La Curia di Milano chiede agli insegnanti di religione di compilare dossier sulle scuole pro gay, poi chiede scusa. Scola Cantorum Venerdì 14 novembre 2014 – Anno 6 – n° 314 e 1,40 – Arretrati: e 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 LO STATO S’ARRENDE AI FASCISTI Dopo le violente proteste aizzate da Casa Pound e Lega Nord, il Comune di Roma sgombera il centro per rifugiati di Tor Sapienza. Il Viminale lancia l’allarme: “Così si rischia di far esplodere altri focolai”. Intanto stampa e tv regalano passerelle a Salvini & C. Nessun monito dai vertici delle istituzioni Calapà, Rodano e Schiesari » pag. 2 - 3 dc CHI FA FINTA DI NON VEDERE di Antonio Padellaro ggi a Tor Sapienza, in quel di Roma Capitale, è attesa la visita del senatore leO ghista Mario Borghezio venuto a cantare vit- toria, e giustamente visto che lo Stato incapace di mantenere l’ordine nel quartiere ha deciso di calarsi le brache procedendo allo sgombero degli extracomunitari dal locale centro di accoglienza, dando così ragione ai violenti e ai facinorosi di ogni colore. Borghezio (già condannato dopo l’incendio dei pagliericci di alcuni immigrati a Torino nel 2000) fa da battistrada al suo leader, Matteo Salvini, star dei talk show, un simpaticone assurto alla notorietà nel 2009 quando propose di riservare “alle donne e ai milanesi” appositi vagoni della metropolitana, onde evitare evidentemente pericolose contaminazioni con negri e altre razze inferiori. Quello stesso Salvini diventato compagno di merende delle squadre speciali di Casa Pound, che almeno non fanno mistero della loro quintessenza fascista. Questi personaggi, fino a qualche tempo fa comparse pittoresche della politica minore, oggi fanno molto meno ridere e raccolgono a piene mani la rabbia collettiva seminata dalla politica maggiore. Non ci occuperemo qui dei torti e delle ragioni di quella che su Repubblica monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma, ha definito “guerra fra poveri” segnalando “la spregiudicatezza di politici che cavalcano il malcontento attirando i gruppi più estremi”. Ma più grave ancora è il silenzio delle istituzioni, indifferenti di fronte al dilagare di una guerriglia che nelle borgate romane è caccia allo straniero, mentre a Milano diventa rissa quotidiana nelle case popolari occupate. Tace il governo: e se l’assenza di Alfano non fa più notizia, per la palese inadeguatezza del ministro dell’Interno (curiosa la protesta del Viminale, quando ormai a Tor Sapienza lo Stato si era ritirato), l’indifferenza di Matteo Renzi va misurata con il metro del cinismo. Il premier, infatti, rifugge dalla realtà soprattutto quando essa si presenta con effetti sgradevoli (a Genova, per dirne una, aspettano ancora la sua visita dopo l’alluvione di oltre un mese fa); e chissà se i suoi addetti alla comunicazione oltre a provvedere alla “modalità golfino” gli nascondono anche i giornali con le brutte notizie. Stupisce infine l’assenza di moniti del Quirinale. Abituati ad ascoltare richiami e reprimende sull’universo mondo, si stenta a comprendere come mai questa escalation d’intolleranza in un corpo sociale devastato dalla crisi susciti sul Colle così scarso interesse. Il modo migliore per lasciare campo libero ai razzisti in camicia verde e ai fascisti in camicia nera LA CATTIVERIA Honduras: Minetti e Siffredi all’Isola dei Famosi. Le chiamavano Isole Vergini » www.forum.spinoza.it y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!#!=!=!& I cittadini di Tor Sapienza protestano davanti al centro d’accoglienza e la Polizia in assetto anti sommossa Eidon /LaPresse » JOBS ACT » Contentino alla sinistra Pd sull’art. 18 e l’Ncd si ribella Renzi, gli accordicchi per tirare a campare Possibile il reintegro per i licenziamenti “disciplinari”, ma sarà il governo nel decreto a decidere in quali casi. Senza contare il Vietnam del Senato Marra » pag. 4 JEAN CLAUDE JUNCKER Bombe, ricatti e Licio Gelli: com’è nero il passato di Mr. Europa Feltri » pag. 5 PLUSVALENZE CON VISTA SINDROME CAPITALE ALLA FIERA DELL’EST Colosseo, stavolta Scajola vende casa (sapendolo) e incassa 1 milione È la Panda che si ribella a Marino: multe, clacson e strisce pedonali Contrabbando di alcol, Moncler e armi: tutti pazzi per la Transnistria Lillo » pag. 6 Disegni e Natangelo » pag. 7 Valdambrini » pag. 13 Sali & Tabacci di Marco Travaglio el manicomio organizzato che per comodità N chiamiamo politica, la follia passa inosservata perché i matti, com’è noto, non la notano. E chi dovrebbe notarla, cioè i medici e i paramedici che ogni giorno stilano le loro cartelle cliniche credendosi giornalisti, è troppo contagiato dalle loro turbe psichiche perché si sente parte della stessa specie subumana. Così nessun giornale sottolinea la singolarità del “comunicato congiunto” dello Spregiudicato e del Pregiudicato al termine dell’ottavo vertice a due in otto mesi. Anzitutto per le firme: il capo del governo e uno dei capi della (presunta) opposizione parlano a una sola voce, come Qui, Quo e Qua. Una parola per ciascuno. E ci assicurano che il Patto del Nazareno “è oggi più solido che mai” sulla legge elettorale. Purtroppo restano ”le differenze sulla soglia minima di ingresso e sulla attribuzione del premio di maggioranza alla lista, anziché alla coalizione”: cioè sulla legge elettorale non c’è nessun accordo, ma ciò “non impedisce di considerare positivo il lavoro fin qui svolto e di concludere i lavori in aula al Senato dell’Italicum entro dicembre e della riforma costituzionale entro gennaio 2015”, anche se nessuno sa che razza di Italicum e di riforma costituzionale usciranno dal Parlamento, sempreché ne escano, visto che per il nuovo Senato e il nuovo articolo V della Carta occorrono altre quattro letture intervallate da 9 mesi e dunque la scadenza di gennaio è una barzelletta. Ergo, concludono gli squilibrati, “questa legislatura dovrà proseguire fino alla scadenza naturale del 2018”. Anziché chiamare l’ambulanza, i giornaloni lambiccano fumose formule politichesi per nascondere la realtà manicomiale. Spettacolare Repubblica: “Renzi-Berlusconi, c’è il patto”. Meraviglioso il Corriere: “Così l’intesa Renzi-Berlusconi”. Strepitoso il Giornale: “Tiene il patto con Berlusconi, non sull’Italicum”, anzi “nonostante l’Italicum”: ma allora cos’è che tiene, e su cosa, visto che i due si son visti per parlare di Italicum? Il pompiere capo Massimo Franco inventa il “patto diseguale”, che fa impallidire le convergenze parallele, gli equilibri più avanzati, la terza fase e il preambolo della Prima Repubblica. I vertici di maggioranza e le verifiche di governo invece sono già tornati, grazie alla prorompente forza innovativa del renzismo. Ma anche quelli non li nota nessuno. Neppure dinanzi alle foto di gruppo dei cosiddetti “leader della maggioranza” che lunedì sera, profittando dell’oscurità, hanno incontrato il premier per la “verifica” sull’Italicum. Le cronache segnalano che erano in 18. Oltre a Renzi e a due dispersi che non siamo riusciti a identificare neppure con i cani da valanga, c’erano i capigruppo Pd Zanda e Speranza; gli Ncd Alfano, Quagliariello, De Girolamo e Sacconi; Cesa per l’Udc di Casini (non invitato Mario Mauro, leader di un fantomatico “Pi”, che potrebbe voler dire qualunque cosa); tali Romano e Dellai, in rappresentanza di un imperscrutabile partito “Per l’Italia” (onde evitare confusione con Per la Germania, Per la Patagonia, Per il Tibet e cose così); e i notissimi Susta e Mazziotti, colonne portanti di quel che resta di Scelta Civica (che dovrebbe appartenere a Monti, ma non è sicuro). Nencini guidava la poderosa falange Psi. E c’era persino Tabacci, nella sua ultima reincarnazione: presidente dell’inaudito Cd (pare sia un partito, non un disco). Zeller troneggiava a nome delle Autonomie, tutte, peraltro a loro insaputa. Resta da spiegare le presenza di Pino Pisicchio, ex Dc, ex Dini, ex Margherita, ex Idv, ex Centro democratico, ex Apl, ex tutto: secondo alcuni, era lì per il Gruppo Misto; secondo altri l’avevano invitato per sbaglio; una terza scuola di pensiero sostiene invece che si sarebbe imbucato, ma nessuno se n’è accorto, essendo costui ormai considerato parte dell’arredamento, come le fioriere e i posacenere. Alla fine, esaurite le presentazioni che han richiesto un paio d’ore, uno dei leader (di cui ci sfugge il nome) non sapeva dove spegnere la cicca. È stato allora che s’è udita una voce da sotto una poltrona: “Ma son qui apposta, collega: spegni pure qua”. Era Pisicchio. 2 RESA CAPITALE VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 Ccentri osa sono Cie, per rifugiati e di primo soccorso L’ITALIA ha tre tipi di struttura per “accogliere” e assistere gli immigrati che arrivano. Conosciamo fin troppo bene il Cpsa, il Centro di primo soccorso e accoglienza: uno su tutti (e quattro), quello di Lampedusa. Si tratta, infatti, di strutture allestite nei luoghi di maggiore sbarco, dove il Fatto Quotidiano gli stranieri ricevono le prime cure mediche, vengono fotosegnalati, viene accertata l’eventuale intenzione di richiedere protezione internazionale e vengono smistati verso altri centri. Il Cie, Centro di identificazione ed espulsione, è spesso definito “lager”, per la lunga perma- nenza al suo interno degli immigrati e per il fatto che non è loro consentito uscire. Esistono infine i Cara, Centri di accoglienza per richiedenti asilo, che in teoria dovrebbero essere occupate per il tempo necessario alla verifica dei requisiti. Le porte dei Cara rimangono aperte. Tor Sapienza, si sgombera Ma lo stupro è un mistero PORTATI VIA DAL CENTRO ACCOGLIENZA 43 MINORENNI. LA RAGAZZA CHE AVEVA ACCESO LA MICCIA (“UN NERO VOLEVA VIOLENTARMI”) CI RIPENSA: “ERA RUMENO” di Alessio Schiesari A Tor Sapienza basta un caffè per tornare a infiammare gli animi e alzare le mani. Dopo quattro giorni di bombe carta, pestaggi agli immigrati e rivolta anti centro di accoglienza, la periferia est di Roma è ancora in preda a una crisi di nervi. Ieri, in tarda mattinata, l’ennesimo episodio: una rissa tra residenti e rifugiati sfociata in un lancio di oggetti contro il Centro di accoglienza. Nemmeno la decisione del sindaco Marino di piegarsi alla violenza e trasferire i 43 minori ospiti della struttura è stata sufficiente a calmare gli animi. PROMESSE, presidi e spaccio. La notte tra mercoledì e giovedì è trascorsa abbastanza tranquilla, anche perché nel pomeriggio i residenti hanno incontrato Marino al Campidoglio che ha loro promesso di trasferire i migranti. Viale Morandi è comunque una trincea: da un lato il cordone di polizia misto al presidio dei centri sociali (anche se questi ultimi se ne andranno prima delle undici, mentre gli agenti rimarranno tutta la notte). Dall’altro, i duri e puri della protesta, una ventina, tutti giovani. Dietro, tra i quattro blocchi di edifici fatiscenti, scene di ordinario degrado: ragazzi che bevono, altri che spacciano senza curarsi delle decine di poliziotti dall’altra parte dell’edificio, a un centinaio di metri. Ma, nei condomini della rabbia italiana, nessuno sembra farci ca- so: “Qui il 25% degli inquilini è pregiudicato”, stima un funzionario di polizia. LE VERSIONI DI AMBRA. La tensione torna a salire in tarda mattinata. I ragazzi e operatori della cooperativa non se la sentono di uscire a prendere la colazione. A portare i caffè ci pensa un gruppo di residenti, alcuni tra quelli più agitati. C’è anche la protagonista della rivolta: Ambra, 28 anni, coda di cavallo e un paio di fuseaux sportivi lucidi. Il primo assalto, quello di domenica notte, è partito dalla sua denuncia: portavo a passeggio il cane, un nero mi ha aggredita per stuprarmi. La pistola fumante sono i segni di violenza sul collo. Le contraddizioni emergono nei giorni successivi: la denuncia presentata con quattro giorni di ritardo, le accuse alla polizia che l’avrebbe prima manganellata, poi cacciata dal commissariato. Ieri, secondo gli operatori del centro di accoglienza, avrebbe ritrattato: “Ora dice siano stati dei rumeni”, spiega Gabriella Errico, direttrice della onlus Un Sorriso. CAFFÈ AMARO. Ambra e gli amici si presentano al centro con in mano un caffè: “Era un gesto distensivo. Un negro però è uscito e ha dato una pizza in faccia alla ragazza. Poi ne è uscito un altro che ha gridato ‘italiani di merda’”, racconta un gruppo di ragazze. Secondo Errico invece “il caffè era solo un cavallo di Troia per tornare litigare”. Manca una versione ufficiale (la polizia non ha fornito una ricostruzione), ma viale Morandi torna a riempirsi. Il parapiglia convince Marino ad accelerare il trasferimento dei minori. Dovevano esserne spostati quattro al giorno per non dare nell’occhio, ieri invece se ne sono andati tutti e 43. Trasferiti in altre strutture del Lazio, manterranno il loro status: né rifugiati, né richiedenti asilo, semplicemente minori non accompagnati di cui si deve occupare lo Stato italiano. Il Campidoglio smentisce, ma sembra IL DIRIGENTE DI POLIZIA Nel palazzo di fronte a quello che ospita gli immigrati, almeno il 25 per cento degli abitanti sono pregiudicati che anche i 35 rifugiati adulti, soprattutto afghani e pachistani, saranno trasferiti oggi. CESTINI NUOVI nella bidonvil- le. Lo Stato, che qui non s’è mai visto, è arrivato col richiamo delle bombe carta. A testimoniarlo ci sono i cestini per le cartacce nuovi, secondo i residenti installati pochi giorni fa, e la processione di mezzi per pulire le strade: passano sette volte in un pomeriggio, ora che ci sono le telecamere. La rabbia del quartiere però non scema. “Non bastano i neri, devono andarsene tutti: anche rumeni e rom”, attacca Ramona. Con la mano indica a sinistra, dove la sera si riuniscono i trans che poi consumano sotto le sue finestre. A destra, il campo rom. Dall’altra parte, la scala degli edifici dove gli abusivi rumeni occupano i negozi abbandonati e gli scantinati insieme agli italiani. “A loro pagano tutto: vitto e alloggio. Io pago la pigione”, grida Ramona. Lei sì, ma il 50% degli inquilini dei 495 alloggi popolari dell’Ater è indietro coi pagamenti, il 20% in più della media della Capitale. UN FUTURO mai iniziato. Ap- pena fuori dal corridoio degli occupanti due sorelle, 17 e 21 anni, stanno sedute su una panchina. Sulla colonna a fianco qualcuno ha scritto i loro nomi, che campeggiano sullo sfondo di graffiti con le svastiche e scritte come “Roma ai romani”. Anche loro ce l’hanno con gli immigrati: “Fischiano alle ragazze e fanno arrivare le guardie. Poi buttano il cibo che gli paghiamo”, spiega la più piccola. “Vorremmo andarcene da questo quartiere, ci abbiamo pensato tante volte, ma non lavoriamo”, la interrompe l’altra. Ma qualcosa da fare ce l’avete? “Voglio tornare a studiare, devo ancora finire la terza media”, dice la più giovane. Silenzio imbarazzato, poi risponde la sorella, ma sarà breve: “Anch’io”. ADUNATA NEONAZISTA Skinhead di tutta Europa a Milano per celebrare (anche) le gesta di Priebke LE TESTE RASATE di mezza Europa si riu- niranno a Milano il 29 novembre per l’Hammerfest 2014. Tra rievocazioni neonaziste, svastiche e slogan razzisti, all’evento suoneranno gruppi come gli ungheresi Vérszerzodé (messi al bando dalla Svizzera) e gli italiani Gesta Bellica, conosciuti nell’ambiente per celebrare le gesta del comandante delle Ss Erich Priebke. NEOFASCISTI SU MARTE Conferenza “ultrasegreta” di Forza Nuova contro la base Nato di Vicenza MASSIMO RISERBO sul luogo e sull’ora esat- ti in cui si terrà domani la conferenza “Europa, una, libera e fiera”, organizzata dal leader di Forza Nuova, Roberto Fiore, a Vicenza, in opposizione alla presenza della base militare della Nato. Contro la manifestazione si sono schierati sindaco, l’Associazione Nazionale Partigiani, capigruppo consiliari e tutte le forze di centro sinistra. RESA CAPITALE il Fatto Quotidiano VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 MAGLIETTA ALLEGRA LA CALATA DEL SEGRETARIO Chissà con quale maglietta si presenterà, nella trasferta romana. Dopo il 23 novembre, appena chiuse le urne per le Regionali in Emilia Romagna, il segretario della Lega Matteo Salvini calerà nella Capitale, per visitare i quartieri 3 dove sono più forti le tensioni sociali. “Ho ricevuto molte chiamate, in molti chiedono la mia presenza e quella della Lega, ci andrò” assicura Salvini. Nell’attesa, potrà scegliere quale messaggio scrivere sulla t-shirt o sulla felpa: un cavallo di battaglia per il leghista. Pronto a invadere l’Urbe. LA PIAZZA DEI FASCIOLEGHISTI ROMA S’ARRENDE AI VIOLENTI IERI GIORGIA MELONI, OGGI BORGHEZIO, FRA QUALCHE GIORNO MATTEO SALVINI CASA POUND IN PRESIDIO FISSO. VIMINALE IN ALLARME: “LO STATO SI È PIEGATO” di Tommaso Rodano L ILFATTOQUOTIDIANO.IT Online le testimonianze e i fatti di Tor Sapienza nei servizi video di Annalisa Ausilio e Chiara Carbone, anche oggi in presa diretta sul nostro sito. A fianco, immagini di Tor Sapienza dopo il trasferimento dei rifugiati minorenni LaPresse SPARI Tor Bella Monaca Gambizzato per la casa rla, forti rumori e uno sparo. Tor Bella MoU naca, estrema periferia est della Capitale. Nel pomeriggio di ieri i poliziotti, arrivati in un ap- partamento in via dell’Archeologia, allertati dai vicini, hanno ritrovato due uomini, padre e figlio, entrambi feriti. Il primo, cinquantenne, colpito con un colpo d’arma da fuoco ad una gamba. Il più giovane, venticinquenne, con una ferita alla testa, forse di un’arma contundente, probabilmente il calcio della stessa che ha ferito il padre. I due sono stati subito soccorsi e trasportati all’Ospedale Tor Vergata, dove sono stati ricoverati e non sarebbero in pericolo di vita. Mistero sui dettagli dell’agguato. Gli agenti indagano sull’effettiva dinamica di quanto è avvenuto nell’appartamento. Secondo le prime ipotesi, alla base dell’aggressione di padre e figlio ci sarebbe una faida per l’occupazione della casa, dove abita la compagna dell’uomo gambizzato. È probabile che i due siano stati assaliti da degli occupanti abusivi che, approfittando dell’assenza della donna, si sarebbero temporaneamente impossessati dell’immobile. Solo “La Zanzara” a destra ha scoperto Tor Sapienza. Il quartiere abbandonato, all’improvviso, è il centro di Roma: sul carro armato dell’odio vogliono salire tutti. La borgata si è trasformata in uno dei primi palcoscenici della nuova alleanza fascio-leghista tra il Carroccio e Casa Pound. Ma non solo. La sfilata degli onorevoli l’ha inaugurata Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia. Oggi tocca al solito Mario Borghezio. C’è da celebrare una piccola vittoria: i rifugiati sgomberano. Non tutti, si comincia dai minori: 43 ragazzini, tutti orfani, arrivati dal nord Africa sui barconi. Li portano via dal centro accoglienza per preservarli dalle violenze, e per dare in pasto un successo simbolico alla piazza. Tor Sapienza sono state colpite: gli agenti feriti in queste notti di guerriglia sono dodici. Intanto il quartiere continua a ribollire. La borgata era abituata alla separazione anche fisica dal resto della città: un’isola di cemento arrampicata su una lunga salita poco oltre via Palmiro Togliatti, confine psicologico della periferia est romana. Fino all’altro ieri esisteva solo per i suoi abitanti. Oggi, dopo quattro giorni di violenze, scopre le telecamere, i taccuini dei giornalisti e le passerelle degli onorevoli. “Qui non è mai venuto nessun politico e nessuno deve venire. I partiti non esistono”, ringhia una voce del quartiere. Ma quando inizia la sfilata di chi vuole mettere il cappello sulla rabbia, la gente si scioglie. Giorgia Meloni è accolta come la sal- vatrice della patria. È la leader di Fratelli d’Italia, il partito dell’ex sindaco Alemanno, che ha amministrato questa città – Tor Sapienza compresa – per cinque anni. Contraddizione che non pare disturbare nessuno. La Meloni è circondata dai giornalisti. I ragazzi del quartiere si spa- L’ESTREMISTA Di Stefano: “Noi qui ci siamo sempre stati Siamo accanto alla gente, diamo una mano al comitato di quartiere” IL COMUNE di Roma si giustifi- ca: “Il centro di viale Morandi è stato gravemente danneggiato e al momento in molti dei suoi spazi è inagibile”. Ecco perché ieri i ragazzi sono stati trasferiti in altre strutture. Ma la versione più credibile – che rimbalza nei corridoi del Dipartimento Immigrazione del Ministero dell’Interno – è che lo Stato si è piegato alla piazza inferocita. Una resa che spaventa il Viminale e Angelino Alfano che ha convocato prefetto e questore per diramare una nota che scarica tutte le responsabilità sul Comune: “Hanno deciso loro, il primo piano era inagibile”. Ma in realtà per il Viminale è un precedente gravissimo e una dimostrazione di debolezza. Anche di fronte alle forze di polizia, che a OGGI a Tor Sapienza tocca a Mario Borghezio. L’eurodeputato Giorgia Meloni (FdI), Mario Borghezio (Ln) e Simone Di Stefano (Cp) Cruciani: “Ognuno può dire ciò che vuole” Su Radio24: “Fare dei rom cibo per porci” di Giampiero Calapà rasmissione “La Zanzara”, Radio24, l’emittente di Confindustria. Tal Giorgio da Genova auspica lo sterminio T dei rom, il giornalista Giuseppe Cruciani dice che “ognuno può dire quello che vuole”. Ecco di seguito l’incredibile dialogo andato in onda il 12 novembre nell’indifferenza generale. Giorgio da Genova: “Io sono per lo sterminio completo dei rom e degli zingari, farne del mangime per i maiali è l’unica soluzione per...” Giuseppe Cruciani: “È l’unica soluzione per cosa?” David Parenzo: “Spero che questo pazzo stia scherzando...” Giorgio da Genova: “No, no, non sto scherzando... Lo sterminio completo: donne, uomini e bambini” Giuseppe Cruciani: “Qualcuno c’ha detto, qualcuno ha scritto, l’avete cassato, l’avete tolto, l’avete buttato via dalla trasmissione. Noi non lo facciamo questo e ce lo abbiamo qui in carne e ossa, caro Parenzo: Giorgio da Genova. Io voglio capire da Giorgio da Genova se veramente vuol fare dei rom mangime per gli animali?”. Giorgio da Genova: “Io sono tranquillo perché sono cosciente di quello che dico. Io ho una moglie non italiana e si è inserita benissimo. Loro non s’inseri- zientiscono: “Sei venuta qua per noi o per le telecamere?”. Ma Tor Sapienza è soprattutto una delle prime prove di forza della nuova creatura di Matteo Salvini, la “cosa neroverde” che tiene insieme i neofascisti di Casa Pound e gli ex (?) secessionisti della Lega Nord. Casa Pound in piazza c’è, pure se si fa vedere poco. Federico, 46 anni, si definisce un “simpatizzante” del centro sociale nero. Viene dal Quarticciolo, borgata dell’altro lato di via Togliatti. “Dite pure che è una protesta fascista, ma non è così, non capite niente”. Non ha tutti i torti: la regia di questa piazza magari non è politica. Ma la destra questo furore lo cavalca, eccome. Simone Di Stefano, leader di Casa Pound, non lo nasconde. “Noi a Tor Sapienza ci siamo sempre stati. Non abbiamo mai governato questa città e questo territorio, non ci siamo sporcati la coscienza. Noi siamo accanto alla gente, diamo una mano al comitato di quartiere. È un terreno incontaminato: siamo gli unici che possono venire qui senza prendersi gli insulti. Chi è che può parlare a questa gente? Marino? Alemanno? Per carità...”. scono, gli animali... il Mein Kampf se non sbaglio, dice: un animale se lo addestri cambia, uno zingaro non cambia. Quindi via: un campo di concentramento, un autocompattatore, da una parte entrano zingari dall’altra esce mangime per maiali” Giuseppe Cruciani: “Io pensavo scherzasse, Parenzo, questo signore” David Parenzo: “Questa persona vomitevole che sta parlando, che addirittura cita il Mein Kampf di Adolf Hitler alle 19,43 su un’importante radio nazionale, dice delle cose... mi puoi dare il numero di cellulare di questo signore che lo do alla questura per favore” Giuseppe Cruciani: “No, ma perché alla questura, adesso che c’entra la questura?” David Parenzo: “No, no adesso non scherzo più...” Giuseppe Cruciani: “Ma io non ho scherzato e ti assicuro che non ho concordato nulla con questo signore. Giorgio, lei ha citato il Mein Kampf di Hitler, si rende conto o no? Ognuno può dire quello che vuole, ma non è che può prendere come esempio il Mein Kampf di Hitler...” David Parenzo: “Io questo signore lo denuncio. C’è da intervenire subito, andare dai carabinieri e dalla po- lizia, uno così in libertà non può stare...” Giuseppe Cruciani: “Vabbè, ma non esageriamo, uno può dire quello che vuole...” Giorgio da Genova: “Bravo, bravo Cruciani...” Giuseppe Cruciani: “E vabbè quello che è, lo denunceranno le associazioni rom, lo denunceranno nazione rom, questi qua, va benissimo... o denuncialo tu, chissenefrega, se lo vuoi denunciare denuncialo” David Parenzo: “Mi mandi il numero di questo?” Giuseppe Cruciani: “Sì, te lo mando, te lo mando” Giorgio da Genova: “No, no Cruciani, Cruciani non mi tradisca...” Giuseppe Cruciani: “No, non è che se la fa sotto lei adesso amico mio, se ha detto delle cose ne subisce le conseguenze come tutti (...). Dice queste cose con questa voce tranquilla, tipo Himmler” David Parenzo: “È questo che lo rende più pericoloso” Giuseppe Cruciani: “Eh pericoloso dai...”. Cinque minuti di oscenità con un’abile e furba modalità di prendere le distanze continuando a far parlare – all’audience non si comanda – il tal Giorgio quando bastava interrompere la trasmissione. gongola: il fascio-leghismo è anche una sua creatura. I voti di Casa Pound l’hanno portato a Bruxelles, la rabbia delle periferie romane gli sta regalando i riflettori. “Io candidato sindaco per il dopo Marino? Sarebbe meglio un romano”, si schernisce. “Magari di Casa Pound”. Soffiare sul fuoco di un quartiere in fiamme non lo spaventa. “Queste situazioni non le abbiamo mica create noi per fare campagna elettorale. Si trascinano da anni. A Corcolle (l’altra periferia romana esplosa a ottobre, ndr) sono stato accolto da un cartello: Lega salvaci tu”. È il mondo alla rovescia. Lorenza, anziana, capelli rossi e occhiali sottili, abita in una casa popolare e strilla contro “le puttane e i culattoni che infestano il quartiere”. Nel calderone dell’odio non ci sono solo “i negri”. Lorenza è qui per ascoltare la Meloni, ma sogna Salvini. Lo grida alle telecamere: “Addavenì Matteo. Ha promesso che sarebbe venuto”. Arriverà anche lui. “Lo aspettiamo, qui ci vuole la Lega”. Intanto c’è Borghezio. La rabbia è per il territorio devastato, per le strutture fatiscenti, l’immondizia per strada, i mezzi pubblici insufficienti, la città lontanissima. I migranti che c’entrano? Chiosa Borghezio: “La questione della cattiva amministrazione ce la sbrigheremo noi politici. Ma questi qui, i neri, perché non li portano dove abita il sindaco, a via Condotti o al centro? L’incazzatura di queste persone è sa-cro-san-ta”. 4 DEMOCRATICI VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 U na scorta per Taddei, il prof che riforma il lavoro LA DECISIONE l’ha presa il Viminale, sulla base delle indicazioni arrivate dalla Digos di Bologna dove in questi mesi è cresciuta la preoccupazione per Filippo Taddei, il professore della Johns Hopkins chiamato da Matteo Renzi all’incarico di responsabile economico della segreteria del Pd e oggi impegna- to nell’elaborazione del Jobs Act. Taddei non avrà una scorta vera e propria ma la cosiddetta “tutela”: sarà seguito costantemente da un uomo della polizia nei suoi spostamenti, a Bologna come a Roma e altrove. “Non ci sono stati episodi né minacce particolari – spiegano gli addetti ai lavori – ma il pro- il Fatto Quotidiano fessore fa esattamente lo stesso lavoro di Massimo D’Antona e Marco Biagi, le tensioni sulle questioni del lavoro aumentano e Taddei sembra particolarmente esposto”. Una misura precauzionale, quindi. Taddei preferirebbe non parlarne ma conferma: “È stata la polizia a consegnarmi questa misura”. Matteo Renzi Ansa IMMACOLATI di Giorgio Meletti Il ponte e la logica Tutto cambia verso C’ LA TREGUA DI MATTEO CON I SUOI MA ADESSO LITIGA CON ALFANO è ponte e ponte. Quello di destra e quello di sinistra, ovviamente intercambiabili nel nuovo gioco delle tre carte post-ideologico del renzismo: ponte vince, ponte perde. E dunque lo sciopero della Cgil proclamato per il 5 dicembre, un venerdì, si unisce velenosamente al sabato e alla domenica e poi al lunedì 8 dicembre, festa dell'Immacolata concezione. Immacolata come la concezione del diritto di sciopero del renzianissimo Ernesto Carbone, che twitta perfido: “Il ponte è servito”. Non importa che il sarcasmo sullo sciopero per fare vacanza e sulla manifestazione come scampagnata siano vecchi arnesi con cui da sempre la destra svilisce il conflitto sociale come frutto della pigrizia dei sudditi. Adesso l’arguzia di Carbone è di sinistra, la Cgil di destra. E infatti quando la Palazzoli di Brescia ha ospitato in fabbrica l’assemblea degli industriali (ospite d’onore Renzi) e messo in ferie forzate i lavoratori, l’azienda ha replicato alle proteste notando che era lunedì 3 novembre e quindi “lo fanno nel periodo dei morti, quindi gli va anche bene”. E quindi tutti contenti, carta vince carta perde, il ponte obbligatorio della Palazzoli è di sinistra, perché lo ha deciso un padrone renziano. Il ponte di dicembre invece è di destra perché l’ha deciso il sindacato. #cambiaverso anche la logica. SUL JOBS ACT UN CONTENTINO ALLA MINORANZA. NCD: “NON LO VOTIAMO” di Wanda Marra N ella sostanza non cambia niente: saranno i decreti delegati a scrivere le vere norme”. Nei corridoi di Palazzo Chigi la raccontano (anche) così la mediazione sul jobs act raggiunta ieri nella Commissione Lavoro del Pd, che ha provocato la reazione minacciosa di Ncd. “La partita è chiusa, il Parlamento voterà nelle prossime ore e dal primo gennaio avremo chiarezza sulle regole", chiarisce Renzi da Bucarest a chiunque abbia ancora qualcosa da dire, cantando vittoria (“passo importante”). E poi parla di “possibile fiducia” alla Camera sul testo modificato. Fiducia che al Senato, dove la legge delega poi deve tornare, viene data per scontata. noranza ridotta in pezzi: l’odg era stato approvato con 130 voti favorevoli, 11 astenuti (tra cui Speranza) e 20 contrari (tra i quali D'Alema, Bersani, Cuperlo, Civati, Fassina, D'Attorre). “Grande soddisfazione per l’esito della riunione con il gruppo del Pd in commissione Lavoro. È un impulso decisivo per giungere il più velocemente possibile all’approvazione definitiva del testo”: ci fanno addirittura una nota congiunta il vicesegretario Lorenzo Guerini, il presidente dell’assemblea nazionale Matteo Orfini e Filippo Taddei. Minoranza, invece, in evidente e continua difficoltà. Civati propone per il governo l’hashtag #passodopopassoindietro (ma non sa ancora se voterà o no la riforma), D’Attorre plaude al fatto che “Renzi si è dovuto rendere conto che esi- ste il Parlamento”, Fassina, notando che “il governo è dovuto tornare indietro sulla fiducia sulla delega uscita dal Senato”, dichiara che prima “legge gli emendamenti e poi decide”, Cuperlo pure: “Aspettiamo di vedere il testo che verrà sottoposto al Parlamento”. Il jobs act era stato annunciato come l’ultima frontiera dei ribelli. Al momento, i protagonisti della battaglia non hanno ancora deciso che fare. Da chiarire, che un testo preciso ancora non c’è: esistono quindici emendamenti presentati dal Pd, che più o meno ricalcano il testo dell’accordo. Ma ancora non è stato scritto nel dettaglio. E anche una volta che lo sarà, toccherà al governo delimitare i casi in cui il licenziamento disciplinare è previsto. Senza contare, che (come ha deciso ieri la capigruppo alla Camera) prima si vota il jobs act, e poi la legge di stabilità che deve contenere i fondi per gli ammortizzatori sociali su cui si basa il contratto a tutele crescenti. A proposito di deleghe in bianco. Prima, però, c’è il Senato. Se la minoranza dem abbassa i toni, in compenso li alza Ncd. “Non ci piace, non lo votiamo”, annuncia Sacconi. Poi lui e la De Girolamo vanno a Palazzo Chigi, dove sono ricevuti dal Sot- tosegretario, Lotti. “Si tratta”, dicono all’uscita. La Boschi ha già detto no a un vertice di maggioranza, ma ovviamente ci tiene a chiarire che il confronto parlamentare è continuo. Tratta lo stesso Renzi con Alfano. ALLA CAMERA, i numeri per il governo ci sono. Ma in Senato sono a rischio: la maggioranza è fissata a 161 voti, il governo sulla carta ne conta 166. Ncd ha 31 senatori. E c’è la minoranza dem. Il governo pensa di risolverla al solito modo: con la fiducia. Convinti tutti, renziani e non, che alla fine la voteranno tutti. TIPI DI OGGI Speranza, il non-giovane di lungo corso e di facile conversione QUELLA che viene venduta co- me un’importante mediazione, viene raggiunta dopo l’ennesima trattativa tra il responsabile economico Dem, Filippo Taddei e il presidente della Commissione, Cesare Damiano (minoranza Pd). L’accordo prevede di recepire quanto votato dalla direzione del 29 settembre, in un odg che non aveva trovato traccia nel testo uscito (con fiducia) dal Senato: il diritto al reintegro per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare. Ieri erano tutti pronti a cantare vittoria, dalla minoranza “dialogante” (dallo stesso Damiano, a Speranza) al governo. L’esecutivo aveva minacciato la fiducia sul testo uscito da Palazzo Madama. E va detto che le concessioni alla minoranza, la spaccano definitivamente. Proprio sull’odg ora oggetto di mediazione, il giorno della direzione c’era stato uno scontro all’ultimo sangue, con barricate di D’Alema e Bersani. E mi- FOGLIO IN BIANCO Comunque vada, saranno i decreti delegati a scrivere le vere norme. E sul testo modificato ci sarà la fiducia di Carlo Tecce duci bersaniani a redarguire il morente Enrico Letta a fine gennaio, quand’era lampante che il sindaco fioi sono prove evidenti, inconfutabili, per certifi- rentino stesse calando su Palazzo Chigi: “Tocca a Letcare che pure Roberto Speranza, classe ‘79 da Po- ta apportare le dovute modifiche per adeguare la sua tenza, capogruppo democratico a Montecitorio, non squadra di governo a questa nuova fase”. Non poteva è nato bolso, grigio, vecchio. Ma sono prove che non essere esplicito, e dunque se ne guardò, ma voleva far si possono svelare con immediatezza e poi non sono intuire che la “nuova fase” prevedeva l’uscita di Letta, così evidenti e inconfutabili a pensarci, allora va bene le dimissioni, perché Letta non poteva servire il rimrievocare il maestro Pier Luigi Bersani che lo richia- pasto col partito in subbuglio. Il fascino di Renzi l’ha mò a Roma (dove ha studiato) per organizzare le cam- subìto con anticipo, bruciato il mentore Bersani, ripagne elettorali (primarie e politiche) e rassicurò la spondeva con entusiasmo all’ipotesi Matteo presiditta: “Questo è un giovane di lungo corso”. Talmente dente del Consiglio: “Incontra il nostro favore”. Il lungo che non sembra giovane. Ma Speranza, figlio di “nostro” di chi? Perché la squadra di Montecitorio non l’ha mai dominata: fu eletto per un funzionario pubblico socialista, è una finta acclamazione che si tradusuno scafato tattico di quella politica se in 200 sì e 84 no incluse le schede fatta di passettini, impercettibili mobianche. I renziani non l’hanno mai vimenti, compìti ammiccamenti. Ora temuto, anzi fu il lucano Speranza, ex sta lì a Montecitorio a vidimare le leggi, a far girare una macchina burocraconsigliere, assessore al comune di Potenza e poi segretario dem in Batica che spesso s’ingolfa, a rappresentare una minoranza o una corrente di silicata, a incontrare un emissario di sinistra che fa tantissime riunioni e Matteo – primarie di due anni fa – nei pochissimi strappi e, guardingo, acpressi di piazza di Pietra per tacitare le polemiche su regole e clausole, carezza il renzismo, si trasforma in un diversamente renziano. Perché dei proprio mentre lievitava lo scontro renziani, Speranza, non ha nulla o ha tra Bersani e Renzi. E la ricompensa, Roberto Speranza Ansa perché la politica a volte contempla la di più. Dipende. Fu il primo, dei re- C memoria, a Speranza è pervenuta con l’esecutivo renziano: nonostante le ambizioni di Matteo Richetti, viene confermato a Montecitorio senza tutori intorno, se non altro per agevolarne l’opera. A proposito di memoria, Speranza non è uomo da tributi pubblici, però elogiò con fierezza lucana lo “statista” Emilio Colombo, che da senatore a vita presiedeva l’aula di Palazzo Madama. E come la migliore sinistra dispersa in se stessa, un giorno disse ch’era sbagliato essere “giustizialisti” contro Silvio Berlusconi, un oppositore vissuto come un “complesso”. Potrà mai Roberto Speranza, che fu giovane senz’altro perché, ecco, fu il presidente dei giovani di sinistra, inveire contro il patto del Nazareno? Non è così avventato. Conosce i tempi del silenzio. Quando fu spedito al Quirinale per le consultazioni con Enrico Letta e Luigi Zanda, avvolto in un vestito di una taglia in più, non pronunciò una parola. Non credeva che la fulminea carriera, fra i conterranei e fratelli Gianni e Marcello Pittella e la geniale intuizione di Bersani, fosse così generosa. A volte le canta a Renzi, è quasi un esercizio di automotivazione (come quando litigò con Alessandro Di Battista): “A Montecitorio non siamo dei passacarte”. Non vi spaventate, voleva soltanto dire che la riforma del lavoro può sostenere piccole modifiche. Come? “Costruendo ponti tra le istanze”. Che grinta, Speranza. POTERI DEBOLI il Fatto Quotidiano Srischia & P’s: “L’Europa una terza recessione “ STANDARD & POOR'S vede aumentare i rischi di un triple dip, ossia di una terza recessione nell’Eurozona. “Avvicinandoci al 2015 dobbiamo riconoscere che la ripresa economica ha perso molto slancio e sono aumentati i rischi di una terza recessione dopo il 2009 e il 2011”. Sono queste le pro- spettive spiegate dal capo economista Emea di S&P, Jean-Michel Six, intervenendo all’incontro “I rating delle utilities italiane: le sfide di un mercato maturo a bassa crescita”. "Anche se nel nostro scenario base non lo prevediamo, però i rischi non vanno sottovalutati", secondo Six una terza re- L’INAMOVIBILE di Stefano Feltri S Poche tasse, spie, bombe e ricatti: i peccati di Juncker apete quante tasse paga la filiale inglese di Amazon? Soltanto 10,7 milioni di dollari, con un’aliquota dello 0,009 per cento. Il trucco: dichiara in Gran Bretagna un fatturato di soli 330 milioni di dollari, mentre la controllata in Lussemburgo ha ricavi per oltre 12 miliardi. Non lo rivelano i documenti segreti LuxLeax del Centro internazionale di giornalismo, ma lo scriveva Time Magazine nel dicembre 2012, quando il Gran Ducato era saldamente in mano a Jean Claude Juncker, oggi presidente della Commissione europea sotto attacco. Sottraendo gettito fiscale agli Stati Uniti e IL CAPO DELLA COMMISSIONE UE È SOTTO ATTACCO DA PARTE DI QUELLI agli altri Paesi europei Juncker ha reso il Lussemburgo uno degli Stati più ricchi del mondo: CHE HANNO FINTO DI NON SAPERE COME GOVERNAVA IL LUSSEMBURGO Pil di soli 35 miliardi, ma reddito pro capite di oltre 100 mila gence che temevano fosse una mossa del premier euro, banche che custodiscono NEL GRAN DUCATO per avere informazioni privilegiate dallo spioun tesoro di 370 miliardi (senaggio. L’aneddoto è citato dal Financial Times per condo alcune stime 720), è un Ha trasformato il suo sollevare dubbi sullo “stile gestionale” del futuro centro finanziario ma anche un presidente della Commissione. paradiso fiscale, definizione Paese in un paradiso Dubbi rafforzati dai documenti che Juncker ha sempre contefiscale, ma si è della commissione d’inchiestato. Ma le prime aperture di sta parlamentare che ha trasparenza sono arrivate soldovuto dimettere portato alle dimissioni di tanto quando, dopo 18 anni, Juncker e di tutto il suo Juncker ha perso il potere e al per i rapporti disinvolti esecutivo un anno fa. Al suo posto è arrivato Xavier Betcon l’intelligence centro c’è lo SREL e un intel, del Partito democratico lotreccio tra spionaggio, cale, avversario dei conservatoguerra fredda, bombe e riri di Juncker. Bettel, a marzo si è Il presidente catti. Il 19 novembre 2012 arreso e ha annunciato l’inizio della fine del sedella la radio RTL rivela che nel greto bancario per il Lussemburgo. Ma il ParCommissione 2007 l’allora direttore lamento lussemburghese limita i danni, Juncker Europea, dei servizi segreti Marco ha lasciato in eredità un progetto di legge per un Jean Claude Mille ha registrato (illenuovo tipo di trust che garantisce “un adeguato Junker galmente, su un cd criplivello di confindenzialità alle ricchezze private”, LaPresse tato) una conversazione come nota la società KPMG. E a settembre 2014 con Juncker, e anche un è stato aperto un Freeport, “un deposito in uno ambiente privo di tasse e di dazi” ottimo per riciclare denaro sporco, denuncia il network di Ong Eurodad in un report. Anche Juncker sembra beneficiare della discrezione lussemburghese sulle ricchezze private: nelle dichiarazioni consegnate alla Commissione alle voci “interessi finanziari” e “patrimonio” non è indicato nulla. Non un’azione, non una casa, non un titolo di Stato. Dalle acciaierie al potere assoluto Per capire Juncker bisogna raccontare la sua caduta. Ma anche la sua carriera: Juncker non è soltanto un premier del Lussemburgo. È il potere incarnato del Gran Ducato, tuttora è “primo ministro onorario”. Wikileaks ha rivelato un cablogramma dall’ambasciata Usa in Lussemburgo all’allora segretario di Stato Hillary Clinton che riassumeva il percorso di Juncker, pronto a insediarsi con l’ennesimo governo nel quale il premier conservava la carica di ministro dell’Economia per non rinunciare alla presidenza dell’Eurogruppo, il coordinamento dei Paesi della moneta unica. Ecco la sintesi: nasce nel 1954, a Redange-sur-Attert, nel Lussemburgo occidentale, zona di immigrazione e di sinistra, suo padre lavora in una acciaieria. Va a Strasburgo, studia legge “senza entusiasmo”, dirà lui stesso, diventa avvocato ma non esercita, e in Francia conosce la moglie Christiane Frising (non hanno figli). Juncker entra in politica nel 1974, con il partito dei Cristiano Sociali CSV e si afferma “grazie al suo talento di oratore e alla mente analitica”. Nel 1982 il suo mentore, Jacques Santer (allora ministro delle Finanze e poi presidente della Commissione europea), convince il primo ministro Pierre Werner a nominare il 27enne Jean Claude sottosegretario al Lavoro, due anni dopo è ministro. Juncker è in ascesa, ma nel 1989 la sua carriera rischia di finire nel modo peggiore: dopo un incidente d’auto resta in coma per due settimane, poi si riprende quasi del tutto, anche se zoppica un po’. Dal 1989 al 1995 rappresenta il Lussemburgo al Fondo monetario internazionale e alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Finalmente, nel 1995, diventa premier e, dal 2004, guida l’Eurogruppo. Il suo potere è assoluto: nel 2006 fa assumere il suo storico autista Roger Mandé dallo SREL, il servizio segreto del Lussemburgo, nonostante le resistenze dei vertici dell’intelli- IL CURRICULUM L’ascesa continua del figlio dell’operaio 1954. Nasce in Lussemburgo, suo padre è un operaio nel settore siderurgico, cresce in un quartiere popolare. 1984. Dopo una laurea in Legge a Strasburgo, in Francia, viene eletto in Parlamento con il Partito Cristiano Sociale, lo stesso anno diventa ministro del Lavoro. 1995. Diventa premier e mantiene la carica di ministro delle Finanze. 2005-2013. È il primo presidente eletto dell’Eurogruppo, il coordinamento dei Paesi dell’euro, carica che mantiene fino al 2013, quando il suo governo cade. 2013. Il suo governo è costretto a dimettersi in blocco per uno scandalo legato all’uso dei servizi segreti, lo SREL. 2014. Il Ppe lo sceglie come candidato per la guida della Commissione alle elezioni. A giugno il Consiglio gli affida l’incarico. VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 5 cessione avrebbe un "effetto deleterio dal punto di vista geopolitico". Per Six la possibilità che l’Europa schivi la nuova crisi economica dipenderà dalla "ripresa degli scambi mondiali", dalla "politica monetaria" della Bce e dall’andamento dei consumi e dagli investimenti delle imprese. incontro del premier con il Gran Duca Henri Guillaume. Alla commissione parlamentare Marco Mille rivela che lo SREL ha 300 mila dossier individuali, eredità dello spionaggio ai tempi della Guerra Fredda. In Lussemburgo ci sono in totale 500mila persone. Molti cittadini vengono intercettati, ma lo SREL non ha il controllo pieno dei destini di queste registrazioni. Mille aveva una registrazione anche della conversazione di Juncker e il ministro delle Finanze nel 2007 sul presunto riciclaggio di soldi dell’ex presidente del Congo Pascal Lissouba, che aveva in Lussmeburgo un conto con 144 milioni di dollari. Juncker e Mille parlano di questioni penali, non di intelligence, e secondo il Parlamento vanno oltre le loro competenze. Il cd, dice Mille, è stato distrutto. Chissà. Gli attentati, Stay Behind e perfino Licio Gelli Ma le rivelazioni che turbano di più i lussemburghesi sono quelle sull’affaire Bommeleer, 21 attentati esplosivi che hanno colpito il Lussemburgo tra il1984 e 1986. Nel 2008 Juncker incarica la commissione parlamentare di controllo sullo SREL di indagare sui possibili rapporti tra la rete occulta filo-americana della Nato “Stay Behind” e le bombe. Ma “in nessun momento i membri della commissione furono informati che lo SREL aveva sviluppato una sua propria teoria, consegnata sotto forma di un rapporto e che il primo ministro ne era al corrente”, si legge nei documenti parlamentari del 2013 della commissione sullo scandalo SREL. In sintesi: lo SREL si convince che dietro gli attentati c’era Stay Behind, che in Italia si è declinata nella struttura di Gladio, i servizi segreti conducono un’inchiesta che, secondo il Parlamento lussembughese, si sovrappone all’inchiesta giudiziaria (non si parla di depistaggio ma il confine è sottile). Juncker sa tutto, ma non ne informa la commissione parlamentare sulla vicenda che lui stesso ha insediato e nasconde un’informazione che i parlamentari giudicano fondamentale per dimostrare la responsabilità di Stay Behind : “I membri del governo sono informati della presenza probabile di Licio Gelli sul territorio lussemburghese durante gli anni Ottanta”, e il gran maestro della loggia P2 è sempre stato il referente degli ambienti anticomunisti più estremisti. Juncker ha anche appoggiato il discusso progetto di un dirigente dello SREL, Frank Schneider, di usare le informazioni sensibili accumulate negli anni per mettersi in proprio con una società di intelligence economica privata, Sandstone. Juncker, da premier, ha organizzato un viaggio in Kurdistan giustificato come “strategico per l’economia del Lussemburgo”, ma “era soprattutto destinato a impressionare un investitore che doveva diventare un azionista importante di Sandsone”, scrive la commissione d’inchiesta. UNIPOLSAI Fusione, indagati gli advisor nche la Procura di Torino, che ha ereditato l’inA dagine iniziata a Milano sulla fusione tra Unipol e Fonsai-Premafin-Milano Assicurazioni, è convinta che l’operazione sia stata realizzata a valori truccati: non soltanto al ribasso per Fonsai e le altre società dell’ex gruppo Ligresti, ma anche al rialzo per Unipol. Infatti ieri i pm Marco Gianoglio ed Eugenia Ghi hanno mandato il nucleo Valutario della Guardia di Finanza di Torino a perquisire gli uffici milanesi di Ernst&Young, della Gualtieri&Associati e di Boston Consulting Group. Indagati, per concorso in manipolazione del mercato e falso in bilancio, Paolo Gualtieri, titolare dello studio Gualtieri, ed Enrico Marchi, partner di Ernst&Young. Il primo era il consulente di Unipol che firmò la relazione presentata nelle assemblee dell’autunno 2013 che decisero la fusione. Il secondo ebbe l’incarico dal presidente del Tribunale di Torino, su indicazione unanime delle quattro società fuse, di indicare i valori delle aziende per stabilire i concambi. Entrambi, nell’ipotesi d’accusa, sovrastimarono Unipol e sottostimarono Fonsai-Premafin-Milano Assicurazioni, determinando così valori di concambio falsati. L’inchiesta vede tra gli indagati, per aggiotaggio, anche Carlo Cimbri, ieri numero uno di Unipol e oggi amministratore delegato di UnipolSai, la società nata dalla fusione benedetta da Mediobanca dopo la crisi del gruppo Ligresti. G.B. L’alcol e l’opposizione di Cameron Niente di tutto questo ha però pesato sulla decisione del Partito popolare europeo di scegliere Juncker come proprio candidato alla Commissione. Le uniche critiche che sono arrivate a giugno, quando il britannico David Cameron e l’ungherese Viktor Orban hanno votato contro la sua indicazione per la Commissione, riguardavano la nota propensione dell’ex premier lussemburghese per gli alcolici. Il suo successore all’Eurogruppo, Djeroen Dijssebloem ha detto in un talk show olandese che Juncker “beve e fuma pesantemente”. Delle disinvolture fiscali e di intelligence del Lussemburgo gestione Juncker non interessava a nessuno. Il maestro di Juncker, Jacques Santer, si è dovuto dimettere nel 1999 da presidente della Commissione dopo “accuse di frode, di cattiva gestione e di nepotismo alla Commissione europea” da parte del Parlamento Ue. Chissà se al suo allievo andrà meglio. Twitter @stefanofeltri 6 VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 T rivellazioni facili, la Basilicata insorge contro Sblocca-Italia LA BASILICATA contro lo Sblocca Italia. Associazioni e movimenti come il Wwf, il Fai, Legambiente e Marevivo hanno chiesto agli amministratori regionali e locali di impugnare davanti alla Corte Costituzionale l'articolo 38 del decreto emanato dal governo Renzi, non appena questo diventerà legge. Il testo UN GIORNO IN ITALIA il Fatto Quotidiano dà il via libera alle trivellazioni su tutto il territorio nazionale, anche off-shore, e la Basilicata sarebbe una delle regioni a farne maggiormente le spese. I movimenti ambientalisti hanno spiegato che “anche dopo le non sostanziali modifiche introdotte alla Camera e il voto di fiducia al Senato, non è cambiata la por- tata negativa delle disposizioni dell’articolo 38 del decreto”. Intanto da alcuni giorni in tutta la Basilicata proseguono le proteste degli studenti contro il decreto e contro il pericolo delle trivellazioni. Lo Sblocca Italia, per ora, pare non far contento nessuno, se non pochi. AFFARE SCAJOLA VENDE LA CASA E CI GUADAGNA UN MILIONE SCIABOLETTA Claudio Scajola, 46 anni di Imperia, così “chiamato” per la bassa statura come Vittorio Emanuele III Ansa L’EX MINISTRO È RIUSCITO A LIBERARSI DEL “MEZZANINO” AL COLOSSEO PAGATO IN PARTE A SUA INSAPUTA DA ANEMONE: SPESE 610.000 EURO, INCASSA 1,63 MLN di Marco Lillo A lla fine Claudio Scajola è riuscito a vendere la sua casa al Colosseo. Il 16 ottobre scorso la moglie dell’ex ministro, con delega del marito, ha firmato davanti al notaio Paolo Becchetti l’atto di vendita dell’appartamento al primo piano con vista sui fori imperiali. Scajola si è messo in tasca un milione e 630 mila euro, dei quali 50 mila riferiti ai mobili presenti nell’appartamento. Nel luglio del 2004 l’allora ministro dello Sviluppo Economico aveva pagato solo 610 mila euro. Quindi a distanza di dieci anni, dopo un processo per finanziamento illecito chiuso in appello con la prescrizione dopo l’assoluzione in primo grado, Scajola ha incassato una plusvalenza di 970 mila euro, escludendo i 100 mila euro dei lavori fatti dieci anni fa e che sarebbero stati pagati da Anemone secondo l’accusa, contestata da Scajola e non accolta in primo grado. Sono 97 mila euro all’anno per dieci anni, tutti esentasse. È UN PO’ come se qualcuno avesse pagato un secondo stipendio da 8 mila euro netti al mese per dieci anni a Scajola che stavolta non può nemmeno dire che ciò sia avvenuto ‘a sua insaputa’. Ormai anche lui avrà compreso che il prezzo realmente pagato nel 2004, come dichiarato dalle venditrici alla Guardia di Finanza, è stato di un milione e 700 mila euro. Scajola il 7 luglio del 2004 nel suo ufficio al ministero ha versato di tasca sua per l’appartamento di 180 metri soltanto i miseri 610 mila euro dichiarati davanti al notaio Gianluca Napoleone, giunto appositamente al ministero come le venditrici e l’immancabile architetto Angelo Zampolini che ha tirato fuori gli assegni circolari offerti da Anemone e compagni per colmare la differenza. Alla fine il regalo del 2004 della ‘Cricca’ di Anemone arriva quasi a coprire la plusvalenza realizzata da Scajola con l’atto depositato in conservatoria il 3 novembre scorso. In realtà Scajola era riuscito a spuntare molto di più. Al Fatto risulta che il 18 aprile 2012 l’ex ministro aveva firmato un preliminare con l’imprenditrice della sanità Jessica Veronica Faroni, direttore generale del Gruppi INI, titolare di cliniche sparse tra Roma, Guidonia e Grottaferrata. Il prezzo stabilito nel preliminare era di 2 milioni di euro. La dottoressa Faroni consegnò alla firma del preliminare un assegno circo- lare Unicredit di 250 mila euro come caparra però poi si accorse che qualcosa nelle pratiche urbanistiche non collimava e iniziò una contesa. Il 27 marzo 2013 Scajola e Faroni chiudono le liti con una scrittura privata nella quale si danno reciproco atto che a “fronte della mancata corrispondenza dello stato di fatto dell’immobile rispetto ai dati catastali e alle planimetrie depositate con particolare riferimento al locale cucina (...) concordavano una riduzione del prezzo da 2 milioni a un milione e 800 mila euro”. In compenso la promittente acquirente si dichiarava disponibile a “acquistare tutto il mobilio e gli arredi presenti nel suddetto immobile per un importo di 50 mila euro”. I CONTRATTI Sopra, l’atto con la cifra dell’acquisto di Scajola. Sotto, quello con il prezzo di vendita del 3 novembre Per cautelarsi dai rischi del procedimento penale a carico di Scajola, si concordava di dare mandato al notaio Becchetti per incassare 1,2 milioni come deposito “onde scongiurare il rischio di sequestro dell’immobile”. Nulla di tutto ciò è accaduto e Scajola ha potuto portare a termine la vendita. Però a comprare alla fine è stata una società: Italy Hotels and Suites Srl, costituita il 24 settembre 2014 amministrata da Luca Nicolotti che ne detiene solo una quota dell’uno per cento mentre il restante 99 per cento è intestato alla Fid. Italia Srl, una società fiduciaria che scherma la proprietà. Il prezzo è stato pagato, come risulta dall’atto, per 580 mila euro con assegni circolari di un conto acceso al Monte dei Paschi di Siena mentre un milione e 80 mila euro provengono dai circolari di un conto acceso all’Unicredit. Uno di questo assegni, pari a 250 mila euro, ha lo stesso numero di quello consegnato come caparra nel 2012 dalla dottoressa Faroni. Scajola ha pagato all’agenzia immobiliare Tevere Srl un compenso di 76 mila euro e l’agenzia ha iniziato un contenzioso legale per ottenere il pagamento di una provvigione anche dalla dottoressa Faroni, per il preliminare di vendita. L’imprenditrice però si è rifiutata e la causa è in corso. A marzo dovrebbe esserci una nuova udienza. “Il Tribunale per due volte ha rigettato la richiesta di decreto ingiuntivo”, spiega Jessica Veronica Faroni. CHE FINE faranno ora i soldi? Al Corriere della Sera nel settembre del 2010 Scajola aveva promesso: “vendo la casa e offro la differenza in beneficenza”. Poi nel maggio del 2012, dopo la firma del preliminare, al Fatto aveva rettificato: “Sto valutando un gesto ancora più forte, ma che non vi posso dire adesso, lo dirò nel momento in cui farò il rogito. Io quello che prometto l’ho mantengo sempre”. Il Fatto ha provato a contattare Claudio Scajola, nel frattempo uscito dagli arresti disposti per la vicenda Matacena e sottoposto solo all’obbligo di dimora. Al telefonino risponde la sua voce registrata: “Non sono al momento raggiungibile”. NIENTE CARCERE Ruby Bis, condanna con sconto per Fede, Lele Mora e Minetti di Davide Vecchi Milano ene ridotte, capo d’imputazioP ne cambiato e l’ammissione che Emilio Fede aveva ragione a di- re di non sapere che Ruby fosse minorenne. Il processo d’appello a carico dell’ex direttore del Tg4, di Lele Mora e Nicole Minetti si è concluso ieri con una condanna che, qualora diventasse definitiva, non dovrà essere scontata in carcere. I giudici della terza sezione penale della Corte d’appello di Milano, presieduta da Arturo Soprano, hanno abbassato la condanna per Fede da 7 anni a 4 anni e 10 mesi, assolvendolo per l’induzione alla prostituzione e riqualificando altri fatti contestati. La pena per l’ex consigliera lombarda Minetti, invece, è stata portata da 5 anni a 3 anni con il riconoscimento delle attenuanti generiche. Per l’ex igienista dentale e showgirl, già in primo grado nel luglio 2013, dell’originaria accusa di induzione e favoreggiamento della prostituzione, anche minorile, era rimasta in piedi solo la contestazione del favoreggiamento delle ragazze maggiorenni. Mora, invece, è stato condannato a 6 anni e un mese, ma nella pena va compresa anche la “continuazione” con il reato di bancarotta per il crac della sua società di comunicazione, Lm Management, per il quale ha patteggiato 4 anni e 3 mesi nel 2011. IN SOSTANZA, l’ex talent scout, che ha rinunciato a difendersi nel merito chiedendo soltanto uno sconto di pena, ha evitato un cumulo di pene di 11 anni e 3 mesi: il Tribunale per il caso Ruby gli aveva inflitto 7 anni. Avendo già scontato un anno di detenzione, inoltre, gli basterà prolungare il periodo di affidamento ai servizi sociali, che avrebbe dovuto concludersi nel 2015. Dal dispositivo della sentenza, di cui si avranno le motivazioni tra 90 giorni, è emerso, inoltre, che anche Fede, così come riconosciuto a Berlusconi, non era a conoscenza del fatto che Ruby fosse minorenne. L’accusa di favoreggiamento della prostituzione della marocchina, infatti, è stata riqualificata in favoreggiamento della prostituzione di una maggiorenne. Ciò significa che, secondo la Corte, anche Fede non sapeva che la ragazza avesse 17 anni quando la accompagnò nella residenza dell’allora premier. Favoreggiamento della prostituzione di EX AMICI DI B. Da sinistra: l’ex direttore del Tg4 Emilio Fede, l’impresario Lele Mora e l’ex consigliere regionale Nicole Minetti, protagonisti delle “cene eleganti” Ansa/LaPresse maggiorenni, quindi, Ruby compresa, mentre gli episodi relativi a Chiara Danese, Ambra Battilana e Imane Fadil sono stati riqualificati in tentativo di induzione alla prostituzione perché le giovani rifiutarono di partecipare al bunga-bunga, diventando poi testimoni chiave dell’inchiesta. FEDE RICORRERÀ in Cassazione ma considerata la sua età, 83 anni, non trascorrerà un giorno in carcere. Così come Nicole Minetti che, in caso di conferma della pena in via definitiva, potrà chiedere l'affidamento ai servizi sociali. La vicenda Ruby non è del tutto conclusa. Rimane ancora il terzo capitolo: l’inchiesta che ipotizza il reato di corruzione in atti giudiziari per cui sono indagate 45 persone, tra cui molte ragazze, Berlusconi e i suoi due storici legali Ghedini e Longo. Inoltre è attesa per fine novembre il deposito del ricorso in Cassazione da parte della Procura contro l’assoluzione in secondo grado, quattro mesi fa, di Berlusconi. L’appello ha cancellato i 7 anni di carcere inflitti in primo grado. d.vecchi@ilfattoquotidiano.it SOTTO IL CUPOLONE il Fatto Quotidiano B ecchi boccia Grillo: “Su Consulta figura de mierda” di Stefano F Disegni ar muovere oggetti inanimati. Aspirazione antica come l’uomo, sempre desideroso di riuscire là dove realtà e logica negano tale possibilità contraria alle leggi di Madre Natura che se decide una cosa, tipo che i bidet non si spostano da soli a tradimento (sarebbe seccante), che se non trovi le chiavi non sono loro che hanno zampine retrattili ma tu che sei un rincoglionito, ebbene quella cosa così rimarrà per l’eternità. Eppure. Eppure alla faccia di Piero Angela, nel cammino dell’umanità contiamo eccezioni che sono uno schiaffo in faccia al positivismo scientifico. I tappeti volanti, per esempio (No? E perché un biondo a passeggio sul Mar Morto sì e i tappeti-elicottero no?). O il gioco del bicchierino, quello con le lettere sul tavolo, un bicchiere semovente che fa da tramite coi defunti, un marine morto a Okinawa che ti dice che sei uno stronzo e il solito che dice ‘non dobbiamo, poi non se ne vanno più’. Oppure la Panda di Ignazio Marino. Falce e pistone: la rivolta dell’utilitaria Con la Panda di Ignazio Marino, Sandro Giacobbo ci farebbe diciotto puntate più le repliche e il cofanetto da sei Dvd. La Fiat Panda di Ignazio Marino, sindaco di Roma finché il Campidoglio non verrà assalito da masse con torce e forconi, è dotata di vita autonoma. E di sentimenti. Odio in particolare. La Fiat Panda rossa di Ignazio Marino sindaco di Roma finché il Campidoglio non verrà centrato da un Patriot pagato dalla cittadinanza tutta, odia il suo proprietario e lo sabota. Pensateci, è l’unica spiegazione possibile. L’unica risposta per il mistero. A meno che non crediate che uno che fa il sindaco di Roma (so che il PRENDE LE DISTANZE da Beppe Grillo e dal Movimento da lui rappresentato il professor Paolo Becchi. E lo fa attraverso i 140 caratteri di un tweet: “Patto del Nazareno più solido che mai e Grillo, con la sua voglia di prendere il posto di Berlusconi, ha fatto solo una figura de mier- VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 da”. Il filosofo del Diritto, genovese come il comico, non usa mezzi termini: Grillo ha commesso un grande errore politico a sostenere assieme al M5S la nomina alla Consulta di Silvana Sciarra, proposta dal Pd. Ma per Becchi quella di ieri non è la prima presa di posizione contro i Cin- 7 que Stelle, di cui pure è stato considerato l'ideologo. D’altronde la scorsa settimana, appena nominata la Sciarra, lo stesso Becchi aveva precisato: “Non rappresento in alcun modo il M5S e tutti i miei interventi sono a titolo puramente personale”. QUINTA COLONNA Caso multe, ecco la verità È la Panda che sabota Marino STANCA DI BRUTTE FIGURE, L’AUTO DEL SINDACO DI ROMA SI È RIBELLATA AL PROPRIETARIO: COSÌ HA VIOLATO I VARCHI ELETTRONICI E SI È PARCHEGGIATA DA SOLA IN SOSTA VIETATA FUORI POSTO daco è già tanto colpito dalAccanto, la la sorte che lo Panda nel volle Ignazio parcheggio Marino, ha del Senato. spinto il tasto Sotto, in sosta canc sul pc di vietata Ansa Roma Capitale). Quest’uomo che, senza che un sadico glielo suggerisca, invece di ringraziare e tornarsene quatto quatto tra quelli con la faccia un po’ così, gonfia il petto e sporge denuncia ai Carabinieri per omissione di dati nel CAMPIDOGLIO Il Pd intima: “Paga e chiarisci” arino a Londra, caos M e cattivi pensieri in Campidoglio. Con la de- ALL’OPPOSIZIONE La vettura è dotata di vita autonoma: detesta l’ex chirurgo, convinto che Trilussa sia un participio passato, aggettivo di piazza busto di Pisacane al Pincio è più attivo, ma lo fa) alla guida del suo pandino scarlatto e nel pieno possesso delle sue facoltà mentali varchi di proposito la Ztl (più proibita del Palazzo di Pechino, lo sanno bene i romani non sindaci cui la Municipale scatena contro i pit bull) e la varchi in allegria ben otto volte in due mesi beccandosi 640 euro di multe. Quest’uomo che di mestiere fa il sindaco di Roma perché al Pd non sapevano dove metterlo (le pulizie le fa sistema informatico così la mano pietosa ci rimette pure il culo. Come in un piccolo Big Bang ce n’è abbastanza per accendere la scintilla della vita in un oggetto inanimato come una Panda. Che, acquisito il self consciousness a furia di figure di merda, si vergogna di chi la guida e cova in sé rabbia e desiderio di affrancamento dall’emulo di Pinotto intestatario del libretto di circolazione, avviando una strategia di sabotaggio degna dei Maquis antinazisti nella Parigi occupata. La Panda si il maghrebino e al centralino c’è già D’Alema). Ignazio, lo schiavista di pizzardoni Quest’uomo di Genova tuttora convinto che Trilussa sia participio passato, aggettivo di Piazza. Quest’uomo che ha costretto i pizzardoni a rischiare l’aneurisma in bicicletta. Quest’uomo che scopre, novello Poirot, che i 640 euro di multe non gli sono mai stati notificati (una manina, consapevole che il Sin- stra che deposita una mozione di sfiducia e il Pd che gli intima di riferire in aula sul caso multe: e di pagarle. Ieri il sindaco di Roma era in Gran Bretagna per un convegno su infrastrutture urbane e vivibilità delle metropoli. Bocca cucita con i cronisti italiani: “Sono qui per altro”. Ma il pasticcio multe lo fa traballare. Ieri il Nuovo Centrodestra ha depositato una mozione di sfiducia per il sindaco, e nel pomeriggio ha interrotto i lavori nell’aula consiliare per invocarne le dimissioni. Il senatore Andrea Augello (Ncd): “Quattro multe sono state notificate al sindaco, senza che alcuna procedura di autotutela sia stata presentata al sposta da sola. Marino la parcheggia? E lei si va a piazzare in sosta vietata, come è accaduto in via di Santa Chiara (mica crederete che uno che fa il Sindaco di Roma finché non gli murano tutte le uscite del Campidoglio, uno che è già sotto i riflettori per la storia della Ztl si mette pure a parcheggiare in divieto, nessuno è così scemo). S’alza un grido: lotta dura senza paura La Panda di Marino non mollerà. Ha in animo di investire una suora sulle strisce, di sgassare in faccia a un bimbo in carrozzina, di suonare il clacson a oltranza nel Policlinico, padiglione grandi infartuati. Finché il suo proprietario, notati i cecchini serbi pagati dalla cittadinanza non mollerà e se ne tornerà a tagliuzzare cristiani, restituendo a lei la dignità di automobile rispettabile e a Roma quella di Capitale. prefetto. Resta da capire chi si trovasse alla guida della Panda negli otto casi di infrazione rilevati ai varchi: l’uso del permesso del sindaco è limitato a motivi istituzionali, l’auto non può essere affidata ad amici e parenti”. Alessandro Onorato (Lista Marchini) è pronto a votare la sfiducia, mentre il M5S annuncia una mozione autonoma. Arrivano segnali foschi anche dal Pd. “Quanto accaduto nei giorni scorsi - ha detto in aula il coordinatore della maggioranza, Fabrizio Panecaldo - richiede chiarimenti, quindi come gruppo chiediamo che il sindaco venga in Consiglio a riferire. Su questa vicenda alcune cose sono chiare, altre meno”. Marino riferirà in aula martedì. Il segretario del Pd Roma, Cosentino, lo avverte: “Il sindaco arriva a fine mandato se paga le multe e se ci mettiamo tutti assieme a lavorare sui problemi veri di Roma”. 8 NEMICO PUBBLICO VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 M anovra, i sindaci aprono. Rischio voto sotto Natale AL QUARTO round a Palazzo Chigi governo e comuni trovano l’intesa sulla legge di stabilità. I saldi dei tagli rimarranno invariati - 1,2 miliardi, più altri 300 milioni varati in precedenza a valere sul 2015 - ma ora la manovra, ha sottolineato il presidente Anci Piero Fassino, "è più compatibile con la situazione economica dei Comuni". Altra novità riguarda la local tax. La nuova misura sul fisco lo- cale, che sostituirà Imu e Tasi, entrerà in vigore nel 2015 e dovrebbe essere approvata contestualmente alla legge di stabilità (approderà alla Camera il 27 novembre). Il rischio è quindi che si possa arrivare a votare anche tra Natale e Capodanno per il via libera finale. Per i Sindaci i "risultati sostenibili" di cui ha parlato Fassino si traducono in pochi punti, anche se rilevanti: la conferma per il il Fatto Quotidiano 2015 degli oneri di urbanizzazione della spesa corrente, la possibilità di rinegoziare i mutui con Cdp, l’impegno dello Stato a farsi carico degli interessi per i mutui contratti sui nuovi investimenti, l’azzeramento dei vincoli ordinamentali ai Comuni ("riconoscendo così la loro piena autonomia") e il nullaosta sul Fondo sui residui attivi di difficile esigibilità, con annesso regime di gradualità. DELLA VALLE ATTACCA MARCHIONNE PER NASCONDERE I CONTI TOD’S MENTRE LA SUA AZIENDA CADE IN BORSA, DICE: “INVESTIMENTO IN RCS SBAGLIATO” di Camilla Conti D Milano iego Della Valle torna a tuonare contro i poteri “mummificati”, si pente dell’investimento nel Corriere della Sera e chiama “bidone” la Fiat. Niente di nuovo, insomma. Però l’imprenditore marchigiano sa bene che certe sparate offrono sempre titoli ghiotti per i giornali, se non per quello di via Solferino almeno per tutti gli altri. E faranno sicuramente finire nelle ultime righe altre notizie come il crollo del titolo Tod’s che ieri a Piazza Affari ha perso il 5,17 per cento. La Borsa non ha infatti gradito i conti del gruppo, diffusi mercoledì pomeriggio a mercati chiusi, che hanno fatto registrare nei nove mesi del 2014 un calo dell’1,5% dei ricavi a 741 milioni e un risultato operativo in flessione del 26,5% a 123,9 AST Mise: fumata nera Oggi scioperi e cortei stato un incontro del tutto interlocutorio, serÈ vito in buona parte a dare una sponda ai blocchi della A1 del giorno precedente. Sulla Ast di Terni si torna a discutere oggi, di nuovo presso il Mise. I sindacati si augurano che il governo giochi un ruolo più attivo e faccia pressione sull’azienda. Oggi, intanto, si svolgerà il primo sciopero generale indetto dalla Fiom nel nord del Paese. Otto ore di fermo nelle fabbriche della parte più produttiva con una manifestazione centrale a Milano che il sindacato annuncia come molto importante. Il 21 novembre, poi, si terrà la seconda giornata dei metalmeccanici Cgil con la manifestazione del centro-sud a Napoli. Oggi è anche il giorno dello “sciopero sociale” indetto da centri sociali, collettivi studenteschi e sindacati di base. A Roma, corteo alle 10 in piazza della Repubblica e decine di iniziative in giro per la città. Cortei si terranno anche a Milano, Torino, Genova, Bari, Salerno, Firenze insieme a iniziative nei luoghi più disparati, dalle sedi dei ministeri ai supermercati Auchan. milioni. E poiché la miglior difesa è l’attacco, assai apprezzato dal gossip finanziario, meglio tornare a caricare il fucile. Nel mirino, ieri mattina, è finito per primo Rcs, Ovvero il gruppo che edita il Corsera di cui Della Valle è il secondo azionista con il 7,3% dietro alla Fiat degli Agnelli. "È stato un investimento tutto sbagliato da parte mia", ha detto il presidente di Tod's durante un intervento in un convegno organizzato da Pambianco e Deutsche Bank. “Pensavo di poter portare la voce dell'impresa nel posto dei poteri forti, che erano quasi tutti mummificati e autoreferenziali, una cosa indecente .Non sono riuscito quasi a toccare palla, ma è un mondo che per fortuna se ne sta andando”. INTERPELLATO poi su quale sarà il destino della sua quota nel gruppo editoriale, l'imprenditore non ha voluto rispondere. E anche sui conti di Rcs (pubblicati qualche ora dopo e chiusi con 93,1 milioni dai 175,3 milioni di un anno prima) si è limitato a dire: “Bisogna guardare il lungo periodo”. Dopo la carta stampata, il secondo round è stato dedicato alle macchine. E in particolare, all'uscita da Ferrari dell’amico (nonché socio nei treni Italo) Luca Cordero Montezemolo, “il modo è stato vergognoso, il motivo evidente. Ferrari ha salvato quel -IL5TITOLO ,7% TOD’S PUNITO DAL MERCATO Il titolo è sceso dopo i conti non brillanti del gruppo SALOTTO BUONO Dopo l’aiuto del governo ai suoi treni, Ntv pone fine alla polemica con Renzi, tutti gli insulti sono per il “bidone Fiat” bidone che è Fiat”. E ancora: “Se Ferrari fosse sul mercato considererei l'uscita di Montezemolo un errore incredibile. Si poteva fare in modo più educato. L'operazione di scorporo e sbarco in Borsa di Ferrari significa depauperare l'azienda” perché – ha proseguito – “quotare un pezzetto servirà a coprire i debiti di Fca”, mentre “il resto se lo prendono gli azionisti. Assegnare le azioni Ferrari in quel modo, se anche fosse una pro- Diego Della Valle di nuovo contro Marchionne LaPresse cedura lecita – e io andrei a controllare – eticamente non lo è”, ha aggiunto Della Valle. Infine, l’ennesima stoccata agli Agnelli: “Dobbiamo capire quanto male hanno fatto queste famiglie al paese”. A questo giro però mister Tod’s ha risparmiato, a sorpresa, il premier Matteo Renzi. "Io auspico che si vada a votare il prima possibile e che poi chi vince si dedichi alle emergenze del Paese. Fare altri due anni così significa uccidere il Paese", ha detto l'imprenditore intervistato da Enrico Mentana sul palco del convegno Pambianco, sottolineando l'importanza di completare al più presto la nuova legge elettorale. Secondo Della Valle, del quale in settembre si era ipotizzato un intervento diretto in politica, “sarebbe meraviglioso anche eleggere direttamente il presidente della Repubblica. È il rappresentante del popolo so- vrano ma lo eleggono i politici: io come cittadino non sono contento”. I rapporti con il presidente del Consiglio, quindi? “Sono ottimi. Non abbiamo sempre la stessa visione, come tutte le persone che pensano, oppure possiamo avere la stessa visione ma con percorsi diversi. La mia impressione è che abbia voglia di fare delle buone cose”. TIPO GARANTIRE, come è avvenuto lo scorso 5 novembre, il taglio del 37% al canone che Trenitalia e Ntv (di cui Della Valle è socio con Montezemolo) pagano a Rfi per il pedaggio della infrastruttura (da 12,8 a 8,2 euro per treno-chilometro). Una riforma che taglia i costi operativi di 35-40 milioni per Italo e di 65-70 milioni per le Frecce di Trenitalia. Finalmente una “buona cosa” fatta dall’amico (ritrovato) Renzi. ALLA FIM UN 44ENNE Cisl, un anti-Landini per dimenticare Bonanni di Salvatore Cannavò imenticare Bonanni. Sembra D questa la missione che si è data una parte della Cisl. Pur senza nominare mai l’ex segretario confederale, Marco Bentivogli, 44 anni, da ieri nuovo segretario della Fim, i metalmeccanici della Cisl, punta dritto sulla sfida generazionale: “Senza giovani il sindacato muore” è il leitmotive che ripete in questa conversazione con il Fatto. E nelle parole si sente l’eco di Matteo Renzi anche se in Cisl, dove il dissenso si muove più per avverbi che per diverbi, parlare di “rottamazione” non sta bene. Ma si sente anche la pressione di una competizione con “quello che sta al piano di sotto”, Maurizio Landini, leader della Fiom. accanto a Marchionne, la Fiom contro la Fiat in una traversata nel deserto che non si è ancora conclusa. In questo arco di tempo Landini è diventato una star mediatica, mentre Bentivogli si è occupato di siderurgia: “Ma a prendere le botte con quelli di Terni c’ero anch'io, anche perché alla Ast la Fim è il primo sindacato”. La conquista della segreteria gli permette di dare sfogo a una voglia di rivalsa che sembra convincere la sua organizzazione. Ieri è stato votato da un plebiscito con 134 voti a favore e solo 9 schede bianche. Per il mondo Cisl ha un curriculum anomalo. “Ho occupato un centro sociale, poi sono stato dentro il movi- mento studentesco della Pantera”. Erano i primi anni 90, lui, veneto di nascita, studiava Scienze politiche e faceva il precario qua e là. Fino a che Gianni Italia, allora segretario nazionale, lo porta in Fim per affidargli il coordinamento dei giovani. Fa i primi passi accanto alla concertazione, di cui non dà un giudizio positivo: “Quegli accordi sono stati fatti contro i giovani, la generazione del contributivo (dalla riforma Dini, ndr)”. Ora l’obiettivo del sindacato è parlare a quelli che, se vengono alle assemblee sindacali, “sono seduti in fondo e parlano poco”. Sembra di sentire Renzi. “Ma noi ab- NELLA SEDE unitaria, che una volta ospitava la mitica Flm, il sindacato unico dei metalmeccanici, Landini ha l’ufficio al terzo piano, Bentivogli siede al quarto. Oggi tra Fiom e Fim c’è un fossato, forse anche maggiore di quello che divide le confederazioni e che è diventato abissale dopo il famigerato “accordo di Pomigliano”. Fim e Uilm Marco Bentivogli, nuovo leader Fim-Cisl Ansa PASSATO ANOMALO Bentivogli, l’ex del movimento studentesco della Pantera, è il nuovo leader delle tute blu. Rilancerà il sindacato puntando sui giovani biamo cominciato prima”, assicura. Bentivogli spera che il tasto generazionale gli consenta di sfidare il primato della Fiom. Magari riuscendo dove la Cgil ancora non è arrivata: “Entro poco tempo faremo, come in Germania, un unico sindacato dell’industria senza più distinzioni tra metalmeccanici, chimici e quant’altro”. Per i giovani è disposto a ridiscutere di pensioni d’oro: “È stato un errore aver detto no ai prelievi fiscali per le pensioni superiori ai 3.000 euro netti”. Resta il problema della qualità delle “piattaforme”. In anni di concertazione, fase che considera “ormai superata”, il sindacato è divenuto parte del sistema. La risposta del segretario Fim fa cenno di cogliere, pur non condividendo il grillismo, le esigenze di partecipazione dei meet-up o l’ambizione delle primarie. E quindi pensa a costruire soluzioni innovative. Per ora, però, la risposta è tradizionale: “Democrazia, orari, partecipazione”. Nessun ripensamento su Fiat e Marchionne: “Se non fosse stato per noi l’auto in Italia sarebbe scomparsa mentre ora Pomigliano è ripartita come anche Grugliasco e come sarà a Mirafiori. La nostra responsabilità è stata utile”. Non è vero che la Fiat se n’è andata, “oggi resta una multinazionale dell’auto che continua a produrre in Italia”. NESSUN CONTRASTO anche sul Jobs Act: “Sull’articolo 18 non cambiamo idea, resta importantissimo. Però quello scontro rappresenta una tecnica di distrazione di massa”. Ritorna l’attrazione per Renzi, ma Bentivogli nega: “Non siamo renziani, l’unico che finora ha avuto un rapporto diretto con il presidente del Consiglio è Landini”. Rispunta così la voglia di presentarsi come alternativa alla Fiom. La filosofia di fondo non sembra molto diversa dalla Cisl di Bonanni: è il “modello tedesco” quello della cogestione, a costituire la bussola. E fa leva sulla “responsabilità” anche nel firmare accordi che sembrano indigesti, come a Pomigliano. Ma resta l’ambizione di guardare avanti: “Non dobbiamo coltivare la rappresentazione dell’operaio disperato, altrimenti resta solo lo sconfittismo”. L’unica difficoltà è che nell’Italia del 2014 la disperazione si occupa ancora degli operai. ITALIE il Fatto Quotidiano V oli blu di Pinotti: guerra di querele tra Aeronautica e M5S DI BATTISTA denuncia Roberta Pinotti per “uso improprio di un aereo di Stato”, E l’Aeronautica lo querela. Ieri il deputato dei Cinque Stelle e il suo collega Luca Frusone hanno presentato due denunce, alla Corte dei conti e alla procura di Roma, contro il ministro della Difesa. Riguardano il caso svelato dal Fatto Quotidiano: il 5 settembre scorso, di ritorno da un vertice Nato, il ministro si fece riportare a casa sua a Genova da un aereo militare. “Riteniamo - scrive Di Battista su Facebook - che Pinotti abbia utilizzato un aereo-blu per farsi accompagnare a casa sua. Lei sostiene di aver usufruito di un volo di addestramento già previsto. Caso strano: un volo partito 10 mi- “Segnalare le scuole pro gay” La Diocesi ordina e poi si pente MILANO, LETTERA AI PROF DI RELIGIONE PER SCOMUNICARE “L’IDEOLOGIA DI GENDER” di Silvia Truzzi C’ Milano era una volta – qui, nella città con l'ambizione di essere una società aperta – un uomo di fede che ebbe la ventura di guidare la Diocesi per oltre vent'anni. Di Carlo Maria Martini – il cardinale amatissimo – si possono ricordare molte cose. Oggi vengono in mente le sue parole sugli omosessuali: “La Chiesa cattolica promuove le unioni che sono favorevoli al proseguimento della specie umana e tuttavia non è giusto esprimere alcuna discriminazione per altri tipi di unioni”. E ancora: “Non è male che due omosessuali abbiano una certa stabilità di rapporto e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli. Non condivido le posizioni di chi, nella Chiesa, se la prende con le unioni civili”. Non è sempre vero che il passare del tempo porta con sé il progresso se siamo qui a scrivere un articolo sul tentativo di mappare le attività pro gay nelle scuole, da parte della Diocesi di Milano. Ne dava notizia ieri Repubblica, cui è stata girata una lettera. La missiva inviata da un collabo- SCUSE TARDIVE La nota della Curia: “Formulazione inappropriata”. Intanto esplode la polemica a suon d’interrogazioni parlamentari VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 ratore di don Rota (il responsabile del settore insegnanti di religione cattolica) è stata inviata a circa seimila insegnanti di religione. E così recita: “Come sapete in tempi recenti gli alunni di alcune scuole italiane sono stati destinatari di una vasta campagna tesa a delegittimare la differenza sessuale affermando un'idea di libertà che abilita a scegliere indifferentemente il proprio genere e il proprio orientamento sessuale. Per valutare in modo più preciso la situazione e l'effettiva diffusione dell'ideologia del ‘gender’, vorremmo avere una percezione più precisa del numero delle scuole coinvolte, sia di quelle in cui sono state effettivamente attuate iniziative in questo senso, sia di quelle in cui sono state solo proposte. Per questo chiederemmo a tutti i docenti nelle cui scuole si è discusso di progetti di questo argomento di riportarne il nome nella seguente tabella”. Dal censimento alla censura il passo può essere breve. La lettera era stata messa online su un sito cui accedono i docenti di religione, ma appena si è capito che il contenuto stava per diventare pubblico è sparita. Troppo tardi però: le polemiche erano già iniziate. L'associazione radicale Certi Diritti ha inviato un esposto al ministro dell'Istruzione; undici senatori pd hanno presentato un'interrogazione sempre a Stefania Giannini, chiedendo “chiarezza sull'iniziativa della Curia di Milano che ci appare grave e indebita”. Sono arrivate, immediatamente, anche le reazioni delle associazioni. Il presidente nazionale di Arcigay, Flavio Romani, ha definito l’iniziativa “un abuso 9 nuti dopo l’arrivo della Pinotti a Ciampino e diretto a Sestri, a casa sua”. Ma l’Aeronautica fa sapere “di aver già dato mandato di una denuncia - querela a carico dei responsabili della diffusione di comunicazioni strumentalmente diffamatorie ed infondate, denigratorie del Reparto interessato e dei militari che in esso lavorano”. RENZISMI E REALTÀ di Alex Corlazzoli Bambini in classe, senza bus né mense L a “Buona Scuola” è quella che deve fare i conti con meno scuolabus e con sempre più tagli nelle mense scolastiche, oltre a minor soldi per la manutenzione degli istituti. A denunciare gli effetti della crisi sull’istruzione è Legambiente che in questi giorni ha presenato il “Rapporto Scuola”: complice la crisi economica e la minore disponibilità dei comuni calano al 22,5% le scuole dotate di servizio di scuoalbus (contro il 30% del 2013). Altro dato drammatico è sulle mense: i pasti biologici sono ormai presente solo nel 4,8% delle mense contro l'8,5% del 2012. Diminuisco anche i fondi destinati alla manutenzione ordinaria e straordinaria. inaccettabile, che accende i riflettori su un tentativo, se non addirittura su una vera e propria pratica di controllo della scuola pubblica da parte della lobby ecclesiastica”. La Diocesi però ha già fatto un'imbarazzata retromarcia: “La lettera è formulata in modo inappropriato e di questo chiediamo scusa. L'intento originario era esclusivamente quello di conoscere dagli insegnanti di religione il loro bisogno di adeguata formazione per presentare, dentro la società plurale, la visione cristiana della sessualità in modo corretto e rispettoso di tutti”. Forse le parole di Papa Francesco – “chi sono io per giudicare un omosessuale” – non erano state ben intese alle latitudini meneghine. 10 VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 A rchivio Pompa, la Cassazione: “Processate Pollari” L’EX DIRETTORE del Sismi, Nicolò Pollari, deve tornare sotto processo e ripresentarsi davanti al gup di Perugia che il 2 febbraio 2013 aveva disposto il non luogo a procedere, con l’accusa di aver realizzato un archivio illegale con dossier su magistrati, giornalisti e politici, negli uffici di via Nazionale, a Roma, assieme al funzionario Pio UN GIORNO IN ITALIA il Fatto Quotidiano Pompa. Lo ha deciso la Cassazione che ieri ha annullato il proscioglimento deciso in forza del segreto di Stato, con riferimento all’accusa di peculato. Ora gli atti tornano al gup al quale li trasmetterà la VI sezione penale della Suprema Corte. Secondo l’accusa, Pollari e Pompa avrebbero commesso peculato per avere utilizzato, “per scopi pa- lesemente diversi” da quelli istituzionali del Sismi, denaro, risorse umane e materiali del servizio di intelligence. Tra le vittime del presunto dossieraggio, magistrati come Armando Spataro e Giovanni Salvi, politici di centrosinistra ma anche berlusconiani “non allineati” e giornalisti tra i quali Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio. “TANGENTI E INCONTRI SEXY PER 10 MILIONI DI APPALTI” IN CELLA MAMONE, RE DEI RIFIUTI DI GENOVA, SOTTO INCHIESTA I LAVORI POST ALLUVIONE AL TELEFONO: “SONO AMICO DEL NUOVO CAPO DI CARIGE”. I RAPPORTI CON I POLITICI di Ferruccio Sansa S Genova e parlano i Mamone crolla Genova”, si lascia scappare un investigatore. Chissà se è vero. Ma le 69 pagine dell’ordinanza del gip Roberta Bossi non sembrano rivelare solo un malinconico caso di tangenti e prostitute per ottenere 10 milioni di appalti per alluvioni e rifiuti. Nelle intercettazioni Gino Mamone si vanta della sua amicizia con Paolo Momigliano, appena nominato presidente della fondazione Carige. E perché Mamone negli anni passati aveva avuto contatti con i big del centrosinistra genovese. L’ENNESIMO SCANDALO in Li- guria ha portato all’arresto di 7 persone: Gino, Vincenzo e Luigi Mamone, imprenditori che dominano il settore rifiuti grazie soprattutto ad appalti pubblici. Con loro Corrado Grondona (responsabile legale Amiu, azienda pubblica della nettezza urbana); poi Stefano e Daniele Raschellà, e Claudio Deiana (imprenditori amici dei Mamone). Indagati Massimo Bizzi e Roberto Ademio (dirigenti Amiu). L’accusa è associazione a delinquere, corruzione e turbativa d’asta. Secondo i pm Paola Calleri e Francesco Cardona Albini, i dirigenti Amiu avrebbero affidato a Mamone e amici “prestazioni di servizi correlati ad eventi alluvionali”. Si parla anche “di lavori di manutenzione straordinaria”, di rifiuti inquinanti nella discarica cittadina e di lavori pagati due volte. Il copione: gare pilotate, sminuz- zate in lotti inferiori a 40 mila euro per evitare controlli. In cambio, tra il 2009 e il 2013, i dirigenti si sarebbero garantiti una vita da nababbi che avrebbe consentito a Grondona di spassarsela tra prostitute, Dom Perignon, cene e viaggi. Spese per 5 mila euro al mese. Secondo il SETTE ARRESTI In manette anche fratello e nipote dell’imprenditore e un dirigente della municipalizzata. Che intercettato lodava la escort: “Eccezionale” gip, ai dirigenti Amiu sarebbe bastato alzare il telefono per ottenere favori: dalle pratiche auto ad appartamenti per incontri sexy. Intercettazioni dai toni anche pecorecci. Dicono i Mamone di Grondona: “Sarà a trombare… è proprio malato… se ti trovi una là e un contratto da firmare… impazzisce”. Ma c’è un’intercettazione che inquieta Genova. Mamone parla di Grondona: “Me ne deve non uno, mille di piaceri! È all’ufficio acquisti grazie a me, quando io potevo parlare con Momigliano e company”. Il riferimento è a Paolo Momigliano (non indagato), a lungo presidente Amiu. E pochi mesi fa chiamato a presiedere la Fondazione Carige dopo gli scandali e l’arresto di Giovanni Berneschi. Oggi nega ogni contiguità con i Mamone: “È una millanteria. Ho lasciato Amiu nel 2008, prima dei fatti contestati. I Mamone li avrò incontrati tre volte”. La nomina di Grondona avvenne durante la presidenza Momigliano, i due, però, si conoscevano perché avvocati. Il nome Mamone da tempo è noto in città. Christian Abbondanza della Casa della Legalità denunciava la frequenza singolare con cui ottenevano appalti pubblici. All’indomani dell’alluvione 2011 l’allora sindaco Marta Vincenzi ai microfoni di Presadiretta rispose: “Ci sono solo loro”. In un’altra inchiesta un’intercettazione di Mamone che suscitò scalpore: “Io sono amico di Burlando, di Tiezzi (ex assessore della lista Vincenzi, ndr), sono amico di tutti, sono amico della Marta (Vincenzi, ndr), questo progetto non lo blocca nessuno”. Nessun politico fu indagato. NEL 2008 l’informativa dell’inchiesta Mensopoli parlando dei Mamone (mai condannati per reati di mafia) annotava: “Il tenore delle intercettazioni ha evidenziato collegamenti di Gino Mamone sia con il mondo politico sia con il mondo delle cosche calabresi. Egli potrebbe rappresentare il punto di contatto tra i due mondi”. Nel 2005, all’inaugurazione della loro escavatrice, intervennero Romolo Benvenuto (poi responsabile Ambiente della Margherita e membro della commissione di inchiesta sui rifiuti), uno stuolo di assessori di centrosinistra e sindacalisti. Non solo: i Mamone hanno sponsorizzato in passato incontri dell’associazione Maestrale di Burlando. Mentre un’informativa dei Noe ricorda colloqui tra Gino Mamone e Burlando prima del 2005: “Per quanto attiene poi la nomina a dirigente dell’Autorità Portuale di Genova” di un amico, “Mamone si interessa contattando Burlando”. Anche il presidente del Porto di Genova, Luigi Merlo (mai indagato) fu intercettato in passato al telefono con Mamone. Il 22 maggio 2007 Merlo invia un sms per caldeggiare l’appoggio ad Andrea Stretti poi assessore alla Politiche sociali di La Spezia. “Caro Gino – scrive Merlo – se hai qualcuno a Spezia ti sarei grato se facessi votare Stretti”. E Mamone: “Ti lascio due numeri dei miei ragazzi (…) conoscono mezzo mondo”. Gino Mamone, imprenditore, arrestato a Genova ALTA VORACITÀ Domiciliari all’imprenditore filo Tav ai domiciliari con l’accusa di turÈ bativa d’asta Ferdinando Lazzaro ( ), imprenditore di Susa (Torinella foto no) ritenuto l’amministratore della Italcoge prima e della Italcostruzioni poi, due ditte che hanno svolto i lavori nel cantiere Tav Torino-Lione a Chiomonte e per questo oggetto di atti intimidatori. Le indagini sono state svolte dai carabinieri del Ros coordinati dalla Procura di Torino. La Italcoge è fallita il 2 agosto 2011, periodo in cui stava operando nel cantiere. Per non perdere le attività è stata creata la Italcostruzioni, amministrata di fatto da Lazzaro, che ha presentato al curatore fallimentare un’offerta per rile- vare un ramo dell’azienda fallita. Aveva però bisogno di una fidejussione che – stando agli accertamenti compiuti a due anni di distanza da polizia e carabinieri – è risultata falsa, realizzata con file e loghi trovati su internet. Come è emerso nell’operazione “San Michele” del 1° luglio scorso, nel proseguo dei lavori l’imprenditore ha concesso un subappalto a una ditta vicina alla ’ndrangheta. Risale invece al 2013 il rogo di un macchinario, incendiato da ignoti poco dopo la partecipazione di Lazzaro a un talk show nel quale denunciava la violenza in Val di Susa. a. giamb. Un morto a Crema, allagamenti a Milano ANCHE IL LAMBRO A LIVELLI ELEVATI, ACQUA NELLE STAZIONI, PROBLEMI SU STRADE, FERROVIE E METRO. E LA PIENA DEL PO PREOCCUPA Milano a piena che ha attraversato L il Po è stata seguita passo passo da Vigili del fuoco e dalla Protezione civile. L’osservato speciale ha preoccupato molto ma fortunatamente è rimasto nei suoi argini. Anche il lago Maggiore, dopo aver scavalcato venerdì il suo perimetro e invaso piazze e strade dei paesi che lo costeggiano, superando i livelli di piena del 2002, ieri ha iniziato ad arretrare nel suo letto abituale. A Cernobbio si è registrata una frana, mentre a Como l’acqua ha raggiunto la centrale piazza Cavour. In Lombardia l’allarme maltempo rimane elevato ma ieri la pioggia ha concesso una tregua e l’allerta torna stasera. Nonostante il tiepido sole spuntato nel corso della giornata, i disagi sono stati molti. Linee ferroviarie interrotte, in particolare la Bergamo-Milano, con ben 90 treni cancellati e la situazione si annuncia critica anche per la giornata di oggi: l’effetto combinato dello sciopero e dei gravi danni provocati dall’alluvione porterà al EMERGENZA A Milano l’esondazione del fiume Seveso. Anche il Lambro sopra i livelli di guardia LaPresse passaggio di un treno su cinque sulle linee Milano-Bergamo e Varese-Milano-Treviglio (Bergamo). Lo ha comunicato la società che gestisce la rete, Rfi: “Si consiglia dunque di utilizzare il treno su queste tratte solo in casi di estrema necessità”. E a Milano invece ai cittadini è stato consigliato di non usare le auto private. Ma già ieri la metropolitana ha avuto notevoli problemi con stazioni allagate e inagibili come Garibaldi. In città, dopo l’esondazione di mercoledì, il Seveso è tornato alla normalità mentre il fiume Lambro rimane a livelli elevati, con l’omonimo parco in parte ancora al- QUINTA VITTIMA Dopo le tragedie in Liguria e Piemonte, un giardiniere di 36 anni è stato travolto mentre apriva la chiusa di un mulino lagato, in particolare nella zona di via Feltre, a nord della città, dove le scuole ieri sono rimaste chiuse. Problemi e interruzioni anche sulle strade provinciali, con smottamenti ma nessun danno grave è stato segnalato nella giornata di ieri. rimane alta anche per la giornata di oggi e fino a domenica. A Milano saranno impegnati 260 agenti della Polizia locale per affiancare gli uomini della Protezione civile, oltre ai Vigili del fuoco e forze dell’ordine per tenere costantemente sotto contro il Seveso e il Lambro. dav. ve. LA NOTTE INVECE ha portato con sé la vita di Armando Vagni, un giardiniere 36enne di Crema, travolto mentre stava cercando di aprire una chiusa per far defluire l’acqua da un mulino. Vagni è la quinta vittima del maltempo in appena tre giorni di alluvioni e valanghe di fango al Nord. Martedì una coppia di pensionati in Liguria, mercoledì una vittima nel Biellese e una seconda in provincia di Varese. L’allerta UN GIORNO IN ITALIA VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 il Fatto Quotidiano A gende Rosse e Libertà e Giustizia per il pm Di Matteo TUTTI IN PIAZZA per solidarietà. È l’invito lanciato dal Movimento delle Agende Rosse e dall'associazione Libertà e Giustizia presieduta da Gustavo Zagrebelsky, a sostegno del lavoro del pubblico ministero Nino Di Matteo e dei magistrati di Palermo, impegnati nel processo sulla Trattativa Stato-mafia. Il corteo principale sarà a Palermo e attraverserà domani le vie del capo- luogo siciliano fino al Palazzo di Giustizia. Ma Palermo e i palermitani non saranno lasciati soli: altri cortei e flash mob sono previsti anche a Milano, Roma, Udine e Bologna. Nei giorni scorsi, una fonte anonima aveva rivelato che per il pm Di Matteo ci sarebbe pronto già il tritolo per un attentato. Le associazioni invitano tutti a partecipare “mettendo da parte le bandiere”. Csm, via alle manovre per normalizzare Palermo I LAICI DI DESTRA SPINGONO PER LA NOMINA DI LO VOI CONTRO LO FORTE E LARI ATTESI 1.300 PENSIONAMENTI, IL CONSIGLIO DI LEGNINI RIDISEGNERÀ LA GIUSTIZIA di Giuseppe Lo Bianco Antonella Mascali L a nomina del procuratore di Palermo, lo scontro ai vertici della Procura di Milano, la nomina di centinaia di magistrati per incarichi direttivi e semidirettivi dopo la legge sul pensionamento anticipato a 70 anni. Saranno mesi infuocati per il Csm sotto pressing politico e con un vicepresidente, Giovanni Legnini, che ha promesso l’autonomia del Consiglio ma viene direttamente dal governo Renzi, e prima ancora da quello Letta, sempre come sottosegretario. Al plenum di lunedì scorso, di fronte al ministro Andrea Orlando, il procuratore generale Gianfranco Ciani ha detto che con questa normativa sulla pensione, alla Cassazione ci sarà una scopertura “fino al 30%”. Secondo l’Espresso da qui al 2018 andranno via 1.300 magistrati. TRA LE NOMINE più delicate e imminenti c’è sicuramente quella del procuratore di Palermo. Anche per lo scontro con il Quirinale sulle intercettazioni GIURISTI PER CASO IN POLE In alto da sinistra Guido Lo Forte e Franco Lo Voi, sotto Sergio Lari Ansa IL CANDIDATO Antimafioso moderato, il prescelto di Fi andò a Eurojust con Alfano e si schierò con Grasso sulla mancata delega a Borsellino Napolitano-Mancino nell’ambito dell’inchiesta, ora processo, sulla trattativa Stato-mafia. La nomina del procuratore di Palermo, in realtà era quasi fatta dal vecchio Consiglio. La competente Quinta commissione aveva già votato e l’attuale procuratore di Messina, Guido Lo Forte, ex braccio destro del procuratore Caselli a Palermo, eb- be la maggioranza dei voti: tre. A seguire, il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e l’ex rappresentante di Eurojust, Franco Lo Voi. Dunque, se si fosse andato in Plenum, avrebbe vinto quasi certamente Lo Forte. Invece, arrivò una inedita lettera del Quirinale che intimò al Consiglio di provvedere alle nomine dei procuratori in or- di m. trav. Corso di recupero per Massimo Bordin D a due giorni Massimo Bordin si arrovella sul Foglio attorno a un interrogativo angoscian- te: che fine ha fatto l’inchiesta sull’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, indagato a Palermo per falsa testimonianza per le sue bugie sulla trattativa Stato-mafia? Perché il poveretto “è rimasto indagato mentre gli altri venivano rinviati a giudizio?”. Perché “dopo quasi due anni il suo processo non ha fatto passi avanti”? I pm cattivi lo lasciano “in una sorta di limbo da perenne indagato, e ciò è strano, a pensar male, perché il famoso decreto di revoca dei 41-bis, di cui parla sempre Travaglio, l’ha firmato lui. Il suo ruolo nel processo è centrale, oserei dire fondamentale. Il fatto che lo si sia voluto tenere fuori, qualcosa deve pur significare”. Non può essere solo per le sue “condizioni di salute”, dev’esserci sotto qualcosa. Bravo Bordin, indovinato: sotto c’è addirittura la legge. Cioè il Codice penale. Prima lezione del corso di recupero per giuristi per caso: l’art. 371-bis sul reato di falsa testimonianza e false dichiarazioni al pm stabilisce che, per chi mente ai magistrati, “il procedimento penale... resta sospeso fino a quando, nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni (false, ndr), sia stata pronunciata la sentenza di primo grado”. Traduzione: per processare Conso per le false informazioni sulla trattativa, bisogna aspettare la sentenza di primo grado del processo sulla trattativa. Casomai Bordin necessitasse di altre ripetizioni, ci faccia un fischio: siamo qui per lui. 11 dine cronologico e quindi quella di Palermo, sull’orlo dell’approvazione, fu bloccata. Per ora la nuova Quinta commissione non ha ancora affrontato il caso Palermo, forse comincerà a parlarne la prossima settimana. I membri togati, assicurano diversi di loro interpellati, non hanno affrontato l’argomento neppure informalmente. Quello che filtra da Palazzo dei Marescialli è che i laici del centrodestra vorrebbero Lo Voi, che però non ha mai diretto un ufficio giudiziario. L’unico neo antimafia della sua carriera è la mancata partecipazione a un funerale, quello di Paolo Borsellino. In quel luglio infuocato del ’92 Franco Lo Voi, 57 anni, rappresentante italiano a Eurojust, storico esponente palermitano della corrente di Magistratura Indipendente, rimase in vacanza in Sardegna. E quando tornò dalle vacanze rispose di no ai colleghi della Procura che gli sottoposero il documento di dimissioni firmato da otto sostituti in polemica con il procuratore Pietro Giammanco, che fino all’ultimo giorno di vita aveva negato a Borsellino la delega antimafia su Palermo. Antimafioso si, ma con moderazione, a Palermo Lo GIORNATA NERA Saviano, c’è l’altolà della Capacchione È stata una giornata nera quella di ieri per Roberto Saviano. Bacchettato dall’Anm e abbandonato da Rosaria Capacchione, giornalista e ora deputata Pd, minacciata anche lei, ma distante dal pensiero del giornalista e scrittore sulla sentenza. “Sono contento a metà” aveva detto a caldo Saviano dopo che i giudici avevano condannato solo l’avvocato Michele Santonastaso per le minacce a loro, ma non i boss Bidognetti e Iovine. In una lettera Capacchione afferma: “Giornalisti e opinionisti (...) quando si scontrano con un vero borghese mafioso non lo riconoscono”. L’Anm invece esprime “amarezza e sconcerto” perché Saviano aveva parlato di sentenza “senza coraggio”. Voi è ricordato per l'imponente lavoro di indagine sulle dichiarazioni del pentito Balduccio Di Maggio. A firmare centinaia di mandati di cattura (e di richieste di ergastolo) fu, insieme con Giuseppe Pignatone, proprio Lo Voi, prudente ma determinato nel colpire picciotti e killer di Cosa Nostra: e fu lui a raccogliere per primo le rivelazioni di Mario Santo Di Matteo e Gioacchino La Barbera, i killer pentiti della strage di Capaci in cui morì Giovanni Falcone, con cui aveva un rapporto di amicizia da lui mai sbandierato. Dopo il rigore manifestato contro boss e picciotti lasciò Palermo per approdare al Csm nel periodo in cui esplosero le polemiche sulla circolare del 5 dicembre 2001, che interpretava in 8 anni il termine massimo di permanenza alla Dda per i coor- dinatori delle indagini antimafia e che tagliò fuori dalla procura di Palermo Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato. In quel caso Lo Voi fu indicato come un regista “felpato” dietro le quinte a favore di quella circolare. E sempre al Csm, nonostante i suoi successi professionali nella stagione di Caselli, Lo Voi appoggiò Pietro Grasso contro il magistrato torinese per il vertice della Dna, e poi il “grassiano’’ Giuseppe Pignatone nel confronto con Lo Forte e Messineo nella corsa per la procura di Palermo. La tappa successiva della sua carriera è infine Eurojust, la Procura europea. Fu spedito a Strasburgo dall’allora guardasigilli Angelino Alfano. Se l’obiettivo oggi è quello di spegnere i riflettori sulla Procura più incandescente d’Italia, il prudente Lo Voi appare l’uomo perfetto. L’INVIATO USA Pieczenik, dal falso comunicato Br al “sacrificio” atlantico di Moro di Rita Di Giovacchino a richiesta di una una roL gatoria internazionale a carico di Steve Pieczenik era stata avanzata il 1 settembre scorso da Maria Fida Moro, dopo aver letto su Il Fatto l'intervista rilasciata dal consulente americano al giornalista Marco Dolcetta. La figlia minore del presidente Dc si era mossa in qualità di persona offesa ma purtroppo, scrive il pg Ciampoli nelle sue cento pagine, la missione del pm romano Luca Palamara può considerarsi fallita per la reticenza manifestata dal consulente americano che si è schermato dietro dichiarazioni generiche e arroganti. In alternativa, è stato interrogato Dolcetta e acquisita la registrazione dell'intervista nella quale Pieczenik confermava la presenza del Sismi in via Fani. L'atteggiamento dell' “americano” spedito in tutta fretta a Roma il 29 marzo 1978 dal Dipartimento Usa non deve stupire. Le sue numerose dichiarazioni, interviste, interventi pubblici hanno sempre dato l'impressione che parlasse molto al solo scopo di celare l'effettivo ruolo da lui svolto nei 55 giorni. Resta intatto il mistero della sua missione, sollecitata dal ministro dell'Interno Cossiga che chiese aiuto all’America temendo che la situazione potesse sfuggirgli di mano. Così, per non dare troppo nell’occhio, il Dipartimento inviò appunto Pieczenik, uno psichiatra dai comportamenti stravaganti, dietro i quali si nascondeva un personaggio di primo piano in grado di assolvere a un ruolo importante negli accordi di Camp David. PIECZENIK aveva avuto diret- tive precise, ma non è detto che siano quelle che ha raccontato. In un libro, scritto con l'aiuto del giornalista francese i Emanuèl Amara (Abbiamo ucciso Aldo Moro) afferma ad esempio che il suo obiettivo era “guadagnare tempo, mantenere in vita Moro il più a lungo possibile, per consentire a Cossiga di riprendere il controllo dei suoi servizi di sicurezza…”. Dunque l'uomo poi divenuto Capo di Stato, cui è stata attribuita una certa contiguità con gli ambienti Gladio, in quel frangente non controllava gli apparati. “Allo stesso tempo era auspicabile che la famiglia Moro non avviasse una trattativa parallela con il rischio che Moro fosse liberato prima del dovuto… mi resi conto che portando la mia strategia alle estreme conseguenze… avrei sacrificato l’ostaggio per la stabilità dell’Italia”. Fu lui, o almeno lo rivendica, a creare il falso comunicato n. 7, in cui si annunciava l'avvenuta esecuzione sul Lago della Duchessa, con il duplice obiettivo di “spingere le Brigate Rosse a uccidere Moro al fine di delegittimarle”. Due piccioni con una fava. Un esito la missione di Palamara lo ha comunque ottenuto: Obama ha aperto un procedimento nei confronti di Pieczenik per il suo rifiuto di negoziare provocando la morte di un uomo di Stato straniero, iniziativa un po' tardiva cui dovrebbe far seguito quella italiana. I comitati di crisi erano Aldo Moro tre e Pieczenik rientravain quello degli esperti, di cui faceva parte anche Ferracuti, il superperito che teorizzò che Moro fosse vittima della crisi di Stoccolma. Dalla cento pagine emerge anche che nel covo di via Montenevoso sarebbero stati rin venuti gli elenchi dei 622 appartenenti a Gladio, fu questo forse a spingere Andreotti a renderlo pubblico. Dice il vicepresidente Gero Grassi: “Il nostro obiettivo è recuperare anche l'altro elenco, quello dei 650 gladiatori “respinti” in realtà utilizzati nelle operazioni sporche”. 12 ALTRI MONDI VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 Pianeta terra USA SANATORIA PER MILIONI DI IMMIGRATI Gli effetti della sconfitta elettorale di Mid-term si fanno già sentire. Per varare la riforma dell'immigrazione, il presidente Barack Obama è deciso a scavalcare il Congresso con un decreto esecutivo. Il provvedimento prevede anche una sanatoria per 4 milioni di immigrati irregolari. LaPresse MEDIO ORIENTE KERRY VUOLE EVITARE L’INTIFADA Per scongiurare i venti di guerra in seguito agli attentati in Cisgiordania, il segretario di Stato americano, John Kerry, si è recato in medio oriente per incontrare prima il presidente palestinese, Abu Mazen, e dopo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Ansa SUN TZU ADDIO, L’ARTE DELLA GUERRA È UN MISSILE CHE FA TUTTO DA SOLO SUPERATI I DRONI, ORA TOCCA ALLE ARMI CHE NON HANNO BISOGNO DELL’UOMO di Carlo Antonio Biscotto L e armi del futuro sono state battezzate Fire and forget (Spara e dimentica). Immaginifico e terribile. L’anno scorso al largo della costa meridionale della California un bombardiere B-1 ha lanciato un missile sperimentale che – come scrive John Markoff sul New York Times – potrebbe rivoluzionare l’arte della guerra. Il missile da solo, senza sollecitazioni dei piloti, decise quale imbarcazione colpire tra le tre che, prive di equipaggio, galleggiavano in mare. La guerra non è più quella descritta nei manuali che erano anche trattati di filosofia, come quel- lo di Sun Tzu, ma fa ricorso in modo massiccio alle intelligenze artificiali, ai computer e alla tecnologia informatica. I droni vengono azionati a distanza con un joystick manovrato da esperti piloti. Ma ormai pare sia stata varcata l’ultima frontiera: le nuove armi non rispondono all’uomo, ma sono guidate e gestite dall’intelligenza artificiale. È un software che decide quale bersaglio colpire e chi uccidere. IL TIMORE è che queste armi possano divenire sempre più incontrollabili. Forse la loro precisione potrebbe salvare la vita di numerosi civili, ma non possiamo escludere che l’assenza dell’uomo possa avere il Fatto Quotidiano l’effetto perverso di moltiplicare il numero dei conflitti. Alcune nazioni utilizzano già una tecnologia che permette a missili e droni di attaccare obiettivi militari senza il diretto controllo dell’uomo. Dopo il lancio, le armi ricevono da speciali software e sensori l’ordine di selezionare il bersaglio e attaccare. Il software è sofisticato e perfettamente in grado di distinguere un autobus civile da un carro armato. Inoltre i missili non “comunicano” con l’uomo. “È già partita la corsa agli armamenti guidati dall’intelligenza artificiale”, spiega Steve Omohundro, fisico ed esperto di intelligenza artificiale della Self-Aware Systems, centro di ricerca di Palo Alto. “Questi armamenti rispondono più rapidamente, in maniera più efficiente e meno prevedibile”. Ma le preoccupazioni sollevate da questa rivoluzione della tecnologia militare non sono poche e ieri a Ginevra si sono riuniti esponenti di moltissimi Paesi che puntano a impedire l’utilizzo di queste armi ai sensi della Convenzione sulle armi convenzionali. Il Pentagono, dal canto suo, ha approvato anni fa una direttiva secondo la quale lo sviluppo di queste armi richiede autorizzazioni al massimo livello della catena di comando militare e politica. Il problema è che la tecnologia va avanti con una velocità tale da aver reso già obsoleta la disposizione. LIBIA Liberato Vallisa Riscatto di un milione l tecnico italiano Marco Vallisa rapito in Libia il I 5 luglio è stato liberato. Secondo una fonte della sicurezza libica, citata dall'agenzia France Press, sa- rebbe stato pagato un riscatto di quasi un milione di euro per liberare “l’ostaggio di un gruppo armato” di cui non ha, però, fornito l’identità. L’indiscrezione non è stata confermata dalla Farnesina. Vallisa era stato rapito con altri due colleghi della ditta modenese “Piacentini costruzioni”, il bosniaco Petar Matic e il macedone Emilio Gafuri, in un cantiere nella città costiera di Zuara, a un centinaio di chilometri a ovest di Tripoli. I due erano, però, stati rilasciati due giorni dopo. Dopo aver annunciato la liberazione con un tweet la scorsa notte, Gentiloni ha poi espresso soddisfazione parlando a Berlino per la sua prima visita ufficiale da titolare della Farnesina: “È stata un’esperienza molto dura per lui”. Con la liberazione di Vallisa, sono ancora cinque gli italiani all’estero in mano a sequestratori: le due giovani cooperanti Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, rapite in Siria, il tecnico Gianluca Salviato, il gesuita padre Paolo Dall’Oglio, sequestrato in Siria e il cooperante Giovanni Lo Porto, scomparso il 19 gennaio 2012 tra Pakistan e Afghanistan. A OCCHI CHIUSI Un missile Harpoon sparato da una nave americana, a destra, il Pentagono Ansa/LaPresse SPARA E DIMENTICA Già nel 1988 la Marina americana provò l’Harpoon ad auto-guida: invece del bersaglio centrò una nave indiana uccidendo un marinaio “Vogliamo sapere chi decide quali sono i bersagli”, dice Peter Asaro, co-fondatore e vicepresidente della Commissione internazionale per il controllo degli armamenti computerizzati. “Sono i sistemi a decidere autonomamente e automaticamente i bersagli da colpire?”. È L’ULTIMO CAPITOLO di una lunga storia. Già nel 1988 la Marina militare americana testò un missile Harpoon che disponeva di un rudimentale sistema di auto-guida. L’esperi- mento si concluse tragicamente: il missile invece del bersaglio colpì una nave da carico indiana uccidendo un membro dell’equipaggio. Naturalmente l’incidente fu messo a tacere, ma non la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale al servizio della guerra. Nel 2012 il Pentagono ha approvato un’altra direttiva che distingue tra armi semi-autonome e armi completamente autonome affermando che “le armi del futuro debbono essere progettate in modo da consentire all’uo- mo di esercitare adeguati livelli di intervento e decisione in ordine all’uso della forza”. E siamo al 2014: il missile testato al largo delle coste della California può coprire centinaia di miglia manovrando autonomamente per evitare i radar e senza alcun contatto radio con la base operativa. Il missile viola la direttiva del Pentagono? “Questi missili sono in grado di operare autonomamente nella ricerca del bersaglio”, risponde Mark Gubrud, fisico della Commissione internazionale per il controllo degli armamenti computerizzati. “Siamo in presenza di intelligenza artificiale e quindi al di fuori del controllo dell’uomo”. Il dibattito tra sostenitori e nemici giurati dei nuovi armamenti è aperto. Scharre, analista militare, non sembra sfiorato dal dubbio: “Armi più intelligenti e precise riducono il numero delle vittime civili e quindi ne vanno incoraggiati lo sviluppo e l’impiego”. Il ritorno del Califfo: “Arriveremo a Roma” ISIS DIFFONDE UN AUDIO CON LA VOCE DI AL-BAGHDADI. ENNESIMA GIRAVOLTA DI OBAMA, IL PRESIDENTE SIRIANO ASSAD È DA ELIMINARE di Giampiero Gramaglia l Califfo al-Baghdadi – o sarà il suo fantasma? – I torna a fare sentire la sua voce, mentre il presidente Obama – o sarà il suo ectoplasma? – ri- vede per l’ennesima volta la strategia contro il sedicente Stato islamico, per tornare a mettere l’accento sulla rimozione dal potere in Siria del presidente al-Assad. Che, da quando i raid alleati indeboliscono le milizie jihadiste, se la ride: i suoi nemici più temibili hanno trovato chi li castiga, mentre l’opposizione moderata continua a prenderle sia dai lealisti che dagli integralisti. Il Califfato diffonde un messaggio audio di 17 minuti attribuito ad Al-Baghdadi, che, giorni fa, era stato dato per ferito o addirittura per morto, in un intreccio di voci e smentite mai davvero chiarito (né il documento sonoro vi fa cenno). Il messaggio mira a rincuorare i jihadisti e a confutare le notizie secondo cui l’offensiva aerea della coalizione anti-Is starebbe fiaccando le milizie. Al-Baghdadi – se è proprio lui - afferma che la campagna della coalizione guidata dagli Stati presidente ha chiesto ai suoi consiglieri un nuovo Uniti “sta fallendo” e che il Califfato si estende piano, dopo aver riconosciuto un errore di calcolo ormai ad Arabia Saudita, Yemen, Egitto, Libia e nella strategia militare anti-Is, che s’è inizialmenAlgeria: la marcia dei combattenti continuerà te concentrata sull'Iraq (l'8 agosto sono iniziati i “finché non arriveremo a Roma” – una frase icona raid aerei) e successivamente s’è estesa alla Siria (il del capo sunnita –. Nella registrazione, si dice che 23 settembre), tralasciando, però, gli sforzi per ro“il vulcano del jihad è esploso ovunque: presto, vesciare il regime di Damasco. ebrei e crociati saranno costretti a scendere sul terreno, a inviare sul campo le NEL RACCONTO della Cnn, Obaloro forze, per trovarvi morte e ma ha convocato in rapida sucdistruzione”. Al-Baghdadi pare cessione quattro riunioni del prevedere, quasi innescare, la Consiglio della sicurezza nazioprossima mossa del presidente nale, presiedendone una. Tra le Obama che, invece, per il moipotesi sul tavolo, la creazione di mento, di mandare uomini in una ‘no-fly zone’ al confine con la Turchia – la chiede Ankara, arme a combattere in Iraq, o in Siria, non ne vuole sapere. Ma, per impegnarsi militarmente sul terreno – e un'ulteriore accelese accadesse, non sarebbe la prima volta che Obama cambia razione al programma di recluidea. Per la Cnn, la Casa Bianca si tamento e addestramento sarebbe resa conto d’avere tradell’opposizione siriana modeIl Califfo Al-Baghdadi Ansa rata, le cui capacità militari si soscurato il siriano al-Assad. Il no finora rivelate molto deludenti. La notizie da Washington suonano sconfessione delle impressioni manifestate dall’inviato dell’Onu per la Siria Staffan De Mistura, dopo colloqui a Baghdad. L’ex ‘uomo dei marò’ del governo Letta è ottimista sull’esito d’un piano dell'Onu per porre un termine i combattimenti tra lealisti e ribelli ad Aleppo. Per de Mistura, il governo siriano “è interessato” e la minaccia comune rappresentata dal Califfato potrebbe portare a una tregua in una guerra che da oltre tre anni fa vittime ma non esprime vincitori. I dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani parlano di 865 morti causati solo dai raid aerei – una ventina al giorno –: miliziani, ma pure almeno 50 civili, sette bambini martedì per un razzo su una scuola. Agli attacchi alleati si sommano quelli dell’aviazione siriana, talora su obiettivi vicini – ieri, nei pressi di Aleppo –. Sul terreno, Kobane, al confine con la Turchia, resta l’epicentro degli scontri più cruenti: l’esito della battaglia rimane incerto, anche se i curdi costringono i jihadisti sulla difensiva. il Fatto Quotidiano ALTRI MONDI CAUCASO TENSIONE TRA ARMENI E AZERI L’esercito dell’Azerbaigian ha abbattuto un elicottero militare armeno nei cieli del Nagorno-Karabakh. Si tratta dell'episodio più grave dalla guerra per il controllo dell'enclave che nel 1988 cominciò a rodere la cosiddetta amicizia dei popoli sovietici. LaPresse USA FBI ISTIGÒ LUTHER KING AL SUICIDIO ”Animale sporco e anormale”. Così era definito Martin Luther King dall’Fbi in una lettera anonima resa pubblica per la prima volta dal 1964. I federali tentarono di ricattare l’attivista afroamericano istigandolo al suicidio per insabbiare presunti scandali sessuali. LaPresse VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 13 Benvenuti in Transnistria lo Stato che non esiste SEPARATO DALLA MOLDAVIA, IL TERRITORIO RESTA FILO-RUSSO: HA UNA GUARNIGIONE DELL’ARMATA ROSSA E LA BANDIERA CON FALCE E MARTELLO di Andrea Valdambrini Q uando è lo Stato a essere illegale, figuriamoci tutto il resto. Ed è proprio il caso di dirlo parlando della Transnistria, una striscia di terra abitata da poco più di mezzo milione di persone che corre per 400 chilometri a est del fiume Dniester tra il confine orientale della Moldavia e le province russofone del sud dell’Ucraina. Ufficialmente la Transnistria dovrebbe essere una provincia autonoma della Moldavia, appunto. Ma in realtà è un territorio filo-russo separatista, una scheggia impazzita dell’ex impero sovietico sopravvissuto alla sua dissoluzione. Ha la sua capitale, Tiraspol, la sua moneta legata al rublo, la sua fetta di armata rossa, un inno e una bandiera a strisce rosse e verde con falce e martello che fanno pensare quasi a uno scherzo della storia in stile Goodbye Lenin ed emette documenti e passaporti proprio come uno Stato sovrano. LA MOLDAVIA, che politica- mente guarda all’Europa, considera il governo di Tiraspol illegittimo, un covo di terroristi sostenuti dai russi che in realtà, invece di esser venuti a occupare, come nella vicina Crimea, non se ne sono mai andati. La comunità internazionale non lo riconosce. Eppure questo Stato, per quanto illegale, esiste davvero. E soprattutto ha delle regole tutte sue. Per esempio quelle che, come ha rivelato la puntata di Report dedicata al caso Moncler, ne fanno il paradiso della delocalizzazione dei marchi di lusso grazie a bassi salari e finto made in Moldavia su cui le autorità europee sembrano chiudere un occhio. Il contrabbando di alcol, per esempio, è una delle attività più lucrative per Tira- AFFARI SPORCHI Il contrabbando di vodka, sigarette e armi fiorisce grazie alla posizione geografica: e poi c’è la delocalizzazione dei marchi di lusso spol, che esporta vini, cognac e altri superalcolici sia in Russia che nell’Unione europea grazie alla combinazione di grande quantità e prezzi molto competitivi, quelli che fanno anche la fortuna di una distilleria (in questo caso legale), la storica Kvint di Tiraspol, che da sola produce 10 milioni di litri all’anno di vodka. SUL CONTRABBANDO lo Sta- to che non c’è, a dispetto delle sue dimensioni ridotte, non sembra essere secondo a nessuno. Insieme a Russia e Ucraina, la Transnistria è un paradiso per l’export di sigarette contraffatte, che spesso viaggiano verso occidente attraverso la rotta rumena. Non meno rilevante il capitolo che riguarda il traffico di armi. Il sito di giornalismo investigativo rumeno Journalistic Investigation Center riporta una serie di episodi, rivelati da Wikileaks, in cui le autorità di Bucarest avrebbero chiesto spiegazioni alla Russia riguardo al ruolo giocato da quest’ultima nel permettere il passaggio di armi in Romania (e quindi Unione europea) attraverso la confinante Moldavia, senza mai ottenere risposta. Insomma, anche se il volume complessivo del contrabbando (alcol, sigarette e armi) non è mai stato esattamente quantificato dalle autorità di polizia internazionali, la Transnistria è comunemente considerata uno dei principali centri del malaffare del continente. Ma la fortuna di questo non-Stato è più nella geografia che nella storia. Tiraspol si trova in fondo a soli 170 chilometri dal confine orientale dell’Unione europea, il che rende facile l’export dei prodotti di contrabbando. La sua economia dipende quasi interamente dal gas russo, ed è Mosca a garantire pro- tezione al territorio separatista da ben 23 anni con circa 1500 militari. Se davanti al parlamento di Tiraspol, che si chiama ancora Soviet Supremo, sovrastato da bandiere con falce e martello, campeggia una gigantesca statua di Lenin, non c’è nulla di romantico. I russi non se ne andranno. E hanno i loro motivi. @andreavaldambri Le mamme dei soldati trattate da spie MOSCA LE INSERISCE NELLA LISTA DEGLI “AGENTI STRANIERI”: HANNO DENUNCIATO CHE I FIGLI SONO MORTI IN UCRAINA di Giuseppe Agliastro Mosca iente da fare per l'Ong N russa “Madri dei soldati”: il ministero della Giustizia di Mosca ha risposto con un secco niet alla richiesta del ramo pietroburghese dell'organizzazione di essere cancellato dalla famigerata lista degli “agenti stranieri”. Questo speciale elenco dal chiaro sapore sovietico è stato introdotto da Vladimir Putin due anni fa per stringere al massimo la sorveglianza sugli enti che esercitano attività politica e ricevono finanziamenti dall'estero: le “Madri dei soldati” ci sono finite dentro a fine agosto per essersi permesse di mettere il bastone tra le ruote al leader del Cremlino denunciando la presenza - sempre negata da Mosca - di soldati russi al fianco dei separatisti nel conflitto ucraino, e facendo sapere di avere i nomi di 100 militari russi uccisi in Ucraina e di altri 300 rimasti feriti. La responsabile pietroburghese, Ella Poliakova, aveva rivelato inoltre in un'intervista alla tv Dozhd che più di 100 soldati feriti erano stati ricoverati in un ospedale dell'antica capitale dell'impero zarista e aveva quindi chiesto chiarimenti al governo. Una “colpa” gravissima per il Cremlino, che non vuole proprio saperne di staccare l'etichetta di “agente straniero” all'ong delle mamme dei soldati nonostante il parere del loro avvocato, Aleksandr Peredruk: questa organizzazione non riceva un soldo dall'estero. SECONDO IL MINISTERO della Giustizia “non è tecnicamente possibile” cancellare da questa lista nera del regime putiniano un ente ormai rimasto impigliato nella ragnatela dell'ex ufficiale del Kgb. Punto. Ma l'avvocato ha già annunciato una battaglia legale presentando ricorso in appello in un tribunale di San Pietroburgo. “Agente straniero” ai tempi dell'Urss era sinonimo di spia: significava fucilazione o deportazione nei gulag. Le “Madri dei soldati” devono soppor- tare questa definizione che grava sulle loro spalle; finire nel mirino dello ‘zar Putin’ può voler dire avere seri problemi con la giustizia anche in prima persona: è successo alla leader delle “Madri dei soldati” di Budyonnovsk, la 73enne Lyudmila Bogatenkova, arrestata per frode a ottobre e costretta dietro le sbarre per due notti a dispetto dell'età avanzata e nonostante soffra di diabete. Questa donna qualche settimana prima aveva denunciato che undici militari russi dichiarati ufficialmente morti in esercitazioni al confine con il martoriato sud-est ucraino, erano in realtà stati uccisi proprio in Ucraina. E si tratta solo di una piccola parte delle morti passate sotto silenzio per volere del Cremlino. 14 il Fatto Quotidiano VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 ADDIO A WARREN CLARKE, IL DRUGO DIM DI ARANCIA MECCANICA È morto Warren Clarke, attore britannico conosciuto soprattutto per avere interpretato il drugo Dim in Arancia Meccanica di Stanley Kubrick. Aveva 67 anni ARRESTATO “IL RE DELLE TORTE” GUIDAVA UBRIACO A NEW YORK WARHOL DA RECORD A NEW YORK ASTA DA 153 MILIONI DI DOLLARI Buddy Valastro, il popolare “re delle torte”, è stato arrestato per guida in stato di ebbrezza. È stato fermato mentre percorreva le strade di Manhattan a bordo di una Corvette gialla Asta milionaria da Christie’s. Due opere di Andy Warhol, che rappresentano Elvis Presley e Marlon Brando, sono state aggiudicate per 153 milioni di dollari (122 milioni di euro) SECONDO TEMPO SPETTACOLI.SPORT.IDEE Se vince il cattivo è meglio DA “HOUSE OF CARDS” A “TRUE DETECTIVE”: NESSUNA REDENZIONE, NÉ LIETO FINE: IL SEGRETO DELLE GRANDI SERIE TV USA N di Andrea Scanzi on è soltanto la qualità di recitazioni e sceneggiature a spiegare il successo delle serie tivù. C’è anche lo sdoganamento definitivo, talora quasi ostentato, del politicamente scorretto. In Italia, fatte salve lodevoli eccezioni come Romanzo Criminale e Gomorra, impera ancora la fiction buonista: la storia edificante, tanto improbabile quanto rassicurante. Negli Stati Uniti, e non solo lì, al centro della scena c’è invece il cattivo così respingente da risultare fatalmente affascinante. L’esempio più facile è House of Cards, che il presidente del Consiglio ha detto di utilizzare quasi come vademecum strategico (non un bel segnale per l’Italia: il protagonista, Frank Underwood, è una carogna senza pari). CI SONO PERÒ tanti altri casi. In primo luogo, la serie tivù – quella migliore – ha saputo giocare da sempre sul chiaroscuro: sul buono che non lo è mai fino in fondo, sul cattivo che non lo è mai interamente. Sin da Twin Peaks, apripista della nuova narrazione sul piccolo schermo, è il dubbio a caratterizzare la storia. La sfumatura, il non detto. A colpire lo spettatore non sono tanto i personaggi manifestamente positivi, quanto chi è sfaccettato e possibilmente inquietante. Di Lost, altra serie-mito, amma- liava più di tutti l’ineffabile Ben LiKevin Spacey nus, capace di passare dal gesto più e Robin Wright, atroce all’apertura meno prevediFrank e Clair bile. Non è soltanto il fascino del Underwood, male, quanto la capacità di racconprotagonisti di tare – avvincendo, creando dipen- “House Of Cards”. denza, alimentando l’immedesiSotto, Martin mazione – l’ineluttabilità della imHart e Matthew moralità latente. L’errore quotidiaMcConaughey no, l’inciampo esistenziale. La tendi “True tazione, la corruzione: la naturale Detective” LaPresse corruttibilità dell’animo umano, che conduce allo sbaglio destiCONFRONTI nato a macerarti in eterno. Fino a trasforIn Italia, tolti “Romanzo mare il personaggio in una “gramigna umacriminale”e“Gomorra”, na” che uccide tutto impera la fiction buonista: ciò che tocca, anzitutto ciò che più ha di caro. la storia edificante, Quel che accade a Jack Bauer, protagonista di tanto improbabile 24 (nove stagioni), che quanto rassicurante ha coinciso con un ulteriore innalzamento dell’asticella qualitativa. Col passare degli anni la serie è diventata sempre meno autoconclusiva (CSI, Dottor House) e sempre più profetica. In grado non solo di raccontare, ma anche di prevedere la realtà: quando in 24 comparve un presidente di colore sembrò un azzardo, poi però Barack Obama è stato eletto davvero. Oggi la serie tivù si configura come un mega-romanzo a puntate, con l’ambizione neanche troppo latente Anarchy). Sono racconti impietosi, dell’epica. Ulteriori step hanno che eternano un presente irrimecoinciso con l’arrivo di serie spesso diabilmente compromesso e natupartite in sordina e divenute giu- ralmente apocalittico, con pochi stamente di culto. In molte di esse martiri e troppi carnefici (talora infatichi a trovare personaggi mini- consapevoli). A salvarli, e neanche mamente edificanti, a meno che sempre, antieroi scarsamente connon sia da ritenersi lodevole il per- vinti che la redenzione sia possibile: sonaggio che ha ucciso “soltanto” non c’erano eroi in Revolution, evatre persone a fronte della media di porata dopo due stagioni, se non 20 dei compari (The Shield, Sons of qualche sopravvissuto fatalmente incarognito da un black-out definitivo che – più che togliere luce – aveva spento il senso della morale sul pianeta Terra. Il collante, anche lì, non era tanto la trama quanto le costanti macerazioni del cattivo (con risvolti buoni) Sebastian “Bass” Monroe e del buono (con propaggini efferate) Miles Matheson. Talora gli Stati Uniti si guardano alle spalle, pure in quel caso per ribadire che il male è irredimibile: nessuno si salva in Heel on Wheels, saga sulla nascita della ferrovia dopo la Guerra di Secessione. Il peccato c’era anche allora, c’è sempre stato e sempre ci sarà. La serie tivù è uno specchio che mostra il marcio: indugia su di esso con sapienza e sadismo. Chi ancora coltiva un barlume di disillusione YOUTUBE MUSIC KEY Streaming, arriva la corazzata di Google di Diletta Parlangeli S aranno giorni lunghi per tutti. Per YouTube, che si appresta a lanciare il tanto atteso servizio di streaming musicale a pagamento, e per Spotify, Deezer e gli altri concorrenti sul mercato, che da lunedì si troveranno davanti un nuovo (e colossale) competitor. YouTube Music Key sarà disponibile nella sua prima edizione (si può fare richiesta già adesso via mail) dalla prossima settimana in Finlandia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna e Stati Uniti, gratuito per i primi sei mesi (ed ecco qua la prima stangata agli altri) e a seguire, per un periodo, in offerta a 7.99 euro (ed ecco la seconda). Sarà attivo subito su web e Android, poi arriverà la versione iOs (non ancora pervenuta quella per Windows Phone) e consentirà di usufruire di musica in alta definizione senza interruzioni pubblicitarie e anche in background (cioè con la riproduzione che continua anche una volta usciti dall’app). Volendo scaricare i brani, questi saranno disponibili anche senza connessione internet (come la sincronizzazione degli altri servizi streaming). Nel pacchetto lancio, come non fosse abbastanza la gratuità prima, e lo sconto rispetto agli altri abbonamenti – che costano in genere 9.99 al mese – YouTube mette nel paniere anche l’accesso illimitato a Google Play Music, un archivio da 30 milioni di brani. Intanto, la piattaforma ha già lanciato il restyling su web e app. IL PERCORSO che ha portato a Music Key è stato lungo e travagliato, fatto di divergenze interne, di opinioni discordanti su come renderlo un servizio migliore, e di battaglie con artisti ed etichette. Il Financial Times qualche giorno fa aveva dato notizia del raggiunto accordo con gli indipendenti della Merlin, agenzia che rappresenta migliaia di etichette, e che si era rifiutata in precedenza di offrire il suo catalogo. Questo, secon- do la testata, era il chiaro segnale che il lancio del servizio fosse alle porte. Restano molti i dettagli e le rogne da risolvere. Lo streaming in generale tutto, che vede artisti opporsi strenuamente (recentemente la pop star Taylor Swift) agli abbonamenti tutto-illimitato, e quello di YouTube, che vedrà ancor di più alcuni di loro segnalare la rimozione di contenuti coperti da diritto (se non scelgono, invece, di monetizzare). tenera è fuorimoda e viene stoppato dopo tre stagioni: chiedere agli autori del lodevole Longmire, silenziati dalla produzione perché l’opera piaceva agli over 45 ma non ai più giovani e dunque era poco vendibile. I capolavori più manifesti degli ultimi anni sono stati Homeland, True Detective, Breaking Bad e Rectify. Cosa li caratterizza? Il livello sovrumano degli attori, la qualità rara della scrittura. E la sostanziale assenza di anime salve. Ogni redenzione è negata, come pure ogni catarsi. La tivù ha regalato poche figure strepitose come il supremo Heisenberg di Breaking Bad, eppure era un produttore di metanfetamine divenuto strada facendo omicida. Mica un santo, mica un eroe. Sfiorano forse la rettitudine gli amici-nemici della prima stagione di True Detective, saga-blues con i magistrali Matthew McCounaghey e Woody Harrelson, ma le loro sono vite impietosamente prossime al calvario. La serie, ancor più se ispirata, è nichilista e impietosa: spietatamente realista e lucidamente pessimista. NON ADDOLCISCE, ma infierisce. Sparge sale sulle ferite. L’happy end è un anacronismo neanche concepito. E l’ultima puntata non regala necessariamente risposte. Il protagonista di Rectify è innocente o colpevole? Il sergente Brody di Homeland era una spia del terrorismo islamico o (anche e soprattutto) una vittima della vita, destinato a sacrificarla per inseguire uno scampolo di perdono? Impossibile e neanche così importante saperlo, perché è proprio il dubbio inquietante l’architrave della serie tivù. Epica post-contemporanea, tanto irresistibile quanto tremenda. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano Corruzione Mondiale La Fifa si è autoassolta L a Fifa ha confezionato il perfetto paradosso di Protagora, quello per cui qualunque sia l’esito della sentenza l’imputato ne esce vincitore. Il rapporto della commissione giudicante del Comitato Etico della Fifa, firmato dal presidente Hans-Joachim Eckert, in 42 pagine sostiene che non c’è stata “nessuna irregolarità nel processo di assegnazione dei Mondiali di calcio del 2018 alla Russia e del 2022 al Qatar”. C’era da aspettarselo, dato che controllore e controllato fanno parte della stessa Fifa, una multinazionale i cui ricavi superano 1,5 miliardi l’anno. IL COMITATO Etico ha infatti prodotto ieri il suo personale riassunto dell’inchiesta interna affidata tre anni fa all’avvocato newyorchese Michael Garcia, che a luglio ha depositato oltre 200 mila pagine di documenti e allegati che provavano corruzione, tangenti, fondi neri e pagamenti occulti a famigliari dei membri dell’organizzazione. Personale riassunto perché l’inchiesta di Garcia non sarà mai resa pubblica “per motivi legali”, e la stessa Fifa ha confermato che, semmai in futuro sulla base di questa inchiesta saranno presi provvedimenti disciplinari, nemmeno questi saranno resi pubblici. Personale riassunto anche perché tali conclusioni sono in netto contrasto con quello che ha trovato Garcia in questi tre anni, e infatti lo stesso Garcia dopo aver letto il rapporto della commissione ha dichiarato senza mez- di Fausto Nicastro opo quasi un anno la guerra è finita. Amazon e HaD chette hanno annunciato di aver trovato un accordo per il contratto di distribuzione di libri cartacei e eBook. Si tratta di un contratto pluriennale ma i dettagli economici dell’intesa non sono stati ancora rivelati. Era stato proprio il prezzo dei volumi editi dal colosso francese a scatenare lo scontro, prima riservato e poi reso pubblico a colpi di mailbombing. Amazon aveva chiesto ad Hachette di abbassare i prezzi dei suoi cataloghi a 9,99 dollari e al rifiuto della casa editrice francese aveva cominciato a boicottare i suoi prodotti rallentando le consegne e rifiutando preordini e sconti sui titoli dei suoi autori. zi termini: “Questo riassunto dell’inchiesta da me condotta è sicuramente incompleto, e contiene diverse interpretazioni errate sia a livello dei fatti sia delle conclusioni”. Quello che ha concesso la Fifa nelle sue 42 pagine per giustificare il terremoto successivo alla sera del 2 dicembre 2010 – quando contro ogni pronostico l’organizzazione della Coppa del mondo del 2018 e 2022 fu assegnata rispettivamente a Russia e Qatar – è che sì ci sono stati diversi episodi di corruzione intorno IN PIÙ, la società di Jeff Bezos SCONFESSIONE L’avvocato Michael Garcia: “Il riassunto della mia indagine è incompleto, contiene interpretazioni e conclusioni errate” alla faccenda, ma tutti messi in atto per interessi personali, alla ricerca di una candidatura o di una rielezione, e che nessuno di questi episodi abbia mai sfiorato la votazione in sé. Eppure, a luglio il Sunday Times, pochi giorni dopo che l’inchiesta di Garcia fu depositata, aveva scritto di “essere in possesso di centinaia di milioni di documenti segreti, tra email, lettere e trasferimenti bancari”. Documenti che dimostravano che l’ex vicepresidente della Fifa (ex delegato Fifa per il Qatar 15 L’ACCORDO Amazon-Hachette fine della guerra dei libri IL COMITATO ETICO RIDUCE 200 MILA PAGINE DI INCHIESTA INTERNA IN UN COMUNICATO DI SOLE 42 PER STABILIRE: “NESSUNA IRREGOLARITÀ NELL’ASSEGNAZIONE A QATAR E RUSSIA” di Luca Pisapia VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 NEL DESERTO I lavori di costruzione di uno degli stadi per il Mondiale 2022 in Qatar. Sopra, Joseph Blatter, presidente Fifa LaPresse/Ansa e ed ex boss della federazione asiatica) Mohamed Bin Hammam avesse pagato mazzette per oltre 5 milioni di dollari, soprattutto a votanti africani, per fare vincere il Qatar nell’assemblea del 2010. LO STESSO Bin Hammam che nel 2011 è stato a costretto a dimettersi da ogni incarico alla Fifa, senza alcuna condanna, così come il suo omologo Jack Warner, anche lui tirato in ballo dal Sunday Times. Warner, potentissimo boss del calcio centro e nord americano, da sempre un bacino di voti di inestimabile valore, è un caso emblematico su cui pendono diverse inchieste: dalla costruzione di alberghi, campi di calcio e infrastrutture che poi ospitano remunerative competizioni sotto l’egida Fifa, alla gestione della vendita dei biglietti per i mondiali di calcio, fino a un’indagine del Fbi proprio sulla corruzione nel voto che ha assegnato il Mondiale al Qatar. Ma Warner è anche il delegato Fifa che promise, in aveva diramato un comunicato con il quale invitava i clienti a tempestare la mail personale dell’amministratore delegato di Hachette, Michael Pietsch, per convincerlo ad abbassare i prezzi. A difesa dei francesi si erano schierati novecento scrittori che denunciavano il comportamento di Amazon con una lettera aperta pubblicata sul New York Times, invitando i lettori a rispondere all’attacco di mailbombing all’indirizzo di Jeff Bozes. Ma l’approssimarsi del Natale scalda i cuori e soprattutto il portafoglio dei grandi impresari: “Siamo soddisfatti della nuova intesa che include specifici incentivi finanziari per Hachette per far scendere i prezzi, cosa che riteniamo una vittoria sia per i lettori sia per gli autori” ha detto il manager di Amazon, David Naggar. Soddisfatto, forse di più, anche Pietsch, perché dalle uniche indiscrezioni che trapelano pare che sia riuscito a strappare una maggiore autonomia sul prezzo degli ebook. cambio di remunerative sovvenzioni al calcio caraibico (ovvero a lui) di far convergere i voti delle federazioni centro e nord americane sull’Inghilterra, salvo poi all’ultimo passare al miglior offerente: il Qatar. E proprio il rapporto del Comitato Etico della Fifa diffuso ieri, nell’assolvere le federazioni di Russia e Qatar, ammonisce invece per i suoi rapporti con Warner quella inglese, la grande sconfitta e quindi più battagliera nella lotta al Qatar, che si ritrova oggi cornuta e mazziata. Da questo processo, o meglio da questo riassunto dell’inchiesta contestato in primis da quello stesso Garcia che le indagini ha condotto, esce ovviamente pulito e profumato anche Sepp Blatter: il padre padrone della Fifa che all’alba degli ottant’anni prepara la rielezione al quinto mandato consecutivo. D’altronde il paradosso di Protagora era chiaro fin dall’inizio, qualunque fosse stata la sentenza lui ne sarebbe uscito innocente. Twitter @ellepuntopi CADUTA STELLE Il contrappasso di don Fabio, macchina da soldi senza stipendio di Paolo Ziliani l più pagato e il meno pagato: quando si dice la legge del conI trappasso. Tempi duri per Fabio Ca- nendo sotto inchiesta alla Procura di Como per concorso in abuso d’ufficio e falso (3 mesi patteggiati); o come nel 2008, quando la Procura di Torino lo indagò per un’evasione fiscale da 16 milioni condannandolo a pagarne 5 tra imposte dovute e sanzioni accessorie. Che s’era inventato Fabio Massimo? Tenetevi forte. Ai tempi della Roma aveva convinto il presidente Sensi a corrispondere alla “Sport 3000”, società creata da Capello in Lussemburgo, 4,8 milioni per l’acquisto di casse di profumo “Fabio Capello”, sciarpe, foulard e altri articoli griffati Don Fabio. Profumi e gadget, inutile dirlo, rimasti a marcire nelle cantine della sede della Roma. “Sono al limite della sopportazione: non so pello, 68 anni, una vita nel calcio prima come giocatore (Roma, Juventus, Milan e Nazionale), poi come allenatore (Milan, Real Madrid, Roma, Juventus), infine come ct (Inghilterra e Russia). Per dirla alla Veltroni, Fabio Capello è oggi il ct più pagato “ma anche” il meno pagato del mondo. A dispetto dei 9 milioni netti l’anno che la Federazione russa si è impegnata a corrispondergli fino al 2018, da 5 mesi il tecnico non vede il becco di un euro: “Non abbiamo i soldi per onorare il contratto”, ha ammesso papale papale il dirigente federale Stephasyn. Ohibò! E dire che IL DECLINO questa volta Capello aveva fatto le cose per Capello ha vinto, benino: ad esempio trasferendosi e trascorrenguadagnato e investito do gran parte dell’anno molto, ma negli ultimi a Mosca per pagare le tasse in Russia ed evi10-12 anni, nonostante tare i guai in cui incorse nel ’99 quando s’invensquadroni e fuoriclasse, tò una residenza fittizia ha collezionato solo fiaschi a Campione d’Italia fi- fino a quando potrò andare avanti”, si IL MISTER è sfogato Capello, che domani andrà A fianco, comunque regolarmente in panchina Capello con la in Austria-Russia (qualificazioni euNazionale ropee). Anche se non lo pagano, un russa. Sotto, ai piatto di minestra il ct può sempre tempi della permetterselo se è vero che nel 2005, Juve LaPresse con 7,6 milioni di euro, era il 36° contribuente più facoltoso d’Italia, ben piazzato tra il banchiere Profumo e sposta è semplice: dopo il deprimente Luca di Montezemolo, mica due Pi- Mondiale in Brasile, con Fabio in panripicchio. ca e la Russia eliminata al pronti-via incapace di battere non solo il Belgio, QUEL Fabio Capello che un po’ pensa ma anche Algeria e Corea del Sud, a al pallone, un po’ al denaro e prima Mosca hanno il terrore che sia lui a fonda la holding “F.C. 1992” – la pri- guidare la Russia anche nel Campioma cassaforte di famiglia –, holding nato del mondo che si terrà fra 4 anni che nel 2001 si fonde con la “Fingio- in casa, andando magari incontro al 3° chi” di Enrico Preziosi, presidente del flop mondiale dopo il naufragio con Genoa e boss della Giochi l’Inghilterra a Sudafrica 2010 e quello Preziosi; fino ad arrivare al- con la Russia a Brasile 2014. Guerra di la genialata della “Sport nervi, dunque, con i russi che sognano 3000” delle mitiche boccette un Capello che getta la spugna e se ne “Eau de Parfum” griffate va, magari accontentandosi di una peMascellone e pagate nei pa- nale lontana dai 72 milioni (lordi) che radisi fiscali del Lussembur- da qui al 2018 la Federazione dovrebbe corrispondergli. go. Ma la domanda è: perché i Una cosa è certa: Capello non è esatrussi non pagano Capello e tamente il Cristiano Ronaldo delle anzi lo mettono in difficoltà panchine. A dispetto dei grandi club e spesando i suoi collaborato- dei grandi fuoriclasse allenati, di lui si ri (Panucci, Neri) e facen- ricordano infatti – negli ultimi 10-12 dogli il vuoto attorno? La ri- anni – fiaschi clamorosi. Nel 2005 e nel 2006, alla guida di una delle Juventus più forti di sempre, venne eliminato in Champions nei quarti dal Liverpool e l’anno dopo dall’Arsenal dopo partite orride, senza un tiro in porta e un’azione decente. Nel 2007, alla guida di un Real Madrid che aveva acquistato Van Nistelrooij e Higuain, Marcelo e Diarra, Reyes e Cannavaro, Capello riuscì a far peggio buscando negli ottavi da un Bayern in formato ridotto, con Makaay e Podolski in attacco e il vecchio Kahn in porta. Giocava talmente male, il Real di Capello, che dopo una stagione all’insegna della “panolade” di protesta dei centomila del Bernabeu – e a dispetto del titolo vinto per differenza-reti sul Barcellona –, all’indomani del dì di festa il tecnico venne licenziato in tronco. E insomma: chi vincerà l’estenuante braccio di ferro? Putin o Capello? Le scommesse sono aperte. Come si dice in questi casi: cherchez l’argent! 16 SECONDO TEMPO VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 il Fatto Quotidiano MASTERIZZATI ANNIVERSARIO Vent’anni di “Foos” città per città “SONIC HIGHWAYS”, I FOO FIGHTERS SI CELEBRANO GIRANDO GLI STATI UNITI REGISTRANDO CANZONI di Pasquale Rinaldis O gni città ha un suono e ogni suono ha la sua storia”. È il pensiero che ha ispirato Dave Grohl nel concepire Sonic Highways, il nuovo lavoro dei Foo Fighters, l’ottavo registrato in studio e prodotto sotto la supervisione di Butch Vig, colui che portò al successo planetario i Nirvana. Si tratta di un evento speciale: la band fondata dall’ex batterista, nel 2015 festeggerà i primi vent’anni di vita. Un anniversario che i Foos commemorano, oltreché con un nuovo disco, anche con la realizzazione di un documentario che mostra l’odissea vissuta dal gruppo nella produzione del nuovo album. Nel corso del 2013, una troupe del canale televisivo HBO ha accompagnato in 8 città americane, considerate capi- tali della musica rock mondiale, la band durante le registrazioni dei nuovi brani, dando vita a una serie tv, con la regia dello stesso Dave Grohl e suddivisa in 8 puntate. Come il numero dei brani che compongono Sonic Highways. Si parte da Chicago, la culla del jazz e del blues, ma anche la città di Buddy Guy, leggenda vivente dell’Electric Blues americano che qui possiede un rinomato bar. È di lui che parla Something from Nothing, il pezzo d’apertura che è forse il migliore delle 8 tracce. Il verso “A button on a string, and I heard everything” rievoca il passato del chitarrista, quando era solo un povero ragazzo di colore squattrinato, che dalla corda di una chitarra, toccandola, poteva sentire ogni cosa. Da Chicago, i Foos volano a Washington D.C. per incidere The Feast and the Famine, brano LA BAND Anni Sessanta in salsa garage suonato in classico stile Foos, il cui testo si rifà alle sommosse che seguirono all’assassinio di Martin Luther King. Mentre a Nashville, luogo eletto da Elvis Presley come base artistico-compositiva, i Foo Fighters incidono Congregation. È da questo brano che si capisce che Sonic Highways, nonostante sia stato declamato come “una dichiarazione d’amore alla musica americana” in fatto di stile non si discosta di un millimetro dalle passate produzioni. DEL RESTO, l’aveva detto Grohl che “queste città e queste persone ci hanno portati ad allargare i nostri orizzonti e a esplorare nuovi territori musicali, ma senza farci perdere il nostro sound”. Dalla City of Music, i Foos sbarcano a Austin per incidere What Did I Do? God as my Witness, brano diviso in due parti che richia- di P. Ri. Dave Grohl, ex Nirvana, leader dei Foo Fighters LaPresse ma il sound delle prime band alternative rock degli 80s, a cui da sempre i Foos strizzano l’occhio. Dal Texas si giunge a Los Angeles per registrare il quinto brano del disco, Outside, con il contributo di Joe Walsh degli Eagles, che però risulta quasi irrilevante. A New Orleans viene incisa In the clear, costruita secondo i canoni stilistici che oggi vanno per la maggiore, a cui seguono due brani che rialzano il livello: Subterranean, il più intimista dell’album, registrato nella patria del Grunge, Seattle, do- IL CANTAUTORE Luca Sapio Label GMG/Goodfellas DI QUESTI tempi bisogna provarle un po’ tutte. Se non proprio per avere successo, almeno per sperimentare linguaggi inediti. In questo senso l’idea venuta agli WOW, quartetto romano con diramazioni liguri e francesi, è stimolante anche se non del tutto nuova (si pensi ai Baustelle, per esempio): abbinare le atmosfere del pop italiano degli Anni Sessanta –Sanremo e dintorni, ma non solo –a un approccio sonoro più moderno e “muscolare”, figlio anche del loro recente passato di band garage-punk. Da un lato Mina, Patty Pravo, Nada (si ascolti bene l’attacco della strofa de Il vento), le costruzioni orchestrali di Armando Trovajoli e Gian Franco Reverberi; dall’altro ammiccamenti psichedelici, chitarre decise e un piglio che può suscitare analogie con le esplorazioni retro-futuriste di band come Saint Etienne, Stereolab e persino certi Belle & Sebastian. Anche i testi e i titoli delle canzoni di Amore – Non sarà un addio, Mia cara Lu, Sospiro – si prestano alle regole di un gioco che non sappiamo quanto può durare, ma che per ora risulta godibilissimo e rinfrescante. C. Bord. ONDANUOVA 1© Franco Micalizzi New music C’È STATO un tempo in cui un genio del tanto vituperato genere musicale “easy listening” pubblicava anche due/tre dischi all’anno con le cover delle hit di successo con protagonista assoluto il sax. L’artista era Fausto Papetti, da molti ricordato soprattutto per le sue copertine maliziose a base di donne nude. Ondanuova 1, probabile capitolo di una trilogia, segue questo concept affidando al trombettista Fabrizio Bosso il compito di rivitalizzare – in chiave jazz moderna – un repertorio di tracce funky, bossanova piene di contaminazione. È un disco terribilmente allegro, contagioso, sprizzante di energia; reale istantanea di uno stato di grazia del compositore Franco Micalizzi, autore di Lo chiamavano Trinità, Italia a mano armata e di tutto il genere pulp music. Oltre a Bosso suonano Jeff Lorber, Eric Marienthal e Jimmy Haslip insieme al figlio di Micalizzi, Cristiano (supervisore del disco). Si ascolta tutto d’un fiato immersi in una magia senza tempo, fenomeno raro. Guido Biondi SOUL EVERYDAY IS GONNA BE THE DAY © Amore 42 Records Bossanova e funky per essere allegri ve tutto ebbe inizio. Il testo, infatti, è ispirato alla fine dei Nirvana: “Seattle è la città in cui la mia vita è cambiata con i Nirvana e si è completata con i Foo Fighters. Qui ci sono gli studi che hanno ospitato l’ultima registrazione dei Nirvana, poco tempo dopo Kurt morì. Subterranean parla proprio di questo”, ha spiegato Grohl. Chiude I am a River, pezzo dalle atmosfere psichedeliche ed evocative, della lunghezza di sette minuti, inciso a New York, la tappa finale della serie tv e anche del disco. Damien suona Dimenticate il cuore a pezzi che è italiano WOW © PULP Pfm, cinque live per un ritorno LUCA Sapio è uno serio. Voce calda, live precisi e pieni di “sorrow”: perché il soul di quella si ciba, e lui è un vero soul man. Dimenticare che sia italiano – nome a parte – non è difficile. Il suo “Everyday is gonna be the day”, a due anni dal primo “Who Knows”, convince ancora di più, e ha proprio il sapore di un club d’Oltreoceano. Sarà che al cantautore l’attitudine giramondo non manca – ne ha fatte tante in Usa, e non solo per conoscere il suo produttore e arrangiatore Thomas “TNT” Brenneck (Bradley, Winehouse, Mary J. Blige...) – sarà un po’ che ha sempre il ragionamento lucido e lo sguardo concentrato (che Caporilli ha ben raccontato nello scatto). Il disco è registrato tutto dal vivo e in analogico, al fianco della sua band The Dark Shadows. So soul. Diletta Parlangeli MY FAVOURITE FADED FANTASY © Damien Rice Atlantic RIASCOLTARE il falsetto strozzato e suadente di Damien Rice fa un certo effetto. Cosa abbia fatto in tutti questi anni di pausa creativa – otto dall’ultimo album 9, a sua volta successivo di quattro anni all’acclamatissimo esordio O – non è dato sapere. Forse è andato a letto presto, molto più probabilmente ha attraversato qualche tracollo sentimentale (uno di sicuro, quello con la ex compagna in musica e nella vita Lisa Hannigan). Le canzoni di Rice in fondo hanno sempre girato intorno alla complessità a volte insormontabile dei rapporti tra uomo e donna, ma a quarant’anni compiuti le sue riflessioni hanno assunto un dolente e spietato tono di realismo (am I the greatest bastard, chiede a una ignota interlocutrice a un certo punto) e contemporaneamente perso un po’ di quella patina letteraria che le avvolgeva in precedenza. Quella che non è cambiata è la raffinatezza estrema della scrittura e degli arrangiamenti: raramente il suono di un cuore spezzato è sembrato così elegante, intenso e armonioso. Carlo Bordone A DISTANZA di 43 anni dall’esordio, la Premiata Forneria Marconi ritorna con una collana di cinque “nuovi” album dal vivo, sotto il titolo unico Il suono del tempo. Una serie di concerti “filologici” nei quali la PFM esegue le intere track list dei primi cinque dischi, con i quali guadagnò il titolo di band rock italiana per eccellenza. Già, perché l’unica volta che il rock italiano ha ricevuto attenzione dall’estero che conta – non il Sudamerica o la Germania dunque, bensì Stati Uniti e Regno Unito –, è stato a metà degli Anni 70, grazie all’ascesa della PFM, sigla coniata per facilitarne la pronuncia agli stranieri. È questo il periodo in cui l’utilizzo del Moog, strumento in grado di produrre uno straordinario assortimento di suoni, vive gli anni d’oro. Grazie soprattutto al lavoro di ricerca di artisti d’avanguardia, dai minimalisti ai gruppi rock inglesi come Genesis, Emerson Lake & Palmer o Moody Blues, che ne sperimentano le potenzialità allargandone gli orizzonti. La Premiata Forneria Marconi si inserisce perfettamente in questo filone che verrà in seguito etichettato come “Progressive”, e già con la prima uscita discografica, avvenuta nel novembre del 1971, riesce a imporsi all’attenzione di pubblico e critica. I nuovi cinque album dal vivo, oltreché rinfrescare la memoria di chi s’ostina a ripetere che il rock in Italia “non ha mai avuto cittadinanza”, celebrano anche il quarantennale de L’Isola di niente, disco che venne pubblicato all’estero sotto il titolo The World Became The World. La nuova versione, a cui è stato dato il titolo Un’Isola, contiene anche il brano Via Lumiere che non era mai stato eseguito dal vivo prima d’ora. JAZZ Il piano è buono Non serve stupire SELDOM © Alessandro Lanzoni Cam Jazz/Goodfellas IN DIALOGO da sempre col pianoforte, a esplorarne tutte le possibilità ha imparato da bambino giocando con i tasti di quello di casa. Alessandro Lanzoni, poco più di vent'anni e alle spalle già un'esperienza da far invidia a un decano. Premi prestigiosi, incontri con Konitz, Ares Tavolazzi, Roberto Gatto, e collaborazioni stabili con i grandi nomi del jazz internazionale, dal “New Blood” di Aldo Romano al gruppo del chitarrista Kurt Rosenwinkel – ha appena concluso una tre giorni in Spagna –, e un trio tutto italiano a suo nome. A chi lo racconta come enfant prodige risponde con una scrollata di spalle: “L'obiettivo primario di un vero musicista sia comu- nicare e non stupire”. Con “Seldom” – in uscita il 18 novembre – lo riafferma. E si ritaglia un posto di primo piano nel panorama jazz italiano. E non solo. Alla guida del suo trio – Matteo Bortone (contrabbasso), Enrico Morello (batteria) – incontra la tromba di Ralph Alessi. Al centro la sua musica. Sparito l'eco degli standard di “Dark Flavour” (Cam 2013) Lanzoni si concentra sulla scrittura. Firma 5 dei 9 brani del disco (Wine and blood, Big band, Yuca, Composition, Zapatoca) e band-leader sicuro guida senza imporsi, cede spazio, accetta il confronto. Passa il comando al contrabbasso di Bortone (Tri_Angle è a firma sua) per poi aprirsi all'improvvisazione con Alessi. “Horizonte”, “Maleta”, “Blue Tale” momenti di pura poesia. Paolo Odello SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 17 LAEFFE “Come il sesso ha cambiato il mondo”, ogni giovedì sera SKY ARTE IL PEGGIO DELLA DIRETTA Da Goya a Rothko, anche l’arte ha i suoi misteri di Patrizia Simonetti imitero di Bordeaux, 16 noC vembre 1888. Sette uomini, tra cui un funzionario di polizia e un console spagnolo, aprono una tomba per riportare in patria il corpo che contiene, ma manca la testa, così non sapendo cosa fare richiudono e se ne vanno senza rivelare la macabra scoperta. 11 anni dopo il ministro spagnolo Luis Pidal ripete l’operazione e stavolta quei resti, per quanto incompleti, in Spagna ci tornano. Sono quelli di Francisco Goya, ora sepolto a Madrid sotto un suo affresco nella Chiesa di San Antonio de la Florida, al posto del cranio una pergamena che ne attesta la scomparsa; eppure quel cranio è il soggetto di un dipinto a olio firmato cinquant’anni prima dal pittore Dionisio Fierros, ma di cui si ha notizia solo nel 1928. DOPO I MISTERI italiani Carlo Lu- carelli perde la testa, è il caso di dirlo, per quelli dell’arte, così ne sceglie 8 e li racconta in altrettante puntate in Muse inquietanti, da lunedì in prima serata su Sky Arte, partendo dalla domanda: chi ha rubato la testa di Goya? E immaginandoli “in una notte senza luna, probabilmente incappucciati come nei suoi disegni” punta il dito su tre uomini che “certo si conoscevano”: Fierros, il ricco e annoiato marchese di San Adrian che firma l’iscrizione sul quadro e il dottor Cubì, tutti ammiratori di Goya e appassionati di frenologia, quella pseudoscienza molto di moda nell’800 che pone rozzamente in relazione qualità mentali e conformazione della testa, che magari dà pure il primo arcaico la alla scienza cognitiva, ma certo genera mostri. Come il sonno della ragione, per citare quella famosa incisione di Goya che la storica dell’arte Francesca Tancini definisce “icona della potenza dell’intelletto contro ignoranza e superstizione”, simbolo di quella sua mutazione, dopo una misteriosa malattia che lo rende sordo, da “pittore del re” luminoso e solare in “pittore del tenebroso e del fantastico, l’incubo di cui scriverà Baudelaire ne I Fiori del male”. Il teschio di Goya ha comunque un triste destino: studiato da Cubì e dipinto da Fierros che lo dimentica in un armadio, finisce per essere riempito di ceci bagnati da suo figlio Nicolas, studente di medicina, ed esplodere, sacrificato in nome della teoria della forza germinatrice. Ma altre inquietanti domande ci attendono, tipo: il pittore Walter Sickert era davvero Jack lo squartatore e l’espressionismo astratto di Pollock, Rothko e Motherwell fu solo un'invenzione della Cia? A Lucarelli l’ardua sentenza. LaEffe, “Sesso e Potere”, un classico come il western di Elisabetta Ambrosi osa sarebbe successo se la relazioC ne segreta del ventinovesimo presidente degli Stati Uniti Warren Har- ding con la sua amante Nan Britton fosse venuto a galla? O se la storia di John Kennedy con la presunta spia tedesca Ellen Rometsch non fosse stata frettolosamente insabbiata? Tenta di spiegarcelo la serie di documentari in onda ogni giovedì sera su LaEffe, Come il sesso ha cambiato il mondo (anche su canale 50 del digitale terrestre e 139 di Sky). Dieci puntate dai titoli accattivanti – come Sesso e potere, Passioni pericolose, I pionieri del proibito, Esperimento a Luci Rosse, Sesso in Trincea, I piaceri dell’occulto – con l’idea di “procedere a zig zag tra le pagine della storia saltando le pagine noiose e andando dritti alla storia forte”. Si parte, nella prima puntata, con la storia del “cane affascinante” Warren G. Harding, che mise incinta la sua amante sul divano del suo ufficio al Senato. Mentre sullo schermo passano le immagini del volto macho del presidente americano, accompagnate da eloquenti sintesi del tipo “Mutande infuocate”, esperti e scrittori (non precisamente famosi) raccontano della “condotta scandalosa” di Harding. Il quale, “poiché non poteva andarsene in giro per Washington a fare quello che voleva”, faceva entrare squillo e alcolici direttamente alla Casa Bianca, dove consumava i suoi amplessi nello sgabuzzino delle scope (mostrato con tanto di grafica di cuoricini pulsanti sovrimposta). SEGUE LA STORIA del sultano del Brunei, “il gran magnaccia”, “uno dei casi più sorprendenti di confluenza di sesso e potere”, e di suo fratello, anche loro riprovevoli perché, sempre parola di esperto, “quando hai così tanti soldi hai anche la possibilità di comportarti male” (ma per fortuna a un certo punto il sultano viene beccato e “la festa finisce”). È la volta del giro di squillo a parlamentari e senatori dell’era Kennedy, mentre la chiusura è dedicata alla “macchina del sesso Grigorij Rasputin” e alla presunta vicenda del suo pene lungo 33 centimetri, messo sotto spirito post mortem. Gli ascolti di mercoledì CHI L'HA VISTO? Spettatori 3,39 mln Share 14,9% I CESARONI 6 Spettatori 3,57 mln Share 14,0% Ma cosa si è capito alla fine di questa pruriginosa carrellata, a parte che sesso e potere vanno sempre a braccetto e che se hai potere puoi fare molto sesso (come immaginano i passanti stesi su un lettone e chiamati a dire la loro: “Se fossi la regina del mondo farei sesso con tutti”, “Il presidente Obama me lo farei”)? La dimostrazione che la vita sessuale dei potenti ha scosso i pilastri della storia, quello che invece si vorrebbe sapere, si riduce a domande senza né capo né coda – “Com’è possibile che sia riuscito a cavarsela con tutte quelle donne?” –, a fantomatiche ipotesi storiche in libertà o a affermazioni ovvie presentate come grandi scoperte (“Rasputin è un esempio di come il magnetismo sessuale sia stato usato per scalare le vette del potere politico con enormi implicazioni sulla storia russa”). Per arrivare a provare, alla fine, solo tautologie. E cioè che “niente è più seducente del sesso”, che “per seppellire uno scandalo sessuale ci vuole un altro scandalo sessuale”, ma soprattutto che “il mondo è stato cambiato dalla potente combinazione di sesso e potere”. VELVET Spettatori 3,84 mln Share 14,4% MEN IN BLACK 3 Spettatori 1,81 mln Share 6,89% 18 SECONDO TEMPO VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 il Fatto Quotidiano GIUSTAMENTE OLTRETEVERE Giochi di Curia per sfinire il Papa di Marco Politi ra. Nel ballottaggio contro il poco conosciuto vescovo di Fiesole Mario Meini l’assemblea della Cei ha dato 140 voti a lui e 60 a Forte. P er Francesco si preannuncia una stagione di grandi tensioni. La vecchia guardia curiale, che considera una “rovina per la Chiesa” la sua linea innovatrice, alimenta un’opposizione crescente e delegittimante. “I conservatori sono decisi a vendere cara la pelle”, afferma un assiduo frequentatore del palazzo apostolico. Sono sempre più velenosi, dietro le quinte, i commenti contro il pontefice latino-americano. “Basta con questa teologia da Copacabana”, è uno dei più benevoli. La guerriglia delle voci si diffonde. Dopo il finto allarme del ciellino Antonio Socci, sull’elezione “illegittima” di Francesco sono arrivate misteriose indiscrezioni dal Vaticano su probabili dimissioni del pontefice. Vero è che papa Bergoglio ha fatto capire che, sentendosi un domani nelle stesse condizioni di debolezza fisica di Benedetto XVI, si dimetterebbe anche lui. Falso è che la questione sia attuale. Evocarla è parte della guerra dei nervi contro il Papa in corso in Vaticano. IL CARDINALE Raymond Bur- ke, vessillifero del blocco conservatore, ha gettato con franchezza il guanto di sfida contro Bergoglio. Molti fedeli, ha dichiarato, “sentono un po’ di mal di mare, perché hanno la sensazione che la Chiesa abbia smarrito la sua rotta”. Burke, dopo il Sinodo, è stato rimosso dal Papa dalla carica di prefetto della Corte di Cassazione vaticana (il tribunale della Segnatura Apostolica) e nominato patrono dell’ordine di Malta. Una degradazione evidente. Clamorosa per l’età non avanzata del porporato: 66 anni. Segno che Francesco intende procedere a un rapido ricambio di posizioni in Curia per eliminare il nocciolo duro che gli è ostile. Pochi giorno dopo il Sinodo, che lo ha mostrato in minoranza all’interno della Curia e non sufficientemente appoggiato dai vertici dell’episcopato mondiale, il Papa ha emanato norme che ribadiscono le dimissioni dei vescovi all’età di 75 anni e dichiarano obbligatorie (e non più indicative) quelle dei responsabili di Curia alla stessa scadenza. Scatenando inquietudine tra quanti hanno superato l’età del pensionamento: i cardinali Angelo Amato, prefetto della congregazione per le Cause dei santi, Antonio Maria Vegliò presidente del consiglio per i Migranti, il polacco Zenon Grocholewski prefetto della congregazione per l’Educazione cattolica. In Italia si stanno per liberare due sedi importanti: Palermo e Ferrara (guidata dal cardinale Carlo Caffarra, altro avversario della linea aperturista del pontefice sulle tematiche familiari e sessuali). A Milano, invece, se il cardinale Scola non dovesse ritirarsi prima, la questione della successione sarà in agenda solo fra due anni. TUTTAVIA il metodo principale Papa Francesco Ansa GLI ATTIVISTI Il metodo principale per imbrigliare il riformismo di Bergoglio è creargli attorno una palude di inerzia, plaudendo alle sue parole senza far niente Ma gli avversari della linea papale hanno già lanciato un segnale contro una personalità, che Francesco vedrebbe volentieri alla guida di una diocesi di peso, magari con annesso cappello cardinalizio: il teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti e segretario speciale del Sinodo per volontà papale. Alle elezioni per il posto di vicepresidente della Cei per l’Italia centrale, avvenuta pochi giorni fa, la maggioranza dei vescovi italiani ha impallinato la sua candidatu- per imbrigliare il riformismo del pontefice è creargli attorno una palude di inerzia, plaudendo alle sue parole e non facendo niente. La riforma della Curia, a cui sta lavorando il consiglio dei nove cardinali, si scontra con la passività ostile dei quadri vaticani. La promozione delle donne in posti di responsabilità, dove “si prendono decisioni” (come auspicò il pontefice), non fa un passo avanti. La Cei non ha nemmeno avere preso in considerazione il tema e le stesse donne dei movimenti cattolici non aprono bocca. L’estate scorsa il prefetto della congregazione per i Religiosi, il brasiliano Aviz do Braz, ha pubblicato un documento impegnativo sull’obbligo di una rendicontazione assolutamente trasparente dei beni posseduti dagli ordini religiosi e soprattutto sulla necessità di un loro impiego “al servizio delle tante forme di povertà”. In modo che non siano gestiti – come spesso avviene – con una mentalità imprenditoriale fine a se stessa (per non parlare di casi clamorosi di mala amministrazione). Il documento, segno chiaro della linea di Francesco, non è stato accolto da ondate di entusiasmo e la sua applicazione si preannuncia molto lenta. Cinicamente gli avversari del Papa puntano sul suo logoramento. Processi e giustizia: la lezione della Corea di Bruno Tinti TRA I PROBLEMI che affliggono il nostro Paese c’è il complesso di superiorità. Made in Italy siamo i migliori. Mistificazione bella e buona. Made in Italy per Ferrari, Armani e alcuni marchi di caffè è una cosa; per tutto il resto, in particolare per legislazione e servizi, siamo da sempre gli ultimi della fila. Da ora in avanti, con le riforme di Renzi & C. la discenderemo di altri numerosi gradini. Questo pessimismo mi ha aggredito con forza leggendo una notizia proveniente dalla Sud Corea. Lì, il 14 aprile di quest’anno, c’è stato un disastro navale ancora più spaventoso di quello della Concordia. Il capitano della nave, credo fosse il fratello maggiore del comandante Schettino, se l’era data a gambe per primo, abbandonando tutti i passeggeri; che infatti, in mancanza di operazioni di salvataggio organizzate, sono morti quasi tutti: 304 su 476. E, l’11 novembre, la Corte di Gwangju lo ha condannato a 36 anni di galera; gli è andata ancora bene, il pm aveva chiesto la pena di morte. Nella Patria del Diritto, a quasi tre anni di distanza dal naufragio della Concordia (13/1/2012), il Tribunale di Grosseto sta ancora sentendo testimoni... Che ciò avvenga per pigrizia e incapacità dei giudici mi pare poco probabile. Un po’ perché, se è vero come è vero che la durata media del processo civile italiano è di 8 anni, si dovrebbe concludere che tutti i giudici italiani son no pigri e incapaci; il che mi sembra statisticamente improbabile. Un po’ perché il CEPEJ (Commissione europea per l’Efficienza della Giustizia, istituzione del Consiglio d’Europa) da anni scrive nei suoi rapporti annuali che i giudici italiani sono i più bravi e produttivi d’Europa; Renzi non ha mai letto niente del genere ma, ciò nonostante, questi rapporti esistono. DUNQUE, le ragioni per cui, a Gwangju, Lee Jun-seok (è il nome dello sciagurato capitano) è stato processato in sei mesi e, a Grosseto, ancora non si sa che fine farà Schettino dipendono, con evidenza, da carenze sisten COLPA DI CHI? A sei mesi dal disastro navale del Sewol, il comandante è stato condannato a 36 anni. In Italia stiamo ancora ascoltando i testimoni Francesco Schettino LaPresse miche e non personali. Questa cosa la sanno tutti da decenni; e, da decenni, la classe politica fa finta di non saperlo e si inventa leggi che assicurino l’impunità a loro e ai loro amici e che intimidiscano o vessino i magistrati, che imparino a stare al loro posto, perbacco! In effetti, come tutti capiscono, la prescrizione breve, la non punibilità di fatto del falso in bilancio, l’ordinamento penitenziario che garantisce ai condannati a pene inferiori a 4 anni (dunque a tutti i colpevoli di corruzione, frode fiscale e truffe varie) di non andare in prigione, la responsabilità civile dei magistrati e la riduzione delle loro ferie a 15 giorni scarsi, non sono strumenti particolarmente idonei a ridurre (anche di un solo giorno) la durata dei processi. Di depenalizzazione massiccia dei reati bagatellari, di minima offensività come causa di non punibilità, di riforma delle notifiche, di abolizione di 9 memorie su 10 che gli avvocati civilisti si scambiano, per un totale di 12 mesi che si usano (si sprecano) solo per questo, di abolizione dell’Appello, non si parla affatto. Renzi & C. potrebbero studiare un po’: anche e soprattutto il sistema sudcoreano. Scoprirebbero che, secondo il rapporto Doing business 2014 della Banca mondiale, la Corea del Sud è al settimo posto; e che questa posizione è dovuta all’efficienza dei loro Tribunali. Sempre secondo Doing Business, l’Italia si trova al 65° posto. Alla faccia del Made in Italy e della Patria del Diritto. TESTIMONIANZE “Don Luigi, abbiamo paura”. La lettera dal Messico e l’indifferenza dell’Occidente di Gian Carlo Caselli durata un paio di giorni È l’attenzione dei media per le atrocità dei narcos messicani sostenuti da antiche e robuste complicità dei politici e delle forze di polizia. Martedì scorso, ad esempio, ne parlava solo il Fatto Quotidiano con due interventi di Carlo Antonio Biscotto e Roberta Zunini. La tragica condizione del Messico era stata denunciata con forza da Luigi Ciotti durante le tre giornate romane di “Contromafie” (24-26 ottobre). Non un convegno come tanti. Non una vetrina. COSÌ LONTANO “Ci stanno uccidendo come cani”, hanno scritto 24 ragazzi a don Ciotti. Eppure nessuno sembra preoccuparsi troppo delle stragi dei narcos Piuttosto uno spazio di confronto, studio e approfondimento, animato dalla partecipazione di oltre mille giovani divisi in gruppi di lavoro: così da riunire le migliori sensibilità, competenze ed esperienze sui temi della illegalità, mafia e corruzione in particolare. A conclusione dei lavori, Ciotti ha scandito con indignazione – commossa e vigorosa – passi di una lettera scrittagli alla vigilia di “Contromafie” da alcuni ragazzi messicani. Ecco i principali passaggi: “Ventiquattro giorni fa, 43 giovani studenti di una scuola Normale Rurale sono stati sequestrati e sicuramente assassinati dal cartello di Beltràn Leiva. 43 giovani che si formano come insegnanti. 43 giovani che sognavano di essere diversi e di cambiare la realtà dei poveri più poveri di questo paese (…) Questi 43 giovani segregati e desaparecidos (come si sa, purtroppo tutti uccisi e recentemente ritrovati, ndr) sono stati rapiti dallo Stato mafioso messicano, dallo Stato terrorista messicano (…) Don Luigi, abbiamo paura, siamo per la strada manifestando, però abbiamo paura che ci vengono a prendere quando meno ce lo aspettiamo. Ci stanno uccidendo come cani (…) ci sciolgono nell’acido (…) ci separano dalle nostre madri e dai nostri padri e stanno cercando di annichilirci”. Nel corpo della lettera figurano le riproduzioni di due fotografie di un giovane di 20 anni che chiamavano “chilango”: ripreso in un momento sereno della sua vita e dopo il ritrovamento del corpo in una strada di campagna dove i suoi aguzzini, torturatori assassini, l’avevano gettato, con la faccia distrutta, la pelle e gli occhi staccati. QUESTA fotografia agghiac- ciante rende ancora più drammatica e intensa l’invocazione finale degli autori della lettera: “Don Luigi, fratello e amico, non ci abbandonare, ci sentiamo soli davanti a questi criminali ma- fiosi e a politici mafiosi che usano le polizie e l’esercito per uccidere e sequestrare (…) Ti chiediamo il favore di fare menzione di quanto sta accadendo in Messico. Pensavamo di aver visto tutto, però la situazione è arrivata a livelli drammatici e la comunità internazionale deve sapere, non può chiudere gli occhi”. E allora, come non condividere – nel modo più assoluto – quanto sostiene nel suo articolo Roberta Zunini? Dopo aver ricordato che i narcos messicani “nel 2013 hanno ucciso 16 mila persone e 60.000 tra il 2006 – 2012: un morto ogni mezz’ora in 7 anni”, la Zunini amaramente conclude osservando che “contro i cartelli messicani non si è formata nessuna coalizione di paesi volenterosi. Forse perché non minacciano direttamente le loro sovranità territoriali e hanno corrotto le istituzioni”. È necessario invece che tutti si mobilitino per non abbandonare e lasciare soli nelle mani dei criminali mafiosi i Don Luigi Ciotti Ansa giovani messicani che non vogliono abbassare la testa. Anche l’Europa non può chiudere gli occhi e deve farsi sentire. Il semestre di Presidenza italiana e la titolarità della politica estera europea in capo al ministro Mogherini conferiscono all’Italia responsabilità e poteri che possono e debbono essere utilizzati anche in questa direzione. L’arresto, di cui parla Biscotto, del Sindaco di Iguala e della moglie (su indicazione dei quali la polizia locale consegnò i 43 studenti a una banda di trafficanti), è il segnale che c’è tanto da fare e tanto da camminare, ma si può fare. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano 19 VENERDÌ 14 NOVEMBRE 2014 A DOMANDA RISPONDO Furio Colombo Assieme all’acqua dilaga l’ipocrisia Un ministro grida all’omicidio ambientale dei condoni, ma nessuno ancora chiede conto a Burlando del pauroso dissesto della Liguria. Nel Paese, assieme all’acqua che devasta, dilaga l’ipocrisia. A Taranto accordi “indicibili”, direbbe il compianto D’Ambrosio, hanno coperto gli interessi dei Riva perfino sulla pelle dei bambini; a L’Aquila un’infame scelta politica per tranquillizzare la popolazione in pericolo ha coinvolto scienziati la cui intelligenza avrebbe dovuto saper dire di no a certe strumentalizzazioni; ad Avellino scorie sciolte di amianto si librano nell’aria; a Pietrasanta il tallio avvelena l’acqua potabile, ma certe analisi non sono apparse abbastanza interessanti da essere prese in considerazione a suo tempo, forse a causa del valore commerciale delle zone di villeggiatura e fino al controllo effettuato da una signora a titolo personale. I cittadini sono costretti a tentare di difendersi dallo Stato che dovrebbe proteggerli. Non dimentichiamo che a L’Aquila c’era Bertolaso, creatura di Berlusconi: quanti Bertolaso, di destra o di sinistra, dovremo ancora annoverare innocenti dei disastri d’Italia? Giampiero Buccianti Camusso e Salvini? Si tolga la Fornero Non mi piace la polemica contro il segretario della Cgil Susanna Camusso perché appoggia la Lega sul referendum contro la legge Fornero. La legge è una porcata vergognosa e se qualcuno riesce a farla togliere, che sia la Lega (va ricordato che fu praticamente l’unica che firmò contro in Parlamento) o chiunque altro, è una cosa giusta. In Italia si prendono posizioni in base alla tessera che si ha in tasca (ma an- che senza), si va contro ogni opinione del partito avversario, non si pensa mai con obiettività. Da mesi la Lega raccoglie firme contro questa vergogna, giornali e televisioni di parte opposta l’hanno completamente ignorata. Ora ha raggiunto il numero di firme necessarie per proporla in Parlamento, non passerà ma se c’è anche solo una possibilità, perché ignorarla per partito preso? Questo modo di ragionare è causa di molti dei problemi di questo paese. Monica Stanghellini perseverano in questa lotta al governo solo per conservare il loro potere? Se é così siamo perduti. Roberto Cesari Prima si vince poi si decide La Lega urla nel silenzio degli altri CARO FURIO COLOMBO, di settimana in settimana vedo che la Lega di Salvini, il partito dei peggiori sentimenti e delle proposte sbagliate, guadagna favore nei sondaggi. Perché? Purtroppo nel mondo a rovescio in cui ci troviamo, volenti o nolenti, quello che conta è “vincere”, e quelli che contano sono quelli che “vincono”, per fare cosa, lo decidono sempre dopo. Queste amare riflessioni mi sono state ulteriormente suggerite da Aldo Grasso, la cui attenzione, domenica nove novem- Mimma MI SEMBRA IMPOSSIBILE che in questo Paese il 10 per cento delle persone pensi ciò che dice Salvini. Allora mi viene in mente un’altra ragione: il momento politico che stiamo vivendo e i partiti con cui lo stiamo attraversando. Il momento è difficile. E “le forze politiche” (come amano dire i Tg) non hanno niente di politico, non sono né di qua né di là, non sono né progressisti né conservatori, non sono distinguibili in base a sogni, idee, visioni o anche solo programmi. Stessa visione nulla, stesso futuro vuoto, stessa ripresa del Paese del tutto assente, perché manca per forza fiducia. La parola d’ordine è: “Che nessuno abbia un suo ideale o una sua speranza, altrimenti ci dividiamo e addio riforme”. Fa eccezione, s’intende, un pattuglione di nuovi venuti estranei alla politica. Ma così estranei che, finora, di politica non ne hanno fatta. Salvo poche cose, strane e durissime, contro gli immigrati, che forse non bisognava salvare in mare perché probabili portatori di Ebola. Ma proprio qui, in questa stranezza di gente nuova-antica, che vuole un’altra Italia, ma la vuole chiusa come la Lega, che si trovano tracce del “fascino” la vignetta Sciopero generale scelta inopportuna In un momento come questo, con le fabbriche che chiudono, con l’Italia sott’acqua anche a causa della eccessiva cementificazione, diretta conseguenza dei condoni edilizi degli ultimi venti anni, Susanna Camusso non trova di meglio che proclamare uno sciopero generale, senza tenere il minimo conto dei danni materiali, psicologici e sociali, che lo sciopero produrrà. Semplicemente si tratta di una decisione insensata e inaccettabile. Dobbiamo dunque credere che ha ragione chi afferma che certi sindacalisti pervicacemente bre, si è rivolta dalla prima pagina del Corriere della Sera a Sergio Cofferati. Sotto il titolo “Le porte sempre girevoli di Cofferati” Grasso ha ricamato attorno al “ritorno dell’ex sindacalista, in corsa per la carica di governatore in Liguria”. La cosa mi ha rinfrescato il ricordo di quando Sergio Cofferati, che scaduto il suo mandato di Segretario generale della Cgil era tornato da poco a fare l’impiegato alla Pirelli, il 27 maggio 2003, venne a Piacenza, per salutare il concepimento anche da noi, dell’associazione Aprile, una delle tante iniziative della “sinistra” sparsa e divisa, puntual- mente poi abortita prima di giungere al parto. Cofferati, sull’onda del successo della manifestazione dei “tre milioni al circo Massimo”, propose all’attenzione dei presenti una sequenza “manufatta” di una logica ferrea: “programma, regole, uomini (primarie)”. Ovvero l’esatto contrario, della sequenza allora come oggi, in vigore. Per “vincere” la partita, Cofferati nell’occasione affermò che la strada da percorrere era lunga e tortuosa, e non conosceva scorciatoie, ed imponeva di farsi forza, con “la forza delle idee”. Quella sera Cofferati si mostrò infastidito dalle indiscrezioni che lo il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Antonio Padellaro Condirettore Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Caporedattore centrale Ettore Boffano Caporedattore Edoardo Novella Caporedattore (Inchieste) Marco Lillo Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: segreteria@ilfattoquotidiano.it - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: Lucia Calvosa, Luca D’Aprile, Peter Gomez, Antonio Padellaro, Layla Pavone, Marco Tarò, Marco Travaglio (perdonatemi la parola) della Lega. La Lega infatti ha cose (orrende) da dire, un suo appello (al peggiore egoismo) da mandare, e un mondo (frontiere chiuse, tipo 1940) da proporre. Roba da nausea, naturalmente. Eppure che cosa accade? Che il Movimento Cinque Stelle, che è nato da una dignitosa e indignata società civile, e Susanna Camusso, che rappresenta bravamente ciò che resta del lavoro italiano, dicano o ripetano cose della Lega. La ragione, temo, è questa: il resto è un silenzio ambulatoriale in cui parlano solo i due medici, il dottor Renzi e il professor Berlusconi, entrambi specialisti in malattie del potere, il loro potere. Invece la Lega parla, esattamente come il fascismo nel 1922. Dice cose ripugnanti, ma parla. E allora una parte va verso la Lega perché condivide (ci sono anche esseri umani del terzo tipo), una parte per non restare nella solitudine e nel silenzio. Parlo dei cittadini. Per la Camusso e per Grillo non trovo alcuna spiegazione, ma una domanda: si può avere una immagine così modesta di se stessi da aderire al referendum della Lega (Camusso) o per condividere l’idea leghista che donne e bambini e uomini salvati dal mare portino tubercolosi ed ebola e dunque vadano lasciati annegare? Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 lettere@ilfattoquotidiano.it volevano candidato come sindaco di Bologna. Come è andata a finire oggi lo sappiamo, e a proposito della sequenza da lui sbandierata vale ancora come sempre il suo esatto contrario: uomini (buoni per tutte le stagioni), regole (ma elastiche), programmi (se proprio si vuole). Vittorio Melandri Berlusconi e Renzi come i ladri di Pisa La storiella dei ladri di Pisa è sempre in voga. Berlusconi e Renzi, dopo tanto litigare sull’Italicum, hanno raggiunto l’accordo: premio di maggioranza alla lista che vince col 40 percento e soglia di sbarramento al 3 percento. Uno farà l’asso pigliatutto con i seggi, l’altro salverà i partitini che fece uscire dal Pdl tre anni fa, quando capì di non avere più la maggioranza nel Paese. Mossa che gli ha permesso di fare opposizione apparente mentre teneva sotto controllo il governo, grazie al suo cavalluccio di Troia infilato nel Pd. Qualche anima bella troverà questa ricostruzione fantasiosa, ma chi ha mai creduto ai contrasti con Quagliariello, perfino Schifani e Cicchitto, oltre agli ex An. E come potrebbe essere inamovibile il sedicente ministro dell’Interno Alfano, se non avesse sulla testa la mano di un padrino autorevole? Dalla comica finale siamo passati alla farsa, che si sta tramutando in vera emergenza democratica. Ieri sera ho sentito a 8 e mezzo, il sindaco Pd di Firenze parlare dello sciopero generale del 5 dicembre, con gli argomenti e i toni irridenti e sprezzanti che avrebbe usato un berlusconiano doc. Ci si può solo augurare che gli italiani si dimostrino più intelligenti di quanto vengano considerati, da chi propina loro un’informazione parziale e scorretta e programmi tv fatti di urla, volgarità, sentimenti odiosi, perfino trasmissioni del sabato sera dove ci si dovrebbe divertire con le scorregge. Angelo Testa Ridistribuzione e aiuti sconosciuti al governo Quando c’è la crisi economica il Paese diventa povero e i poveri diventano, se possibile, ancora più poveri. Al contrario, durante le crisi economiche i ricchi diventano ancora più ricchi. Ed è proprio quello che sta accadendo ora in Italia. Le professioni di ottimismo del governo – un nano incantatore, suonatore di piffero – sono in contrasto con la realtà dei fatti. Le aziende chiudono continuamente, la cassa integrazione tende a trasformarsi in mobilità, cioè in licenziamenti collettivi, mentre la politica ignora del tutto le misure che dovrebbero essere prese per alimentare legittime speranze di ripresa, come la politica industriale, il sostegno ai redditi da lavoro, la ridistribuzione della ricchezza e del lavoro e la lotta alla precarietà, che purtroppo continuano a essere temi estranei al vocabolario dei nostri governanti. Mario Pulimanti Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 lettere@ilfattoquotidiano.it Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 290,00 e Prezzo 220,00 e Prezzo 200,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e Prezzo 135,00 e Prezzo 120,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e Prezzo 320,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e Prezzo 180,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 305,00 e • 7 giorni Prezzo 290,00 e • 6 giorni È possibile sottoscrivere l’abbonamento su: https://shop.ilfattoquotidiano.it/abbonamenti/ • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 185,00 e • 7 giorni Prezzo 170,00 e • 6 giorni Oppure rivolgendosi all’ufficio abbonati tel. +39 0521 1687687, fax +39 06 92912167 o all’indirizzo mail: abbonamenti@ilfattoquotidiano.it ABBONAMENTO DIGITALE • Mia - Il Fatto Quotidiano (su tablet e smartphone) Abbonamento settimanale 5,49 e Abbonamento mensile 17,99 e Abbonamento semestrale 94,99 e Abbonamento annuale 179,99 e • il Fatto Quotidiano - Pdf (su Pc) Abbonamento settimanale Abbonamento mensile Abbonamento semestrale Abbonamento annuale 4,00 e 15,00 e 80,00 e 150,00 e * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. 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Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione: ore 22.00 Certificato ADS n° 7617 del 18/12/2013 Iscr. al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599 • Servizio clienti assistenza@ilfattoquotidiano.it MODALITÀ DI PAGAMENTO • Bonifico bancario intestato a: Editoriale Il Fatto S.p.A., BCC Banca di Credito Cooperativo Ag. 105, 00187 Roma, Via Sardegna n° 129 Iban IT 94J0832703239000000001739 • Versamento su c. c. postale: 97092209 intestato a Editoriale Il Fatto S.p.A. 00193 Roma , Via Valadier n° 42, Dopo aver fatto il versamento inviare un fax al numero +39 06 92912167, con ricevuta di pagamento, nome, cognome, indirizzo, telefono e tipo di abbonamento scelto • Pagamento direttamente online con carta di credito e PayPal.
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