investigatore. Chissà se è
vero. Ma le 69 pagine dell’ordinanza del gip Roberta Bossi non
sembrano rivelare solo un malinconico caso di tangenti e prostitute per ottenere 10 milioni di
appalti per alluvioni e rifiuti.
Nelle intercettazioni Gino Mamone si vanta della sua amicizia
con Paolo Momigliano, appena
nominato presidente della fondazione Carige. E perché Mamone negli anni passati aveva
avuto contatti con i big del centrosinistra genovese.
L’ENNESIMO SCANDALO in Li-
guria ha portato all’arresto di 7
persone: Gino, Vincenzo e Luigi
Mamone, imprenditori che dominano il settore rifiuti grazie
soprattutto ad appalti pubblici.
Con loro Corrado Grondona
(responsabile legale Amiu,
azienda pubblica della nettezza
urbana); poi Stefano e Daniele
Raschellà, e Claudio Deiana
(imprenditori amici dei Mamone). Indagati Massimo Bizzi e
Roberto Ademio (dirigenti
Amiu). L’accusa è associazione
a delinquere, corruzione e turbativa d’asta. Secondo i pm Paola Calleri e Francesco Cardona
Albini, i dirigenti Amiu avrebbero affidato a Mamone e amici
“prestazioni di servizi correlati
ad eventi alluvionali”. Si parla
anche “di lavori di manutenzione straordinaria”, di rifiuti inquinanti nella discarica cittadina e di lavori pagati due volte. Il
copione: gare pilotate, sminuz-
zate in lotti inferiori a 40 mila
euro per evitare controlli. In
cambio, tra il 2009 e il 2013, i dirigenti si sarebbero garantiti
una vita da nababbi che avrebbe
consentito a Grondona di spassarsela tra prostitute, Dom Perignon, cene e viaggi. Spese per 5
mila euro al mese. Secondo il
SETTE ARRESTI
In manette anche fratello
e nipote dell’imprenditore
e un dirigente della
municipalizzata. Che
intercettato lodava
la escort: “Eccezionale”
gip, ai dirigenti Amiu sarebbe
bastato alzare il telefono per ottenere favori: dalle pratiche auto
ad appartamenti per incontri sexy. Intercettazioni dai toni anche pecorecci. Dicono i Mamone di Grondona: “Sarà a trombare… è proprio malato… se ti
trovi una là e un contratto da firmare… impazzisce”.
Ma c’è un’intercettazione che
inquieta Genova. Mamone parla di Grondona: “Me ne deve
non uno, mille di piaceri! È
all’ufficio acquisti grazie a me,
quando io potevo parlare con
Momigliano e company”. Il riferimento è a Paolo Momigliano (non indagato), a lungo presidente Amiu. E pochi mesi fa
chiamato a presiedere la Fondazione Carige dopo gli scandali e
l’arresto di Giovanni Berneschi.
Oggi nega ogni contiguità con i
Mamone: “È una millanteria.
Ho lasciato Amiu nel 2008, prima dei fatti contestati. I Mamone li avrò incontrati tre volte”.
La nomina di Grondona avvenne durante la presidenza Momigliano, i due, però, si conoscevano perché avvocati.
Il nome Mamone da tempo è
noto in città. Christian Abbondanza della Casa della Legalità
denunciava la frequenza singolare con cui ottenevano appalti
pubblici. All’indomani dell’alluvione 2011 l’allora sindaco
Marta Vincenzi ai microfoni di
Presadiretta rispose: “Ci sono solo loro”. In un’altra inchiesta
un’intercettazione di Mamone
che suscitò scalpore: “Io sono
amico di Burlando, di Tiezzi (ex
assessore della lista Vincenzi,
ndr), sono amico di tutti, sono
amico della Marta (Vincenzi,
ndr), questo progetto non lo
blocca nessuno”. Nessun politico fu indagato.
NEL 2008 l’informativa dell’inchiesta Mensopoli parlando dei
Mamone (mai condannati per
reati di mafia) annotava: “Il tenore delle intercettazioni ha evidenziato collegamenti di Gino
Mamone sia con il mondo politico sia con il mondo delle cosche calabresi. Egli potrebbe
rappresentare il punto di contatto tra i due mondi”. Nel 2005,
all’inaugurazione della loro
escavatrice, intervennero Romolo Benvenuto (poi responsabile Ambiente della Margherita
e membro della commissione di
inchiesta sui rifiuti), uno stuolo
di assessori di centrosinistra e
sindacalisti. Non solo: i Mamone hanno sponsorizzato in passato incontri dell’associazione
Maestrale di Burlando. Mentre
un’informativa dei Noe ricorda
colloqui tra Gino Mamone e
Burlando prima del 2005: “Per
quanto attiene poi la nomina a
dirigente dell’Autorità Portuale
di Genova” di un amico, “Mamone si interessa contattando
Burlando”.
Anche il presidente del Porto di
Genova, Luigi Merlo (mai indagato) fu intercettato in passato al
telefono con Mamone. Il 22
maggio 2007 Merlo invia un
sms per caldeggiare l’appoggio
ad Andrea Stretti poi assessore
alla Politiche sociali di La Spezia. “Caro Gino – scrive Merlo –
se hai qualcuno a Spezia ti sarei
grato se facessi votare Stretti”. E
Mamone: “Ti lascio due numeri
dei miei ragazzi (…) conoscono
mezzo mondo”.
Gino Mamone, imprenditore, arrestato a Genova
ALTA VORACITÀ Domiciliari
all’imprenditore filo Tav
ai domiciliari con l’accusa di turÈ
bativa d’asta Ferdinando Lazzaro
(
), imprenditore di Susa (Torinella foto
no) ritenuto l’amministratore della Italcoge prima e della Italcostruzioni poi,
due ditte che hanno svolto i lavori nel
cantiere Tav Torino-Lione a Chiomonte
e per questo oggetto di atti intimidatori.
Le indagini sono state svolte dai carabinieri del Ros coordinati dalla Procura di
Torino. La Italcoge è fallita il 2 agosto
2011, periodo in cui stava operando nel
cantiere. Per non perdere le attività è stata creata la Italcostruzioni, amministrata
di fatto da Lazzaro, che ha presentato al
curatore fallimentare un’offerta per rile-
vare un ramo dell’azienda fallita. Aveva però bisogno di una fidejussione che – stando agli accertamenti compiuti a
due anni di distanza da
polizia e carabinieri – è
risultata falsa, realizzata
con file e loghi trovati su
internet. Come è emerso
nell’operazione “San Michele” del 1° luglio scorso, nel proseguo dei lavori l’imprenditore ha concesso un subappalto a
una ditta vicina alla ’ndrangheta. Risale invece al 2013 il rogo di un macchinario, incendiato da ignoti poco dopo la partecipazione di Lazzaro a un talk show nel quale
denunciava la violenza in Val di Susa.
a. giamb.
Un morto a Crema, allagamenti a Milano
ANCHE IL LAMBRO A LIVELLI ELEVATI, ACQUA NELLE STAZIONI, PROBLEMI SU STRADE, FERROVIE E METRO. E LA PIENA DEL PO PREOCCUPA
Milano
a piena che ha attraversato
L
il Po è stata seguita passo
passo da Vigili del fuoco e dalla
Protezione civile. L’osservato
speciale ha preoccupato molto
ma fortunatamente è rimasto
nei suoi argini. Anche il lago
Maggiore, dopo aver scavalcato venerdì il suo perimetro e
invaso piazze e strade dei paesi
che lo costeggiano, superando
i livelli di piena del 2002, ieri ha
iniziato ad arretrare nel suo
letto abituale. A Cernobbio si è
registrata una frana, mentre a
Como l’acqua ha raggiunto la
centrale piazza Cavour. In
Lombardia l’allarme maltempo rimane elevato ma ieri la
pioggia ha concesso una tregua
e l’allerta torna stasera.
Nonostante il tiepido sole
spuntato nel corso della giornata, i disagi sono stati molti.
Linee ferroviarie interrotte, in
particolare la Bergamo-Milano, con ben 90 treni cancellati
e la situazione si annuncia critica anche per la giornata di oggi: l’effetto combinato dello
sciopero e dei gravi danni provocati dall’alluvione porterà al
EMERGENZA
A Milano
l’esondazione
del fiume Seveso. Anche il
Lambro sopra
i livelli di guardia LaPresse
passaggio di un treno su cinque sulle linee Milano-Bergamo e Varese-Milano-Treviglio
(Bergamo). Lo ha comunicato
la società che gestisce la rete,
Rfi: “Si consiglia dunque di utilizzare il treno su queste tratte
solo in casi di estrema necessità”. E a Milano invece ai cittadini è stato consigliato di
non usare le auto private. Ma
già ieri la metropolitana ha
avuto notevoli problemi con
stazioni allagate e inagibili come Garibaldi. In città, dopo
l’esondazione di mercoledì, il
Seveso è tornato alla normalità
mentre il fiume Lambro rimane a livelli elevati, con l’omonimo parco in parte ancora al-
QUINTA VITTIMA
Dopo le tragedie
in Liguria e Piemonte,
un giardiniere di 36
anni è stato travolto
mentre apriva la chiusa
di un mulino
lagato, in particolare nella zona di via Feltre, a nord della
città, dove le scuole ieri sono
rimaste chiuse. Problemi e interruzioni anche sulle strade
provinciali, con smottamenti
ma nessun danno grave è stato
segnalato nella giornata di ieri.
rimane alta anche per la giornata di oggi e fino a domenica.
A Milano saranno impegnati
260 agenti della Polizia locale
per affiancare gli uomini della
Protezione civile, oltre ai Vigili
del fuoco e forze dell’ordine
per tenere costantemente sotto
contro il Seveso e il Lambro.
dav. ve.
LA NOTTE INVECE ha portato
con sé la vita di Armando Vagni, un giardiniere 36enne di
Crema, travolto mentre stava
cercando di aprire una chiusa
per far defluire l’acqua da un
mulino. Vagni è la quinta vittima del maltempo in appena
tre giorni di alluvioni e valanghe di fango al Nord. Martedì
una coppia di pensionati in Liguria, mercoledì una vittima
nel Biellese e una seconda in
provincia di Varese. L’allerta
UN GIORNO IN ITALIA VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
A
gende Rosse
e Libertà e Giustizia
per il pm Di Matteo
TUTTI IN PIAZZA per solidarietà. È l’invito lanciato dal Movimento delle Agende Rosse e dall'associazione Libertà e Giustizia presieduta da
Gustavo Zagrebelsky, a sostegno del lavoro del
pubblico ministero Nino Di Matteo e dei magistrati di Palermo, impegnati nel processo sulla
Trattativa Stato-mafia. Il corteo principale sarà a
Palermo e attraverserà domani le vie del capo-
luogo siciliano fino al Palazzo di Giustizia. Ma
Palermo e i palermitani non saranno lasciati soli:
altri cortei e flash mob sono previsti anche a
Milano, Roma, Udine e Bologna. Nei giorni scorsi,
una fonte anonima aveva rivelato che per il pm Di
Matteo ci sarebbe pronto già il tritolo per un
attentato. Le associazioni invitano tutti a partecipare “mettendo da parte le bandiere”.
Csm, via alle manovre
per normalizzare Palermo
I LAICI DI DESTRA SPINGONO PER LA NOMINA DI LO VOI CONTRO LO FORTE E LARI
ATTESI 1.300 PENSIONAMENTI, IL CONSIGLIO DI LEGNINI RIDISEGNERÀ LA GIUSTIZIA
di Giuseppe Lo Bianco
Antonella Mascali
L
a nomina del procuratore di Palermo, lo
scontro ai vertici della Procura di Milano, la nomina di centinaia di
magistrati per incarichi direttivi e semidirettivi dopo la legge
sul pensionamento anticipato a
70 anni.
Saranno mesi infuocati per il
Csm sotto pressing politico e
con un vicepresidente, Giovanni Legnini, che ha promesso
l’autonomia del Consiglio ma
viene direttamente dal governo
Renzi, e prima ancora da quello
Letta, sempre come sottosegretario.
Al plenum di lunedì scorso, di
fronte al ministro Andrea Orlando, il procuratore generale
Gianfranco Ciani ha detto che
con questa normativa sulla
pensione, alla Cassazione ci sarà una scopertura “fino al 30%”.
Secondo l’Espresso da qui al
2018 andranno via 1.300 magistrati.
TRA LE NOMINE più delicate e
imminenti c’è sicuramente
quella del procuratore di Palermo. Anche per lo scontro con il
Quirinale sulle intercettazioni
GIURISTI PER CASO
IN POLE In alto da sinistra
Guido Lo Forte e Franco Lo Voi,
sotto Sergio Lari Ansa
IL CANDIDATO
Antimafioso moderato,
il prescelto di Fi andò
a Eurojust con Alfano
e si schierò con Grasso
sulla mancata
delega a Borsellino
Napolitano-Mancino nell’ambito dell’inchiesta, ora processo, sulla trattativa Stato-mafia.
La nomina del procuratore di
Palermo, in realtà era quasi fatta
dal vecchio Consiglio. La competente Quinta commissione
aveva già votato e l’attuale procuratore di Messina, Guido Lo
Forte, ex braccio destro del procuratore Caselli a Palermo, eb-
be la maggioranza dei voti: tre.
A seguire, il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e l’ex rappresentante di Eurojust, Franco
Lo Voi. Dunque, se si fosse andato in Plenum, avrebbe vinto
quasi certamente Lo Forte. Invece, arrivò una inedita lettera
del Quirinale che intimò al
Consiglio di provvedere alle
nomine dei procuratori in or-
di m.
trav.
Corso di recupero
per Massimo Bordin
D
a due giorni Massimo Bordin si arrovella sul
Foglio attorno a un interrogativo angoscian-
te: che fine ha fatto l’inchiesta sull’ex ministro della
Giustizia Giovanni Conso, indagato a Palermo per
falsa testimonianza per le sue bugie sulla trattativa
Stato-mafia? Perché il poveretto “è rimasto indagato mentre gli altri venivano rinviati a giudizio?”.
Perché “dopo quasi due anni il suo processo non ha
fatto passi avanti”? I pm cattivi lo lasciano “in una
sorta di limbo da perenne indagato, e ciò è strano, a
pensar male, perché il famoso decreto di revoca dei
41-bis, di cui parla sempre Travaglio, l’ha firmato
lui. Il suo ruolo nel processo è centrale, oserei dire
fondamentale. Il fatto che lo si sia voluto tenere
fuori, qualcosa deve pur significare”. Non può essere solo per le sue “condizioni di salute”, dev’esserci sotto qualcosa. Bravo Bordin, indovinato:
sotto c’è addirittura la legge. Cioè il Codice penale.
Prima lezione del corso di recupero per giuristi per
caso: l’art. 371-bis sul reato di falsa testimonianza e
false dichiarazioni al pm stabilisce che, per chi
mente ai magistrati, “il procedimento penale... resta sospeso fino a quando, nel procedimento nel
corso del quale sono state assunte le informazioni
(false, ndr), sia stata pronunciata la sentenza di primo grado”. Traduzione: per processare Conso per
le false informazioni sulla trattativa, bisogna aspettare la sentenza di primo grado del processo sulla
trattativa. Casomai Bordin necessitasse di altre ripetizioni, ci faccia un fischio: siamo qui per lui.
11
dine cronologico e quindi quella di Palermo, sull’orlo dell’approvazione, fu bloccata.
Per ora la nuova Quinta commissione non ha ancora affrontato il caso Palermo, forse comincerà a parlarne la prossima
settimana. I membri togati, assicurano diversi di loro interpellati, non hanno affrontato
l’argomento neppure informalmente. Quello che filtra da Palazzo dei Marescialli è che i laici
del centrodestra vorrebbero Lo
Voi, che però non ha mai diretto un ufficio giudiziario.
L’unico neo antimafia della sua
carriera è la mancata partecipazione a un funerale, quello di
Paolo Borsellino. In quel luglio
infuocato del ’92 Franco Lo Voi,
57 anni, rappresentante italiano
a Eurojust, storico esponente
palermitano della corrente di
Magistratura Indipendente, rimase in vacanza in Sardegna. E
quando tornò dalle vacanze rispose di no ai colleghi della Procura che gli sottoposero il documento di dimissioni firmato
da otto sostituti in polemica con
il procuratore Pietro Giammanco, che fino all’ultimo giorno di vita aveva negato a Borsellino la delega antimafia su
Palermo. Antimafioso si, ma
con moderazione, a Palermo Lo
GIORNATA NERA
Saviano, c’è l’altolà
della Capacchione
È
stata una giornata nera quella di ieri per Roberto Saviano. Bacchettato dall’Anm e abbandonato da Rosaria Capacchione, giornalista e ora
deputata Pd, minacciata anche lei, ma distante dal
pensiero del giornalista e scrittore sulla sentenza.
“Sono contento a metà” aveva detto a caldo Saviano
dopo che i giudici avevano condannato solo l’avvocato Michele Santonastaso per le minacce a loro,
ma non i boss Bidognetti e Iovine. In una lettera
Capacchione afferma: “Giornalisti e opinionisti
(...) quando si scontrano con un vero borghese mafioso non lo riconoscono”. L’Anm invece esprime
“amarezza e sconcerto” perché Saviano aveva parlato di sentenza “senza coraggio”.
Voi è ricordato per l'imponente
lavoro di indagine sulle dichiarazioni del pentito Balduccio Di
Maggio. A firmare centinaia di
mandati di cattura (e di richieste di ergastolo) fu, insieme con
Giuseppe Pignatone, proprio
Lo Voi, prudente ma determinato nel colpire picciotti e killer
di Cosa Nostra: e fu lui a raccogliere per primo le rivelazioni
di Mario Santo Di Matteo e
Gioacchino La Barbera, i killer
pentiti della strage di Capaci in
cui morì Giovanni Falcone, con
cui aveva un rapporto di amicizia da lui mai sbandierato.
Dopo il rigore manifestato contro boss e picciotti lasciò Palermo per approdare al Csm nel
periodo in cui esplosero le polemiche sulla circolare del 5 dicembre 2001, che interpretava
in 8 anni il termine massimo di
permanenza alla Dda per i coor-
dinatori delle indagini antimafia e che tagliò fuori dalla procura di Palermo Guido Lo Forte
e Roberto Scarpinato. In quel
caso Lo Voi fu indicato come un
regista “felpato” dietro le quinte
a favore di quella circolare. E
sempre al Csm, nonostante i
suoi successi professionali nella
stagione di Caselli, Lo Voi appoggiò Pietro Grasso contro il
magistrato torinese per il vertice della Dna, e poi il “grassiano’’
Giuseppe Pignatone nel confronto con Lo Forte e Messineo
nella corsa per la procura di Palermo. La tappa successiva della
sua carriera è infine Eurojust, la
Procura europea. Fu spedito a
Strasburgo dall’allora guardasigilli Angelino Alfano. Se l’obiettivo oggi è quello di spegnere i
riflettori sulla Procura più incandescente d’Italia, il prudente
Lo Voi appare l’uomo perfetto.
L’INVIATO USA
Pieczenik, dal falso comunicato Br
al “sacrificio” atlantico di Moro
di Rita Di Giovacchino
a richiesta di una una roL
gatoria internazionale a
carico di Steve Pieczenik era
stata avanzata il 1 settembre
scorso da Maria Fida Moro,
dopo aver letto su Il Fatto l'intervista rilasciata dal consulente americano al giornalista
Marco Dolcetta. La figlia minore del presidente Dc si era
mossa in qualità di persona offesa ma purtroppo, scrive il pg
Ciampoli nelle sue cento pagine, la missione del pm romano
Luca Palamara può considerarsi fallita per la reticenza manifestata dal consulente americano che si è schermato dietro dichiarazioni generiche e
arroganti. In alternativa, è stato interrogato Dolcetta e acquisita la registrazione dell'intervista nella quale Pieczenik
confermava la presenza del Sismi in via Fani.
L'atteggiamento dell' “americano” spedito in tutta fretta a
Roma il 29 marzo 1978 dal Dipartimento Usa non deve stupire. Le sue numerose dichiarazioni, interviste, interventi
pubblici hanno sempre dato
l'impressione che parlasse
molto al solo scopo di celare
l'effettivo ruolo da lui svolto
nei 55 giorni. Resta intatto il
mistero della sua missione,
sollecitata dal ministro dell'Interno Cossiga che chiese aiuto
all’America temendo che la situazione potesse sfuggirgli di
mano. Così, per non dare troppo nell’occhio, il Dipartimento
inviò appunto Pieczenik, uno
psichiatra dai comportamenti
stravaganti, dietro i quali si nascondeva un personaggio di
primo piano in grado di assolvere a un ruolo importante negli accordi di Camp David.
PIECZENIK aveva avuto diret-
tive precise, ma non è detto che
siano quelle che ha raccontato.
In un libro, scritto con l'aiuto
del giornalista francese i Emanuèl Amara (Abbiamo ucciso Aldo Moro) afferma ad esempio
che il suo obiettivo era “guadagnare tempo, mantenere in
vita Moro il più a lungo possibile, per consentire a Cossiga
di riprendere il controllo dei
suoi servizi di sicurezza…”.
Dunque l'uomo poi divenuto
Capo di Stato, cui è stata attribuita una certa contiguità con
gli ambienti Gladio, in quel
frangente non controllava gli
apparati. “Allo stesso tempo
era auspicabile che la famiglia
Moro non avviasse una trattativa parallela con il rischio che
Moro fosse liberato prima del
dovuto… mi resi conto che
portando la mia strategia alle
estreme conseguenze… avrei
sacrificato l’ostaggio per la stabilità dell’Italia”.
Fu lui, o almeno lo rivendica, a
creare il falso comunicato n. 7,
in cui si annunciava l'avvenuta
esecuzione sul Lago della Duchessa, con il duplice obiettivo
di “spingere le Brigate Rosse a
uccidere Moro al fine di delegittimarle”. Due piccioni con
una fava. Un esito la missione
di Palamara lo ha comunque
ottenuto: Obama ha aperto un
procedimento nei confronti di
Pieczenik per il suo rifiuto di
negoziare provocando la morte di un uomo di Stato straniero, iniziativa un po' tardiva cui
dovrebbe far seguito quella italiana. I comitati di crisi erano
Aldo Moro
tre e Pieczenik rientravain
quello degli esperti, di cui faceva parte anche Ferracuti, il
superperito che teorizzò che
Moro fosse vittima della crisi di
Stoccolma. Dalla cento pagine
emerge anche che nel covo di
via Montenevoso sarebbero
stati rin venuti gli elenchi dei
622 appartenenti a Gladio, fu
questo forse a spingere Andreotti a renderlo pubblico.
Dice il vicepresidente Gero
Grassi: “Il nostro obiettivo è recuperare anche l'altro elenco,
quello dei 650 gladiatori “respinti” in realtà utilizzati nelle
operazioni sporche”.
12
ALTRI MONDI
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
Pianeta terra
USA SANATORIA PER MILIONI DI IMMIGRATI
Gli effetti della sconfitta elettorale di Mid-term si
fanno già sentire. Per varare la riforma dell'immigrazione, il presidente Barack Obama è deciso a
scavalcare il Congresso con un decreto esecutivo.
Il provvedimento prevede anche una sanatoria per
4 milioni di immigrati irregolari. LaPresse
MEDIO ORIENTE KERRY VUOLE EVITARE L’INTIFADA
Per scongiurare i venti di guerra in seguito agli attentati in Cisgiordania, il segretario di Stato americano, John Kerry, si è recato in medio oriente per incontrare prima il presidente palestinese, Abu Mazen, e dopo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Ansa
SUN TZU ADDIO, L’ARTE DELLA GUERRA
È UN MISSILE CHE FA TUTTO DA SOLO
SUPERATI I DRONI, ORA TOCCA ALLE ARMI CHE NON HANNO BISOGNO DELL’UOMO
di Carlo Antonio Biscotto
L
e armi del futuro sono state battezzate
Fire and forget (Spara
e dimentica). Immaginifico e terribile. L’anno
scorso al largo della costa meridionale della California un
bombardiere B-1 ha lanciato
un missile sperimentale che –
come scrive John Markoff sul
New York Times – potrebbe rivoluzionare l’arte della guerra.
Il missile da solo, senza sollecitazioni dei piloti, decise quale imbarcazione colpire tra le
tre che, prive di equipaggio,
galleggiavano in mare. La
guerra non è più quella descritta nei manuali che erano anche
trattati di filosofia, come quel-
lo di Sun Tzu, ma fa ricorso in
modo massiccio alle intelligenze artificiali, ai computer e
alla tecnologia informatica. I
droni vengono azionati a distanza con un joystick manovrato da esperti piloti. Ma ormai pare sia stata varcata l’ultima frontiera: le nuove armi
non rispondono all’uomo, ma
sono guidate e gestite dall’intelligenza artificiale. È un software che decide quale bersaglio colpire e chi uccidere.
IL TIMORE è che queste armi
possano divenire sempre più
incontrollabili. Forse la loro
precisione potrebbe salvare la
vita di numerosi civili, ma non
possiamo escludere che l’assenza dell’uomo possa avere
il Fatto Quotidiano
l’effetto perverso di moltiplicare il numero dei conflitti. Alcune nazioni utilizzano già una
tecnologia che permette a missili e droni di attaccare obiettivi
militari senza il diretto controllo dell’uomo. Dopo il lancio, le armi ricevono da speciali
software e sensori l’ordine di
selezionare il bersaglio e attaccare. Il software è sofisticato e
perfettamente in grado di distinguere un autobus civile da
un carro armato. Inoltre i missili non “comunicano” con
l’uomo. “È già partita la corsa
agli armamenti guidati dall’intelligenza artificiale”, spiega
Steve Omohundro, fisico ed
esperto di intelligenza artificiale della Self-Aware Systems, centro di ricerca di Palo Alto.
“Questi armamenti rispondono più rapidamente, in maniera più efficiente e meno prevedibile”. Ma le preoccupazioni
sollevate da questa rivoluzione
della tecnologia militare non
sono poche e ieri a Ginevra si
sono riuniti esponenti di moltissimi Paesi che puntano a impedire l’utilizzo di queste armi
ai sensi della Convenzione sulle armi convenzionali. Il Pentagono, dal canto suo, ha approvato anni fa una direttiva
secondo la quale lo sviluppo di
queste armi richiede autorizzazioni al massimo livello della
catena di comando militare e
politica. Il problema è che la
tecnologia va avanti con una
velocità tale da aver reso già obsoleta la disposizione.
LIBIA Liberato Vallisa
Riscatto di un milione
l tecnico italiano Marco Vallisa rapito in Libia il
I
5 luglio è stato liberato. Secondo una fonte della
sicurezza libica, citata dall'agenzia France Press, sa-
rebbe stato pagato un riscatto di quasi un milione
di euro per liberare “l’ostaggio di un gruppo armato” di cui non ha, però, fornito l’identità. L’indiscrezione non è stata confermata dalla
Farnesina. Vallisa era stato rapito con
altri due colleghi della ditta modenese
“Piacentini costruzioni”, il bosniaco Petar Matic e il macedone Emilio Gafuri,
in un cantiere nella città costiera di Zuara, a un centinaio di chilometri a ovest di
Tripoli. I due erano, però, stati rilasciati
due giorni dopo. Dopo aver annunciato
la liberazione con un tweet la scorsa notte, Gentiloni ha poi espresso soddisfazione parlando a Berlino per la sua prima visita ufficiale da titolare della
Farnesina: “È stata un’esperienza molto dura per
lui”. Con la liberazione di Vallisa, sono ancora cinque gli italiani all’estero in mano a sequestratori: le
due giovani cooperanti Vanessa Marzullo e Greta
Ramelli, rapite in Siria, il tecnico Gianluca Salviato,
il gesuita padre Paolo Dall’Oglio, sequestrato in
Siria e il cooperante Giovanni Lo Porto, scomparso
il 19 gennaio 2012 tra Pakistan e Afghanistan.
A OCCHI CHIUSI
Un missile Harpoon sparato da
una nave americana, a destra,
il Pentagono Ansa/LaPresse
SPARA E DIMENTICA
Già nel 1988 la Marina
americana provò
l’Harpoon ad auto-guida:
invece del bersaglio
centrò una nave indiana
uccidendo un marinaio
“Vogliamo sapere chi decide
quali sono i bersagli”, dice Peter Asaro, co-fondatore e vicepresidente della Commissione
internazionale per il controllo
degli armamenti computerizzati. “Sono i sistemi a decidere
autonomamente e automaticamente i bersagli da colpire?”.
È L’ULTIMO CAPITOLO di una
lunga storia. Già nel 1988 la
Marina militare americana testò un missile Harpoon che disponeva di un rudimentale sistema di auto-guida. L’esperi-
mento si concluse tragicamente: il missile invece del bersaglio colpì una nave da carico
indiana uccidendo un membro
dell’equipaggio. Naturalmente
l’incidente fu messo a tacere,
ma non la ricerca nel campo
dell’intelligenza artificiale al
servizio della guerra. Nel 2012
il Pentagono ha approvato
un’altra direttiva che distingue
tra armi semi-autonome e armi
completamente autonome affermando che “le armi del futuro debbono essere progettate
in modo da consentire all’uo-
mo di esercitare adeguati livelli
di intervento e decisione in ordine all’uso della forza”. E siamo al 2014: il missile testato al
largo delle coste della California può coprire centinaia di
miglia manovrando autonomamente per evitare i radar e
senza alcun contatto radio con
la base operativa. Il missile viola la direttiva del Pentagono?
“Questi missili sono in grado di
operare autonomamente nella
ricerca del bersaglio”, risponde
Mark Gubrud, fisico della
Commissione internazionale
per il controllo degli armamenti computerizzati. “Siamo
in presenza di intelligenza artificiale e quindi al di fuori del
controllo dell’uomo”. Il dibattito tra sostenitori e nemici giurati dei nuovi armamenti è
aperto. Scharre, analista militare, non sembra sfiorato dal
dubbio: “Armi più intelligenti
e precise riducono il numero
delle vittime civili e quindi ne
vanno incoraggiati lo sviluppo
e l’impiego”.
Il ritorno del Califfo: “Arriveremo a Roma”
ISIS DIFFONDE UN AUDIO CON LA VOCE DI AL-BAGHDADI. ENNESIMA GIRAVOLTA DI OBAMA, IL PRESIDENTE SIRIANO ASSAD È DA ELIMINARE
di Giampiero Gramaglia
l Califfo al-Baghdadi – o sarà il suo fantasma? –
I
torna a fare sentire la sua voce, mentre il presidente Obama – o sarà il suo ectoplasma? – ri-
vede per l’ennesima volta la strategia contro il sedicente Stato islamico, per tornare a mettere l’accento sulla rimozione dal potere in Siria del presidente al-Assad. Che, da quando i raid alleati indeboliscono le milizie jihadiste, se la ride: i suoi
nemici più temibili hanno trovato chi li castiga,
mentre l’opposizione moderata continua a prenderle sia dai lealisti che dagli integralisti. Il Califfato diffonde un messaggio audio di 17 minuti
attribuito ad Al-Baghdadi, che, giorni fa, era stato
dato per ferito o addirittura per morto, in un intreccio di voci e smentite mai davvero chiarito (né
il documento sonoro vi fa cenno).
Il messaggio mira a rincuorare i jihadisti e a confutare le notizie secondo cui l’offensiva aerea della
coalizione anti-Is starebbe fiaccando le milizie.
Al-Baghdadi – se è proprio lui - afferma che la
campagna della coalizione guidata dagli Stati presidente ha chiesto ai suoi consiglieri un nuovo
Uniti “sta fallendo” e che il Califfato si estende piano, dopo aver riconosciuto un errore di calcolo
ormai ad Arabia Saudita, Yemen, Egitto, Libia e nella strategia militare anti-Is, che s’è inizialmenAlgeria: la marcia dei combattenti continuerà te concentrata sull'Iraq (l'8 agosto sono iniziati i
“finché non arriveremo a Roma” – una frase icona raid aerei) e successivamente s’è estesa alla Siria (il
del capo sunnita –. Nella registrazione, si dice che 23 settembre), tralasciando, però, gli sforzi per ro“il vulcano del jihad è esploso ovunque: presto, vesciare il regime di Damasco.
ebrei e crociati saranno costretti a scendere sul
terreno, a inviare sul campo le
NEL RACCONTO della Cnn, Obaloro forze, per trovarvi morte e
ma ha convocato in rapida sucdistruzione”. Al-Baghdadi pare
cessione quattro riunioni del
prevedere, quasi innescare, la
Consiglio della sicurezza nazioprossima mossa del presidente
nale, presiedendone una. Tra le
Obama che, invece, per il moipotesi sul tavolo, la creazione di
mento, di mandare uomini in
una ‘no-fly zone’ al confine con
la Turchia – la chiede Ankara,
arme a combattere in Iraq, o in
Siria, non ne vuole sapere. Ma,
per impegnarsi militarmente sul
terreno – e un'ulteriore accelese accadesse, non sarebbe la prima volta che Obama cambia
razione al programma di recluidea. Per la Cnn, la Casa Bianca si
tamento e addestramento
sarebbe resa conto d’avere tradell’opposizione siriana modeIl Califfo Al-Baghdadi Ansa rata, le cui capacità militari si soscurato il siriano al-Assad. Il
no finora rivelate molto deludenti. La notizie da
Washington suonano sconfessione delle impressioni manifestate dall’inviato dell’Onu per la Siria
Staffan De Mistura, dopo colloqui a Baghdad. L’ex
‘uomo dei marò’ del governo Letta è ottimista
sull’esito d’un piano dell'Onu per porre un termine i combattimenti tra lealisti e ribelli ad Aleppo. Per de Mistura, il governo siriano “è interessato” e la minaccia comune rappresentata dal Califfato potrebbe portare a una tregua in una guerra
che da oltre tre anni fa vittime ma non esprime
vincitori. I dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani parlano di 865 morti causati solo dai
raid aerei – una ventina al giorno –: miliziani, ma
pure almeno 50 civili, sette bambini martedì per
un razzo su una scuola. Agli attacchi alleati si sommano quelli dell’aviazione siriana, talora su obiettivi vicini – ieri, nei pressi di Aleppo –.
Sul terreno, Kobane, al confine con la Turchia, resta l’epicentro degli scontri più cruenti: l’esito della battaglia rimane incerto, anche se i curdi costringono i jihadisti sulla difensiva.
il Fatto Quotidiano
ALTRI MONDI
CAUCASO TENSIONE TRA ARMENI E AZERI
L’esercito dell’Azerbaigian ha abbattuto un elicottero militare armeno nei cieli del Nagorno-Karabakh. Si tratta dell'episodio più grave
dalla guerra per il controllo dell'enclave che nel
1988 cominciò a rodere la cosiddetta amicizia
dei popoli sovietici. LaPresse
USA FBI ISTIGÒ LUTHER KING AL SUICIDIO
”Animale sporco e anormale”. Così era definito
Martin Luther King dall’Fbi in una lettera anonima resa pubblica per la prima volta dal 1964. I
federali tentarono di ricattare l’attivista afroamericano istigandolo al suicidio per insabbiare
presunti scandali sessuali. LaPresse
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
13
Benvenuti in Transnistria
lo Stato che non esiste
SEPARATO DALLA MOLDAVIA, IL TERRITORIO RESTA FILO-RUSSO: HA UNA
GUARNIGIONE DELL’ARMATA ROSSA E LA BANDIERA CON FALCE E MARTELLO
di Andrea
Valdambrini
Q
uando è lo Stato a
essere illegale, figuriamoci tutto il
resto. Ed è proprio
il caso di dirlo parlando della
Transnistria, una striscia di
terra abitata da poco più di
mezzo milione di persone che
corre per 400 chilometri a est
del fiume Dniester tra il confine orientale della Moldavia
e le province russofone del
sud dell’Ucraina.
Ufficialmente la Transnistria
dovrebbe essere una provincia autonoma della Moldavia,
appunto. Ma in realtà è un
territorio filo-russo separatista, una scheggia impazzita
dell’ex impero sovietico sopravvissuto alla sua dissoluzione. Ha la sua capitale, Tiraspol, la sua moneta legata al
rublo, la sua fetta di armata
rossa, un inno e una bandiera
a strisce rosse e verde con falce e martello che fanno pensare quasi a uno scherzo della
storia in stile Goodbye Lenin ed
emette documenti e passaporti proprio come uno Stato
sovrano.
LA MOLDAVIA, che politica-
mente guarda all’Europa,
considera il governo di Tiraspol illegittimo, un covo di
terroristi sostenuti dai russi
che in realtà, invece di esser
venuti a occupare, come nella
vicina Crimea, non se ne sono
mai andati. La comunità internazionale non lo riconosce.
Eppure questo Stato, per
quanto illegale, esiste davvero.
E soprattutto ha delle regole
tutte sue. Per esempio quelle
che, come ha rivelato la puntata di Report dedicata al caso
Moncler, ne fanno il paradiso
della delocalizzazione dei
marchi di lusso grazie a bassi
salari e finto made in Moldavia
su cui le autorità europee
sembrano chiudere un occhio. Il contrabbando di alcol,
per esempio, è una delle attività più lucrative per Tira-
AFFARI SPORCHI
Il contrabbando di vodka,
sigarette e armi fiorisce
grazie alla posizione
geografica: e poi c’è
la delocalizzazione
dei marchi di lusso
spol, che esporta vini, cognac
e altri superalcolici sia in Russia che nell’Unione europea
grazie alla combinazione di
grande quantità e prezzi molto competitivi, quelli che fanno anche la fortuna di una distilleria (in questo caso legale), la storica Kvint di Tiraspol, che da sola produce 10
milioni di litri all’anno di vodka.
SUL CONTRABBANDO lo Sta-
to che non c’è, a dispetto delle
sue dimensioni ridotte, non
sembra essere secondo a nessuno. Insieme a Russia e
Ucraina, la Transnistria è un
paradiso per l’export di sigarette contraffatte, che spesso
viaggiano verso occidente attraverso la rotta rumena. Non
meno rilevante il capitolo che
riguarda il traffico di armi. Il
sito di giornalismo investigativo rumeno Journalistic Investigation Center riporta una serie di episodi, rivelati da Wikileaks, in cui le autorità di
Bucarest avrebbero chiesto
spiegazioni alla Russia riguardo al ruolo giocato da quest’ultima nel permettere il
passaggio di armi in Romania
(e quindi Unione europea) attraverso la confinante Moldavia, senza mai ottenere risposta. Insomma, anche se il volume complessivo del contrabbando (alcol, sigarette e
armi) non è mai stato esattamente quantificato dalle autorità di polizia internazionali, la Transnistria è comunemente considerata uno dei
principali centri del malaffare
del continente. Ma la fortuna
di questo non-Stato è più nella
geografia che nella storia. Tiraspol si trova in fondo a soli
170 chilometri dal confine
orientale dell’Unione europea, il che rende facile l’export
dei prodotti di contrabbando.
La sua economia dipende
quasi interamente dal gas russo, ed è Mosca a garantire pro-
tezione al territorio separatista da ben 23 anni con circa
1500 militari. Se davanti al
parlamento di Tiraspol, che si
chiama ancora Soviet Supremo, sovrastato da bandiere
con falce e martello, campeggia una gigantesca statua di
Lenin, non c’è nulla di romantico. I russi non se ne andranno. E hanno i loro motivi.
@andreavaldambri
Le mamme dei soldati trattate da spie
MOSCA LE INSERISCE NELLA LISTA DEGLI “AGENTI STRANIERI”: HANNO DENUNCIATO CHE I FIGLI SONO MORTI IN UCRAINA
di Giuseppe
Agliastro
Mosca
iente da fare per l'Ong
N
russa “Madri dei soldati”: il ministero della Giustizia
di Mosca ha risposto con un
secco niet alla richiesta del ramo pietroburghese dell'organizzazione di essere cancellato dalla famigerata lista degli “agenti
stranieri”. Questo speciale elenco dal
chiaro sapore sovietico è stato introdotto da Vladimir Putin due anni fa
per stringere al massimo la sorveglianza sugli enti che esercitano attività politica e ricevono finanziamenti dall'estero: le “Madri dei soldati” ci sono finite dentro a fine agosto per essersi permesse di mettere il
bastone tra le ruote al
leader del Cremlino
denunciando la presenza - sempre negata
da Mosca - di soldati
russi al fianco dei separatisti nel conflitto
ucraino, e facendo sapere di avere i nomi di
100 militari russi uccisi in Ucraina e di altri 300 rimasti
feriti. La responsabile pietroburghese, Ella Poliakova, aveva rivelato inoltre in un'intervista alla tv Dozhd che
più di 100 soldati feriti erano stati
ricoverati in un ospedale dell'antica
capitale dell'impero zarista e aveva
quindi chiesto chiarimenti al governo. Una “colpa” gravissima per il Cremlino, che non vuole proprio saperne
di staccare l'etichetta di “agente straniero” all'ong delle mamme dei soldati nonostante il parere del loro avvocato, Aleksandr Peredruk: questa
organizzazione non riceva un soldo
dall'estero.
SECONDO IL MINISTERO della Giustizia “non è tecnicamente possibile”
cancellare da questa lista nera del regime putiniano un ente ormai rimasto
impigliato nella ragnatela dell'ex ufficiale del Kgb. Punto. Ma l'avvocato
ha già annunciato una battaglia legale
presentando ricorso in appello in un
tribunale di San Pietroburgo.
“Agente straniero” ai tempi dell'Urss
era sinonimo di spia: significava fucilazione o deportazione nei gulag. Le
“Madri dei soldati” devono soppor-
tare questa definizione che grava sulle
loro spalle; finire nel mirino dello ‘zar
Putin’ può voler dire avere seri problemi con la giustizia anche in prima
persona: è successo alla leader delle
“Madri dei soldati” di Budyonnovsk,
la 73enne Lyudmila Bogatenkova, arrestata per frode a ottobre e costretta
dietro le sbarre per due notti a dispetto dell'età avanzata e nonostante
soffra di diabete. Questa donna qualche settimana prima aveva denunciato che undici militari russi dichiarati
ufficialmente morti in esercitazioni al
confine con il martoriato sud-est
ucraino, erano in realtà stati uccisi
proprio in Ucraina. E si tratta solo di
una piccola parte delle morti passate
sotto silenzio per volere del Cremlino.
14
il Fatto Quotidiano
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
ADDIO A WARREN CLARKE, IL DRUGO
DIM DI ARANCIA MECCANICA
È morto Warren Clarke, attore britannico
conosciuto soprattutto per avere interpretato
il drugo Dim in Arancia Meccanica
di Stanley Kubrick. Aveva 67 anni
ARRESTATO “IL RE DELLE TORTE”
GUIDAVA UBRIACO A NEW YORK
WARHOL DA RECORD A NEW YORK
ASTA DA 153 MILIONI DI DOLLARI
Buddy Valastro, il popolare “re delle torte”, è
stato arrestato per guida in stato di ebbrezza.
È stato fermato mentre percorreva le strade
di Manhattan a bordo di una Corvette gialla
Asta milionaria da Christie’s. Due opere di
Andy Warhol, che rappresentano Elvis Presley
e Marlon Brando, sono state aggiudicate per
153 milioni di dollari (122 milioni di euro)
SECONDO
TEMPO
SPETTACOLI.SPORT.IDEE
Se vince il cattivo è meglio
DA “HOUSE OF CARDS” A “TRUE DETECTIVE”: NESSUNA REDENZIONE, NÉ LIETO FINE: IL SEGRETO DELLE GRANDI SERIE TV USA
N
di Andrea
Scanzi
on è soltanto la qualità di recitazioni e sceneggiature a spiegare il
successo delle serie tivù. C’è anche
lo sdoganamento definitivo, talora
quasi ostentato, del politicamente
scorretto. In Italia, fatte salve lodevoli eccezioni come Romanzo Criminale e Gomorra, impera ancora la
fiction buonista: la storia edificante, tanto improbabile quanto rassicurante. Negli Stati Uniti, e non
solo lì, al centro della scena c’è invece il cattivo così respingente da
risultare fatalmente affascinante.
L’esempio più facile è House of Cards, che il presidente del Consiglio
ha detto di utilizzare quasi come
vademecum strategico (non un bel
segnale per l’Italia: il protagonista,
Frank Underwood, è una carogna
senza pari).
CI SONO PERÒ tanti altri casi. In
primo luogo, la serie tivù – quella
migliore – ha saputo giocare da
sempre sul chiaroscuro: sul buono
che non lo è mai fino in fondo, sul
cattivo che non lo è mai interamente. Sin da Twin Peaks, apripista della
nuova narrazione sul piccolo
schermo, è il dubbio a caratterizzare la storia. La sfumatura, il non
detto. A colpire lo spettatore non
sono tanto i personaggi manifestamente positivi, quanto chi è sfaccettato e possibilmente inquietante. Di Lost, altra serie-mito, amma-
liava più di tutti l’ineffabile Ben LiKevin Spacey
nus, capace di passare dal gesto più
e Robin Wright,
atroce all’apertura meno prevediFrank e Clair
bile. Non è soltanto il fascino del
Underwood,
male, quanto la capacità di racconprotagonisti di
tare – avvincendo, creando dipen- “House Of Cards”.
denza, alimentando l’immedesiSotto, Martin
mazione – l’ineluttabilità della imHart e Matthew
moralità latente. L’errore quotidiaMcConaughey
no, l’inciampo esistenziale. La tendi “True
tazione, la corruzione: la naturale
Detective” LaPresse
corruttibilità dell’animo umano, che conduce allo sbaglio destiCONFRONTI
nato a macerarti in
eterno. Fino a trasforIn Italia, tolti “Romanzo
mare il personaggio in
una “gramigna umacriminale”e“Gomorra”,
na” che uccide tutto
impera la fiction buonista:
ciò che tocca, anzitutto
ciò che più ha di caro.
la storia edificante,
Quel che accade a Jack
Bauer, protagonista di
tanto improbabile
24 (nove stagioni), che
quanto rassicurante
ha coinciso con un ulteriore innalzamento
dell’asticella qualitativa. Col passare degli anni la serie è
diventata sempre meno autoconclusiva (CSI, Dottor House) e sempre
più profetica. In grado non solo di
raccontare, ma anche di prevedere
la realtà: quando in 24 comparve
un presidente di colore sembrò un
azzardo, poi però Barack Obama è
stato eletto davvero.
Oggi la serie tivù si configura come
un mega-romanzo a puntate, con
l’ambizione neanche troppo latente Anarchy). Sono racconti impietosi,
dell’epica. Ulteriori step hanno che eternano un presente irrimecoinciso con l’arrivo di serie spesso diabilmente compromesso e natupartite in sordina e divenute giu- ralmente apocalittico, con pochi
stamente di culto. In molte di esse martiri e troppi carnefici (talora infatichi a trovare personaggi mini- consapevoli). A salvarli, e neanche
mamente edificanti, a meno che sempre, antieroi scarsamente connon sia da ritenersi lodevole il per- vinti che la redenzione sia possibile:
sonaggio che ha ucciso “soltanto” non c’erano eroi in Revolution, evatre persone a fronte della media di porata dopo due stagioni, se non
20 dei compari (The Shield, Sons of qualche sopravvissuto fatalmente
incarognito da un black-out definitivo che – più che togliere luce –
aveva spento il senso della morale
sul pianeta Terra. Il collante, anche
lì, non era tanto la trama quanto le
costanti macerazioni del cattivo
(con risvolti buoni) Sebastian
“Bass” Monroe e del buono (con
propaggini efferate) Miles Matheson.
Talora gli Stati Uniti si guardano
alle spalle, pure in quel caso per
ribadire che il male è irredimibile:
nessuno si salva in Heel on Wheels,
saga sulla nascita della ferrovia dopo la Guerra di Secessione. Il peccato c’era anche allora, c’è sempre
stato e sempre ci sarà.
La serie tivù è uno specchio che
mostra il marcio: indugia su di esso
con sapienza e sadismo. Chi ancora
coltiva un barlume di disillusione
YOUTUBE MUSIC KEY
Streaming, arriva la corazzata di Google
di Diletta Parlangeli
S
aranno giorni lunghi per tutti.
Per YouTube, che si appresta a
lanciare il tanto atteso servizio di
streaming musicale a pagamento, e
per Spotify, Deezer e gli altri concorrenti sul mercato, che da lunedì si
troveranno davanti un nuovo (e colossale) competitor.
YouTube Music Key sarà disponibile
nella sua prima edizione (si può fare
richiesta già adesso via mail) dalla
prossima settimana in Finlandia,
Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna e Stati Uniti, gratuito
per i primi sei mesi (ed ecco qua la
prima stangata agli altri) e a seguire,
per un periodo, in offerta a 7.99 euro
(ed ecco la seconda). Sarà attivo subito su web e Android, poi arriverà la
versione iOs (non ancora pervenuta
quella per Windows Phone) e consentirà di usufruire di musica in alta
definizione senza interruzioni pubblicitarie e anche in background
(cioè con la riproduzione che continua anche una volta usciti dall’app).
Volendo scaricare i brani, questi saranno disponibili anche senza connessione internet (come la sincronizzazione degli altri servizi streaming).
Nel pacchetto lancio, come non fosse
abbastanza la gratuità prima, e lo
sconto rispetto agli altri abbonamenti – che costano in genere 9.99 al mese
– YouTube mette nel paniere anche
l’accesso illimitato a Google Play
Music, un archivio da 30 milioni di
brani. Intanto, la piattaforma ha già
lanciato il restyling su web e app.
IL PERCORSO che ha portato a Music
Key è stato lungo e travagliato, fatto di
divergenze interne, di opinioni discordanti su come renderlo un servizio migliore, e di battaglie con artisti ed etichette. Il Financial Times
qualche giorno fa aveva dato notizia
del raggiunto accordo con gli indipendenti della Merlin, agenzia che
rappresenta migliaia di etichette, e
che si era rifiutata in precedenza di
offrire il suo catalogo. Questo, secon-
do la testata,
era il chiaro
segnale che il
lancio del servizio fosse alle
porte. Restano
molti i dettagli
e le rogne da
risolvere.
Lo streaming in generale tutto, che
vede artisti opporsi strenuamente
(recentemente la pop star Taylor
Swift) agli abbonamenti tutto-illimitato, e quello di YouTube, che vedrà
ancor di più alcuni di loro segnalare la
rimozione di contenuti coperti da diritto (se non scelgono, invece, di monetizzare).
tenera è fuorimoda e viene stoppato dopo tre stagioni: chiedere agli
autori del lodevole Longmire, silenziati dalla produzione perché l’opera piaceva agli over 45 ma non ai
più giovani e dunque era poco vendibile. I capolavori più manifesti
degli ultimi anni sono stati Homeland, True Detective, Breaking Bad e
Rectify. Cosa li caratterizza? Il livello
sovrumano degli attori, la qualità
rara della scrittura. E la sostanziale
assenza di anime salve.
Ogni redenzione è negata, come
pure ogni catarsi. La tivù ha regalato poche figure strepitose come il
supremo Heisenberg di Breaking
Bad, eppure era un produttore di
metanfetamine divenuto strada facendo omicida. Mica un santo, mica un eroe. Sfiorano forse la rettitudine gli amici-nemici della prima stagione di True Detective, saga-blues con i magistrali Matthew
McCounaghey e Woody Harrelson, ma le loro sono vite impietosamente prossime al calvario. La
serie, ancor più se ispirata, è nichilista e impietosa: spietatamente
realista e lucidamente pessimista.
NON ADDOLCISCE, ma infierisce.
Sparge sale sulle ferite. L’happy end è
un anacronismo neanche concepito. E l’ultima puntata non regala
necessariamente risposte. Il protagonista di Rectify è innocente o colpevole? Il sergente Brody di Homeland era una spia del terrorismo
islamico o (anche e soprattutto)
una vittima della vita, destinato a
sacrificarla per inseguire uno scampolo di perdono? Impossibile e
neanche così importante saperlo,
perché è proprio il dubbio inquietante l’architrave della serie tivù.
Epica post-contemporanea, tanto
irresistibile quanto tremenda.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
Corruzione Mondiale
La Fifa si è autoassolta
L
a Fifa ha confezionato il perfetto paradosso di Protagora, quello per cui
qualunque sia l’esito della sentenza l’imputato ne esce vincitore. Il rapporto della commissione giudicante del Comitato Etico della Fifa, firmato
dal presidente Hans-Joachim
Eckert, in 42 pagine sostiene
che non c’è stata “nessuna irregolarità nel processo di assegnazione dei Mondiali di
calcio del 2018 alla Russia e del
2022 al Qatar”. C’era da aspettarselo, dato che controllore e
controllato fanno parte della
stessa Fifa, una multinazionale
i cui ricavi superano 1,5 miliardi l’anno.
IL COMITATO Etico ha infatti
prodotto ieri il suo personale
riassunto dell’inchiesta interna
affidata tre anni fa all’avvocato
newyorchese Michael Garcia,
che a luglio ha depositato oltre
200 mila pagine di documenti e
allegati che provavano corruzione, tangenti, fondi neri e pagamenti occulti a famigliari dei
membri dell’organizzazione.
Personale riassunto perché
l’inchiesta di Garcia non sarà
mai resa pubblica “per motivi
legali”, e la stessa Fifa ha confermato che, semmai in futuro
sulla base di questa inchiesta
saranno presi provvedimenti
disciplinari, nemmeno questi
saranno resi pubblici. Personale riassunto anche perché tali
conclusioni sono in netto contrasto con quello che ha trovato
Garcia in questi tre anni, e infatti lo stesso Garcia dopo aver
letto il rapporto della commissione ha dichiarato senza mez-
di Fausto Nicastro
opo quasi un anno la guerra è finita. Amazon e HaD
chette hanno annunciato di aver trovato un accordo
per il contratto di distribuzione di libri cartacei e eBook. Si
tratta di un contratto pluriennale ma i dettagli economici
dell’intesa non sono stati ancora rivelati. Era stato proprio
il prezzo dei volumi editi dal colosso francese a scatenare lo
scontro, prima riservato e poi reso pubblico a colpi di mailbombing. Amazon aveva chiesto ad Hachette di abbassare i
prezzi dei suoi cataloghi a 9,99
dollari e al rifiuto della casa
editrice francese aveva cominciato a boicottare i suoi prodotti rallentando le consegne e
rifiutando preordini e sconti
sui titoli dei suoi autori.
zi termini: “Questo
riassunto dell’inchiesta
da me condotta è sicuramente incompleto, e
contiene diverse interpretazioni errate sia a
livello dei fatti sia delle
conclusioni”. Quello
che ha concesso la Fifa
nelle sue 42 pagine per
giustificare il terremoto successivo alla sera del 2 dicembre 2010 – quando contro
ogni pronostico l’organizzazione della Coppa del mondo
del 2018 e 2022 fu assegnata rispettivamente a Russia e Qatar
– è che sì ci sono stati diversi
episodi di corruzione intorno
IN PIÙ, la società di Jeff Bezos
SCONFESSIONE
L’avvocato Michael
Garcia: “Il riassunto
della mia indagine
è incompleto, contiene
interpretazioni
e conclusioni errate”
alla faccenda, ma tutti messi in
atto per interessi personali, alla
ricerca di una candidatura o di
una rielezione, e che nessuno
di questi episodi abbia mai
sfiorato la votazione in sé. Eppure, a luglio il Sunday Times,
pochi giorni dopo che l’inchiesta di Garcia fu depositata, aveva scritto di “essere in possesso
di centinaia di milioni di documenti segreti, tra email, lettere e trasferimenti bancari”.
Documenti che dimostravano
che l’ex vicepresidente della Fifa (ex delegato Fifa per il Qatar
15
L’ACCORDO Amazon-Hachette
fine della guerra dei libri
IL COMITATO ETICO RIDUCE 200 MILA PAGINE DI INCHIESTA INTERNA IN UN COMUNICATO
DI SOLE 42 PER STABILIRE: “NESSUNA IRREGOLARITÀ NELL’ASSEGNAZIONE A QATAR E RUSSIA”
di Luca Pisapia
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
NEL DESERTO
I lavori di costruzione di uno
degli stadi per il Mondiale 2022
in Qatar. Sopra, Joseph Blatter,
presidente Fifa LaPresse/Ansa
e ed ex boss della federazione
asiatica) Mohamed Bin Hammam avesse pagato mazzette
per oltre 5 milioni di dollari,
soprattutto a votanti africani,
per fare vincere il Qatar nell’assemblea del 2010.
LO STESSO Bin Hammam che
nel 2011 è stato a costretto a
dimettersi da ogni incarico alla
Fifa, senza alcuna condanna,
così come il suo omologo Jack
Warner, anche lui tirato in ballo dal Sunday Times. Warner,
potentissimo boss del calcio
centro e nord americano, da
sempre un bacino di voti di
inestimabile valore, è un caso
emblematico su cui pendono
diverse inchieste: dalla costruzione di alberghi, campi di calcio e infrastrutture che poi
ospitano remunerative competizioni sotto l’egida Fifa, alla
gestione della vendita dei biglietti per i mondiali di calcio,
fino a un’indagine del Fbi proprio sulla corruzione nel voto
che ha assegnato il Mondiale al
Qatar. Ma Warner è anche il
delegato Fifa che promise, in
aveva diramato un comunicato con il quale invitava i clienti
a tempestare la mail personale
dell’amministratore delegato di Hachette, Michael Pietsch,
per convincerlo ad abbassare i prezzi. A difesa dei francesi si
erano schierati novecento scrittori che denunciavano il
comportamento di Amazon con una lettera aperta pubblicata sul New York Times, invitando i lettori a rispondere
all’attacco di mailbombing all’indirizzo di Jeff Bozes. Ma
l’approssimarsi del Natale scalda i cuori e soprattutto il
portafoglio dei grandi impresari: “Siamo soddisfatti della
nuova intesa che include specifici incentivi finanziari per
Hachette per far scendere i prezzi, cosa che riteniamo una
vittoria sia per i lettori sia per gli autori” ha detto il manager
di Amazon, David Naggar. Soddisfatto, forse di più, anche
Pietsch, perché dalle uniche indiscrezioni che trapelano
pare che sia riuscito a strappare una maggiore autonomia
sul prezzo degli ebook.
cambio di remunerative sovvenzioni al calcio caraibico
(ovvero a lui) di far convergere
i voti delle federazioni centro e
nord americane sull’Inghilterra, salvo poi all’ultimo passare
al miglior offerente: il Qatar.
E proprio il rapporto del Comitato Etico della Fifa diffuso
ieri, nell’assolvere le federazioni di Russia e Qatar, ammonisce invece per i suoi rapporti
con Warner quella inglese, la
grande sconfitta e quindi più
battagliera nella lotta al Qatar,
che si ritrova oggi cornuta e
mazziata. Da questo processo,
o meglio da questo riassunto
dell’inchiesta contestato in primis da quello stesso Garcia che
le indagini ha condotto, esce
ovviamente pulito e profumato anche Sepp Blatter: il padre
padrone della Fifa che all’alba
degli ottant’anni prepara la rielezione al quinto mandato consecutivo. D’altronde il paradosso di Protagora era chiaro
fin dall’inizio, qualunque fosse
stata la sentenza lui ne sarebbe
uscito innocente.
Twitter @ellepuntopi
CADUTA STELLE
Il contrappasso di don Fabio,
macchina da soldi senza stipendio
di Paolo Ziliani
l più pagato e il meno pagato:
quando si dice la legge del conI
trappasso. Tempi duri per Fabio Ca-
nendo sotto inchiesta alla Procura di
Como per concorso in abuso d’ufficio
e falso (3 mesi patteggiati); o come nel
2008, quando la Procura di Torino lo
indagò per un’evasione fiscale da 16
milioni condannandolo a pagarne 5
tra imposte dovute e sanzioni accessorie. Che s’era inventato Fabio Massimo? Tenetevi forte. Ai tempi della
Roma aveva convinto il presidente
Sensi a corrispondere alla “Sport
3000”, società creata da Capello in
Lussemburgo, 4,8 milioni per l’acquisto di casse di profumo “Fabio Capello”, sciarpe, foulard e altri articoli
griffati Don Fabio. Profumi e gadget,
inutile dirlo, rimasti a marcire nelle
cantine della sede della Roma. “Sono
al limite della sopportazione: non so
pello, 68 anni, una vita nel calcio prima come giocatore (Roma, Juventus,
Milan e Nazionale), poi come allenatore (Milan, Real Madrid, Roma, Juventus), infine come ct (Inghilterra e
Russia). Per dirla alla Veltroni, Fabio
Capello è oggi il ct più pagato “ma
anche” il meno pagato del mondo.
A dispetto dei 9 milioni netti l’anno
che la Federazione russa si è impegnata a corrispondergli fino al 2018,
da 5 mesi il tecnico non vede il becco
di un euro: “Non abbiamo i soldi per
onorare il contratto”, ha ammesso
papale papale il dirigente federale Stephasyn. Ohibò! E dire che
IL DECLINO
questa volta Capello
aveva fatto le cose per
Capello ha vinto,
benino: ad esempio trasferendosi e trascorrenguadagnato e investito
do gran parte dell’anno
molto, ma negli ultimi
a Mosca per pagare le
tasse in Russia ed evi10-12 anni, nonostante
tare i guai in cui incorse
nel ’99 quando s’invensquadroni e fuoriclasse,
tò una residenza fittizia
ha collezionato solo fiaschi
a Campione d’Italia fi-
fino a quando potrò andare avanti”, si IL MISTER
è sfogato Capello, che domani andrà
A fianco,
comunque regolarmente in panchina Capello con la
in Austria-Russia (qualificazioni euNazionale
ropee). Anche se non lo pagano, un russa. Sotto, ai
piatto di minestra il ct può sempre
tempi della
permetterselo se è vero che nel 2005,
Juve LaPresse
con 7,6 milioni di euro, era il 36° contribuente più facoltoso d’Italia, ben
piazzato tra il banchiere Profumo e sposta è semplice: dopo il deprimente
Luca di Montezemolo, mica due Pi- Mondiale in Brasile, con Fabio in panripicchio.
ca e la Russia eliminata al pronti-via
incapace di battere non solo il Belgio,
QUEL Fabio Capello che un po’ pensa ma anche Algeria e Corea del Sud, a
al pallone, un po’ al denaro e prima Mosca hanno il terrore che sia lui a
fonda la holding “F.C. 1992” – la pri- guidare la Russia anche nel Campioma cassaforte di famiglia –, holding nato del mondo che si terrà fra 4 anni
che nel 2001 si fonde con la “Fingio- in casa, andando magari incontro al 3°
chi” di Enrico Preziosi, presidente del flop mondiale dopo il naufragio con
Genoa e boss della Giochi l’Inghilterra a Sudafrica 2010 e quello
Preziosi; fino ad arrivare al- con la Russia a Brasile 2014. Guerra di
la genialata della “Sport nervi, dunque, con i russi che sognano
3000” delle mitiche boccette un Capello che getta la spugna e se ne
“Eau de Parfum” griffate va, magari accontentandosi di una peMascellone e pagate nei pa- nale lontana dai 72 milioni (lordi) che
radisi fiscali del Lussembur- da qui al 2018 la Federazione dovrebbe corrispondergli.
go.
Ma la domanda è: perché i Una cosa è certa: Capello non è esatrussi non pagano Capello e tamente il Cristiano Ronaldo delle
anzi lo mettono in difficoltà panchine. A dispetto dei grandi club e
spesando i suoi collaborato- dei grandi fuoriclasse allenati, di lui si
ri (Panucci, Neri) e facen- ricordano infatti – negli ultimi 10-12
dogli il vuoto attorno? La ri- anni – fiaschi clamorosi. Nel 2005 e
nel 2006, alla guida di una delle Juventus più forti di sempre, venne eliminato in Champions nei quarti dal
Liverpool e l’anno dopo dall’Arsenal
dopo partite orride, senza un tiro in
porta e un’azione decente. Nel 2007,
alla guida di un Real Madrid che aveva
acquistato Van Nistelrooij e Higuain,
Marcelo e Diarra, Reyes e Cannavaro,
Capello riuscì a far peggio buscando
negli ottavi da un Bayern in formato
ridotto, con Makaay e Podolski in attacco e il vecchio Kahn in porta. Giocava talmente male, il Real di Capello,
che dopo una stagione all’insegna della “panolade” di protesta dei centomila del Bernabeu – e a dispetto del
titolo vinto per differenza-reti sul Barcellona –, all’indomani del dì di festa il
tecnico venne licenziato in tronco. E
insomma: chi vincerà l’estenuante
braccio di ferro? Putin o Capello? Le
scommesse sono aperte. Come si dice
in questi casi: cherchez l’argent!
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SECONDO TEMPO
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
MASTERIZZATI
ANNIVERSARIO
Vent’anni di “Foos”
città per città
“SONIC HIGHWAYS”, I FOO FIGHTERS SI CELEBRANO
GIRANDO GLI STATI UNITI REGISTRANDO CANZONI
di Pasquale Rinaldis
O
gni città ha un suono e ogni suono ha la
sua storia”. È il pensiero che ha ispirato
Dave Grohl nel concepire Sonic
Highways, il nuovo lavoro dei
Foo Fighters, l’ottavo registrato
in studio e prodotto sotto la supervisione di Butch Vig, colui
che portò al successo planetario
i Nirvana. Si tratta di un evento
speciale: la band fondata dall’ex
batterista, nel 2015 festeggerà i
primi vent’anni di vita. Un anniversario che i Foos commemorano, oltreché con un nuovo
disco, anche con la realizzazione di un documentario che mostra l’odissea vissuta dal gruppo
nella produzione del nuovo album. Nel corso del 2013, una
troupe del canale televisivo
HBO ha accompagnato in 8 città americane, considerate capi-
tali della musica rock mondiale,
la band durante le registrazioni
dei nuovi brani, dando vita a
una serie tv, con la regia dello
stesso Dave Grohl e suddivisa in
8 puntate. Come il numero dei
brani che compongono Sonic
Highways.
Si parte da Chicago, la culla del
jazz e del blues, ma anche la città
di Buddy Guy, leggenda vivente
dell’Electric Blues americano
che qui possiede un rinomato
bar. È di lui che parla Something
from Nothing, il pezzo d’apertura
che è forse il migliore delle 8
tracce. Il verso “A button on a
string, and I heard everything” rievoca il passato del chitarrista,
quando era solo un povero ragazzo di colore squattrinato,
che dalla corda di una chitarra,
toccandola, poteva sentire ogni
cosa. Da Chicago, i Foos volano
a Washington D.C. per incidere
The Feast and the Famine, brano
LA BAND
Anni Sessanta
in salsa garage
suonato in classico stile Foos, il
cui testo si rifà alle sommosse
che seguirono all’assassinio di
Martin Luther King. Mentre a
Nashville, luogo eletto da Elvis
Presley come base artistico-compositiva, i Foo Fighters
incidono Congregation. È da
questo brano che si capisce che
Sonic Highways, nonostante sia
stato declamato come “una dichiarazione d’amore alla musica americana” in fatto di stile
non si discosta di un millimetro
dalle passate produzioni.
DEL RESTO, l’aveva detto Grohl
che “queste città e queste persone ci hanno portati ad allargare i
nostri orizzonti e a esplorare
nuovi territori musicali, ma senza farci perdere il nostro sound”.
Dalla City of Music, i Foos sbarcano a Austin per incidere What
Did I Do? God as my Witness, brano diviso in due parti che richia-
di P. Ri.
Dave Grohl, ex Nirvana, leader dei Foo Fighters LaPresse
ma il sound delle prime band alternative rock degli 80s, a cui da
sempre i Foos strizzano l’occhio.
Dal Texas si giunge a Los Angeles per registrare il quinto brano del disco, Outside, con il contributo di Joe Walsh degli Eagles, che però risulta quasi irrilevante. A New Orleans viene
incisa In the clear, costruita secondo i canoni stilistici che oggi
vanno per la maggiore, a cui seguono due brani che rialzano il
livello: Subterranean, il più intimista dell’album, registrato nella patria del Grunge, Seattle, do-
IL CANTAUTORE
Luca Sapio
Label GMG/Goodfellas
DI QUESTI tempi bisogna provarle un po’ tutte.
Se non proprio per avere successo, almeno per
sperimentare linguaggi inediti. In questo senso
l’idea venuta agli WOW, quartetto romano con diramazioni liguri e
francesi, è stimolante anche se non del tutto nuova (si pensi ai Baustelle, per esempio): abbinare le atmosfere del pop italiano degli Anni
Sessanta –Sanremo e dintorni, ma non solo –a un approccio sonoro più
moderno e “muscolare”, figlio anche del loro recente passato di band
garage-punk. Da un lato Mina, Patty Pravo, Nada (si ascolti bene l’attacco della strofa de Il vento), le costruzioni orchestrali di Armando
Trovajoli e Gian Franco Reverberi; dall’altro ammiccamenti psichedelici, chitarre decise e un piglio che può suscitare analogie con le esplorazioni retro-futuriste di band come Saint Etienne, Stereolab e persino
certi Belle & Sebastian. Anche i testi e i titoli delle canzoni di Amore –
Non sarà un addio, Mia cara Lu, Sospiro – si prestano alle regole di un
gioco che non sappiamo quanto può durare, ma che per ora risulta
godibilissimo e rinfrescante.
C. Bord.
ONDANUOVA 1©
Franco Micalizzi
New music
C’È STATO un tempo in cui un genio del tanto
vituperato genere musicale “easy listening”
pubblicava anche due/tre dischi all’anno con le
cover delle hit di successo con protagonista assoluto il sax. L’artista era
Fausto Papetti, da molti ricordato soprattutto per le sue copertine maliziose a base di donne nude. Ondanuova 1, probabile capitolo di una
trilogia, segue questo concept affidando al trombettista Fabrizio Bosso
il compito di rivitalizzare – in chiave jazz moderna – un repertorio di
tracce funky, bossanova piene di contaminazione. È un disco terribilmente allegro, contagioso, sprizzante di energia; reale istantanea di
uno stato di grazia del compositore Franco Micalizzi, autore di Lo chiamavano Trinità, Italia a mano armata e di tutto il genere pulp music.
Oltre a Bosso suonano Jeff Lorber, Eric Marienthal e Jimmy Haslip
insieme al figlio di Micalizzi, Cristiano (supervisore del disco). Si ascolta tutto d’un fiato immersi in una magia senza tempo, fenomeno raro.
Guido Biondi
SOUL
EVERYDAY IS GONNA
BE THE DAY ©
Amore
42 Records
Bossanova e funky
per essere allegri
ve tutto ebbe inizio. Il testo, infatti, è ispirato alla fine dei Nirvana: “Seattle è la città in cui la
mia vita è cambiata con i Nirvana e si è completata con i Foo
Fighters. Qui ci sono gli studi
che hanno ospitato l’ultima registrazione dei Nirvana, poco
tempo dopo Kurt morì. Subterranean parla proprio di questo”,
ha spiegato Grohl. Chiude I am a
River, pezzo dalle atmosfere psichedeliche ed evocative, della
lunghezza di sette minuti, inciso
a New York, la tappa finale della
serie tv e anche del disco.
Damien suona Dimenticate
il cuore a pezzi che è italiano
WOW ©
PULP
Pfm,
cinque
live
per un
ritorno
LUCA Sapio è uno serio. Voce calda, live precisi e pieni di
“sorrow”: perché il soul di quella si ciba, e lui è un
vero soul man. Dimenticare che sia italiano – nome
a parte – non è difficile. Il suo “Everyday is gonna be
the day”, a due anni dal primo “Who Knows”, convince ancora di più, e ha proprio il sapore di un club
d’Oltreoceano. Sarà che al cantautore l’attitudine
giramondo non manca – ne ha fatte tante in Usa, e
non solo per conoscere il suo produttore e arrangiatore Thomas “TNT” Brenneck (Bradley, Winehouse, Mary J. Blige...) – sarà un po’ che ha sempre il ragionamento lucido e lo sguardo concentrato
(che Caporilli ha ben raccontato nello scatto). Il disco è registrato tutto dal vivo e in analogico, al fianco della sua band The Dark Shadows. So soul.
Diletta Parlangeli
MY FAVOURITE
FADED FANTASY ©
Damien Rice
Atlantic
RIASCOLTARE il falsetto
strozzato e suadente di Damien Rice fa un certo effetto. Cosa abbia fatto in
tutti questi anni di pausa creativa – otto dall’ultimo album 9, a sua volta successivo di quattro
anni all’acclamatissimo esordio O – non è dato
sapere. Forse è andato a letto presto, molto più
probabilmente ha attraversato qualche tracollo
sentimentale (uno di sicuro, quello con la ex compagna in musica e nella vita Lisa Hannigan). Le
canzoni di Rice in fondo hanno sempre girato intorno alla complessità a volte insormontabile dei
rapporti tra uomo e donna, ma a quarant’anni
compiuti le sue riflessioni hanno assunto un dolente e spietato tono di realismo (am I the greatest bastard, chiede a una ignota interlocutrice a
un certo punto) e contemporaneamente perso un
po’ di quella patina letteraria che le avvolgeva in
precedenza. Quella che non è cambiata è la raffinatezza estrema della scrittura e degli arrangiamenti: raramente il suono di un cuore spezzato
è sembrato così elegante, intenso e armonioso.
Carlo Bordone
A DISTANZA di 43 anni
dall’esordio, la Premiata Forneria Marconi ritorna con una collana di cinque “nuovi” album
dal vivo, sotto il titolo unico Il
suono del tempo.
Una serie di concerti “filologici”
nei quali la PFM esegue le intere track list dei primi cinque dischi, con i quali guadagnò il titolo di band rock italiana per
eccellenza. Già, perché l’unica
volta che il rock italiano ha ricevuto attenzione dall’estero
che conta – non il Sudamerica o
la Germania dunque, bensì Stati Uniti e Regno Unito –, è stato
a metà degli Anni 70, grazie
all’ascesa della PFM, sigla coniata per facilitarne la pronuncia agli stranieri.
È questo il periodo in cui l’utilizzo del Moog, strumento in
grado di produrre uno straordinario assortimento di suoni, vive gli anni d’oro. Grazie soprattutto al lavoro di ricerca di artisti d’avanguardia, dai minimalisti ai gruppi rock inglesi come
Genesis, Emerson Lake & Palmer o Moody Blues, che ne
sperimentano le potenzialità
allargandone gli orizzonti.
La Premiata Forneria Marconi si
inserisce perfettamente in questo filone che verrà in seguito
etichettato come “Progressive”,
e già con la prima uscita discografica, avvenuta nel novembre
del 1971, riesce a imporsi all’attenzione di pubblico e critica.
I nuovi cinque album dal vivo,
oltreché rinfrescare la memoria
di chi s’ostina a ripetere che il
rock in Italia “non ha mai avuto
cittadinanza”, celebrano anche
il quarantennale de L’Isola di
niente, disco che venne pubblicato all’estero sotto il titolo The
World Became The World. La
nuova versione, a cui è stato
dato il titolo Un’Isola, contiene
anche il brano Via Lumiere che
non era mai stato eseguito dal
vivo prima d’ora.
JAZZ
Il piano è buono
Non serve stupire
SELDOM ©
Alessandro Lanzoni
Cam Jazz/Goodfellas
IN DIALOGO da sempre col pianoforte, a
esplorarne tutte le possibilità ha imparato
da bambino giocando con i tasti di quello
di casa. Alessandro Lanzoni, poco più di
vent'anni e alle spalle già un'esperienza
da far invidia a un decano. Premi prestigiosi, incontri con Konitz, Ares Tavolazzi,
Roberto Gatto, e collaborazioni stabili con
i grandi nomi del jazz internazionale, dal
“New Blood” di Aldo Romano al gruppo
del chitarrista Kurt Rosenwinkel – ha appena concluso una tre giorni in Spagna –,
e un trio tutto italiano a suo nome. A chi lo
racconta come enfant prodige risponde
con una scrollata di spalle: “L'obiettivo
primario di un vero musicista sia comu-
nicare e non stupire”. Con “Seldom” – in
uscita il 18 novembre – lo riafferma. E si
ritaglia un posto di primo piano nel panorama jazz italiano. E non solo. Alla guida del suo trio – Matteo Bortone (contrabbasso), Enrico Morello (batteria) – incontra la tromba di Ralph Alessi. Al centro
la sua musica. Sparito l'eco degli standard
di “Dark Flavour” (Cam 2013) Lanzoni si
concentra sulla scrittura. Firma 5 dei 9
brani del disco (Wine and blood, Big band,
Yuca, Composition, Zapatoca) e
band-leader sicuro guida senza imporsi,
cede spazio, accetta il confronto. Passa il
comando al contrabbasso di Bortone
(Tri_Angle è a firma sua) per poi aprirsi
all'improvvisazione con Alessi. “Horizonte”, “Maleta”, “Blue Tale” momenti di pura
poesia.
Paolo Odello
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
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LAEFFE
“Come il sesso ha cambiato
il mondo”, ogni giovedì sera
SKY ARTE
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Da Goya a Rothko, anche
l’arte ha i suoi misteri
di Patrizia Simonetti
imitero di Bordeaux, 16 noC
vembre 1888. Sette uomini, tra
cui un funzionario di polizia e un
console spagnolo, aprono una
tomba per riportare in patria il corpo che contiene, ma manca la testa,
così non sapendo cosa fare richiudono e se ne vanno senza rivelare la
macabra scoperta. 11 anni dopo il
ministro spagnolo Luis Pidal ripete
l’operazione e stavolta quei resti,
per quanto incompleti, in Spagna ci
tornano. Sono quelli di Francisco
Goya, ora sepolto a Madrid sotto
un suo affresco nella Chiesa di San
Antonio de la Florida, al posto del
cranio una pergamena che ne attesta la scomparsa; eppure quel cranio è il soggetto di un dipinto a olio
firmato cinquant’anni prima dal
pittore Dionisio Fierros, ma di cui
si ha notizia solo nel 1928.
DOPO I MISTERI italiani Carlo Lu-
carelli perde la testa, è il caso di dirlo, per quelli dell’arte, così ne sceglie
8 e li racconta in altrettante puntate
in Muse inquietanti, da lunedì in prima serata su Sky Arte, partendo
dalla domanda: chi ha rubato la testa di Goya? E immaginandoli “in
una notte senza luna, probabilmente incappucciati come nei suoi disegni” punta il dito su tre uomini
che “certo si conoscevano”: Fierros,
il ricco e annoiato marchese di San
Adrian che firma l’iscrizione sul
quadro e il dottor Cubì, tutti ammiratori di Goya e appassionati di
frenologia, quella pseudoscienza
molto di moda nell’800 che pone
rozzamente in relazione qualità
mentali e conformazione della testa, che magari dà pure il primo arcaico la alla scienza cognitiva, ma
certo genera mostri. Come il sonno
della ragione, per citare quella famosa incisione di Goya che la storica dell’arte Francesca Tancini definisce “icona della potenza dell’intelletto contro ignoranza e superstizione”, simbolo di quella sua mutazione, dopo una misteriosa malattia che lo rende sordo, da “pittore
del re” luminoso e solare in “pittore
del tenebroso e del fantastico, l’incubo di cui scriverà Baudelaire ne I
Fiori del male”. Il teschio di Goya ha
comunque un triste destino: studiato da Cubì e dipinto da Fierros che
lo dimentica in un armadio, finisce
per essere riempito di ceci bagnati
da suo figlio Nicolas, studente di
medicina, ed esplodere, sacrificato
in nome della teoria della forza germinatrice. Ma altre inquietanti domande ci attendono, tipo: il pittore
Walter Sickert era davvero Jack lo
squartatore e l’espressionismo
astratto di Pollock, Rothko e Motherwell fu solo un'invenzione della
Cia? A Lucarelli l’ardua sentenza.
LaEffe, “Sesso e Potere”,
un classico come il western
di Elisabetta
Ambrosi
osa sarebbe successo se la relazioC
ne segreta del ventinovesimo presidente degli Stati Uniti Warren Har-
ding con la sua amante Nan Britton
fosse venuto a galla? O se la storia di
John Kennedy con la presunta spia tedesca Ellen Rometsch non fosse stata
frettolosamente insabbiata? Tenta di
spiegarcelo la serie di documentari in
onda ogni giovedì sera su LaEffe, Come
il sesso ha cambiato il mondo (anche su
canale 50 del digitale terrestre e 139 di
Sky). Dieci puntate dai titoli accattivanti – come Sesso e potere, Passioni pericolose, I pionieri del proibito, Esperimento
a Luci Rosse, Sesso in Trincea, I piaceri
dell’occulto – con l’idea di “procedere a
zig zag tra le pagine della storia saltando le pagine noiose e andando dritti
alla storia forte”.
Si parte, nella prima puntata, con la
storia del “cane affascinante” Warren
G. Harding, che mise incinta la sua
amante sul divano del suo ufficio al
Senato. Mentre sullo schermo passano
le immagini del volto macho del presidente americano, accompagnate da
eloquenti sintesi del tipo “Mutande infuocate”, esperti e scrittori (non precisamente famosi) raccontano della
“condotta scandalosa” di Harding. Il
quale, “poiché non poteva andarsene
in giro per Washington a fare quello
che voleva”, faceva entrare squillo e
alcolici direttamente alla Casa Bianca,
dove consumava i suoi amplessi nello
sgabuzzino delle scope (mostrato con
tanto di grafica di cuoricini pulsanti
sovrimposta).
SEGUE LA STORIA del sultano del Brunei, “il gran magnaccia”, “uno dei casi
più sorprendenti di confluenza di sesso
e potere”, e di suo fratello, anche loro
riprovevoli perché, sempre parola di
esperto, “quando hai così tanti soldi hai
anche la possibilità di comportarti male” (ma per fortuna a un certo punto il
sultano viene beccato e “la festa finisce”). È la volta del giro di squillo a
parlamentari e senatori dell’era Kennedy, mentre la chiusura è dedicata alla
“macchina del sesso Grigorij Rasputin”
e alla presunta vicenda del suo pene
lungo 33 centimetri, messo sotto spirito post mortem.
Gli ascolti
di mercoledì
CHI L'HA VISTO?
Spettatori 3,39 mln Share 14,9%
I CESARONI 6
Spettatori 3,57 mln Share 14,0%
Ma cosa si è capito alla fine di questa
pruriginosa carrellata, a parte che sesso
e potere vanno sempre a braccetto e
che se hai potere puoi fare molto sesso
(come immaginano i passanti stesi su
un lettone e chiamati a dire la loro: “Se
fossi la regina del mondo farei sesso
con tutti”, “Il presidente Obama me lo
farei”)? La dimostrazione che la vita
sessuale dei potenti ha scosso i pilastri
della storia, quello che invece si vorrebbe sapere, si riduce a domande senza né capo né coda – “Com’è possibile
che sia riuscito a cavarsela con tutte
quelle donne?” –, a fantomatiche ipotesi storiche in libertà o a affermazioni
ovvie presentate come grandi scoperte
(“Rasputin è un esempio di come il magnetismo sessuale sia stato usato per
scalare le vette del potere politico con
enormi implicazioni sulla storia russa”). Per arrivare a provare, alla fine,
solo tautologie. E cioè che “niente è più
seducente del sesso”, che “per seppellire uno scandalo sessuale ci vuole un
altro scandalo sessuale”, ma soprattutto che “il mondo è stato cambiato dalla
potente combinazione di sesso e potere”.
VELVET
Spettatori 3,84 mln Share 14,4%
MEN IN BLACK 3
Spettatori 1,81 mln Share 6,89%
18
SECONDO TEMPO
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
GIUSTAMENTE
OLTRETEVERE
Giochi di Curia
per sfinire il Papa
di Marco Politi
ra. Nel ballottaggio contro il poco conosciuto vescovo di Fiesole
Mario Meini l’assemblea della
Cei ha dato 140 voti a lui e 60 a
Forte.
P
er Francesco si
preannuncia una stagione di grandi tensioni. La vecchia
guardia curiale, che considera
una “rovina per la Chiesa” la sua
linea innovatrice, alimenta
un’opposizione crescente e delegittimante. “I conservatori sono decisi a vendere cara la pelle”, afferma un assiduo frequentatore del palazzo apostolico.
Sono sempre più velenosi, dietro le quinte, i commenti contro
il pontefice latino-americano.
“Basta con questa teologia da
Copacabana”, è uno dei più benevoli.
La guerriglia delle voci si diffonde. Dopo il finto allarme del
ciellino Antonio Socci, sull’elezione “illegittima” di Francesco
sono arrivate misteriose indiscrezioni dal Vaticano su probabili dimissioni del pontefice.
Vero è che papa Bergoglio ha
fatto capire che, sentendosi un
domani nelle stesse condizioni
di debolezza fisica di Benedetto
XVI, si dimetterebbe anche lui.
Falso è che la questione sia attuale. Evocarla è parte della
guerra dei nervi contro il Papa
in corso in Vaticano.
IL CARDINALE Raymond Bur-
ke, vessillifero del blocco conservatore, ha gettato con franchezza il guanto di sfida contro
Bergoglio. Molti fedeli, ha dichiarato, “sentono un po’ di mal
di mare, perché hanno la sensazione che la Chiesa abbia smarrito la sua rotta”. Burke, dopo il
Sinodo, è stato rimosso dal Papa
dalla carica di prefetto della
Corte di Cassazione vaticana (il
tribunale della Segnatura Apostolica) e nominato patrono
dell’ordine di Malta. Una degradazione evidente. Clamorosa
per l’età non avanzata del porporato: 66 anni. Segno che Francesco intende procedere a un rapido ricambio di posizioni in
Curia per eliminare il nocciolo
duro che gli è ostile.
Pochi giorno dopo il Sinodo,
che lo ha mostrato in minoranza
all’interno della Curia e non sufficientemente appoggiato dai
vertici dell’episcopato mondiale, il Papa ha emanato norme
che ribadiscono le dimissioni
dei vescovi all’età di 75 anni e dichiarano obbligatorie (e non più
indicative) quelle dei responsabili di Curia alla stessa scadenza.
Scatenando inquietudine tra
quanti hanno superato l’età del
pensionamento: i cardinali Angelo Amato, prefetto della congregazione per le Cause dei santi, Antonio Maria Vegliò presidente del consiglio per i Migranti, il polacco Zenon Grocholewski prefetto della congregazione per l’Educazione cattolica. In Italia si stanno per liberare due sedi importanti: Palermo e Ferrara (guidata dal cardinale Carlo Caffarra, altro avversario della linea aperturista
del pontefice sulle tematiche familiari e sessuali). A Milano, invece, se il cardinale Scola non
dovesse ritirarsi prima, la questione della successione sarà in
agenda solo fra due anni.
TUTTAVIA il metodo principale
Papa Francesco Ansa
GLI ATTIVISTI
Il metodo principale per
imbrigliare il riformismo
di Bergoglio è creargli
attorno una palude di
inerzia, plaudendo alle sue
parole senza far niente
Ma gli avversari della linea papale hanno già lanciato un segnale contro una personalità,
che Francesco vedrebbe volentieri alla guida di una diocesi di
peso, magari con annesso cappello cardinalizio: il teologo
Bruno Forte, arcivescovo di
Chieti e segretario speciale del
Sinodo per volontà papale. Alle
elezioni per il posto di vicepresidente della Cei per l’Italia centrale, avvenuta pochi giorni fa, la
maggioranza dei vescovi italiani
ha impallinato la sua candidatu-
per imbrigliare il riformismo
del pontefice è creargli attorno
una palude di inerzia, plaudendo alle sue parole e non facendo
niente. La riforma della Curia, a
cui sta lavorando il consiglio dei
nove cardinali, si scontra con la
passività ostile dei quadri vaticani. La promozione delle donne in posti di responsabilità, dove “si prendono decisioni” (come auspicò il pontefice), non fa
un passo avanti. La Cei non ha
nemmeno avere preso in considerazione il tema e le stesse donne dei movimenti cattolici non
aprono bocca.
L’estate scorsa il prefetto della
congregazione per i Religiosi, il
brasiliano Aviz do Braz, ha pubblicato un documento impegnativo sull’obbligo di una rendicontazione
assolutamente
trasparente dei beni posseduti
dagli ordini religiosi e soprattutto sulla necessità di un loro impiego “al servizio delle tante forme di povertà”. In modo che
non siano gestiti – come spesso
avviene – con una mentalità imprenditoriale fine a se stessa (per
non parlare di casi clamorosi di
mala amministrazione).
Il documento, segno chiaro della linea di Francesco, non è stato
accolto da ondate di entusiasmo
e la sua applicazione si preannuncia molto lenta. Cinicamente gli avversari del Papa puntano
sul suo logoramento.
Processi e giustizia:
la lezione della Corea
di Bruno
Tinti
TRA I PROBLEMI che affliggono il nostro Paese c’è il
complesso di superiorità.
Made in Italy siamo i migliori.
Mistificazione bella e buona.
Made in Italy per Ferrari, Armani e alcuni marchi di caffè
è una cosa; per tutto il resto,
in particolare per legislazione e servizi, siamo da sempre gli ultimi della fila.
Da ora in avanti, con le riforme di Renzi & C. la discenderemo di altri numerosi gradini.
Questo pessimismo mi ha
aggredito con forza leggendo una notizia proveniente
dalla Sud Corea. Lì, il 14 aprile di quest’anno, c’è stato un
disastro navale ancora più
spaventoso di quello della
Concordia. Il capitano della
nave, credo fosse il fratello
maggiore del comandante
Schettino, se l’era data a
gambe per primo, abbandonando tutti i passeggeri; che
infatti, in mancanza di operazioni di salvataggio organizzate, sono morti quasi
tutti: 304 su 476. E, l’11 novembre, la Corte di Gwangju
lo ha condannato a 36 anni
di galera; gli è andata ancora
bene, il pm aveva chiesto la
pena di morte.
Nella Patria del Diritto, a
quasi tre anni di distanza dal
naufragio della Concordia
(13/1/2012), il Tribunale di
Grosseto sta ancora sentendo testimoni...
Che ciò avvenga per pigrizia
e incapacità dei giudici mi
pare poco probabile. Un po’
perché, se è vero come è vero che la durata media del
processo civile italiano è di 8
anni, si dovrebbe concludere
che tutti i giudici italiani son
no pigri e incapaci; il che mi
sembra statisticamente improbabile. Un po’ perché il
CEPEJ (Commissione europea per l’Efficienza della
Giustizia, istituzione del
Consiglio d’Europa) da anni
scrive nei suoi rapporti annuali che i giudici italiani sono i più bravi e produttivi
d’Europa; Renzi non ha mai
letto niente del genere ma,
ciò nonostante, questi rapporti esistono.
DUNQUE, le ragioni per
cui, a Gwangju, Lee Jun-seok
(è il nome dello sciagurato
capitano) è stato processato
in sei mesi e, a Grosseto, ancora non si sa che fine farà
Schettino dipendono, con
evidenza, da carenze sisten
COLPA DI CHI?
A sei mesi dal disastro
navale del Sewol,
il comandante è stato
condannato a 36 anni.
In Italia stiamo ancora
ascoltando i testimoni
Francesco Schettino LaPresse
miche e non personali. Questa cosa la sanno tutti da decenni; e, da decenni, la classe politica fa finta di non saperlo e si inventa leggi che
assicurino l’impunità a loro e
ai loro amici e che intimidiscano o vessino i magistrati,
che imparino a stare al loro
posto, perbacco! In effetti,
come tutti capiscono, la prescrizione breve, la non punibilità di fatto del falso in
bilancio, l’ordinamento penitenziario che garantisce ai
condannati a pene inferiori a
4 anni (dunque a tutti i colpevoli di corruzione, frode fiscale e truffe varie) di non
andare in prigione, la responsabilità civile dei magistrati e la riduzione delle loro
ferie a 15 giorni scarsi, non
sono strumenti particolarmente idonei a ridurre (anche di un solo giorno) la durata dei processi. Di depenalizzazione massiccia dei
reati bagatellari, di minima
offensività come causa di
non punibilità, di riforma
delle notifiche, di abolizione
di 9 memorie su 10 che gli
avvocati civilisti si scambiano, per un totale di 12 mesi
che si usano (si sprecano)
solo per questo, di abolizione dell’Appello, non si parla
affatto.
Renzi & C. potrebbero studiare un po’: anche e soprattutto il sistema sudcoreano.
Scoprirebbero che, secondo
il rapporto Doing business
2014 della Banca mondiale,
la Corea del Sud è al settimo
posto; e che questa posizione è dovuta all’efficienza dei
loro Tribunali. Sempre secondo Doing Business, l’Italia si trova al 65° posto. Alla
faccia del Made in Italy e della Patria del Diritto.
TESTIMONIANZE
“Don Luigi, abbiamo paura”. La lettera
dal Messico e l’indifferenza dell’Occidente
di Gian
Carlo Caselli
durata un paio di giorni
È
l’attenzione dei media
per le atrocità dei narcos
messicani sostenuti da antiche e robuste complicità dei
politici e delle forze di polizia. Martedì scorso, ad
esempio, ne parlava solo il
Fatto Quotidiano con due interventi di Carlo Antonio Biscotto e Roberta Zunini.
La tragica condizione del
Messico era stata denunciata
con forza da Luigi Ciotti durante le tre giornate romane
di “Contromafie” (24-26 ottobre). Non un convegno come tanti. Non una vetrina.
COSÌ LONTANO
“Ci stanno uccidendo
come cani”, hanno scritto
24 ragazzi a don Ciotti.
Eppure nessuno sembra
preoccuparsi troppo
delle stragi dei narcos
Piuttosto uno spazio di confronto, studio e approfondimento, animato dalla partecipazione di oltre mille giovani divisi in gruppi di lavoro: così da riunire le migliori sensibilità, competenze ed esperienze sui temi della illegalità, mafia e corruzione in particolare.
A conclusione dei lavori,
Ciotti ha scandito con indignazione – commossa e vigorosa – passi di una lettera
scrittagli alla vigilia di “Contromafie” da alcuni ragazzi
messicani. Ecco i principali
passaggi: “Ventiquattro giorni fa, 43 giovani studenti di
una scuola Normale Rurale
sono stati sequestrati e sicuramente assassinati dal cartello di Beltràn Leiva. 43 giovani che si formano come insegnanti. 43 giovani che sognavano di essere diversi e di
cambiare la realtà dei poveri
più poveri di questo paese
(…) Questi 43 giovani segregati e desaparecidos (come si
sa, purtroppo tutti uccisi e
recentemente ritrovati, ndr)
sono stati rapiti dallo Stato
mafioso messicano, dallo
Stato terrorista messicano
(…) Don Luigi, abbiamo
paura, siamo per la strada
manifestando, però abbiamo
paura che ci vengono a prendere quando meno ce lo
aspettiamo. Ci stanno uccidendo come cani (…) ci
sciolgono nell’acido (…) ci
separano dalle nostre madri
e dai nostri padri e stanno
cercando di annichilirci”.
Nel corpo della lettera figurano le riproduzioni di due
fotografie di un giovane di 20
anni che chiamavano “chilango”: ripreso in un momento sereno della sua vita e
dopo il ritrovamento del corpo in una strada di campagna
dove i suoi aguzzini, torturatori assassini, l’avevano
gettato, con la faccia distrutta, la pelle e gli occhi staccati.
QUESTA fotografia agghiac-
ciante rende ancora più
drammatica e intensa l’invocazione finale degli autori
della lettera: “Don Luigi, fratello e amico, non ci abbandonare, ci sentiamo soli davanti a questi criminali ma-
fiosi e a politici mafiosi che
usano le polizie e l’esercito
per uccidere e sequestrare
(…) Ti chiediamo il favore di
fare menzione di quanto sta
accadendo in Messico. Pensavamo di aver visto tutto,
però la situazione è arrivata a
livelli drammatici e la comunità internazionale deve sapere, non può chiudere gli
occhi”.
E allora, come non condividere – nel modo più assoluto
– quanto sostiene nel suo articolo Roberta Zunini? Dopo
aver ricordato che i narcos
messicani “nel 2013 hanno
ucciso 16 mila persone e
60.000 tra il 2006 – 2012: un
morto ogni mezz’ora in 7 anni”, la Zunini amaramente
conclude osservando che
“contro i cartelli messicani
non si è formata nessuna coalizione di paesi volenterosi.
Forse perché non minacciano direttamente le loro sovranità territoriali e hanno
corrotto le istituzioni”.
È necessario invece che tutti
si mobilitino per non abbandonare e lasciare soli nelle
mani dei criminali mafiosi i
Don Luigi Ciotti Ansa
giovani messicani che non
vogliono abbassare la testa.
Anche l’Europa non può
chiudere gli occhi e deve farsi
sentire. Il semestre di Presidenza italiana e la titolarità
della politica estera europea
in capo al ministro Mogherini conferiscono all’Italia responsabilità e poteri che possono e debbono essere utilizzati anche in questa direzione.
L’arresto, di cui parla Biscotto, del Sindaco di Iguala e
della moglie (su indicazione
dei quali la polizia locale consegnò i 43 studenti a una banda di trafficanti), è il segnale
che c’è tanto da fare e tanto
da camminare, ma si può fare.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
19
VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
Assieme all’acqua
dilaga l’ipocrisia
Un
ministro
grida
all’omicidio ambientale
dei condoni, ma nessuno
ancora chiede conto a
Burlando del pauroso
dissesto della Liguria.
Nel Paese, assieme all’acqua che devasta, dilaga
l’ipocrisia. A Taranto accordi “indicibili”, direbbe il compianto D’Ambrosio, hanno coperto gli
interessi dei Riva perfino
sulla pelle dei bambini; a
L’Aquila un’infame scelta politica per tranquillizzare la popolazione in
pericolo ha coinvolto
scienziati la cui intelligenza avrebbe dovuto saper dire di no a certe strumentalizzazioni;
ad
Avellino scorie sciolte di
amianto
si
librano
nell’aria; a Pietrasanta il
tallio avvelena l’acqua
potabile, ma certe analisi
non sono apparse abbastanza interessanti da essere prese in considerazione a suo tempo, forse a
causa del valore commerciale delle zone di villeggiatura e fino al controllo effettuato da una
signora a titolo personale. I cittadini sono costretti a tentare di difendersi dallo Stato che dovrebbe proteggerli. Non
dimentichiamo che a
L’Aquila c’era Bertolaso,
creatura di Berlusconi:
quanti Bertolaso, di destra o di sinistra, dovremo ancora annoverare
innocenti dei disastri
d’Italia?
Giampiero Buccianti
Camusso e Salvini?
Si tolga la Fornero
Non mi piace la polemica
contro il segretario della
Cgil Susanna Camusso
perché appoggia la Lega
sul referendum contro la
legge Fornero. La legge è
una porcata vergognosa e
se qualcuno riesce a farla
togliere, che sia la Lega
(va ricordato che fu praticamente l’unica che firmò contro in Parlamento) o chiunque altro, è
una cosa giusta.
In Italia si prendono posizioni in base alla tessera
che si ha in tasca (ma an-
che senza), si va contro
ogni opinione del partito
avversario, non si pensa
mai con obiettività. Da
mesi la Lega raccoglie firme contro questa vergogna, giornali e televisioni
di parte opposta l’hanno
completamente ignorata. Ora ha raggiunto il
numero di firme necessarie per proporla in Parlamento, non passerà ma
se c’è anche solo una possibilità, perché ignorarla
per partito preso?
Questo modo di ragionare è causa di molti dei
problemi di questo paese.
Monica Stanghellini
perseverano in questa
lotta al governo solo per
conservare il loro potere?
Se é così siamo perduti.
Roberto Cesari
Prima si vince
poi si decide
La Lega urla
nel silenzio
degli altri
CARO FURIO COLOMBO, di settimana in settimana vedo che la Lega di Salvini, il partito dei peggiori sentimenti e
delle proposte sbagliate, guadagna favore nei sondaggi. Perché?
Purtroppo nel mondo a
rovescio in cui ci troviamo, volenti o nolenti,
quello che conta è “vincere”, e quelli che contano
sono quelli che “vincono”, per fare cosa, lo decidono sempre dopo.
Queste amare riflessioni
mi sono state ulteriormente suggerite da Aldo
Grasso, la cui attenzione,
domenica nove novem-
Mimma
MI SEMBRA IMPOSSIBILE che in questo Paese il 10 per cento delle persone pensi ciò che dice Salvini. Allora mi viene in
mente un’altra ragione: il momento politico che stiamo vivendo e i partiti con cui
lo stiamo attraversando. Il momento è
difficile. E “le forze politiche” (come amano dire i Tg) non hanno niente di politico,
non sono né di qua né di là, non sono né
progressisti né conservatori, non sono distinguibili in base a sogni, idee, visioni o
anche solo programmi. Stessa visione
nulla, stesso futuro vuoto, stessa ripresa
del Paese del tutto assente, perché manca
per forza fiducia. La parola d’ordine è:
“Che nessuno abbia un suo ideale o una
sua speranza, altrimenti ci dividiamo e
addio riforme”. Fa eccezione, s’intende,
un pattuglione di nuovi venuti estranei
alla politica. Ma così estranei che, finora,
di politica non ne hanno fatta. Salvo poche cose, strane e durissime, contro gli immigrati, che forse non bisognava salvare
in mare perché probabili portatori di
Ebola. Ma proprio qui, in questa stranezza di gente nuova-antica, che vuole un’altra Italia, ma la vuole chiusa come la Lega, che si trovano tracce del “fascino”
la vignetta
Sciopero generale
scelta inopportuna
In un momento come
questo, con le fabbriche
che chiudono, con l’Italia
sott’acqua anche a causa
della eccessiva cementificazione, diretta conseguenza dei condoni edilizi degli ultimi venti anni, Susanna Camusso
non trova di meglio che
proclamare uno sciopero
generale, senza tenere il
minimo conto dei danni
materiali, psicologici e
sociali, che lo sciopero
produrrà. Semplicemente si tratta di una decisione insensata e inaccettabile. Dobbiamo dunque
credere che ha ragione
chi afferma che certi sindacalisti pervicacemente
bre, si è rivolta dalla prima pagina del Corriere
della Sera a Sergio Cofferati. Sotto il titolo “Le
porte sempre girevoli di
Cofferati” Grasso ha ricamato attorno al “ritorno dell’ex sindacalista, in
corsa per la carica di governatore in Liguria”. La
cosa mi ha rinfrescato il
ricordo di quando Sergio
Cofferati, che scaduto il
suo mandato di Segretario generale della Cgil era
tornato da poco a fare
l’impiegato alla Pirelli, il
27 maggio 2003, venne a
Piacenza, per salutare il
concepimento anche da
noi,
dell’associazione
Aprile, una delle tante
iniziative della “sinistra”
sparsa e divisa, puntual-
mente poi abortita prima
di giungere al parto. Cofferati, sull’onda del successo della manifestazione dei “tre milioni al circo
Massimo”,
propose
all’attenzione dei presenti una sequenza “manufatta” di una logica ferrea:
“programma, regole, uomini (primarie)”. Ovvero l’esatto contrario, della sequenza allora come
oggi, in vigore. Per “vincere” la partita, Cofferati
nell’occasione affermò
che la strada da percorrere era lunga e tortuosa, e
non conosceva scorciatoie, ed imponeva di farsi
forza, con “la forza delle
idee”. Quella sera Cofferati si mostrò infastidito
dalle indiscrezioni che lo
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Marco Tarò, Marco Travaglio
(perdonatemi la parola) della Lega. La
Lega infatti ha cose (orrende) da dire, un
suo appello (al peggiore egoismo) da
mandare, e un mondo (frontiere chiuse,
tipo 1940) da proporre. Roba da nausea,
naturalmente. Eppure che cosa accade?
Che il Movimento Cinque Stelle, che è nato da una dignitosa e indignata società civile, e Susanna Camusso, che rappresenta
bravamente ciò che resta del lavoro italiano, dicano o ripetano cose della Lega.
La ragione, temo, è questa: il resto è un silenzio ambulatoriale in cui parlano solo i
due medici, il dottor Renzi e il professor
Berlusconi, entrambi specialisti in malattie del potere, il loro potere. Invece la Lega
parla, esattamente come il fascismo nel
1922. Dice cose ripugnanti, ma parla. E
allora una parte va verso la Lega perché
condivide (ci sono anche esseri umani del
terzo tipo), una parte per non restare nella solitudine e nel silenzio. Parlo dei cittadini. Per la Camusso e per Grillo non
trovo alcuna spiegazione, ma una domanda: si può avere una immagine così
modesta di se stessi da aderire al referendum della Lega (Camusso) o per condividere l’idea leghista che donne e bambini e
uomini salvati dal mare portino tubercolosi ed ebola e dunque vadano lasciati annegare?
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n. 42
lettere@ilfattoquotidiano.it
volevano candidato come sindaco di Bologna.
Come è andata a finire
oggi lo sappiamo, e a proposito della sequenza da
lui sbandierata vale ancora come sempre il suo
esatto contrario: uomini
(buoni per tutte le stagioni), regole (ma elastiche),
programmi (se proprio si
vuole).
Vittorio Melandri
Berlusconi e Renzi
come i ladri di Pisa
La storiella dei ladri di Pisa è sempre in voga. Berlusconi e Renzi, dopo
tanto litigare sull’Italicum, hanno raggiunto
l’accordo: premio di
maggioranza alla lista
che vince col 40 percento
e soglia di sbarramento al
3 percento. Uno farà l’asso pigliatutto con i seggi,
l’altro salverà i partitini
che fece uscire dal Pdl tre
anni fa, quando capì di
non avere più la maggioranza nel Paese. Mossa
che gli ha permesso di fare opposizione apparente
mentre teneva sotto controllo il governo, grazie al
suo cavalluccio di Troia
infilato nel Pd. Qualche
anima bella troverà questa ricostruzione fantasiosa, ma chi ha mai creduto ai contrasti con
Quagliariello,
perfino
Schifani e Cicchitto, oltre
agli ex An. E come potrebbe essere inamovibile il sedicente ministro
dell’Interno Alfano, se
non avesse sulla testa la
mano di un padrino autorevole? Dalla comica finale siamo passati alla
farsa, che si sta tramutando in vera emergenza democratica. Ieri sera ho
sentito a 8 e mezzo, il sindaco Pd di Firenze parlare dello sciopero generale
del 5 dicembre, con gli argomenti e i toni irridenti
e sprezzanti che avrebbe
usato un berlusconiano
doc. Ci si può solo augurare che gli italiani si dimostrino più intelligenti
di quanto vengano considerati, da chi propina loro un’informazione parziale e scorretta e programmi tv fatti di urla,
volgarità,
sentimenti
odiosi, perfino trasmissioni del sabato sera dove
ci si dovrebbe divertire
con le scorregge.
Angelo Testa
Ridistribuzione e aiuti
sconosciuti al governo
Quando c’è la crisi economica il Paese diventa
povero e i poveri diventano, se possibile, ancora
più poveri. Al contrario,
durante le crisi economiche i ricchi diventano ancora più ricchi. Ed è proprio quello che sta accadendo ora in Italia. Le
professioni di ottimismo
del governo – un nano incantatore, suonatore di
piffero – sono in contrasto con la realtà dei fatti.
Le aziende chiudono
continuamente, la cassa
integrazione tende a trasformarsi in mobilità,
cioè in licenziamenti collettivi, mentre la politica
ignora del tutto le misure
che dovrebbero essere
prese per alimentare legittime speranze di ripresa, come la politica industriale, il sostegno ai redditi da lavoro, la ridistribuzione della ricchezza e
del lavoro e la lotta alla
precarietà, che purtroppo continuano a essere
temi estranei al vocabolario dei nostri governanti.
Mario Pulimanti
Il Fatto Quotidiano
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